Il Ritorno Delle Coccinelle
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C’è sempre dentro di noi, inavvertito e nascosto quando si legge un libro, un retro pensiero.
Una sorta di contrappunto musicale che non distoglie “dall’ascolto” ma lo evidenzia e lo sottolinea sollecitando processi analogici o contrastivi.
Così, leggendo questo scritto di Michele Cavallo, che in-quieta e squassa nel più profondo dell’anima, vengono in mente i versi di Pedro Salinas:
“E perderò il mio nome,
i miei anni, i miei tratti,
tutto perduto in me, di me.”
Ci sono esperienze dolorose che provocano la perdita della propria identità, che privano di senso l’esistenza, che svuotano gli anni e annullano tutto quanto di positivo sia in essi accaduto. Una rete vischiosa che avviluppa e toglie il respiro; un vivere senza vita e un morire senza morte.
Ed è solo alla fine, quando la strada impervia è stata per-corsa tutta e si è vista finalmente la luce, che si avverte l’esigenza di riguardare l’intera esperienza con mente serena.
Nasce – come in questo caso – uno scritto che ospita una vicenda umana narrata con semplicità disarmante, quasi documentata, senza intenti pedagogici, senza pretese didascaliche, senza vittimismi. Come se l’autore dicesse: “Ecco, io sono questo, ho vissuto così...”.
Un “Ecce homo” la cui narrazione priva di enfasi rende ancora più sconvolgente.
E poi l’infanzia. Che compare tra le righe come un sorriso intravisto da una porta socchiusa, come un breve sprazzo di luce subito dissolto: le vacanze al mare, il sapore della sabbia che scricchiola tra i denti, la forza e l’ottimismo della madre, la pudica tenerezza del padre che parte nel silenzio della notte senza salutarlo, per nascondere emozioni e sentimenti di chi, costretto ad emigrare, deve abbandonare la casa e gli affetti.
E, a seguire: le speranze, la giovinezza, la forza, il suc-cesso, l’amore.
E il buio.
Subito, così, per un niente.
Un bicchiere e via, fino all’abbrutimento, fino all’annientamento. E il corpo un cencio, come l’anima. Buttati lì, insieme, nell’ottundimento comatoso dell’autodistruzione, nella remota consapevolezza – ma senza la forza di reagire – che quella condizione è più della morte.
Tutto retrocede e scompare: i volti, le persone, l’amore, gli affetti, le speranze, la natura.
Ma se la morte minaccia e artiglia, la vita è più forte, si radica dentro e urla le sue ragioni. Ed emerge dal fondo buio dell’anima, dalle profondità dell’essere, fino alla lu-ce. Un percorso lento, faticoso, altalenante.
Così, un po’ alla volta, come per una vista che si snebbia e mette a fuoco quello che prima era scomparso, appare il mondo, “ritornano le coccinelle”, delicata metafora di una serena, ritrovata normalità.
Uno scritto, quello di Michele Cavallo, che prende il cuore e la mente; che torce le budella e induce alla speranza; che insegna senza la pretesa di voler insegnare, per que-sto ancora più efficace.
Collocabile tra la diaristica e il memoir, narrato con un linguaggio semplice e diretto, ma non banale, è un libro di straordinaria e dolorosa attualità che, se crudamente narra il buio dell’autoannientamento, apre anche squarci di inattesa luce.
Barbara D’Alto
scrittrice
Michele Cavallo
Fotografo, Operatore Cinematografico. Ha frequentato il Centro Sperimentale della Cinematografia di Roma (Cinecittà) come Direttore della Fotografia. Oggi soprattutto scrive come giornalista freelance e Libri "Cinematografici". La mia prima fatica è stata la mia stessa autobiografia perché il fallimento dei miei primi 35 anni andava, secondo me, testimoniato. Michele Cavallo
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Anteprima del libro
Il Ritorno Delle Coccinelle - Michele Cavallo
Il Ritorno delle Coccinelle
di Michele Cavallo
Ad Emanuele
Giovane, geniale,
vero e invisibile
amico,
troppo umile
per questo mondo,
troppo fragile
per decidere di restare tra noi.
"La piccola forza che occorre
per spingere una barca nel fiume,
non deve essere confusa
con la forza di questo fiume
che da allora in poi la porta."
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Nota dell’autore
Ho imparato a mie spese che quando una storia non viene raccontata, resta nascosta nel passato, dimenticata, incapace di rivivere come insegnamento nei passi dell’altro.
Al contrario se una storia viene condivisa, diventa qualcos’altro. Diventa parte di ciò che potremmo essere in futuro.
Anche (ma non solo) questo mi ha spinto a scrivere di vicende personalissime che altrimenti dovrebbero albergare solo nel cuore di chi le ha vissute.Sarebbe per me davvero cosa gradita se il lettore, durante tutta la fruizione del racconto, tenesse ben presente alcuni punti fermi che potrebbero aiutare noi tutti a dare delle risposte a quelle domande che, inevitabilmente, ve lo assicuro, si presenteranno man mano che la storia si sviluppi.
Ora potranno sembrare anche poco comprensibili ma vi chiedo solo una piccola dose di fiducia che alla fine risulterà, spero, ben riposta:
Il lutto
Il lutto non è legato solo alla morte di una persona, ma anche ad un allontanamento dai propri luoghi, alla fine di un impegno o di un legame importante, di un lavoro, alla fine di una possibilità di cambiamento, alla perdita del proprio ruolo sociale, ad un fallimento.
La parte difficile non è dimenticare il passato, la parte più difficile è dimenticare il futuro che per noi avevamo immaginato.
Superare il lutto è talvolta molto difficile ed in certi soggetti, anche in quelli cresciuti fra le cure più amorevoli, innesca sindromi depressive acute che possono sfociare in vere e proprie malattie.
La prima difesa che mettiamo in atto quando siamo di fronte ad un lutto è la negazione della realtà ma questo non fa altro che alimentare la ricerca di risposte in campi diversi dalla realtà stessa, rifugiandoci in un mondo illusorio, magari con l’aiuto di più comodi e reperibili succedanei.
L’accettazione, l’ammissione che non ci si può più far altro, il riconoscimento che difronte abbiamo qualcosa che attraverso la negazione o, di contro, un poderoso braccio di ferro, non ci porta da nessuna parte, tutto questo dicevo, forse potrebbe essere la base per un nuovo, buon inizio.
Il Ghiaccio Sottile
Questo concetto mi è stato ben chiaro sin da quando, poco più che sedicenne, ho ascoltato una canzone del gruppo musicale a cui tengo più di tutti, i Pink Floyd.
Ovviamente allora io la leggevo purtroppo come un invito e non come un monito.
Spesso alcune persone, come ha fatto quasi sempre il nostro protagonista, pattinano consapevolmente su piste di ghiaccio troppo sottili non potendosi lamentare quando una crepa appare improvvisamente sotto i piedi, magari aprendosi e facendolo precipitare in una gelida acqua dove come unico appiglio, per non annegare, si ha solo ancora altro ghiaccio sottile che continua a rompersi.
Dura lotta cavolo, non credete?
Sì, una parte della responsabilità è anche di chi si avventura dove sa che possa essere pericoloso.
La Sospensione Del Giudizio Morale
Per ultimo ma, non meno importante, sarebbe positivo e soprattutto funzionale per la comprensione del messaggio contenuto nel testo, concentrarsi esclusivamente sui fatti, su quello che accade, senza soffermarsi sul dove, come e quando il protagonista ha fatto una cattiva scelta, del male a qualcuno etc…
Soprattutto se di quello stesso protagonista abbiamo un’idea già ben precisa ma non necessariamente coincidente con la realtà.
Questo è quello che il protagonista ha vissuto e vive ancora oggi dopo anni di guarigione, sulla propria pelle.
Forse aiuterebbe pensare che potrebbe succedere ad ognuno di noi.
Attenzione, questa non vuole essere assolutamente una richiesta di assoluzione ma piuttosto una sollecitazione alla comprensione dei fatti, della storia.
Quando facciamo del bene al prossimo, spesso ne riceviamo in qualche modo giovamento anche noi.
Così quando qualcuno fa del male, ne riceve una parte di ritorno.
Questo mi fa supporre quindi che il protagonista non sempre abbia compiuto atti che hanno intenzionalmente leso la sensibilità delle persone a lui vicine.
Insomma, più che considerarlo un cinico sadomasochista, tenderei a cogliere nelle sue azioni delle enormi richieste di aiuto.
Un motivo in più per sospendere ogni valutazione, almeno fino alla conclusione del racconto.
Più avanti forse, attraverso la lettura, capiremo meglio questo delicato concetto.
Grazie. M. C
Prefazione
C’è sempre dentro di noi, inavvertito e nascosto quando si legge un libro, un retro pensiero.
Una sorta di contrappunto musicale che non distoglie dall’ascolto
ma lo evidenzia e lo sottolinea sollecitando processi analogici o contrastivi.
Così, leggendo questo scritto di Michele Cavallo, che inquieta e squassa nel più profondo dell’anima, vengono in mente i versi di Pedro Salinas:
"E perderò il mio nome,
i miei anni, i miei tratti,
tutto perduto in me, di me."
Ci sono esperienze dolorose che provocano la perdita della propria identità, che privano di senso l’esistenza, che svuotano gli anni e annullano tutto quanto di positivo sia in essi accaduto. Una rete vischiosa che avviluppa e toglie il respiro; un vivere senza vita e un morire senza morte.
Ed è solo alla fine, quando la strada impervia è stata percorsa tutta e si è vista finalmente la luce, che si avverte l’esigenza di riguardare l’intera esperienza con mente serena.
Nasce – come in questo caso – uno scritto che ospita una vicenda umana narrata con semplicità disarmante, quasi documentata, senza intenti pedagogici, senza pretese didascaliche, senza vittimismi. Come se l’autore dicesse: Ecco, io sono questo, ho vissuto così…
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Un Ecce homo
la cui narrazione priva di enfasi rende ancora più sconvolgente.
E poi l’infanzia. Che compare tra le righe come un sorriso intravisto da una porta socchiusa, come un breve sprazzo di luce subito dissolto: le vacanze al mare, il sapore della sabbia che scricchiola tra i denti, la forza e l’ottimismo della madre, la pudica tenerezza del padre che parte nel silenzio della notte senza salutarlo, per nascondere emozioni e sentimenti di chi, costretto ad emigrare, deve abbandonare la casa e gli affetti.
E, a seguire: le speranze, la giovinezza, la forza, il successo, l’amore.
E il buio.
Subito, così, per un niente.
Un bicchiere e via, fino all’abbrutimento, fino all’annientamento. E il corpo un cencio, come l’anima. Buttati lì, insieme,