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E-book384 pagine5 ore

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Venti racconti. Storie di oggi, attraversate da un briciolo di quella maliziosa crudeltà che caratterizza inevitabilmente i rapporti tra gli uomini e le donne del nostro tempo...

Storie autentiche, che parlano dei temi che da sempre dominano la vita : il sesso, l’amore e la morte.
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2015
ISBN9788891183606
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    Anteprima del libro

    Racconti - Giacomo Barra

    Giacomo Barra

    Racconti

    Al Poeta Gregorio Scalise

    con riconoscenza,

    per avermi incoraggiato

    nella mia avventura letteraria.

    Introduzione

    Cosa c’è di più sorprendente della vita?

    Anche quando scivola placida, con apparente, innocua

    banalità, quando sembra che nulla debba mai accadere,

    è lì, pronta a stupirci, e a capovolgere di colpo

    anche la più ordinata delle esistenze.

    Questi racconti vogliono fermare l’attimo in cui la vita

    si prende la rivincita, irrompendo con prepotenza

    nel tran tran quotidiano, per creare situazioni

    bizzarre, drammatiche, e qualche volta straordinarie.

    Perchè, anche se non vogliamo ammetterlo,

    è quasi sempre il caso a decidere, nel bene o nel male,

    delle nostre vite.

    Anche se il caso, come lo intendiamo noi, non esiste.

    Indice

    la seduzione

    Born in the U.S.A.

    Via Pablo Neruda, 23

    Marocco

    Corinne

    Compagni

    Bagno Stella

    Camping Italia

    Ilenia

    l’amore

    Pomeriggio

    Fermo posta Centrale

    Angela

    Io, tu e i gabbiani

    la morte

    "Oramatis

    Innocente distrazione

    Fatalità

    Il capanno

    Un gioco da ragazzi

    Malocchio

    Rinascita

    Rodrigo

    la seduzione

    Born in the U.S.A.

    Non appena varcarono il cancello, e a passo d’uomo cominciarono a percorrere il vialetto debolmente illuminato, che serpeggiando s’inoltrava nell’oscurità del parco, a Jorge sembrò d’essere entrato nella scena di un film.

    Quando giunsero davanti alla villa, una costruzione bianca, dalla linea elegante, adagiata su una collinetta erbosa, la limousine color crema si arrestò docilmente, con un garbato scricchiolìo di ghiaia. L’autista scese, e compitamente aprì lo sportello della vettura, facendoli uscire, ad uno ad uno.

    La villa era illuminata a giorno e all’interno, attraverso le ampie vetrate, si intravvedevano le persone andare e venire in quello che doveva essere il salone principale.

    Tutt’intorno il parco era immerso nel buio ma, acuendo la vista, si potevano scorgere in lontananza le sagome nere degli alberi ad alto fusto che la circondavano.

    Nell’aria un soffice odore di pioggia, di muschio e di foglie cadute. Scesi dalla limousine, si diressero timidamente e in ordine sparso verso l’ampia scalinata, che portava al colonnato d’ingresso in stile Campidoglio.

    Patrick Buchanan li precedette con disinvoltura e arrivato in cima alle scale, davanti al portone laccato di bianco, percosse con forza il battente dorato.

    Dopo qualche secondo il portone si aprì, e sulla soglia si stagliò un maggiordomo dall’atteggiamento funereo.

    I capelli impomatati di brillantina e gli occhi truccati con il mascara gli conferivano un aspetto a dir poco inquietante.

    Chi devo annunciare, signori? chiese, scandendo le parole con studiato sussiego.

    Dica al Signor McCoy che è arrivata la ‘Salem Brigade’ rispose Patrick, con l’aria furba di uno che sa stare al gioco.

    Senza profferire parola, il personaggio li fece accomodare nel vestibolo e sparì dalla vista.

    Passò un minuto buono, poi la porta che dava sul grande salone si aprì, e sulla soglia si inquadrò silenziosa la figura di Jerry McCoy, il potente vicepresidente della Compagnia.

    Indossava un elegantissimo frac in panno scuro sul quale spiccava un candido jabot in pizzo, scarpe di vernice lucidate a specchio, e uno svolazzante mantello in seta, di un nero lucente, che gli arrivava al ginocchio.

    Gli occhi di un grigio ceruleo, già rapaci per loro natura, abbondantemente cerchiati di violetto, e i capelli tirati all’indietro e resi lucidi dalla brillantina, si sarebbe detto il conte Dracula in persona.

    Dopo averli studiati attentamente con lo sguardo ad uno ad uno, fece un largo gesto con la mano, invitandoli cerimoniosamente ad entrare nel salone.

    Dentro, c’era la solita bolgia che accompagna le feste di Halloween.

    La sala era vasta ed elegantemente arredata.

    Alle pareti, ampie porte finestre che davano sul parco, e in fondo un imponente camino in alabastro rosa, nel quale ardevano grossi ceppi.

    Il soffitto era rivestito di una boiserie in legno chiaro a riquadri, e qua e là facevano mostra alle pareti alcune grandi tele dalle cornici dorate, con rappresentazioni di cacce e battaglie.

    Tutto dava l’impressione di una raffinata, opulenta eleganza.

    Il salone era stato riccamente addobbato per l’occasione con festoni colorati, maschere funeree, teschi e tutto quanto si conviene in queste occasioni. Nell’atmosfera surriscaldata della festa, l’aroma fruttato dei cocktails si confondeva con il fumo delle sigarette e il profumo evanescente delle signore, mentre in un angolo un complessino di cinque ragazzotti in giacche scintillanti di lustrini, strimpellava le note strafottenti di New York, New York...

    Il brusìo incessante delle persone, i giovani scatenati in una danza turbolenta al centro della sala, e i camerieri che scivolavano tra la folla con garbata discrezione, tutto faceva pensare ad una festa gaia e ben riuscita.

    Quella mattina, Patrick era venuto a prelevarli allo Sheraton con uno strano sorrisetto sotto i baffi.

    Dopo che avevano preso posto sul van della Compagnia, vedendo che non percorrevano la solita strada, qualcuno gli aveva chiesto dove stavano andando, e lui aveva risposto con una simpatica smorfia, come per dire: Aspettate e vedrete....

    Patrick, un uomo alto, slanciato, dai capelli ricciuti e un paio di baffetti insolenti, ricopriva la carica di responsabile marketing estero della Compagnia. Come tutte le persone di colore, aveva uno spiccato senso dello humor, che lo distingueva nettamente dall’americano medio.

    Con quella sua abitudine innata di spalancare gli occhi e inarcare le sopracciglia, pareva sempre che stesse prendendo il suo interlocutore bonariamente in giro.

    Alla fine, si erano fermati davanti al teatro della città.

    Una volta dentro, Patrick li presentò a Ruth, la costumista del teatro, spiegando che avrebbero dovuto provare i costumi per la festa che si sarebbe tenuta la sera.

    Lei li introdusse allora in un vasto magazzino, nel quale erano in bella mostra, ordinatamente appesi alle loro grucce, parecchi costumi teatrali. C’era proprio di che sbizzarrirsi.

    Daniel, un collega francese di Lione, scelse un abito ad ampi riquadri scozzesi, rossi e bianchi, con una buffa giacchetta e pantaloni larghi alla Charlie Chaplin.

    Con una paglietta sul capo, un banjo a tracolla e un ombrello privo di copertura, sembrava un perfetto musicista dixieland. Raji, che veniva da Bombay, trovò un costume da principe indiano, con pantaloni alla turca, gilet intarsiato a fili d’oro, e turbante con tanto di piuma di struzzo e di gemme.

    Il più originale fu però Nobuyori, un distinto medico di Osaka, molto cerimonioso e riservato, che, contro il suo volere, venne travestito dalla costumista da geisha.

    A vederlo così agghindato, nell’elegante kimono in seta verde pallido, fasciato ai fianchi dall’obi bianco, tutti scoppiarono a ridere e lui, che era molto serio, si sentì gravemente offeso per quell’assurda buffonata.

    Ma non c’era niente da fare, gli ordini erano di presentarsi mascherati a dovere, e guai a chi trasgrediva.

    Anche Jorge riuscì a trovare un costume del suo paese.

    Con un paio di larghi calzoni in camoscio, stivali in cuoio, lazo e cappello, si trasformò in un attimo in un perfetto ‘gaucho’argentino.

    Patrick scelse invece per sè un variopinto travestimento da pirata dei Caraibi, con l’immancabile uncino e la benda sul l’occhio, che gli andava a pennello.

    Una volta terminate le prove, Ruth consegnò a ciascuno il proprio costume e poi, ridendo, li lasciò con un caloroso Have a good time!!.

    La sera, poco prima di uscire, era venuta a trovarli in albergo Jennyfer Russo, una delle product specialist della ditta, che a veva provveduto a truccarli adeguatamente.

    Quello che aveva richiesto più tempo era Nobuyori che, sotto le sue mani sapienti, si era trasformato in una autentica bellezza del mondo galleggiante, dallo sguardo triste, come tutte le geishe che si rispettano.

    Così mascherati, fecero il loro ingresso nel salone della villa, e furono subito accolti da un mormorio di curiosità.

    I presenti si fermarono tutti in rispettoso silenzio e Jerry McCoy, con fare cerimonioso, li presentò ad uno ad uno.

    Quando venne il turno di Nobuyori, a vedere la piccola geisha paludata nel costume a fiori e truccata a quel modo, con il viso color gesso e le labbra di un sensuale rosso carminio, la sala sbottò in una irrefrenabile, chiassosa risata.

    Il medico giapponese, vedendosi così platealmente deriso, si sentì morire dalla vergogna e, pur di riscattarsi, avrebbe fatto volentieri seppuku, lì, seduta stante. Dopo la presentazione, furono finalmente liberi di mischiarsi agli altri nella sala.

    Alla festa c’era un sacco di gente che Jorge non aveva mai visto. Per fortuna erano presenti i dirigenti della Compagnia, con cui aveva già fatto conoscenza, e alcune delle loro segretarie e impiegate più importanti.

    Ralph, il responsabile del controllo qualità, era travestito da chirurgo, con tanto di camice, bustina e mascherina verde.

    David, responsabile del customer care, girava invece infilato dentro a un incredibile costume bianco da coniglio, che gli lasciava fuoriuscire solo gli occhi, e che doveva fare un caldo d’inferno. Jenny Derosa, moglie di Ralph, era vestita da donna da saloon, con gli occhi abbondantemente truccati, e il seno esuberante che sembrava debordare da un momento all’altro dal corpetto nero troppo attillato.

    Poi c’era Melanie, la segretaria di McCoy, una bella ragazza dai lunghi capelli biondi, travestita da strega, e Mary Anne, la responsabile dell’ufficio estero, che camminava saltellando comicamente dentro ad un buffissimo costume da...prosciutto.

    Jorge prese subito a parlare con lei, perchè era l’unica con cui aveva avuto occasione di scambiare qualche parola, quando chiamava la Compagnia al telefono dall’Argentina.

    Kevin, il suo collega neozelandese, si mise invece decisamente alle costole di Melanie, che sembrò subito gradirlo, perché gli fece, appena lo vide, delle buffe smorfie.

    Completavano il gruppo un medico olandese di nome Maarten e una dottoressa di nome Asunciòn, che a differenza di tutti loro non era una cliente, ma la direttrice della filiale messicana della Compagnia.

    Quello era il primo viaggio premio che i sei giovani medici facevano negli Stati Uniti su invito della Compagnia, una grossa multinazionale che produceva presidi per uso ospedaliero, e che aveva solidi interessi anche in campo aerospaziale. Dopo una settimana in Pennsylvania, avrebbero dovuto trasferirsi nell’Ovest, per visitare la sede californiana di S. Francisco.

    Così, con la solita scusa di un corso di aggiornamento professionale, si sarebbero fatti un bel viaggio completamente spesati attraverso gli Stati Uniti, coast to coast.

    All’aeroporto di Buenos Aires, Blanca, la moglie di Jorge, gli aveva sussurrato, con fare incerto e un po’ malinconico, al momento di lasciarlo: Jorge, te ruego, estás atento, con las mujeres americanas....

    Lui l’aveva guardata, sorridendo, poi le aveva risposto allegramente: Ipero qué vas a pensar! Iestás tranquila ! I no te preocupes, las mujeres americanas no son un problema!

    Poi l’aveva abbracciata, e si era imbarcato. E adesso era lì, protagonista insieme agli altri di questa avventura.

    A poco a poco, la serata aveva preso a scaldarsi.

    I camerieri percorrevano la sala con vassoi colmi di cocktail di ogni tipo, e il banco dei liquori, con le dozzine di bottiglie dalle etichette variopinte, avrebbe fatto invidia al bar di un night club.

    Non c’era nessuno che dopo un’oretta non avesse tracannato un bel po’ di benzina, e gli effetti cominciavano a farsi sentire, perché al comportamento elegante di inizio serata, stava piano piano subentrando una familiarità di tutt’altro tipo.

    In fondo alla sala si apriva un secondo saloncino, più piccolo, che offriva, a chi lo desiderava, un briciolo di intimità.

    Jorge si era appartato lì insieme a Mary Anne su uno dei divani, e stava parlando tranquillamente con lei quando, all’improvviso, qualcuno si lasciò cadere accanto e gli mollò una amichevole pacca sulla spalla. Era Ralph.

    Hello, Jorge!...How are you? si sentì chiedere, mentre un odore pungente di whisky gli arrivava alle narici.

    A questa interruzione un po’ inopportuna, Jorge preferì fare buon viso, perché non era certo il caso di farsi dei nemici pro prio lì. D’altra parte, lui e Mary Anne stavano solo parlando, e quell’intervento, anche se un po’indelicato, poteva essere scu sato. Il guaio era che Ralph non si accontentò di un breve saluto per poi filarsela, ma attaccò con una assurda sequela di domande sull’Argentina.

    Voleva sapere se gli squadroni della morte esistevano ancora, qual’era la situazione economica del paese, e via di questo passo. Per di più, sembrava decisamente alticcio. Dagli occhi rigonfi e dallo sguardo acquoso si intuiva la persona dedita all’uso regolare dell’alcool.

    Un cameriere che passava di lì venne fermato bruscamente con un cenno, Ralph afferrò dal vassoio due bicchieri colmi di scotch quindi ne porse uno a Jorge, costringendolo ad un brindisi. La cosa andò avanti così per un po’, poi prese una piega decisamente molesta. Infastidito, Jorge cercava di liberarsi con le buone dello scocciatore, mentre Mary Anne osservava la scena con uno sguardo a metà fra la compassione e il disprezzo.

    Mentre erano così affacendati, venne a sedersi sul divano di fronte a loro proprio Jenny, la moglie di Ralph, insieme ad un giovanottone dalla zazzera bionda, travestito da clown.

    I due scherzavano tra loro come due persone avvezze ad una certa intimità, e dopo un po’ accadde una cosa inverosimile, perché nel bel mezzo dell’allegra conversazione, senza dir né tanto né quanto, Jenny incollò la bocca a quella del suo compagno e prese a baciarlo con sentimento.

    Ralph, con sguardo cattivo, fissava i due seduti di fronte a lui senza muovere un dito. Ci furono effusioni e toccamenti poi finalmente, quando Dio volle sua moglie si decise ad alzarsi, e afferrata la sua conquista per mano, come se niente fosse imboccò la scala che portava ai piani superiori, dove erano collocate le camere degli ospiti.

    A quella vista Ralph fece un eroico tentativo di alzarsi.

    Si mise in piedi, barcollò un poco, poi, stordito dall’alcool, crollò miseramente sul divano, il naso paonazzo e lo sguardo perso chissà dove. E per il resto della serata divenne inoffensivo. Disgustato, Jorge osservava di sottecchi Mary Anne, che non mostrava di essere particolarmente scandalizzata dall’episodio. In quel mentre si sentì un diffuso mormorìo provenire dal salone, poi tutti, rapidamente, si zittirono.

    La porta nella parete di fondo si aprì, e nella sala fece il suo ingresso Harry Delorme, il presidente della Compagnia.

    Indossava un costume da cow boy, elegantissimo, con tanto di cinturone con pistola.

    Al suo fianco aveva una ragazza che avrà avuto trent’anni di meno, e che per i lineamenti delicati e la bellezza tipicamente americana, avrebbe potuto benissimo lavorare a Hollywood.

    Era un poco più alta del presidente, longilinea, non particolar mente formosa, ma molto aggraziata.

    Indossava un bellissimo costume in pelle di daino, da Calamity Jane, e portava anche lei alla cintura due pistole e un cappello di cuoio a larga tesa. Dopo questo ingresso trionfale, i due vennero accolti da un’ovazione.

    La gente fece largo, e il presidente e la sua fiamma diedero inizio scenograficamente ad un giro di valzer.

    Sembrava una scena tratta da Via col vento.

    Dopo avere accennato qualche passo di danza, si arrestarono nel bel mezzo della sala, poi il presidente si tolse elegantemente lo Stetson e disse qualcosa che fece scoppiare l’uditorio in una fragorosa risata. Quindi, facendo un largo gesto con il cappello, invitò tutti quanti a riprendere la festa.

    Il brusìo riprese istantaneamente dal punto in cui si era interrotto, e il presidente venne a sedersi con la sua bella sul divano, proprio di fronte a Jorge.

    Jorge lo osservava con curiosità, e non riusciva a credere di trovarsi di fronte all’uomo che era a capo di una multinazionale che macinava ogni anno centinaia di milioni di dollari.

    Osservando il ritratto patinato sulle ‘brochures’ della Compa gnia, si era chiesto spesso che razza di individuo fosse mai, e che requisiti speciali dovesse avere, uno che stringe nelle sue mani un potere così smisurato.

    E adesso ce l’aveva davanti, in carne ed ossa.

    Il presidente si era slacciato il cinturone, aveva sfilato il revolver, e l’aveva appoggiato sul tavolino davanti al divano.

    Tentato dal desiderio di conoscere meglio l’uomo che reggeva su di sé i destini di tante persone, e tratto in inganno dall’atmosfera di apparente cordialità della festa, Jorge buttò là un’osservazione amichevole, nel suo inglese un po’ stentato da forestiero.

    Gran bella pistola fece, sorridendo affabilmente, davvero una bella riproduzione

    Il presidente inclinò lentamente la testa di dieci gradi verso l’alto, e due occhi freddi come il ghiaccio fecero la loro comparsa sotto la falda del cappello.

    Non è affatto una riproduzione replicò con voce tagliente, questa è una autentica Colt. E’ la ‘Bunt Line Special’ canna da 16 pollici, ed è stata costruita solamente in dieci esem plari. Gelato da quella tremenda gaffe, Jorge avrebbe voluto seppellirsi lì, seduta stante. Buttò un’occhiata all’indietro a Mary Anne, che sembrava adesso improvvisamente incartapecorita, nel suo buffo costume da prosciutto.

    Wher’are you from? chiese ancora il presidente, guardandolo diritto negli occhi con quel suo sguardo metallico, la faccia azzimata da attore, dalla mascella squadrata.

    Sembrava William Holden, il protagonista de Il mondo di Suzie Wong.

    Argentina replicò Jorge telegrafico, cercando di non far più brutte figure.

    Oh, Argentina! ribattè il presidente, come se stesse parlando del cortile dietro casa. E fu tutto.

    Si girò verso la sua ragazza, che aveva seguito quel rapido scambio di battute senza batter ciglio e, dopo averle sussurrato poche risolute parole, si alzò, indossò la pistola, e si eclissò velocemente in mezzo alla folla.

    La ragazza si accese una sigaretta e si mise a fumare nervosamente, guardandosi intorno con aria annoiata. Era già l’una passata, e l’alcool aveva cominciato a fare le sue vittime. Molte persone avevano lasciato la sala, e altri se ne stavano adagiati mezzi sbronzi sui numerosi divani. Alcune coppie salivano di tanto in tanto le scale, prendendo con noncuranza la strada delle camere.

    Il presidente, dopo essersi attardato a discutere di qualcosa al tavolo dei liquori con Jerry McCoy, si mise a ballare con Asunciòn, la responsabile della filiale messicana.

    Ora, Jorge era a conoscenza di una cosa che in pochi sapevano, e cioè che tra Asunciòn e il suo collega olandese Maarten era nata proprio in quei giorni una tenera storia d’amore.

    E la cosa buffa è che Jorge conosceva molto bene anche la moglie di Maarten, Birgit, perché recatosi due anni prima ad ad Amsterdam per un congresso, era stato loro ospite a cena.

    E mentre Birgit, alta e bionda, poteva dirsi un vero prototipo di bellezza olandese, Asunciòn, con il suo il fisico slanciato e i grandi occhi scuri da sudamericana era una donna decisamente piacevole, ma non un tipo da far girare la testa.

    Ma si sa, all’amore non si comanda, e i due avevano preso a tubare tra loro come se si conoscessero da sempre.

    Ad un tratto Maarten venne a sedersi proprio lì, vicino a lui. Era un tipo piuttosto chiuso, e di poche parole.

    Fumava, e osservava Asunciòn che volteggiava al centro della sala, con il presidente. Essendosi fatto tardi, erano rimaste poche persone a ballare, ed era facile seguire i loro movimenti.

    Il presidente ballava con Asunciòn, e Maarten tirava lunghe boccate, sempre più nervoso.

    La ragazza del presidente era rimasta invece sul divano tutta la sera, perché nessuno aveva osato avvicinarla.

    Il coraggioso che lo fece fu Patrick che, vedendola così infelicemente sola, ad un certo punto la invitò cavallerescamente a ballare. Al centro della sala erano rimasti ora Patrick, il presidente e pochi altri. Ma mentre Patrick ballava tenendo la ragazza a rispettosa distanza, il presidente, sulle note struggenti di My way, stava trascinando Asunciòn in un lento micidiale, che si sarebbe detto da struscio.

    Maarten li fissava adesso con odio.

    Ad un certo punto, mentre Patrick continuava a ballare con la ragazza, il presidente e Asunciòn abbandonarono le danze e fecero ritorno nel saloncino, prendendo posto sul divano di fronte a Jorge e a Maarten.

    Mentre si sedeva, Asunciòn lanciò a Maarten un’occhiata in tralice, in cui si poteva leggere in un colpo solo tutto quello che c’era in gioco in quel momento, amore, soldi e carriera.

    Il presidente, che non conosceva ovviamente la tresca tra i due, corteggiava adesso insistentemente la responsabile della sua filiale messicana, deciso a conquistarla. Pareva che con tutte le donne che c’erano lì dentro, si fosse invaghito solo di lei. Asunciòn cercava di prendere tempo, si schermiva come meglio poteva, stando bene attenta a non offenderlo, e intanto si guardava intorno con sgomento, cercando invano da qualche parte un aiuto che non arrivava.

    Stanco di questi fastidiosi preliminari, ad un dato momento il presidente ruppe gli indugi, si chinò verso di lei, e con fare deciso la baciò. Quando si staccarono, i due confabularono per un po’ a bassa voce, poi lui riprese a baciarla di nuovo, con insistenza. Non appena riusciva a liberarsi e a riprendere fiato, Asunciòn lanciava occhiate disperate in direzione del compagno, che era ormai teso come una corda di violino.

    Infine, dopo un’ultima poderosa avance, il presidente agguantò per mano la sua preda e si alzò dal divano, con la chiara intenzione di portarsela in camera. A quella vista, logorato dalla tensione a lungo repressa, Maarten balzò in piedi, pronto a scattare come un cane da difesa. Ancora una frazione di secondo e sarebbe successo l’irreparabile.

    Sennonchè, con un gesto del tutto imprevedibile, Asunciòn si accasciò di colpo sul tavolino e scoppiò in un pianto dirotto.

    Rimase lì, con la testa pateticamente raccolta tra le braccia, come se volesse isolarsi dal mondo, con il respiro rotto dai singhiozzi, mentre il presidente, con voce indurita, le ingiungeva di alzarsi e di seguirlo.

    Era una scena da far accapponare la pelle.

    Tutti udivano i singulti della povera ragazza, e avevano compreso perfettamente cosa stava succedendo, ma nessuno trovava il coraggio di muovere un dito.

    Mentre la sala tentava disperatamente di far finta di niente, per un attimo Jorge temette che Maarten perdesse il suo incredibile autocontrollo, e saltasse in collo al presidente.

    Poi, la corda tesa così a lungo fino a spezzarsi, si ruppe.

    Furioso per quel plateale rifiuto che lo stava facendo sprofondare nel ridicolo, il presidente scavalcò con rabbia Asunciòn, si diresse verso il centro della sala e, presa d’imperio per mano la sua bella che stava ancora ballando con Patrick, abbandonò in fretta e furia il locale, senza guardare in faccia a nessuno.

    Allora Maarten prese teneramente Asunciòn tra le braccia e fece del suo meglio per rincuorarla, accarezzandole il viso e sussurrandole parole di conforto, ma negli occhi della sfortunata ragazza, crudelmente imbrattati di trucco e di pianto, si leggeva adesso una disperazione senza fine.

    C’era poco da fare, nel giro di poco più di mezz’ora, quella sera Asunciòn si era giocata una posizione invidiabile, guadagnata con anni di duro lavoro.

    I presenti erano impietriti dalla scena, e nessuno osava avvicinarsi. La festa poteva ormai dirsi finita, inutile continuare.

    Persino il padrone di casa aveva pensato bene di farsi di nebbia, insieme alla consorte.

    Lo spirito malefico di Halloween aveva colpito ancora.

    Patrick Buchanan cominciò a raccattare gli altri in giro per casa. Alla fine, dopo dieci minuti, erano tutti riuniti vicino al tavolo dei liquori. Contandosi, si accorsero che mancava Nobuyori, che nessuno aveva più visto in giro dall’inizio della fe sta. Allora, un po’ preoccupati, cominciarono a cercarlo.

    Alla fine fu Jorge a trovarlo.

    Era al piano di sopra, dentro ad una camera, sdraiato su una poltroncina, con il capo reclinato da un lato.

    Dormiva profondamente, e buttato così di traverso, nell’assurdo costume da geisha, con il trucco disfatto dalla stanchezza, faceva davvero una strana tenerezza.

    Dietro di lui, un televisore collegato ad una tv via cavo mandava in onda un film pornografico, e sullo schermo scorrevano silenziose scene di violenza, che illuminavano a tratti il viso stanco del giapponese.

    Quando Jorge arrivò in fondo alle scale, Mary Anne gli andò incontro e, mentre lo salutava, senza farsi notare gli fece scivolare tra le mani un pezzo di carta, su cui era scritto Ti aspetto domani sera alle otto. Poi c’era un indirizzo e un numero di telefono.

    Il giorno dopo, a un quarto alle otto, Jorge scese dal pullman in prossimità di un anonimo centro commerciale.

    L’autista gli aveva detto che il posto non era distante più di dieci minuti a piedi.

    Mentre camminava nella fredda serata autunnale, Jorge fantasticava sulla nuova avventura a cui stava andando incontro.

    Fra tutta la gente che aveva conosciuto in quei giorni, in quel mondo così diverso dal suo, Mary Anne gli sembrava la persona più normale, quella più vicina al suo modo di vivere, alla sua cultura latino americana. Solo, gli sarebbe piaciuto restare qualche giorno di più, per conoscerla meglio.

    Quando arrivò nella via che cercava, si trovò davanti ad una fila di graziose villette, tutte uguali, con il tetto a due spio venti e un ampio giardino.

    Lesse il numero sul cancelletto, e suonò. Una targhetta in metallo dorato, recitava Dr. J. Phillips, Commercial Attorney.

    Sulla soglia comparve Mary Anne, che gli fece cenno di entrare. Non finirono nemmeno di tirarsi la porta alle spalle, che gli offrì le labbra, con trasporto. E mentre la baciava, a Jorge arrivò, appena percettibile, un delicato profumo di mughetto. La casa era immersa in un profondo silenzio. Gli aveva detto che non avevano bambini, ed evidentemente il marito era fuori. Rimasero lì, contro lo stipite, a frugarsi un po’, desiderosi entrambi di una più completa intimità.

    Poi, quando si furono scaldati per benino, lei si staccò, lo prese per mano e lo guidò, attraverso il corridoio, fino alla camera da letto. Era una casa arredata nello stile tipicamente americano, con una stanza molto ampia, al centro della quale troneggiava un letto che avrebbe potuto alloggiare comodamente quattro persone.

    Di fronte c’era un impianto hi fi, con due grosse casse. Quando la afferrò, cercando di baciarla e di trascinarla sul letto, lei si divincolò, e gli sfuggì ridendo.

    Allora, per un attimo Jorge rimase interdetto, senza capire. Lei portò un dito alle labbra, come per farlo star zitto, poi si avvicinò allo stereo, premette alcuni pulsanti e inserì un CD.

    Dopo un secondo, sparato a un volume di 100 dB, Bruce Springsteen attaccò Born in the U. S. A..

    E mentre il batterista picchiava sulla grancassa dei colpi da far tremare la casa, lei cominciò lentamente a spogliarsi.

    Ma non come fa di solito una donna, quando sta per andare a letto con un uomo. Quello a cui Jorge stava assistendo, era uno spogliarello da night club.

    Mary Anne sbottonò senza fretta la giacca, la aprì poco poco, e cominciò a muoverla su e giù a tempo di musica, senza toglierla. Poi gli voltò la schiena, e sempre stando attenta al ritmo che veniva dallo stereo, iniziò un po’ per volta a sfilarla dalle spalle, finchè non restò con la schiena nuda, solcata dalla allacciatura del reggiseno.

    Quindi fu la volta delle scarpe, che volarono negligenti per la stanza. A questo punto, ancheggiando ritmicamente sulla voce rauca del Boss, cominciò, sempre dandogli di schiena, a far scendere la gonna. E lì Jorge capì che si era preparata come si deve a quell’incontro.

    Man mano che l’indumento scivolava, comparvero il reggicalze, le mutandine in pizzo trasparente, e da ultimo l’attaccatura delle calze, che lasciava appena intravvedere la striscia stuzzicante delle cosce...

    Alla fine di questo spogliarello alla 9 settimane e mezzo, si girò e restò in piedi a guardarlo, nel grazioso completo color avorio, che aveva ormai ben poco da nascondere...

    Poi

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