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Le Avventure di Salazar Kaska - Volume I: Sette Teste di Cane Nero
Le Avventure di Salazar Kaska - Volume I: Sette Teste di Cane Nero
Le Avventure di Salazar Kaska - Volume I: Sette Teste di Cane Nero
E-book307 pagine4 ore

Le Avventure di Salazar Kaska - Volume I: Sette Teste di Cane Nero

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Info su questo ebook

Salazar Kaska è il più grande stregone errante vivente, la sua mente geniale e le sue straordinarie facoltà magiche lo hanno aiutato a risolvere i misteri più intricati in giro per la grande penisola di Voynich. Quando sarà chiamato a indagare sul caso occulto della scomparsa di due bambine nel remoto villaggio di Nuhell, si renderà presto conto che la sparizione cela un enigma più grande e pericoloso. Un nemico che si credeva assopito, quasi del tutto estinto da secoli, è tornato e protende gli artigli sulle pacifiche popolazioni della penisola.
Tra mille insidie, creature mostruose e nemici diabolici, Salazar dovrà fare appello a tutto il proprio coraggio per salvare la vita delle bambine e quella dei suoi amici, scongiurando l'avvento dell’Era Nera dei negromanti.
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2018
ISBN9788893372602
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    Anteprima del libro

    Le Avventure di Salazar Kaska - Volume I - Salvatore Floris

    moschettieri...

    1

    La Tana del Coniglio

    Il temporale era arrivato improvviso, oscurando il cielo come la mano di un gigante. Da ore scatenava la sua furia sul paesaggio desolato della brughiera di Nuges. La sua apparizione era stata talmente fulminea, da aver sorpreso persino i viaggiatori più accorti, quelli abituati a mettersi in cammino solo se sicuri di restare all’asciutto. Il vento freddo soffiava da nord-est con raffiche furiose, piegando i bassi cespugli della brughiera e strappando i fiori appena spuntati dopo l’inverno. Tra nubi nere che galoppavano come cavalli imbizzarriti, saettavano lampi bianchi, seguiti da lunghi e cupi tuoni. La pioggia incessante aveva trasformato il terreno in un acquitrino insidioso e difficile da attraversare. Nella sua parte più occidentale, la brughiera declinava fino all’immensa scogliera di Baral, alta duecentocinquanta piedi e lunga cinque miglia. Da quel buio abisso giungevano i muggiti dei marosi giganteschi che si schiantavano contro scogli neri e affilati come lame di spada.

    In questo spettacolo dal fascino primitivo, un mantello nero si muoveva con difficoltà: facendosi strada fra il fango e le pozzanghere, barcollava sotto la spinta delle raffiche di vento e rallentava prudentemente nei tratti in cui il sentiero appariva più scivoloso. Una mano teneva a fatica un cappuccio sulla testa, mentre l’altra stringeva un bastone di legno lungo e nodoso, sulla cui sommità brillava qualcosa ogni volta che un lampo tagliava il cielo nero come fosse una crepa.

    La sagoma lottava da ore contro la furia degli elementi e cercava di raggiungere una luce scorta circa un miglio prima, che brillava debole e isolata nelle tenebre. Il barlume salvifico era prodotto da una lanterna che ondeggiava sotto un piccolo portico di legno, emettendo un cigolio sinistro e illuminando l’insegna della Tana del Coniglio, una piccola locanda situata al crocicchio di cinque strade abbastanza trafficate, posizione che la rendeva una comoda sosta per i viaggiatori della parte meridionale della penisola di Voynich.

    Gli ospiti usuali del rifugio erano mercanti, venditori ambulanti, artigiani, muratori, botanici e cantori erranti che allietavano le piazze delle città con canzoni e poemi in rima.

    Quella notte, nella sala della mescita, c’erano pochi clienti che cenavano e si scambiavano chiacchiere di circostanza.

    Al tavolo più grande, proprio al centro del locale, si erano sistemati tre mercanti che bevevano grossi boccali di birra prima di andare a dormire sui rispettivi carri lasciati in cortile. Il mattino dopo, ripreso il viaggio verso qualche fiera, avrebbero venduto la loro merce ai migliori offerenti. Dietro costoro c’era il becchino del vicino villaggio di Nuhell, sorpreso dal temporale e costretto a una sosta forzata nella locanda, intento a sorseggiare mestamente del vino da un sottile calice di legno. Nel tavolo di fianco, due banditori governativi, anch’essi diretti a Nuhell, si ingozzavano di carne di fagiano, emettendo schiocchi e schiamazzi da animali selvaggi.

    Il villaggio di Nuhell distava appena tre miglia dalla locanda, ma era preferibile aspettare di riuscire a vedere oltre il proprio naso, prima di rimettersi in cammino per raggiungerlo.

    Le conversazioni erano saltuarie, improvvisate e banali, perlopiù incentrate sulla violenza inaudita del temporale e sulla triste fine che era destinata a fare la locanda dell’oste Aris prima della conclusione della primavera.

    «Altre due o tre tempeste come questa e ti ritroverai a servire da mangiare ai pesci qui sotto, Aris!» esclamò uno dei mercanti, sfoderando una dentatura alla quale mancavano parecchi ospiti.

    L’oste, alto e robusto, munito di enormi baffi neri, stava poggiato al bancone e asciugava col grembiule i boccali appena lavati.

    I due banditori, seduti in fondo alla sala, sghignazzarono soddisfatti della battuta, senza smettere di masticare grosse fette di carne.

    «In quel caso, spero che tu e i tuoi compari siate miei graditi ospiti!» rispose l’oste mulinando lo strofinaccio.

    I due ospiti starnazzarono ancora, di rimando e questa volta con maggior convinzione.

    Aris possedeva la locanda da vent’anni e non si era mai pentito di trovarsi piuttosto isolato dal resto del mondo e lontano dalle comodità dei centri abitati. Viveva tranquillo insieme alla famiglia e ai suoi animali, i clienti non mancavano, il cibo era abbondante e non aveva padroni. Perché avrebbe dovuto mettersi a lottare contro il caos e la concorrenza delle altre locande di una città?

    Fuori pareva che la pioggia e il vento cominciassero a scemare, mentre nel locale il becchino, un uomo pallido e minuto, si avvicinò alla finestra per sbirciare la situazione.

    «Un’ora al massimo e dovrebbe essere fattibile rimettersi in cammino» esclamò, guardando gli altri tutto contento.

    Non ottenne alcuna attenzione e se ne tornò mogio mogio al suo posto, per finire di bere il vino.

    Il tempo scorreva tedioso da circa due ore e nessuno immaginava di assistere a un evento capace di rompere quella monotonia. Così, quando la porta della locanda si spalancò con enorme fracasso, fu come se un colpo di cannone si fosse abbattuto sui tavoli. Tutti si voltarono verso l’ingresso, in parte spaventati e in parte incuriositi. Il becchino si alzò lesto e andò a nascondersi dietro un pilastro, come se temesse di scorgere una creatura mostruosa alla porta. Il vento irruppe gelido, mischiandosi ai vapori e al fumo di tabacco che impregnavano l’ambiente. Le fiamme del grande caminetto si piegarono investite dal soffio d’aria fredda. L’oste si chinò sul bancone per scorgere meglio chi fosse arrivato proprio mentre un lampo cadde vicino al portico e il conseguente bagliore stagliò sull’uscio una sagoma alta e longilinea. La figura si affrettò a entrare e chiudere con fatica la porta, vincendo la spinta contraria del vento.

    Di aspetto insolito, il nuovo arrivato avrà avuto circa quarant’anni, portava una barba rada e disordinata e lunghi capelli corvini, appiccicati al viso come tentacoli, che gocciolavano sotto il cappuccio grigio. Stringeva nella mano sinistra un bastone di legno con un’enorme perla bianca in cima ed era talmente zuppo d’acqua che pareva uscito dalle onde del mare sottostante. Non fosse stato per due straordinari occhi grigi che brillavano sotto il cappello sgualcito emanando un incredibile carisma, la sagoma dell'uomo si sarebbe potuta assimilare a quella di uno spaventapasseri.

    «Buonasera» disse il nuovo arrivato con voce limpida e facendo qualche passo verso il bancone. «O almeno, spero che lo sia» aggiunse accorgendosi che tutti lo guardavano muti. Poi si rivolse all’oste allargando le braccia: «Avreste riparo e ristoro per un povero viandante?»

    Il locandiere si riprese dal torpore e mosse i folti baffi neri, facendo un cenno di assenso.

    «Grazie» rispose l’ospite, cominciando a spogliarsi.

    Sotto il pesante mantello indossava un’elegante tunica blu con ricami e finiture in oro. Con la tunica ancora incredibilmente asciutta e una grossa borsa di cuoio che gli penzolava a tracolla, l'uomo si avvicinò al caminetto e appese a un chiodo mantello e cappello gocciolanti.

    Muovendosi con circospezione e soppesando con lo sguardo ogni dettaglio intorno a sé, arrivò al bancone e tese la mano all’oste.

    «La ringrazio per l’ospitalità, signore. Permettete che mi presenti: il mio nome di battesimo è Dragobertus Salazarius Rodrigous Philipposius Kaskoscha, ma sono meglio conosciuto con il nome di Salazar Kaska».

    L’attenzione di tutti si spostò su colui che aveva pronunciato quelle parole.

    Il becchino si alzò per metà dallo sgabello e guardò a destra e sinistra per vedere che espressione avessero gli altri.

    «Salazar Kaska avete detto? Lo stregone? Ehm… L’investigatore?» chiese poi, guardando timidamente il nuovo arrivato.

    Salazar si inchinò con riverenza.

    «Al vostro servizio, signore» rispose.

    «Siete qui per la faccenda delle bambine?» si intromise l'oste, guardando il becchino che si risedeva.

    Salazar annuì.

    «È un onore averla qui con noi!» continuò vivace Aris.

    E fece il giro del bancone per andare ad accogliere con maggiore riverenza il suo ospite.

    «Perdoni la mia maleducazione, ma la sua apparizione ci ha spaventati. Non pensavamo di ricevere altre visite questa sera, lei capirà. Io mi chiamo Aris e sono il proprietario della locanda».

    Dopo avergli stretto calorosamente la mano, lo prese sottobraccio accompagnandolo verso un tavolo vicino.

    «Abbiamo dell’ottimo stufato di rognone e contorno di patate arrosto per cena. E se vuole riposare abbiamo un letto comodo e pulito nella camera migliore al piano di sopra».

    «La ringrazio» replicò Salazar, dandogli una pacca sulla spalla. «Accolgo con piacere entrambe le proposte».

    Aris scostò lo sgabello invitando l'investigatore a sedersi e Salazar lo ringraziò e prese posto, sfregando le mani sulle ginocchia per riscaldarsi.

    «Manderò immediatamente mia figlia a prepararle la camera» bofonchiò l’oste, stendendo una piccola tovaglia rossa sul tavolo.

    Poi, prima di allontanarsi, si accostò all’orecchio di Salazar e disse abbassando la voce: «In verità vi aspettavamo già da un paio di giorni e qualcuno cominciava a dubitare del vostro arrivo».

    Salazar rispose altrettanto piano: «Sarei dovuto giungere a Nuhell questa mattina, ma il temporale mi ha fatto perdere parecchie ore. In una notte come questa, la luce della locanda mi è sembrata un faro in mezzo alla tempesta. Ho ringraziato il cielo e ho subito deciso di precipitarmi qui, fossero rimasti anche solo pochi passi per arrivare al villaggio!»

    Il locandiere sorrise compiaciuto, rivelando di apprezzare la saggezza nelle parole dello stregone e si allontanò dal tavolo, facendo un inchino. Salazar si stiracchiò osservando la sala: i fumi e i vapori si erano diradati, alcuni tavoli erano vuoti, altri coperti di stoviglie sporche, le lanterne a olio appese ai pilastri cominciavano a esaurirsi. Illuminavano debolmente il basso soffitto a volta, baluginando sugli angoli bui e pieni di ragnatele. Il fuoco nel caminetto scoppiettava mentre alla canna fumaria era appesa un’enorme testa di cinghiale impagliata, con il pelo grigio, le zanne ingiallite e gli occhi senza vita che puntavano su Salazar, non ancora del tutto privi di una certa ferocia.

    La porta in legno di quercia sbatacchiava sui cardini ogni volta che le raffiche di vento diventavano più forti e gli spifferi dalle finestre producevano un fischio acuto e sinistro. I tuoni coprivano il vociare degli ospiti e Salazar poteva distintamente sentire il rumore del mare che si infrangeva senza sosta sulla scogliera. Si girò a destra e vide una ragazza di circa dodici anni, coi capelli ricci e neri che le ricadevano sulle spalle. Aveva gli occhi chiari e un’espressione sveglia. Era seduta sul primo gradino della scala che portava al piano superiore, tenendosi il mento con la mano mentre osservava un punto lontano sul soffitto, completamente immersa in qualche fantasticheria. Aveva una certa somiglianza con l’oste, la stessa forma del naso e lo stesso colore degli occhi, probabile si trattasse della figlia. La deduzione di Salazar si rivelò esatta, Aris si avvicinò alla ragazza dicendole qualcosa. Lei reagì quasi infastidita e si alzò controvoglia, gettando un’occhiata malevola allo stregone mentre saliva le scale.

    Nel tavolo davanti al caminetto, i tre mercanti erano immersi in una conversazione sull’andamento dei prezzi del frumento e del rame. Si lamentavano in particolare delle tasse aumentate su alcune merci, che mangiavano gran parte di un guadagno già esiguo.

    «Di questo passo ci toccherà tornare al nomadismo e vivere di quello che la bontà della natura vorrà offrirci!» esclamò uno di loro, alzando gli occhi al soffitto con slancio teatrale.

    Avevano tirato fuori dalle borse oggetti che, da quello che Salazar poteva distinguere, assomigliavano a meridiane o bussole. Se le mostravano a vicenda, esponendone i pregi e l’immenso valore. Mercanti: Salazar aveva viaggiato molto e sorrise pensando che il comportamento del vero venditore fosse sempre lo stesso a tutte le latitudini. Al tavolo vicino, sedeva il becchino che mangiava senza voglia una zuppa di ceci e aveva appesa al collo una borsa dalla quale spuntavano attrezzi da carpentiere. Salazar riconobbe in lui l’agitazione di chi sa di essere atteso a casa da qualcuno: la fede nuziale non lasciava dubbi.

    Al centro della sala, c’erano i due banditori governativi che avevano finito di mangiare e sorseggiavano birra da grossi boccali. Erano entrambi biondi, com’era tipico degli abitanti di quella regione, più in sovrappeso che robusti. Da un paio di minuti avevano iniziato a osservare Salazar con poca discrezione ed espressione malfidata. Lo stregone faceva finta di nulla. Era palese come morissero dalla voglia di rivolgergli la parola e non sembravano affatto amichevoli.

    L’oste arrivò con un piatto colmo di patate e grossi pezzi di carne, del pane e una brocca di vino. Ripose tutto davanti a Salazar e andò a riordinare gli altri tavoli. Salazar prese a mangiare con gusto, complici il lungo cammino e il freddo degli ultimi giorni. Appena ingoiò il primo boccone, il suo stomaco emise un gorgoglio di soddisfazione e apprezzamento. I due uomini di fronte lo fissavano sempre più insistentemente e borbottavano fra loro, dando di gomito. Improvvisamente uno dei due si alzò, andò verso la finestra e tornò indietro riferendo al compagno che il tempo era leggermente migliorato e potevano riprendere la strada per Nuhell.

    Presero la loro roba e cominciarono a vestirsi. Appena se ne accorse, il becchino si alzò rapidamente, avvicinandosi per chiedere se potesse unirsi a loro, visto che anche lui doveva andare al villaggio. Stava farfugliando qualcosa sulle difficoltà di mettersi in viaggio a quell’ora della notte e sulla fortuna di trovare dei compagni di viaggio, quando il più alto dei due uomini gli puntò un dito sul petto con fare minaccioso.

    «Non se ne parla nemmeno di fare la strada insieme! Ti conosco. Tu sei il becchino di Nuhell! E noi non andiamo in giro con i beccamorti! Tantomeno di notte!»

    L’omino rimase mortificato da quelle parole e fece un passo indietro, quasi a scusarsi della proposta. Sghignazzando, i due si misero le sacche in spalla e si avvicinarono al bancone per pagare.

    Salazar riconobbe lo stemma dei banditori sulla fibbia degli zaini. Erano certamente abituati a viaggiare anche di notte, poiché i banditori governativi fungevano da messi notificatori in tutta la penisola. Sovente trasportavano messaggi importanti di alti funzionari che non potevano essere consegnati in ritardo.

    Salutarono l’oste ma, invece di uscire, si fermarono davanti al tavolo di Salazar. Lo stregone continuò a mangiare per qualche secondo, come se non si fosse accorto di nulla. Poi posò la forchetta, si pulì la bocca e rivolse lo sguardo verso i due.

    «Mi pare di suscitare un certo interesse in lorsignori. Posso in qualche modo essere d’aiuto?»

    Uno dei due compari sogghignò, guardando il compagno con aria beffarda. Poi tornò a guardare Salazar.

    «Non puoi fare nulla per noi, ma puoi fare qualcosa per gli abitanti di Nuhell. Ossia levarti di mezzo il più in fretta possibile. Non ci piacciono gli stranieri né gli impiccioni che ficcano il naso negli affari della brughiera» disse puntando minacciosamente l’indice contro Salazar e indicando la porta.

    «Mio caro signore, ficcare (come lei dice) il naso negli affari altrui, è quanto di più lontano dalle mie intenzioni. Sono stato chiamato qui dal borgomastro di Nuhell per essere d’aiuto, non per piantare grane» replicò Salazar sorridendo.

    «Sarà!» lo interruppe il più alto dei due. «Ma a noi non piace la tua faccia e abbiamo già la Guardia dei Miliziani per risolvere i nostri problemi».

    Allungò la mano e rovesciò il bicchiere di Salazar mentre il vino ben presto si sparse sul tavolo e via via sul pavimento.

    Agitato, l’oste si avvicinò per calmare gli animi.

    «Non si preoccupi per il comportamento di questi maleducati. Le loro minacce non hanno effetto su di me e sono in grado di ricordagli da solo le principali norme della buona educazione» affermò Salazar provando a rassicurare il locandiere e fissando negli occhi i due aggressori.

    «Non abbiamo paura di te, fenomeno da baraccone!» disse il più basso di rimando e sottolineando quelle ultime parole con tutto il disprezzo di cui era capace.

    «Oril!» urlò poi rivolto all’amico. «Scommetto che quella grossa perla sul bastone vale una fortuna e penso che il nostro amico non se ne avrà a male se ce la prendiamo come offerta di benvenuto...»

    Oril, seppur con riluttanza, obbedì e si avvicinò al forestiero. Salazar lo guardò mentre avvicinava la mano al bastone, ma senza far trapelare il minimo segnale di nervosismo. «Fossi in te non lo farei» mormorò.

    L’uomo rimase sorpreso, con la mano sospesa a mezz’aria. Ma ormai non poteva tirarsi indietro e afferrò la grossa perla bianca incastonata all’apice del bastone. Cercò di forzarla, ma il legno sembrò urlare e una potente luce azzurra proruppe dalla perla. Oril si aggrappò al bastone con entrambe le mani, mentre il suo corpo era scosso da un fremito violento, poi la luce svanì e lo sventurato fu catapultato in aria, andandosi a schiantare sopra un tavolo dall’altra parte della sala.

    La sorpresa si dipinse sul volto dei presenti e uno dei mercanti lasciò cadere a terra una bussola. Oril si rialzò a fatica, massaggiandosi la testa dolorante. Dalla bocca usciva un rivolo di sangue. Il compare aveva fatto un passo indietro e ora guardava Salazar con odio e paura. Era chiaro che lo strano individuo col bastone di legno, fosse più intelligente e pericoloso di quanto potesse apparire, così non reagì, ma si limitò ad andare verso Oril per controllare che non avesse nulla di rotto.

    Il compagno rispose brusco che stava bene, mentre fissava torvo Salazar. «Andiamocene via! Non abbiamo nulla da fare qui!»

    Arrivati alla porta, i due si voltarono. «Preferiamo affrontare la pioggia e il freddo lì fuori, piuttosto che rimanere un minuto di più in questa topaia! Fa' attenzione e guardati le spalle, stregone! Non avrai vita facile in paese. Sono in molti a pensarla come noi!» poi uscirono nel buio.

    «Mi dispiace per quello che è successo. Sono sicuro che quei due mascalzoni non dicono il vero!» disse l'oste dopo aver chiuso la porta, rivolgendosi a Salazar.

    Lo stregone non rispose, si rassettò con gesti calmi e chiese un altro piatto di stufato all’oste, che infilò la porta della cucina, dicendo che avrebbe provveduto anche a portare dell'altro vino.

    Salazar si guardava intorno: gli astanti raccoglievano le proprie cose; il becchino, preoccupato, guardava fuori dalla finestra. All'improvviso, dalla cucina uscì una donna massiccia ma dai lineamenti delicati. Andò verso di lui e sorrise.

    «Buonasera signore, sono la moglie dell’oste».

    «Buonasera».

    «Mio marito mi ha raccontato l'accaduto, quei due lestofanti non devono assolutamente preoccuparla. Per quello che può valere, la mia opinione è che molte persone sono felici del vostro arrivo e lo reputano una benedizione. Ciò che sta capitando non è normale e solo un uomo dai poteri straordinari come lei può trovare una soluzione all’enigma. Le anime della gente semplice di questa brughiera sono angosciate e sperano di ritrovare la serenità».

    Salazar fece un largo sorriso. Dolce, come quelli che non ci si aspetta di vedere sul viso di uno stregone.

    «Non deve preoccuparsi per quello che è accaduto. Sono abituato ad attirare l’affetto e la riconoscenza più sinceri, come l’odio e il rancore più profondi. Posso solo dire che quando decido di intraprendere una missione, soprattutto pericolosa e difficile, sono abituato a portarla a termine costi quel che costi. Fino ad ora, nessun caso di mia competenza è rimasto senza soluzione e conto di poter chiudere felicemente anche la mia esperienza a Nuhell».

    La donna lo guardò con ammirazione. «Sono sicura che avrà successo anche questa volta» disse.

    A fine pasto, Salazar bevve un decotto di erbe offerto da Aris. Si sentiva molto stanco, per quel giorno ne aveva avuto abbastanza di temporali, freddo e idioti. Voleva solo andarsene a letto per riordinare i pensieri e concedersi qualche ora di riposo. Si avvicinò all’oste e chiese di essere condotto in camera.

    «Solo un attimo» rispose Aris.

    Si avvicinò al becchino ormai deciso a mettersi in cammino nonostante l’ora tarda e gli sussurrò qualche parola all’orecchio. Quello si rianimò, tutto contento, erompendo in una serie di benedizioni verso l'interlocutore. Aris aveva deciso di prestare al becchino un cavallo per il viaggio fino a Nuhell.

    Uscendo, l’uomo continuò a snocciolare ringraziamenti. L’oste si fece pagare il conto dai mercanti che avevano deciso di dormire nei loro carri, sistemati sul retro della locanda lasciando che finissero le birre prima di andarsene.

    Poi, fece cenno a Salazar di seguirlo al piano superiore. Percorse un lungo corridoio e aprì una porta bassa e robusta: un candelabro a tre braccia, poggiato su uno scrittoio sotto l’unica finestra, illuminava la stanza. Un fuoco vivace nel camino aveva creato un piacevole tepore.

    Salazar augurò la buonanotte ad Aris, annunciando che la mattina dopo si sarebbe alzato molto presto, poi chiuse la porta a chiave. Si avvicinò al bacile e si accorse con piacere che l’acqua era tiepida. Si lavò con gesti meccanici e lenti. Dalle tasche del mantello e dalla borsa tirò fuori una serie di oggetti bizzarri che sistemò con cura sopra il comodino: fiale, anelli, sfere colorate, bacche di ogni tipo, foglie, fiori, pietre dai mille colori, oggetti curiosi e dalle forme improbabili, un piccolo ritratto ovale di una donna giovane e bellissima.

    Il rumore delle fiamme che crepitavano nel caminetto aveva un effetto ipnotico. Non aveva avuto il tempo di rifiatare dopo il caso appena risolto a Olkes, la città del marmo, che aveva abbandonato da poche ore. La morte sospetta di due operai aveva richiesto il suo intervento. Strani simboli esoterici, tracciati col sangue delle vittime sui marmi della cava, facevano pensare a omicidi rituali, legati a inquietanti sette religiose della zona. Non senza difficoltà, era riuscito a scovare i colpevoli e a consegnarli alla Milizia. Non si trattava di assassini ultraterreni o invasati, ma solo dell’assurda gelosia di una donna furba e priva di scrupoli. I segni erano stati fatti dall’assassino per sviare le indagini. Si era sorpreso a provare quasi pena per la miseria nella quale potevano sprofondare gli esseri umani, quando sono dominati da passioni perverse e brutali.

    La lettera del borgomastro di Nuhell era arrivata proprio mentre Salazar si preparava a tornare verso nord a sbrigare affari lasciati in sospeso. La missiva era breve ma chiara, e usava toni talmente concitati da convincerlo a partire subito per il piccolo paese costiero. Parlava della misteriosa scomparsa di due bambine e descriveva le disperate ricerche che avevano condotto a un nulla di fatto. E infine svelava la scoperta sconcertante che aveva convinto il borgomastro a chiedere l’aiuto dello stregone. Così era partito la mattina stessa, convinto di arrivare prima di sera a destinazione. Ma l’improvviso temporale aveva sparigliato le carte, facendolo arrivare alla locanda a notte fonda.

    Si accostò alla finestra e guardò fuori, nella notte. Il cielo era ancora coperto di nubi e davanti a lui si estendeva la vastità del mare agitato. Lontano, i lampi aprivano l’orizzonte. La pioggia e il vento erano quasi cessati, il temporale si spostava al largo, in mare aperto. Solo la piccola lanterna della locanda riusciva a vincere le tenebre, protetta dal tetto di legno. Creava un debole arco di luce davanti all’uscio e dondolava debolmente.

    Salazar udì il rumore del portone e voci di uomini che uscivano all’aperto. I mercanti che andavano a dormire nei rispettivi carri. Poco dopo sentì il tonfo sordo della porta che veniva richiusa e sprangata dall’oste. Si chiese se fosse l’unico ospite della locanda quella notte. Probabilmente sì, non aveva visto altri ospiti in sala.

    Stava per mettersi a letto quando il suo sangue raggelò. Gli parve di distinguere una figura in piedi davanti al portico, un’ombra indistinta, oscurità dentro l’oscurità, appena oltre l’arco di luce prodotto dalla lanterna. Avvicinò il viso al vetro fino a sfiorarlo, sentendone il

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