Orso
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In questa storia si parla di molte cose: solitudine e felicità, di malattia, dolore e morte, di sessualità e desideri, in fondo di voglia di vivere. Persone anziane quasi giunte al capolinea, persone giovani che sperperano il loro tempo e le loro energie cercando di raggiungere obiettivi che non sanno, loro stessi, definire.
Ed infine Orso.
Una sorta di sparti acque tra la moderna società, indaffarata ed impegnata a correre sempre più veloce schiava di mode e consuetudini che non comprende ma subisce, e chi ha deciso di cercare i confini che delimitino la strada da seguire: quella dell’onestà, della sensibilità, di verità e bellezza.
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Anteprima del libro
Orso - Paolo Lanzillotto
Orso
Paolo Lanzillotto
Copyright paolo lanzillotto - MMX
Prefazione
Sono sempre stato attratto da ciò che va nella direzione opposta a quella della massa.
Per questo motivo è stato inevitabile incontrare Orso.
Orso e' la sintesi di alcune persone reali, è curioso, tridimensionale, contemporaneo. L’esempio di umanità in cui credo. Quella che con la semplicità dei propri pensieri e delle proprie movenze ha la possibilità di differenziarsi dal resto. Una persona vera che tutti vorremmo incontrare, dalla quale trarre spunto, un concreto esempio di ciò che la società odierna combatte emarginando, la semplicità disarmante che impone una diversa considerazione della verità delle cose.
La sua peculiare caratteristica è il ritmo, pacato e riflessivo, serio ma pure molto divertente, spiazzante perché reale. Riassume in se una delle paure ancestrali più destabilizzanti dell’uomo: quella della solitudine.
Tutti siamo portati a percepirla come una condizione di sofferenza. Un momento, uno spazio, un luogo fisico o mentale dove il tempo passi lentamente e le incertezze, le paure, le difficoltà, prendano il sopravvento. Forse perché evoca la morte, il terrore dell'ignoto, il non sapere che cosa ci sarà dopo. Dimenticandoci invece che potrebbe trattarsi di un’occasione di riflessione, finalmente soli con se stessi indisturbati dal resto, da un mondo che ci prosciuga con ritmi e movenze che per lo più siamo obbligati a seguire e mai ad imporre, con la paura di trovarci in fondo al gruppo. Perenni inseguitori di qualcosa che poi in realtà pochi sanno bene identificare, che molti nemmeno sanno immaginare, intimamente convinti che seguire la direzione presa dalla massa sia giusta solo per il fatto che, se il gregge va da una parte, è utile seguirlo. Tanto per non rischiare di trovarsi soli in disparte.
Orso è un uomo di quasi quarant’anni che vive la sua condizione di solitudine con un atteggiamento diverso. E’ sereno nonostante tutto, alle spalle una vita che gli ha dato tanto ma che ha pure preteso un alto prezzo in cambio. Nell’intimo si considera un privilegiato perché può restarsene in disparte ad osservare, ha la possibilità di scegliere perché ha capito l’importanza degli altri, d’imparare e comprendere, del far propri gli insegnamenti che le altrui vite danno.
Me lo immagino così, una persona segnata dalle esperienze, ma serena. Se me lo trovassi di fronte la prima domanda che farei riguarderebbe proprio l’aspetto che voglio raccontare, ovvero: cosa significa per te la solitudine?
"Non ho paura della solitudine. Io, solo con me stesso, sto bene. Mi basto, almeno non soffro la compagnia di qualcuno indesiderato, so quando tacere i miei pensieri rispettando la necessità di silenzio. E’ così sottovalutata la possibilità che si ha di starsene zitti, anche con se stessi, nell’intimità della propria mente.
Soli son quelli che si spaventano a rapportarsi con se stessi.
Corrono inquieti ricercando una presenza fisica a cui proporsi in discorsi auto referenzianti che riguardano solo una cosa: la paura d’affrontarsi. E nemmeno l’idea che la solitudine possa evocare il silenzio ultimo della morte può spaventarmi: penso a chi non c’è più grazie al suo ricordo, in fondo nessuno è mai ritornato alla vita tanto da poterci fare un chiacchierata per comprendere momenti e situazioni ai viventi sconosciute. E perciò dovrei spaventarmi? Per qualcosa di ignoto, per la paura del distacco, o forse più banalmente per il timore di soffrire anche fisicamente nel trapasso dal terreno a ciò che esiste dopo?
Solo, per me, significa pieno.
Di me stesso, dei miei pensieri, espressi senza filtro o censura.
Momento che vale per quello che è, l’occasione migliore per comprendere i propri desideri senza dover usare mille parole che non riuscirebbero nemmeno a delinearne il contorno".
P.L.
1
Buio.
Nella camera da letto si sentiva solo l’ansimare di una persona ancora immersa nei sogni, un rantolo ritmato, all’impressione sereno.
All’improvviso la sveglia ruppe l’equilibrio. Si accese una luce sul comodino: un uomo con gli occhi chiusi ed impastati dal sonno tentò con la mano di trovare il pulsante che interrompesse quel fastidioso lamento elettrico; alla fine lo trovò e la camera ripiombò nel silenzio. Uno sbadiglio. Si stirò le braccia ad occhi sempre chiusi.
Dopo qualche minuto passato nell’indecisione si arrese, ruotò verso destra e si sedette sul bordo del letto. Si stropicciò gli occhi e finalmente si decise ad aprirli. Sul suo viso un’espressione rassegnata ma subito dopo un sorriso. Fece un bel respiro, si alzò, si diresse verso la finestra, alzò la tapparella elettrica. Quel rumore d’ingranaggio si mischiò ai raggi del sole sempre più invadenti. Chiuse nuovamente gli occhi. Appena la stanza fu invasa dalla luce, dirigendosi come un cieco verso il comodino con le mani in avanti come a difendersi da un eventuale ostacolo, si piegò a memoria ed a tastoni cercò qualcosa. Trovò quello che cercava, i suoi Ray-ban. Li indossò. Un attimo di sollievo, si stirò definitivamente emettendo una sorta di ruggito felino, si tirò su i boxer. Si diede una grattata e controllata alla zona uro-genitale, rapida, ma necessaria.
Si mosse.
Prima meta il bagno: il wc con la tavoletta rigorosamente alzata.
Operò ad occhi chiusi appoggiandosi con una mano al muro.
Poi verso la cucina. L’appartamento era grande ma occupato da tante cose. Soprattutto inutili ed ingombranti. Accese il gas con un fiammifero dopo aver caricato la moca del caffè. Con lo stesso diede vita alla prima sigaretta della giornata.
Fa abbastanza schifo fumare appena svegli, la bocca impastata dal sonno si mischia al fumo in una miscela odorosa inquietante, ma chi è veramente fumatore prova in quell’operazione quotidiana un piacere diverso da tutte le altra decine di volte che la ripete successivamente.
La moca borbottò, cucchiaino di zucchero, lenta rotazione e primo sorso bloccato dalla temperatura rovente del liquido. Ultima boccata della sigaretta, un soffio dal tentativo refrigerante e nuovo sorso.
Ripose la tazzina nel lavello, si girò verso il frigorifero, prese il cartone del latte, annusò dalla fessura tagliata l’odore, un’espressione dubbiosa ma non totalmente convinta del fatto che potesse essere andato a male, un sorso deciso. Sul viso un’espressione corroborata, poi d’improvviso, l’occhio sotto il Ray-ban si spalancò. Una veloce corsa verso il bagno, giù la tavoletta, giù i boxer senza troppo badare allo