Borderline
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Tempo, troppo spesso immediato e spesso implacabile, così avaro da concedere raramente adeguate pause di riflessione.
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Anteprima del libro
Borderline - Paolo Lanzillotto
Borderline
Short stories
Paolo Lanzillotto
Copyright paolo lanzillotto - MMXII
Prefazione
Personalmente trovo influenti nell’esito di una lettura alcune circostanze esterne
ad essa, ovvero, il luogo dove avviene, l’orario, i suoni o i rumori del luogo e ora della lettura. Mi spiego meglio: se sono disteso all’ombra d’una palma tropicale con vista oceanica, senza anima viva attorno, ho un tipo di condizionamento alla lettura diverso da quello che potrei avere in metropolitana, all’ora di punta e forse, nemmeno seduto ma compresso tra i viaggiatori. Oppure, estremizzando, chiuso nel bagno, seduto sulla tazza operando necessità corporali, con al di fuori qualcuno che bussa insistentemente perché vuol farsi la doccia…
Detto ciò, mi rendo conto che uno legge quando e dove può, non posso certo essere io ad imporre le condizioni. Mi permetto di suggerire dei luoghi ottimali che nel corso della mia vita mi hanno ispirato la scrittura e quindi, scusandomi per la presunzione, forse possono essere validi nella lettura.
Nell’ordine: isola greca (tipo Santorini con scogliera strapiombante con vista vulcano), treno stracolmo di pendolari (per esempio quello delle 7,05 Brescia-Milano), volo Roma-N.Y. first class (non la business, ma quella con le poltrone enormi in finta-pelle aperta al massimo, tipo letto), veranda di casa mia (luogo dove normalmente lavoro).
Mi permetto, prima di chiudere, di consigliare alcuni sottofondi sonori che trovo idonei: l’album Grace di Jeff Buckley (so che è una scelta quasi banale), oppure, Ok Computer dei RadioHead, o una qualsiasi lista di pezzi di Umberto Giardini (l’artista un tempo conosciuto come Moltheni).
Per quanto concerne l’ora la migliore è sicuramente quella decisa da ognuno.
Grazie
Ad un passo dall’inferno
1
Ho vissuto a lungo casualmente, dove spesso tutto non ha senso, senza domandarmi il perché delle cose, lontano da ciò che può rivelare una verità.
Intere giornate dominate da confusioni stupefacenti.
Poi, all’improvviso, una visione squarciò il piattume della mente. L’orologio appeso alla parete segnava le quattordici e cinquantasette dell’undici maggio. Dopo tre minuti sarebbe iniziato il mio trentacinquesimo anno di vita. Ed io che avevo sempre pensato, non so bene per quale motivo, che la mia esistenza sarebbe durata non più di ventisette anni e, se avessi passato quel traguardo, inesorabilmente a trentatré avrei chiuso, sicuro, convinto, rassegnato. E invece no. Niente di fatto. Ero ancora lì. Vivo, anzi, sopravvissuto a quello che credevo fosse il mio destino.
La lancetta dei secondi concluse l’ultimo giro e il quadrante segnò le quindici in punto.
Inevitabilmente il trentacinquesimo anno iniziò.
Quanti numeri, caos algebrico, isteria matematica.
Ero accecato da cifre apparentemente qualsiasi ed invece così importanti da farmi vivere tutto ciò che sarebbe accaduto come una specie di rincorsa verso la meta che mi avrebbe permesso di lasciare un segno della mia esistenza.
Quel numero, inaspettatamente, illuminò tutto.
Fu come raggiungere la boa di metà regata. Ero faticosamente risalito bolinando verso quella svolta per poi approfittare del vento che avrebbe gonfiato la mia vela spingendo la prua verso il traguardo. Al risultato tanto ambito e agognato.
Afferrai una bottiglia d’acqua e tirai un lungo sorso.
Mi sentivo meglio. Pronto a partire, per non so dove, ma pronto.
Non sapevo che fare: uscii però da quel turbine mentale con la consapevolezza che da quel momento sarei dovuto andare alla ricerca di risposte. Ma quali risposte se non conoscevo nemmeno le domande? Non importava, dovevo partire proprio in quell’istante, dopo anni di inutili giravolte nel mio indolente fango interiore, con decisa e ristabilizzante convinzione. Dovevo trovare la porta che mi poteva permettere di accedere al vero mondo. Forse una porta virtuale o forse reale, di un bel legno stagionato o solo un varco buio della mente. Un passaggio necessario per superare ciò che mi opprimeva l’esistenza, quell’inconscia ricerca della giusta via da percorrere, il travagliato rapporto con ciò che di orribile posso anche essere. Senza più sensi di colpa originali o indotti, assurde proiezioni mentali da inseguire, contorte elaborazioni di un’immagine da voler dare.
Cercavo solamente un mondo dove avrei provato finalmente il piacere di farne parte.
Insomma, il mio mondo.
Bastò questa riflessione a proiettarmi oltre.
2
Aprii gli occhi. Una figura di donna ferma dinanzi a me. Chiusi d’istinto, poi riaprii.
Stava sempre là: un brivido mi percorse la schiena visto che stavo solo in casa, seduto sul divano in soggiorno.
Un’allucinazione?
Quella figura allungò una mano verso di me invitandomi a seguirla.
Riuscii solo a passarmi le mani sugli occhi. Era davanti a me, non riuscivo a distinguere il suo viso, sembrava una figura proiettata senza tridimensionalità, senza segni o dettagli conosciuti, qualcosa che permettesse di razionalizzare quell’esperienza. Non saprei descriverla, qual era la sua forma, i suoi movimenti, quale fosse il suo profumo. Emanava solo una luce brillante che m’incuriosiva. Forse tutto era dovuto a ciò che avevo bevuto, fumato e poi ingerito. Stavano forse facendo effetto e la logica deformata prendeva piede in me. In fondo quello stato lo conoscevo bene. Ma quella volta fu diverso.
Non sentivo il solito peso opprimente ma, uno stato di generale benessere accompagnato da un’irrefrenabile voglia di muoversi, una condizione fisica che mi catapultò con la memoria ai vent’anni dove ogni salita non era mai troppo difficile da superare.
…ti stavo aspettando…vieni con me…
L’immagine parlò.
Una voce soave che fu talmente convincente da farmi accettare senza esitazione quell’invito. Mi alzai convinto pur non capendone il motivo.
Il mio corpo si mosse nella sua direzione ed anche la mente con tutto il suo carico di dubbi e perplessità si mosse in quel verso.
Aprii la porta di casa, ci trovammo nel pianerottolo.
Iniziammo a scendere le scale fino a giungere al piano terra.
La seguivo a qualche gradino di distanza e più scendevo più mi sentivo tranquillo. Tutto sembrava muoversi ad un ritmo perfetto.
La cosa mi dava benessere.
Tre rampe e fummo a terra.
Fuori dalla vetrata d’ingresso si scorgeva il giardino condominiale illuminato dal sole ma stranamente colorato di rosso.
…hanno tinto l’erba…
dissi sorpreso.
La figura di donna proseguì a scendere verso l’interrato senza darmi retta.
…dove andiamo?…l’uscita è qui…da quella parte si va nelle cantine…
Proseguì ancora ignorando la mia considerazione.
Sentivo che mi osservava pur senza guardarmi.
Una strana sensazione che però mi faceva stare tranquillo anche se normalmente avrei avuto dei sospetti.
Continuavo a seguirla.
Arrivammo davanti all’ultima cantina del corridoio.
Aprì la porta che non era chiusa a chiave e s’infilò. Io dietro. Pensai ai ripetuti furti che si erano verificati nell’ultimo periodo e quella porta aperta. Ma in un attimo fui sul fondo di quel locale buio e quella riflessione si bloccò. La figura di donna si girò verso di me, per la prima volta, indicò una porta che stava sulla parete di fondo. Una passaggio alto non più di un metro e mezzo che magicamente s’aprì appena lei lo indicò.
…un momento…dove vuoi andare…io non so chi sei…non ti posso seguire dentro a quel cunicolo…
E di cunicolo proprio si trattava.
Cercai di sbirciare dentro ma era buio. Lei entrò ed all’improvviso il buio fu squarciato da un bagliore violentissimo. Istintivamente feci alcuni passi indietro e la figura di donna si fermò. Poi lentamente si voltò verso di me.
…non avere paura…vieni con me…
Rimasi interdetto. Non so bene quanto tempo passò, mi sembrò infinito, poi d’istinto mi girai verso l’uscita e corsi fuori.
Non so cosa mi prese ma sentii che in quel buco non dovevo entrare. Salii di corsa la scala con il cuore che mi batteva forte e lo sentivo pulsare nelle tempie. Arrivai in pochi secondi, affaticato e spaventato, al piano terra. Mi fermai di colpo, oltre la vetrata poco prima illuminata dal sole, solo un buio pesto. Nemmeno l’erba rossa si vedeva più.
…ma sono le tre del pomeriggio…
pensai guardando fuori.
La figura di donna apparve riflessa nel vetro. Ero senza parole e senza fiato. Mi girai allucinato.
…vieni…non temere…dobbiamo andare…ci stanno aspettando…
Il mio corpo fece per seguirla ma la mente urlava di non farlo. Giunse a pochi centimetri e sussurrando m’ordinò di seguirla. Ero paralizzato, il corpo voleva tornare nella cantina, la mia mente, no.
Gridai terrorizzato ed all’improvviso quella figura si trasformò in un inquietante spettro nero circondato dalle fiamme. Urlava con tono gutturale il suo ordine: non riuscivo a resistergli. Caddi in ginocchio. Quella figura soave era improvvisamente sparita e nonostante quel fiammeggiare iniziai a sentir freddo. Il buio intorno sembrava volermi inghiottire, le forze mi stavano abbandonando rendendomi incapace a reagire, lo spettro rideva maligno, ed io riuscii solo a chiudere gli occhi.
Ricordo solo la lacrima che mi rigò il volto prima che tutto finisse.
3
E’ passato un anno da quel giorno.
Stamattina sono sceso in cantina per la prima volta ed ho fissato a lungo il cunicolo sul fondo. Non avevo paura, ma rispetto, quasi fosse quella la famosa porta che cercavo e che per poco non ho oltrepassato.
Ho smesso con l’eroina e tutte quelle sostanze che mi stavano portando oltre il limite.
Ora sono pulito.
A mente fredda dico che c’è mancato poco, che sono un miracolato, che non lo farò più perché è stupido buttarsi via senza combattere.
E’ facile dirlo, non tanto farlo.
Oggi è un compleanno diverso, una bella torta e tanti amici sorridenti, ci sarà un festa e forse balleremo. E’ questo il vero mondo che stavo disperatamente cercando?
Non lo so, forse lo è.
Di una cosa sono certo: conosco l’immagine di ciò che non voglio più essere. Un inerme ostaggio controllato da spettri terrificanti.
Qui finisce un’esperienza che mai vorrò ripetere.
Forse è per questo che domani firmerò dal notaio l’atto di vendita della cantina.
Moderni gladiatori
1
Daniele guidava la sua nuova Mini mentre l’occhio di Valentina era attento a scovare un parcheggio libero.
Roma è una splendida città ma non certo per parcheggiare.
All’improvviso ne avvistò uno.
Fecero inversione ed accostarono alla fila d’auto ferme, la freccia messa come ad indicare la proprietà di quel posto. Ce l’avevano fatta, un vero colpo di fortuna.
Attesero che l’auto parcheggiata se ne andasse.
A bordo una famiglia pakistana attendeva il capofamiglia.
Daniele e Valentina attesero cantando a squarciagola Di sole e d’azzurro
di Giorgia che suonava nello stereo. Dopo alcuni minuti finalmente il pakistano arrivò. Fecero un sorriso all’asiatico che istintivamente mostrò un pacchetto di sigarette come a scusarsi del ritardo. I due cantavano rilassati mentre quello saliva, poi accese e mise la retro. Proprio in quell’istante, dall’altra direzione della strada, arrivò una vecchia Ascona color amaranto che tentò di prendersi il posto. Il pakistano retrocedendo fu bloccato visto che quella stava proprio in mezzo. Daniele, sicuro del suo diritto, appena ebbe spazio s’infilò.
Spartaco, il conducente dell’Ascona vedendosi scippato il posto, abbassò nervosamente il finestrino ed iniziò ad inveire. Daniele e Valentina, oramai scesi, lo ignorarono. Ma Spartaco continuava ed una parola di troppo gli sfuggì.
A chi hai detto stronzo?
replicò Daniele.
In pochi secondi i due si trovarono faccia a faccia.
Spartaco era un uomo sui cinquanta soprappeso con vistosi bracciali e catene d’oro, aria da grossista di carni. Daniele, più esile, lo scrutò ma non arretrò.
Le auto in fila, bloccate dell’Ascona amaranto, suonavano i clacson e qualcuno si era sporto per urlare il proprio disappunto.
Intanto Ines, la moglie di Spartaco, scese per dar manforte al marito. Aveva l’aria di una donna spiccia e fin da subito si dimostrò aggressiva come una tigre. Prese ad insultare Valentina che rispose da par suo.
Di fronte, al Bar Da Alfio
, un gruppo di clienti era uscito in strada richiamato dalle urla. Fra loro Orlando che, stando seduto ad un tavolino sul marciapiede, fu chiamato in causa come testimone. Ma Spartaco senza attendere l’aggredì a malaparole. Il testimone partì deciso verso l’uomo che però lo colpì con un pugno in pieno viso facendolo cadere a terra.
Fu quella la scintilla che scatenò l’incendio.
2
In un attimo la situazione precipitò.
Daniele colpì con un calcio al basso ventre Spartaco che si piegò inginocchiandosi mentre Orlando rialzandosi col naso sanguinante tirò fuori di tasca un coltello a serramanico. Daniele tentò di fermarlo ma fu ferito di striscio ad un braccio. Il sangue zampillò. Spartaco tentò di replicare ma venne fermato da altri tre usciti dal bar.
Intanto gli automobilisti commentavano la rissa da stadio quasi facendo il tifo per uno o l’altro. Due di loro, i fratelli Sisto e Giordano Frontoni, iniziano a discutere su chi avesse ragione.
Ines intanto spinse Valentina contro la Mini nuova del fidanzato: immediata la replica con un low kick che fece volare la donna urlante a terra. Le aveva spezzato la caviglia destra. Del resto Valentina era un’istruttrice di Savate. Ma Ines, dopo un attimo, prese dalla borsetta la sua calibro 38 e sparò verso Valentina che però fu scostata dall’eroico tuffo di Sisto Frontoni che però venne colpito mortalmente al fegato.
Ines fu finita da Giordano Frontoni con un calcio in pieno volto che poi, con occhi da invasato, raccolse la pistola ed iniziò a sparare a caso.
Spartaco stava soccombendo sotto i colpi dei tre del bar, Daniele sanguinante al braccio a terra, Osvaldo raccolse da dietro un cassonetto una sbarra di ferro ed iniziò a brandire colpi mentre il barista Alfio guardava dalla vetrina del suo negozio con aria interessata.
Valentina venne colpita ad una gamba dall’improvvisato pistolero: due mani afferrarono al collo il Frontoni sopravvissuto. Era Daniele che, pur grondando sangue dalla ferita, strinse fino a soffocare l’uomo che infine mollò l’arma.
Intanto, uno degli automobilisti bloccati che dalla rissa, pensò che forse poteva ritagliarsi uno spazio in quella vicenda. Decise d’avventarsi contro il pakistano che stava rintanato con la sua famiglia nell’auto.
L’uomo, un gigante di muscoli in canotta e senza capelli sfondò il finestrino con un pugno tirando fuori il pakistano.
Lo colpiva in volto urlando slogan razzistici.
Osvaldo continuava a mollar sprangate a Spartaco ormai esanime al suolo mentre i tre suoi compari lo sbeffeggiavano a turno.
Il barista Alfio intanto si diresse veloce nel retro bottega.
All’improvviso Venanzio, un anziano fermo nella sua macchina da quando era scoppiata la rissa, si stufò d’aspettare. Scese, aprì il portellone posteriore e prese una mitragliatore MP40 che puntò verso quelli che si stavano pestando. Aprì il fuoco urlando isterico. Due raffiche ruotando di 180°. Fece una strage.
Quando finì solo carne sanguinante sull’asfalto dentro ad un silenzio assoluto.
Una pantera dei Carabinieri piombò a sirene spiegate.
Il brigadiere Caputo uscì con la Beretta in pugno intimando a Venanzio di lasciare il mitra ma questi lo falciò senza esitare. L’appuntato Isacchi tentò d’estrarre la sua pistola d’ordinanza ma fece la stessa fine. In realtà non fu Venanzio a freddarlo ma un colpo di fucile a pompa sparato da Alfio che irruppe in strada in perfetta divisa da Navy seals, anfibi ed elmetto, pistola, bombe a mano e viso dipinto con strisce nere mimetiche.
Ora vi scateno una guerra che non potete nemmeno immaginare…
Furono le uniche parole che disse prima d’aprire il fuoco contro qualunque