La voce sottile
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Anteprima del libro
La voce sottile - Antonella Perconte Licatese
Barbarén
PREFAZIONE DELL’AUTRICE
A chi si accosta alla lettura di questo mio romanzo per prima cosa vorrei dire grazie. Il solo fatto che questo libro sia fra le tue mani e che tu abbia deciso di dedicare del tempo a La voce sottile mi riempie di gioia.
In secondo luogo vorrei fare un’importante precisazione: la storia di Anna non è autobiografica, né la protagonista in qualche modo mi assomiglia.
Fatte queste brevi premesse, cercherò di introdurti, nel modo più semplice ed essenziale possibile, al cuore della questione e cioè a quelle che considero le profonde convinzioni che mi hanno sostenuta nel dare vita a quest’opera.
Sarebbe lungo e complicato descriverti il lungo processo di maturazione che mi ha portata a scrivere un romanzo su di un tema come quello dell’aborto, e sulle sue importanti ripercussioni nel delicato equilibrio psico-fisico della donna. Non mi dilungherò nemmeno sulle varie versioni che questo mio lavoro ha conosciuto, né su come, in maniera del tutto inaspettata, io sia venuta a conoscenza dei lavori scientifici pubblicati ormai da molti anni da insigni psichiatri su di una problematica così delicata e complessa.
Mi preme però sottolineare come la storia di Anna, pur essendo una vicenda frutto di immaginazione creativa, sia basata sulla realtà di fatto di innumerevoli testimonianze di donne che hanno coraggiosamente messo a nudo la loro anima e la loro esperienza traumatica.
È irragionevole pensare che un evento così coinvolgente sul piano emotivo-mentale come l’aborto possa consumarsi senza lasciare l’ombra del suo passaggio sullo stato psichico di una donna.
Eppure questo è ciò che tanta cultura della morte
propugna ogni giorno con la complicità dei media, approfittando anche della generale disinformazione su temi che vengono considerati come dei veri e propri argomenti tabù. Il dibattito sull’aborto (al quale solo recentemente si è aggiunto quello sulle sue conseguenze psico-fisiche) è un dibattito serio, che ha diviso da sempre l’opinione pubblica e che sempre la dividerà.
Ma ciò non toglie che, in un paese democratico come il nostro, ognuno scelga liberamente da che parte stare, e che, con i mezzi che ritiene necessari e che si addicono maggiormente alla sua natura, tenti di dare un suo contributo.
Questo libro, in un modo che sarà chiaro solo a lettura ultimata, è anche un atto di denuncia. Non faccio parte di coloro che hanno metabolizzato e digerito le ingiustizie, ma di coloro che vogliono tentare di combatterle.
A te lettore quindi dico: se sei dalla mia parte ti prego di far conoscere il più possibile La voce sottile, per le ragioni che ti ho spiegato.
Se sei dalla parte opposta invece sappi che non ho nessuna intenzione di convincerti. Se poi, mio lettore, sei tra color che son sospesi
, mi auguro che il mio libro possa indurti a riflettere e a prendere posizione.
-1-
Figlio mio l’altra notte ti ho sognato. Ero sulla spiaggia e tu uscivi dall’acqua. Non eri di carne, ma come fatto di alito e non durava a lungo la tua presenza: dopo poco sparivi.
Ti cercavo, certa che ti fossi nascosto da qualche parte, ma non ti trovavo. Allora prendevo a girare su me stessa, in vortice pazzo, cercando di afferrare quello che di te avevi lasciato nell’aria. Mi scoprivo gelosa di lei. Forse, chissà, ti aveva avuto più di me.
Io ti ho portato in grembo per quasi undici settimane. Settantasette giorni per l’esattezza. Li ho contati e ricontati all’infinito in questi tredici anni.
Quando mi sono svegliata per qualche minuto ho tentato di afferrare le poche immagini di te sconnesse, eteree, corrotte già da una memoria refrattaria, poi ho smesso e ho scrutato l’ora. Erano solo le tre, ero sveglia e sapevo che ci sarei rimasta ancora a lungo a fissare l’orologio luminoso, i minuti scivolare sotto il mio sguardo desolato e io a provare tutte le possibili combinazioni fra braccia-gambe-cuscino-materasso, e così mi sono alzata. Ho provato a fare piano, per non svegliare nessuno, ma il parquet ha scricchiolato. C’è poco da fare questo parquet scricchiola, soprattutto in alcuni punti. L’ho fatto notare anche a tuo padre, ma lui ha sdrammatizzato dicendo che è normale, è fatto di legno e il legno fa quel rumore.
Con lui su certe cose è meglio soprassedere: l’ha voluto a tutti i costi il parquet e non può ammettere di essersi sbagliato e di averci speso pure un sacco di soldi.
Solo che a me quel cigolio dà un fastidio tremendo, e non solo di notte, quando potrei per di più svegliare qualcuno, ma anche di giorno. Ci finisco io su quei punti critici, ci finiscono i tuoi fratelli, e ci finisce pure tuo padre, anche se fa finta di niente. Ho acceso la luce in cucina e sono rimasta per qualche istante ritta, immobile, sulla soglia della porta, senza avere il coraggio di oltrepassarla. Quando prenderò l’abitudine di riordinare la sera? Un ammasso di piatti, pentole, forchette, coltelli giaceva sul fondo melmoso e maleodorante del lavandino e tutt’intorno campeggiava l’accozzaglia irriverente di tutto lo sporcabile, imbrattabile armamentario di attrezzi gastronomici.
C’era anche lui, il plumcake, ancora intatto nello stampo in alluminio. L’avevo visto fare in tv dalla tipa che cucina con i tacchi alti e la piega dei capelli sempre in ordine e ci ho voluto provare anch’io. Ma è rimasto basso, piallato come se l’avessi pressato in una delle buste salvaspazio che fanno tanto comodo alle brave massaie.
Con un gesto di stizza l’ho buttato nel secchio della spazzatura. Cucinare non mi viene naturale, niente patemi d’animo né strepiti, dovrei arrendermi all’evidenza, anziché insistere.
E che ci fa il pacco dei temi della 3B tra il lavello e le padelle? Ma vedi un po’… il compito di Nicoletti si è pure macchiato di olio … una lordura infinita. Devo averlo spostato dalla scrivania in un riflesso condizionato, poi però nella girandola della farina, delle uova dello zucchero dello yogurt - che spreco inutile di roba, accidenti - mi devo essere scordata di rimetterlo al suo posto.
E ora come faccio? Bene, mi sono andata a cacciare proprio in un bel pasticcio.
Ho versato una dose abbondante di borotalco sulla macchia e ho aggiunto due strati di carta da cucina sotto e sopra al foglio, poi ho messo a riposare il tutto sotto una pila di libri, sulla scrivania.
È la prima volta che ti sogno figlio mio. Probabilmente sto infrangendo qualche barriera tra di noi, forse, come direbbe la dottoressa, ti sto permettendo un qualche tipo di timido approccio con me. Qualcosa bolle in pentola, e da quando ho acceso il fuoco e iniziato a rimestare nel calderone che ci riguarda, questo è il primo segnale da parte tua. Dovrei essere, se non eccitata, perlomeno contenta. Invece non riesco a provare nulla, se non un’angoscia che affiora a tratti e poi ruzzola giù, insieme al mio respiro.
Questo mio colloquio segreto con te poi è capitato all’improvviso. Una prima frase buttata giù, a voce bassa, forse in bagno o in macchina, e poi di seguito tutte le altre; espressioni incerte, fluttuanti, lampi di luci che