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La casetta, il maratoneta e la pax podistica
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La casetta, il maratoneta e la pax podistica
E-book216 pagine2 ore

La casetta, il maratoneta e la pax podistica

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Info su questo ebook

Il libro, scritto da un podista, narra episodi di vita quotidiana vissuti da altri podisti, durante gli allenamenti a Villa Pamphili (un parco nella parte nord\ovest di Roma, dove, come in qualsiasi altro luogo aperto al pubblico, urge la vita) e le gare in giro per il mondo; della corsa c’è quel poco che serve ad offrire un contesto alle vicende in esso trattate.
Non può quindi definirsi un libro sulla corsa, quanto piuttosto un libro sui corollari della corsa: le convinzioni, le manie, Ie debolezze di chi la pratica e tutto ciò che trasforma un buon padre di famiglia, in qualcosa che non ha nulla da spartire con una persona normale, un maratoneta, per l’appunto.
I fatti narrati sono, per la maggior parte, realmente accaduti.
Il libro non contiene, riferimenti tecnici, tabelle di allenamento, diete, consigli sulla scelta dei materiali e nulla che possa servire, in modo specifico e scientifico, alla pratica della corsa, se non un diretto rinvio alla maratona, insito nella struttura stessa del libro, suddiviso, non per caso, in quarantadue paragrafi di mille parole ciascuno; parola più, parola meno.
Questo perché, nemmeno nella più seria delle maratone, i singoli chilometri misurano tutti, esattamente mille metri.

Antonio Giuffrida è nato a Roma il 25 maggio 1962.
Vive con la propria famiglia a Roma dove svolge la professione di Avvocato civilista e corre per la S.S. LAZIO Atletica Leggera.
Autore di diverse pubblicazioni in materia giuridica, questo è il suo primo scritto che non tratta questioni di diritto.
Contatta Antonio Giuffrida su FB o su giuff_a@libero.it

E' intenzione dell'Autore devolvere il ricavato della vendita del libro (detratte le commissioni per l’editore, le spese di pubblicazione e stampa) in beneficenza.
LinguaItaliano
Data di uscita27 gen 2014
ISBN9788868856601
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    Anteprima del libro

    La casetta, il maratoneta e la pax podistica - Antonio Giuffrida

    lei.

    AVVERTENZA

    Il libro che segue è stato scritto da un podista, narra episodi di vita quotidiana vissuti da altri podisti durante gli allenamenti a Villa Pamphili (un parco nella parte nord\ovest di Roma, dove, come in qualsiasi altro luogo aperto al pubblico, urge la vita) e le gare in giro per il mondo; della corsa c’è quel poco che serve ad offrire un contesto alle vicende in esso trattate.

    Non posso quindi definirlo un libro sulla corsa, non più di quanto lo definirei un libro sul gioco degli scacchi se io vi raccontassi gli stessi avvenimenti da giocatore di scacchi.

    Più propriamente, è un libro sui corollari della corsa: le convinzioni, le manie, Ie debolezze di chi la pratica e tutto ciò che trasforma un buon padre di famiglia, in qualcosa che non ha nulla da spartire con una persona normale, un maratoneta, per l’appunto.

    I fatti narrati sono, per la maggior parte, realmente accaduti; ad alcuni di questi sono stati aggiunti contributi non proprio fantastici, bensì rappresentanti l’epilogo che per tali fatti ho immaginato nel momento esatto in cui li ho vissuti, le parole che, seppure adatte al singolo caso, non ho pronunciato per ragioni di opportunità, convenienza o semplice mancanza di tempo e che, nell’uno e nell’altro modo, hanno reso quegli stessi avvenimenti - nel mio modo di percepirli - incompleti.

    Non so se questo libro sarà di stimolo per chi vuole iniziare a correre, per chi vuole continuare a farlo, né posso escludere che indurrà qualcuno a smettere di correre.

    Non troverete nel libro, riferimenti tecnici, tabelle di allenamento, diete, consigli sulla scelta dei materiali e nulla che possa servire, in modo specifico e scientifico, alla pratica della corsa, se non un diretto rinvio alla maratona, insito nella struttura stessa del libro, suddiviso, non per caso, in quarantadue paragrafi di mille parole ciascuno; parola più, parola meno.

    Questo perché, nemmeno nella più seria delle maratone, i singoli chilometri misurano tutti, esattamente mille metri.

    PROEMIO

    "Cantami o Musa di quegli Uomini di multiforme talento che furon da una forza superiore ad essi sconosciuta portati a correre in molti luoghi, in strade, in parchi e negli stadi, che città videro molte, delle genti l’indol conobbero, contro agguerriti avversari ebbero ogni volta a misurarsi ed a patir nel cor soverchi affanni.

    Deh! Parte almen di sì ammirande cose narra anco a noi, di Giove figlia e Diva."*

    (* Liberamente parafrasato dall’Odissea di Omero)

    È la mancanza di fede che rende le persone

    paurose di accettare una sfida,

    ed io ho sempre avuto fede:

    infatti, credo in me.

    (Muhammad Ali)

    Km 1

    Una qualunque giornata d’inverno, a metà mattina.

    Squilla il mio cellulare : ciao Aldo, dimmi.

    Nulla di particolare, volevo essere sicuro che oggi verrai a Villa.

    Sì, alle 13, come al solito.

    Non mancare, mi raccomando, oggi devi farmi da padrino, adesso chiamo anche gli altri.

    Come da padrino, che vuoi dire?

    Non ho tempo per spiegarti …. A dopo, mi raccomando!

    Resto interdetto: perché il padrino? Aldo è già sposato, le sue figlie non sono in età da Prima Comunione o Cresima, in un giorno feriale poi, che tipo di cerimonia ha in mente e per di più in un parco pubblico, a Villa Pamphili, alla fine di febbraio, non è nemmeno una bella giornata, almeno, non per una festa.

    Chiamo gli altri, ne sanno quanto me; anch’essi officiati telefonicamente del ruolo di padrini, taluni addirittura precettati.

    All’una in punto faccio il mio ingresso a Villa, Paolo è già alla Casetta, Aldo è con loro, Isacco è in fondo al viale pedonale, tra pochi istanti ci raggiungerà anche lui.

    Allora? domando Perché ti servono dei padrini?

    Aldo ruota la testa di novanta gradi e senza dire nulla mi indica con un leggero movimento del mento un tizio poco distante da lui, che sembra lo stia proprio aspettando.

    Si tratta di un duello tra me e quello lì.

    Un duello? Spiegaci, Aldo, per favore, cosa hai combinato stavolta?

    In breve, era successo che, durante la mattinata, Aldo aveva avuto un diverbio con il tipo lì vicino per una banale questione di precedenza all’interno di un ufficio postale; il tizio, al culmine della collera ed al massimo della sua tonalità di voce, aveva invitato Aldo ad uscire dall’Ufficio per il più classico dei chiarimenti ed Aldo, per nulla intimorito dalla stazza del rivale, gli aveva risposto di accettare volentieri la sfida ma che, secondo le regole della cavalleria, spettava a lui, sfidato, la scelta delle armi: Scelgo la corsa: vediamoci alle ore 13 alla Casetta di Villa Pamphili. Due giri da 5 chilometri. Se all’arrivo sei ancora vivo, facciamo anche a botte aveva dichiarato Aldo e, non contento, aveva anche aggiunto, rivolgendosi alle persone presenti nell’ufficio postale che avevano assistito all’alterco: Lor Signori, ovviamente, sono tutti invitati ad intervenire sul luogo della sfida, quasi si trattasse di un cocktail.

    Non c’era nessuno di loro nel luogo convenuto, ma c’era il tizio ed era davvero grosso.

    Mi sono incamminato verso di lui tendendogli la mano destra: ciao, sono Ferruccio, sei pronto?

    Sono Valerio rispose sottolineando la V con una stretta micidiale alla mia mano.

    Conosci il giro da 5 chilometri? Si parte dalla Casetta, verso il viale alberato, discesa verso l’ingresso di via Aurelia Antica, campo da polo, giù a sinistra verso la chiesetta, poi a metà della salita di Porta San Pancrazio giro di boa e ritorno alla Casetta. Per due volte.

    Ok, ho capito.

    Aldo e Valerio sono affiancati dietro una linea che Paolo ha tracciato in modo rudimentale sul terreno con la suola della scarpa, non si guardano nemmeno; Aldo apparentemente sereno e sicuro di sé, come al solito - va detto; Valerio un po’ meno: che sia furioso è evidente, come anche traspare una vena di perplessità per la singolarità del duello al quale è stato, suo malgrado, chiamato.

    Pronti? Via!

    Aldo e Valerio iniziano a correre, noi, i padrini, li seguiamo a distanza.

    Non sappiamo nulla di Valerio: sarà forte? domanda Isacco.

    Con quel fisico lì! Risponde Paolo, "forte lo sarà di certo, guarda che pettorali, direi una quarta abbondante, ha i deltoidi così sviluppati che non riesce a tenere le braccia aderenti al busto; e le cosce? Ed i polpacci?

    Pensate che in caso di vittoria, dopo aver picchiato Aldo, le suonerà anche noi?"

    "Sperem de no! Speriamo che non sia anche veloce."

    In effetti la struttura fisica di Valerio, l’abbigliamento, le scarpe, l’andatura molleggiata ed i piedi a papera lasciavano pensare ad un tipo da palestra piuttosto che ad un podista; uno che, al massimo ha corso per quindici minuti attorno al palazzo o sul tappeto ruotante. Era più giovane di Aldo, questo sì, ed il dettaglio non era sfuggito a nessuno di noi ormai prossimi ai cinquant’anni.

    Alla fine del primo giro Aldo aveva un lievissimo vantaggio su Valerio: una decina di metri scarsa, ma Valerio non mollava, sul suo viso paonazzo si alternava ogni genere di smorfia, tuttavia Valerio non mollava affatto; se la sua corsa, all’inizio, era apparsa scomposta, adesso era davvero inguardabile; se Valerio fosse stato un automa pieno di meccanismi si sarebbe detto che ora ogni ingranaggio andava per conto proprio, inviando impulsi scoordinati ad una gamba e poi al braccio opposto, al collo, alle spalle, ecc. Ciononostante, Valerio non mollava, nemmeno quando sembrò a tutti evidente che, giunti ormai i due in prossimità del traguardo, Valerio non sarebbe riuscito a colmare il vantaggio di circa cinquanta metri accumulato da Aldo.

    Aldo termina per primo la prova e subito dopo il traguardo si gira verso Valerio che sta completando gli ultimi metri; ora sono l’uno di fronte all’altro, Valerio, stremato, appoggia l’avambraccio destro sulla spalla di Aldo e la fronte sull’avambraccio; Aldo è piegato in avanti con le mani sulle ginocchia, anch’egli con il fiato corto: Adesso … dovremmo fare … a botte dice Aldo.

    Non … ci penso … proprio. Semmai … la prossima volta. Risponde Valerio.

    Ho intravisto in quel breve scambio di battute un lampo di nobiltà: da un lato Aldo che, seppure vincitore, rammentava a Valerio - ancora vivo - lo scopo della loro presenza a Villa, dall’altro Valerio che, seppure sconfitto nella corsa, non pretendeva la rivincita nel pugilato. Il contrasto tra Aldo e Valerio poteva dirsi concluso.

    Un paio di mesi dopo il duello, correndo su e giù per Villa, abbiamo scorto in lontananza, davanti a noi, l’inconfondibile sagoma di Valerio, l’abbiamo raggiunto ed Aldo senza pensarci su l’ha invitato ad unirsi al gruppo: Grazie, con piacere ha risposto Valerio, però, mi raccomando, andate piano.

    Da quel giorno Valerio è uno dei più puntuali all’allenamento delle ore13.

    Molta gente inizia a correre, per dimagrire, perché vuole smettere di fumare, perché si avvicina il momento della prova costume, perché vuol far colpo su qualcuno, perché ha visto in Tv un servizio sulla Maratona di New York e si è detta che l’anno prossimo riuscirà a correrla tutta, per compiacere il proprio compagno o per controllarlo da vicino, perché glielo ha consigliato il dottore, perché è andato in pensione e non ha nulla da fare, ecc.; Valerio ha iniziato grazie alla lite con Aldo.

    Ma con tutta la velocità delle loro gambe

    accorsero gli Ateniesi alla città.

    (Erodoto – Le Storie)

    Km 2

    Chiarirò subito il mio pensiero sulle origini della maratona: non credo affatto alla leggenda (una leggenda, appunto) di Filippide, che qui riassumo brevemente per quei pochi che ancora non la conoscono.

    Si tramanda che questo Sig. Filippide (o Fidippide), un messaggero dell’Antica Grecia, nel 490 a. C., portò ad Atene la notizia della vittoria conseguita dall’esercito greco contro l’esercito persiano sulla piana di Maratona; dopo aver corso a piedi per circa 40 km (cioè la distanza tra Maratona ed Atene), Filippide avrebbe avuto giusto il tempo di riferire il suo messaggio, dopodiché sarebbe crollato a terra, esanime per l’enorme fatica.

    Questa leggenda, della quale gli storici dell’epoca non riportano alcuna notizia, sul piano squisitamente podistico non rende giustizia alle capacità dell’araldo Filippide, peraltro, realmente esistito; questo, infatti, era un corriere professionista, un emeròdromo o, secondo la definizione latina, ingens die uno cursu emetientes spatium,¹ abituato a percorrenze giornaliere superiori ai 40 km.

    Viene ricordata, tra le varie missioni affidategli, la sua corsa da Atene a Sparta, 241 km circa, che Erodoto riferisce ne Le Storie (cap. VI° § 106), compiuta in non più di due giorni; dopo aver chiesto agli spartani, su incarico dei generali ateniesi, un appoggio militare per far fronte alla minaccia delle truppe persiane, Filippide è presumibilmente tornato ad Atene percorrendo, in direzione opposta, la stessa distanza di 241 km, dunque 482 km in poco più di quattro giorni .

    Appare a questo punto inverosimile che la distanza di soli 40 km possa esser stata fatale per il messaggero Filippide.

    Peraltro l’attacco dell’esercito persiano non si è esaurito sulla piana di Maratona, poiché, dopo la vittoria delle truppe greche, i "Barbari remando all’indietro dalla costa doppiarono il Sunio nell’intento di raggiungere la città prima degli Ateniesi" (Erodoto – Le Storie cap. VI § 115), dunque l’annuncio di una vittoria definitiva dei Greci sui Persiani sarebbe stato, in quel momento, quanto mai inveritiero e prematuro, attesa la nuova minaccia portata, via mare, dalle navi persiane.

    Prosegue Erodoto (cap VI, § 116): "I Persiani doppiavano il Sunio. Ma con tutta la velocità delle loro gambe accorsero gli Ateniesi alla città: dove giunsero in tempo prima dell’arrivo dei Barbari. .. I Barbari, apparsi con la flotta all’altezza del Falero - che era allora il porto degli ateniesi - dopo essere rimasti ivi ormeggiati in alto mare, se ne tornarono indietro in Asia."

    I soldati ateniesi, dopo aver combattuto sulla piana di Maratona, sono dunque rientrati ad Atene, con "tutta la velocità delle loro gambe", prima dell’arrivo delle navi persiane, pronti ad affrontare un eventuale secondo scontro con l’esercito nemico.

    Preferisco questa ricostruzione, peraltro storicamente documentata, alla leggenda dell’araldo Filippide.

    Certo, l’immagine di un messaggero che corre fino a morire per riferire la notizia di una vittoria in battaglia, è romantica e gode di maggiore appiglio sulla fantasia popolare; sarà per questo che in alcuni podisti si è sviluppata l’idea epica della corsa come sofferenza e sacrificio, intensi e consapevoli. Costoro assumono in viso un’espressione contratta fin dal primo chilometro, comunicano all’esterno, con drammatica teatralità, il patimento generato dalla loro azione; fisso, lo sguardo, verso un punto indefinito dell’orizzonte, essi non si curano delle persone che incrociano sulla loro strada né di quelle che li accompagnano, ignorano pozzanghere, radici, buche, sputi e deiezioni animali presenti sulla via, corrono in mezzo alla strada, contromano, attraversano diagonalmente piazze ed incroci, con il semaforo rosso. Ogni singolo dettaglio della loro persona sembra voler dire al mondo intero: Fate largo, sto compiendo la mia missione e potrei anche restarci secco da un momento all’altro, proprio come il messaggero greco Filippide.

    Di solito lascio al GPS e non alla espressione del mio viso il compito di segnare i chilometri che ho percorso.

    La storia riportata da Erodoto descrive, dunque, un esercito intero, con tanto di armamento pesante, che, dopo aver combattuto in battaglia, ripiega verso la città, distante 40 km e, giuntovi prima delle navi nemiche, si schiera lungo la costa, pronto ad affrontare un ulteriore combattimento; si direbbe, oggi, un duathlon sui generis (guerra, corsa ed ancora guerra).

    Questa è la visione meno romantica, senza dubbio, ma a mio avviso più rispondente al concetto che ho di gara podistica: uno sforzo, si intende, ma non estremo e di certo tale non deve essere per un atleta dilettante. Diverso è il caso dei professionisti, ma questo è un altro discorso.

    Al tempo dei Greci poteva accadere che, dopo una battaglia, si dovesse correre per 40 km e poi combattere ancora; oggi, chiunque pratichi la corsa per diletto, sa bene che dopo un allenamento od una gara c’è il lavoro, ci sono i figli, la famiglia e tutte le

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