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Gli Imperseguibili
Gli Imperseguibili
Gli Imperseguibili
E-book263 pagine2 ore

Gli Imperseguibili

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Info su questo ebook

Paolo si trova seduto su una ringhiera di un cavalcavia sull'autostrada.
Vuole saltar giù perché è un orfano. Orfano di padre, di madre, di fidanzata, di lavoro... di tutto. Alberto, invece, è sullo stesso cavalcavia solo perché è andato a raccogliere della cicoria.
Comincia in questo modo la strana amicizia tra un trentenne e un ultraottantenne, amicizia che porterà il ragazzo a conoscere anche Gianni e Giancarlo, amici di Alberto che, come lui, hanno quell'età in cui per legge si diventa imperseguibili.
Cosa possono decidere di fare dei vecchi un po' folli ma ancora in discreta salute, consapevoli del fatto che qualunque loro azione resterà impunita? Divertirsi come pazzi, vivendo la loro ultima, grande, esilarante avventura!
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2018
ISBN9788827555408
Gli Imperseguibili

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    Anteprima del libro

    Gli Imperseguibili - Danilo Catalani

    BookFaces

    Dello stesso autore

    Il Rugby è un’altra cosa (2010)

    Riflessioni semiserie di un padre ritroso

    (2014, Alter Ego 2016)

    La banda del congiuntivo (Streetlib/BookFaces 2016)

    Racconti con la H (Streetlib/BookFaces 2017)

    Danilo Catalani

    Gli

    imperseguibili

    Copyright © 2017 Danilo Catalani

    Proprietà letteraria riservata.

    Titolo: Gli Imperseguibili

    Prima edizione 2017

    Seconda edizione 2018

    Editing di Donatella Calò

    Copertina di Paola Vergati

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione.

    Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, animali, frutti, fiori, qualità, è assolutamente casuale.

    Ad Alberto

    Prima

    parte

    1.

    L’alba livida d’autunno dipingeva intorno a lui uno sfondo malinconico per l’ultima scena della sua recita.

    Così avrebbe potuto cominciare l’ultimo capitolo della sua biografia, pensava Paolo, se non fosse stato per due problemi.

    Il primo era che quell’alba, più che livida (che poi come diavolo è fatta un’alba livida…) era squallida, nella sua banalità.

    Era come era stata la sua vita: non si riusciva a capire se sarebbe uscito il sole o sarebbe venuto a piovere, poteva essere tutto ma probabilmente non sarebbe stato niente.

    Il che portava direttamente al secondo problema: sulla sua vita era assolutamente impossibile scrivere un libro.

    Anzi, nemmeno un racconto.

    Breve.

    Il lettore sarebbe morto di noia dopo quattordici righe.

    Paolo invece sarebbe morto saltando giù dal ponte.

    Seduto sulla ringhiera, con le gambe penzoloni nel vuoto, Paolo era sufficientemente convinto che l’altezza fosse quella giusta per ottenere lo scopo che si era prefissato.

    Il rischio di rimanere vivo ma paralizzato, per quanto terribile, era molto ridotto.

    Certo a quell’ora l’autostrada era ben trafficata: una parte consistente dei suoi concittadini che si recava quotidianamente a Roma per lavoro lo faceva in auto.

    Vorrei stare attento a non centrare una macchina, tutto qui. Non mi va di creare pericolo o problemi a nessuno, pensava Paolo.

    Forse avrei fatto meglio a buttarmi dal ponte sulla ferrovia. Avrei causato ritardi dei treni, ma tanto ci sarebbero stati ugualmente per altri motivi. I pendolari mi avrebbero mandato tanti accidenti, ma da morto chi li sente? E poi, tutto sommato, ma chi li calcola? Sempre a lamentarsi, però almeno un lavoro ce l’hanno, loro.

    Ma sì, che si fottano anche i pendolari pensava Paolo mentre le mani stringevano il bordo della ringhiera su cui era seduto.

    Lo stringeva così forte che le nocche erano diventate bianche.

    I suoi muscoli si irrigidirono, altre tre auto e poi non ce n’erano più per un bel po’; il momento di saltare stava arrivando.

    «A ragazzi’, che stai a fa, lì?»

    La voce, resa roca da una vita di sigarette, lo colse di sorpresa, quasi facendogli perdere l’equilibrio e anticipare il carpiato ritornato.

    Paolo si voltò e vide il vecchio.

    Basso ma robusto, con una sigaretta in una mano e una busta di cicoria nell’altra.

    "’ Sti cazzo di vecchi – pensò l’aspirante suicida – spuntano dove meno te l’aspetti. Ma perché diavolo si svegliano così presto, poi.

    Ché, la cicoria alle dieci sparisce?"

    «Scendi che ti fai male, così.»

    «Non si preoccupi, capo, tutto a posto. Pensi alla cicoria sua.»

    Il vecchio gettò la sigaretta per terra e la spense calpestandola con lo stivale di gomma verde dentro cui aveva rimboccati dei jeans logori.

    «Senti, bello di nonno… io proprio alla cicoria mia sto pensando.

    Se salti qui arrivano i carabinieri e chiudono tutto. E io domattina voglio andare a caccia.»

    «Beh, un vero problemone. Non ci avevo mica pensato. Mi ha convinto, ora però se ne vada che sennò la cicoria si ammoscia.»

    « Fijo , a quest’età ormai qui s’è bello che ammosciato tutto; la cicoria tutto sommato è il meno.»

    Paolo non aveva mai sopportato i vecchi, soprattutto per quel loro vizio di attaccare bottone nei momenti più impensabili.

    E, tra tutti, questo era un momento veramente inopportuno.

    Il vecchio si avvicinò con indifferenza, infilando la mano nel taschino della camicia a quadrettoni azzurri, che faceva spiccare ancor più l’azzurro dei suoi occhi.

    Ne estrasse un pacchetto di Chesterfield e un accendino Bic arancione e si accese un’altra sigaretta.

    «E… scusa se sono indiscreto, fijo , ma perché stai per fare ’sta cazzata?»

    «Ma a lei, di preciso, che gliene importa?»

    «No, niente, figurati, pura curiosità. Mi ha sempre incuriosito quale possa essere il motivo che possa spingere qualcuno a suicidarsi.

    Voglio dire, non è che il risultato finale sia poi così diverso, no? Non è che se non t’ammazzi campi in eterno. Tu, per esempio, quanti anni c’hai?»

    «Trentadue.»

    «Ok, trentadue. Tra una cinquantina d’anni ti tocca lo stesso, no? E che sono cinquant’anni in confronto all’eternità?

    Tu sei credente?»

    «No.»

    «A maggior ragione, visto che dopo t’aspetta un’eternità di niente, qual è la molla che ti spinge ad anticipare? Mi pare una cazzata, tutto qui. Però dimmi, magari mi fai capire che sbaglio!»

    Paolo lo guardò a lungo senza sapere cosa fare. Continuare quell’assurda conversazione o saltare?

    «Io… sono stanco, tutto qui. Veramente, ho solo bisogno d’essere lasciato in pace.»

    «Vabbè, ma a qualcuno farai del male, no? Ce l’avrai una madre, un amico, qualcuno che ti vuole bene...»

    Gli occhi di Paolo si colmarono di lacrime.

    «Non ho nessuno – disse. Lo sguardo si perse verso l’autostrada sotto di lui – non ho niente.»

    Il vecchio diede un tiro alla sigaretta, sbuffando fumo dal naso.

    «Dici che non hai niente. Ti sembra niente il sole? La vita? L’amore?»

    Paolo si scosse a quelle parole. Si voltò e fissò il vecchio.

    «Ma che è, la canzone dei Negramaro?»

    Il vecchio sbuffò un’altra nuvola di fumo, stizzito.

    «Mi hai convinto, buttati.»

    «Come, scusi?»

    «Sì, hai ragione, buttati! Non hai nessuno, non hai niente, non hai speranza, buttati e falla finita!»

    Paolo ormai era completamente confuso, mentre guardava quel vecchietto con la busta di cicoria in mano passarsi l’altra tra i grigi capelli ricci.

    «Senti, un’ultima cortesia, ti posso guardare mentre lo fai?»

    «Eh?»

    «Sì sul serio, ti secca se ti guardo? Non ho mai visto dal vivo un suicidio. Cantieri, quanti ne vuoi, lo sai che a noi di una certa età ci piacciono, ma suicidi mai.

    Alla mia età non è facile vedere cose nuove. Io ho ottanta anni, se non lo vedo ora, un suicidio, quando mi ricapita?»

    Paolo in un attimo saltò giù.

    Ma dalla parte giusta della ringhiera, guardando sconcertato quel vecchio folle.

    Senza dire nulla gli voltò le spalle e fece per allontanarsi.

    Dopo pochi passi venne però raggiunto da un ceffone potente dietro la nuca; sorpreso guardò di nuovo il vecchio, parecchio più basso di lui, che con aria disgustata gli urlò:

    «DOMENICO MODUGNO! Quali Negramaro? Ma vaffanculo te e loro, va’…»

    2.

    C’è un momento, dalla durata indefinibile, che separa il sonno dalla veglia, il nulla dalla vita.

    Il momento in cui lasciamo il buio dell’incoscienza per abbracciare la luce della nostra piccola resurrezione quotidiana.

    Il momento in cui ricapitoliamo i dati fondamentali, come chi siamo, dove ci troviamo, e così via.

    Questo momento di passaggio, quella mattina, fu molto confuso per Paolo.

    Ebbe la percezione di chi fosse, di dove si trovasse, ma anche la sensazione che ci fosse ancora qualcos’altro da realizzare.

    Qualcosa di brutto.

    Non arrivò subito, questo qualcosa.

    Partì da lontano, confuso, come il rombo di un tuono distante, poi sempre più potente.

    Quando finalmente giunse, Paolo spalancò gli occhi, realizzando quale fosse il piccolo dettaglio negativo che si era nascosto nottetempo in un buio recesso della sua mente.

    La sua era una vita di merda.

    Una grande mano afferrò il cuore di Paolo e lo strizzò come fosse una vecchia spugna.

    Fu come se un elefante tornasse a sedersi sul suo petto dopo essersi andato a fare una passeggiata durante la notte.

    Paolo chiuse gli occhi sconfortato.

    Era stato così bello aver goduto dell’oblio del sonno… se solo fosse durato per sempre.

    Quel pensiero sapeva di dejà vu .

    Ma… non avevo già deciso di farla finita? – pensò – poi cos’è successo?

    Fece per alzarsi seduto sul letto, ma un violento giramento di testa lo fece ripiombare sul cuscino.

    Sotto il fianco qualcosa di duro cercava di infilarsi tra le costole.

    Ci mise un po’ per focalizzare la scritta.

    Ron Añejo Pampero Aniversario .

    Grazie al cazzo che mi gira la testa pensò.

    Si spiegava anche quel sapore che aveva in bocca, come se qualche animale ci fosse andato a morire.

    La luce filtrava dalla serranda, la parete sembrava una pagina segnata da fitti tratteggi luminosi.

    Fece un altro tentativo, più lento, di tirarsi su.

    Scientifico, stavolta; come diceva sempre Alessandra alla fine delle sedute di yoga?

    Prima sul fianco destro, poi piano si viene su.

    Aveva una regola per tutto, quella donna, pure per alzarsi dal letto.

    Non era strano che con lei fosse finita, era anzi un miracolo che fosse iniziata, e durata tre anni.

    Non erano fatti l’uno per l’altra, erano troppo diversi.

    Lui non era fatto per lei, ma lei per lui sì.

    Non posso piangere di già – si disse – almeno voglio prima pisciare.

    Guardò la radiosveglia, sul cui display il grande 11 rosso sapeva di rimprovero.

    Paolo, non è possibile! Sono le undici, che ci fai ancora a letto?

    Beh, il lato positivo era che almeno le ramanzine di Ale erano finite.

    Barcollando a piedi nudi raggiunse il bagno.

    La luce di un sole brillante che entrava dalla finestra lo accecò.

    Cercò di fermare i raggi del sole con la mano come fosse un vampiro cui era appena stata scoperchiata la bara, poi a occhi socchiusi raggiunse il water e con entrambe le mani si appoggiò alla parete, provando il sollievo di chi finalmente trova un sostegno dopo aver camminato per decine di chilometri.

    Chiuse gli occhi di nuovo e un’onda fece rollare la barca su cui gli sembrava di stare.

    Merda, devo ricordarmi che una bottiglia di rhum è troppo annotò riaprendo gli occhi.

    Constatò soddisfatto che il fiume che il rhum gli aveva lasciato nella vescica era sfociato quasi tutto nel water.

    Al casino provocato dai rami secondari del delta avrebbe pensato dopo.

    A tutto avrebbe pensato dopo.

    Ora l’unica cosa cui pensare era un caffè che facesse sparire il sapore di topo morto dalla bocca.

    Caricò la moka da due fischiettando.

    Che avrò poi da fischiettare… pensò, ma del resto con quella bella luce calda che veniva da fuori un minimo di buonumore sarebbe venuto a tutti.

    Il caffè ci mise poco a uscire.

    Pescò a caso un bicchiere dalla catasta di piatti sporchi nel lavandino, lo sciacquò e versò, sempre canticchiando.

    A chi non è mai capitato di alzarsi con un motivetto in testa che, volenti o nolenti, fa compagnia tutto il giorno?

    Trangugiò il caffè tutto d’un fiato e fece una smorfia.

    Amaro. Non per gusto, ma per pigrizia di cercare il barattolo dello zucchero.

    Restituì il bicchiere al mucchio da cui proveniva e si diresse nuovamente in bagno.

    Na-na-nana-naaaa.

    Dopo aver asciugato con lo straccio il piccolo lago giallo fuori dal water, i suoi occhi incontrarono quelli di un tizio che lo guardava curioso dallo specchio.

    Doveva sicuramente essere un barbone finito lì per caso.

    I ricci castani arruffati più del solito brillavano di riflessi rossicci. Stesso colore la barba di almeno una settimana.

    Le borse sotto gli occhi erano di misura tale che non avrebbero potuto mai passare i controlli della Ryan Air.

    E gli occhi castani palesemente morti.

    Paolo pensò che radersi non avrebbe certo risolto i suoi problemi, ma non li avrebbe nemmeno peggiorati.

    Si ricoprì la faccia di schiuma e cominciò a darci dentro di rasoio.

    Canticchiando.

    Na-na-nana-na… ma come non ti accorgi / di quanto il mondo sia…

    Paolo si bloccò.

    Tra le nebbie che il Pampero aveva sollevato nel suo cervello il ricordo della mattina precedente era finalmente riuscito a farsi largo.

    Meraviglioso, mormorò asciutto, senza musica alcuna.

    Non era un sogno. Era successo per davvero. Aveva provato sul serio a farla finita, e ci sarebbe riuscito, se non fosse stato per quel maledetto/benedetto vecchio.

    Non ricordava molto di lui, ma gli occhi…

    Quegli occhi di un celeste brillante. Avrebbe potuto tranquillamente essere un anziano Paul Newman, ammesso che Paul Newman andasse a cicoria.

    Riprese lentamente a radersi, cercando di capire se prevalesse in lui l’istinto di ringraziare il vecchio per avergli salvato la vita o quello di strangolarlo per averlo messo in condizione di ricominciare a girare in un loop interminabile di sfiga.

    Alla fine della rasatura l’ homeless nello specchio era un po’ più pulito, ma sembrava esser stato aggredito da un gatto.

    Il dopobarba, su quella creazione artistica di minuscoli tagli, ebbe il merito di far svegliare definitivamente Paolo, che approfittò per salutare il nuovo giorno accoppiando casualmente diversi santi del calendario con altrettanti animali di dubbia moralità.

    Rimase a guardarsi fisso per un po’.

    Cosa fare?

    Bah.

    Tanto valeva uscire di casa, visto che la giornata era così splendida da invogliare anche un aspirante suicida a farlo.

    Con quel bel sole poi…

    Ti pare niente, il sole?

    3.

    La Vespa 50 Special di Paolo pareva emettere, più che un rombo, un lamento straziante, ma restava il mezzo più efficace per muoversi nel traffico di una città dove cinquantamila anime sembravano possedere cinquantamila auto.

    Ventimila erano SUV.

    Chissà se le città hanno un’anima propria o se l’essenza di un luogo è data dalla somma delle anime di chi lo abita.

    A volte Paolo se lo domandava, cercando di capire di chi fosse la colpa; se una città potenzialmente perfetta per clima e posizione, abbracciata

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