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Quando non ti parlo, ascoltami
Quando non ti parlo, ascoltami
Quando non ti parlo, ascoltami
E-book396 pagine5 ore

Quando non ti parlo, ascoltami

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Info su questo ebook

Un viaggio lucido e profondo capace di condurre il lettore là dove è già stato almeno una volta nella vita. E in cui l'amore, il rammarico e il dolore avvolgono i profili più reconditi del bisogno d'affettività.
La famiglia è la protagonista di questa storia.
Una famiglia moderna, animata da personaggi descritti con sapienti pennellate e pronta a tingersi nelle miserie esistenziali di ciascuno dei suoi componenti. Attori inconsapevoli di un copione intricato e ricco di colpi di scena.
Come pedine sulla scacchiera di un destino complesso, ognuno è l'artefice di occasioni in cui si fatica a scovare torti o ragioni capaci di condannare o assolvere.
Momenti intensi, a tratti crudi ma avvincenti, sulle difficoltà d'interpretare sentimenti e pulsioni inespressi.
Un vademècum di sensibilità che ognuno, più spesso di quanto immagini, farebbe meglio a consultare prima di naufragare nelle proprie inadeguatezze.
LinguaItaliano
EditoreSergio
Data di uscita13 apr 2020
ISBN9788835814658
Quando non ti parlo, ascoltami

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    Anteprima del libro

    Quando non ti parlo, ascoltami - Filippo Mauro

    38

    Quando non ti parlo, ascoltami

    Filippo MAURO

    QUANDO NON TI PARLO, ASCOLTAMI

    Tutto s’accomoda.

    E tutto non finisce mai

    così male come si teme,

    né così bene come si spera.

    Armando Curcio

    A che servono questi quattrini - 1940

    Qualsiasi riferimento a persone o fatti realmente accaduti è frutto d'immaginazione e puramente casuale.

    1

    1

    - Perdonate il ritardo, ma ho avuto un imprevisto in ufficio.

    - Ciao pa’. Mentre mangi posso continuare a guardare il mio DVD?

    Al rumore della serratura, il ragazzino ha fatto capolino dalla sala.

    - Va bene. Ma dopo, mi raccomando, subito a letto.

    - Bentornato. Tutto a posto?, - chiede Anna.

    - Il solito, - risponde Carlo, abbassando lo sguardo per nascondere la felicità che gli brilla negli occhi.

    - Non è che per caso il mese scorso ti sei dimenticato di portare a far vaccinare Alessandro?

    - No di certo!, perché? - Il tono è acuto e, avviandosi in bagno per lavarsi le mani, Carlo squadra la moglie stupito.

    - Stamattina mi sono ricordata che, quando lavoravo in ospedale, il dottor Brinna mi aveva parlato delle conseguenze di una mancata vaccinazione obbligatoria.

    - Chi, il pediatra? Non ti capisco.

    - Oh, nulla. Allora non so proprio cosa possa essere. Probabilmente, un errore di persona, - e sollevando la raccomandata, Anna gliel’allunga mentre lo pedina.

    Lui l’afferra, la rigira tra le affusolate dita d’artista ma, non avendo compreso se la moglie scherzi o dica sul serio, replica sbigottito:

    - Cosa c’entra la vaccinazione? Guarda!, sarà l’ennesima contravvenzione, - e inquadrato lo stemma che campeggia in alto lo indica.

    - Strano. Dovrebbe esserci l’emblema del Comune, non quello della Repubblica Italiana. Quand’ero in ufficio con mio padre, lui si che prendeva una caterva di multe. Ma nessuna assomigliava a questa busta. E poi scusa, che cosa significa la dicitura: Tribunale per i Minorenni di Milano ?

    - Sai che ogni tanto sei stramba?, - risponde Carlo indispettito. Si sforza di capire per quale motivo debba affrontare quello sterile diverbio, quando arde dal desiderio di raccontare dell’incredibile commessa svizzera. Appena arrivato si è finto calmo per inscenare una sorpresa, ma questa digressione lo infastidisce.

    - È più che normale che tenti di farmene una ragione. Non credi? Dai aprila.

    Carlo esita, rimane per un attimo imbambolato di fronte all’ovale perfetto del viso di lei, quindi ribatte categorico:

    - Non adesso. Prima devo parlarti di una cosa molto più importante. Quasi epocale! Di questa, ci preoccuperemo più tardi, - e trascinata la moglie nello studio, getta con noncuranza la busta sulla scrivania per poi spostarsi in cucina.

    Visibilmente delusa per la scarsa attenzione riservata a una missiva del Tribunale, Anna lo segue allibita. Ha l’aria di chi non capisce ma si adegua.

    Carlo sorseggia un bicchier d’acqua, si schiarisce la voce, si accomoda ed espone con pause degne di un thriller le vicende del contratto da tre milioni di euro che lo impegnerà per i due anni a venire. Si tratta della ristrutturazione di alcuni negozi ed è raggiante. Le mani appoggiate sul tavolo, uno sguardo intenso e un fremito di rivincita descrivono in lui una risorta autostima.

    Di fronte a una tale euforia, Anna è scossa da un fremito. Sembra dimenticarsi della busta, si sistema sulle ginocchia di Carlo e, dopo averlo stretto con amore, gli posa la testa sulla spalla. Sul viso le scorrono le fantasticherie di una bimba e appare esultare, quasi incredula, alla notizia che lo studio sia finalmente maturo per produrre i frutti sperati.

    I due rimangono in quella posizione per la durata interminabile di un batter di ciglia. Mentre la lettera resta sempre più avvolta nell’oblio della loro effimera fe­licità.

    ***

    - Svegliati!, sono già le sette.

    - Dammi ancora un secondo, - biascica Carlo, senza nessuna voglia di alzarsi. Ha le palpebre pesanti e, rigiratosi nel letto, avverte i muscoli duellare contro il torpore. Quindi, gettato lo sguardo alle persiane schiuse, cela con insolita pron­tezza la testa sotto il cuscino. In lontananza, echeggiano i rumori di una casa già in tumulto: porte sbattute, passi frenetici e il suono di una radio. Segnali ostili, capaci di avvilire in lui ogni volontà di muoversi.

    - Come ti è sembrata la serata di ieri? Alice è proprio una bella ragazza, vero?, - chiede Anna, spazzolando i pantaloni.

    - Non saprei. Siamo rimasti lì a parlare, parlare, per non combinar nulla. Sem­brava quasi che Ermanno facesse la corte a te piuttosto che interessarsi della tua amica.

    - Dici?, - risponde Anna lusingata, lisciandosi il caschetto scuro. - Eppure mi sem­brava di aver organizzato l’incontro ideale. È da parecchio che entrambi sono sepa­rati.

    - E poi, che ora abbiamo fatto? Saranno state le tre e mezza quando siamo rien­trati. Lo sai che non mi piace andare a letto così tardi.

    - Sei il solito: per una volta che usciamo! Io invece un’opinione me la sono fatta. Credo che a Ermanno Alice sia piaciuta. Come fa a non piacergli?, è troppo carina. Sapessi quanti la corteggiano. Magari si sono già risentiti.

    - Mi sembra difficile.

    Carlo solleva le sopracciglia. Quell’approccio, secondo lui, non solo è stato noioso, ma non ha ottenuto l’esito sperato. Poi, aggiunge:

    - Io, comunque, l’ho sempre detto: gli appuntamenti combinati non funzionano. Due sono le condizioni che fregano: l’atavica pigrizia alla novità dei protagonisti e la frustra­zione perché immancabilmente delusi nelle loro aspettative.

    Anna sembra distratta. Srotola un paio di calze di nylon e si accarezza le gambe. Non si sarebbe mai smentita, ma si capisce dall’espressione che condivide il giudizio. Il rendez-vous tra Alice ed Ermanno non avrebbe fatto eccezione. Così, con tono più deciso per quell’amara verità, esprime il suo ultimatum contro la pi­grizia del marito e se ne va in bagno.

    Rintanato sotto le coltri, Carlo sussulta. Maledice il giorno in cui ha acconsentito a partecipare all’inconcludente serata e cerca la determinazione per alzarsi. Purtroppo, sua moglie è impietosa. Conoscendolo, sa che qualsiasi incertezza sarebbe fatale e, rientrata in camera, spalanca la finestra, avvolge le coperte sulla pediera del letto e non gli dà scampo.

    Lui capitola. Si stropiccia gli occhi, alza la testa dai capelli ancora folti e neri, eleva la figura e lascia cadere i piedi sul pavimento. Solo il gelido alito mattutino lo costringe a coprirsi. Forse per questo le sue parole sono pungenti:

    - Mi sembri la suoneria di un orologio. Se avessi fatto il militare saresti stata un ottimo caporale di giornata, - e vedendo la moglie scimmiottare una marcia, si lascia sfuggire un sorriso.

    Sebbene quel loro modo di stare insieme appaia ai più come un contrasto continuo, Carlo l’ama con sincerità. Conosciutala casualmente a un veglione, non se l’era più levata dalla testa.

    - Mamma, mamma! Mi hai lavato la tuta? Oggi ho educazione fisica.

    - Carlo, sbrigati! Devo aiutare Alessandro.

    - Non puoi darmi tregua?

    - Non c’è tempo. Prima di portare tuo figlio a scuola devi farti la barba. Non vorrai uscire trasandato come al solito? Pronto per andare a giocare all’architetto insieme ai tuoi compari.

    - Quando insisti a prendermi in giro, non ti capisco. Quante volte ti ho ripetuto che non tutti siamo degli agguerriti imprenditori come tuo padre. Ma tu, niente: sorda come una campana.

    - Il solito adulatore!

    - Anche se non guadagno cifre da capogiro ed evito di lisciarmi tutti i giorni il viso come il sedere di un bebè, non significa che manchi di rispetto a qualcuno. Per non parlare di abbigliarmi come un damerino. Ma tu, no. Insisti a martellarmi con la superstizione che il valore di un indi­viduo si misuri dall’aspetto. Che palle.

    - Sarà, ma a me sembri il figlio di nessuno che trasmette la sensazione di essere pro­prio il figlio di nessuno. Comunque, se sei tanto convinto che i clienti ti apprez­zino di più senza cravatta, con la barba incolta e i buchi nei maglioni, libero di crederlo. Per i soldi, abbiamo già toccato con mano quanto sia stato importante che io riprendessi a lavorare. O sbaglio?

    - Certe volte mi sfianchi. Cosa hai trovato in me per sopportarmi? Perché non hai scelto un avvocato di successo come Ermanno? Con la barca ormeggiata a Portofino e una bella presenza aristocratica. Come devo dirtelo che la passione è il mio unico motore. Tutto il resto son stronzate.

    - Sei il solito spaccone. Piuttosto, ti sei preoccupato di passare in banca per la rata del mutuo? Pensa se quando l’abbiamo acceso ce l’avesse proposto un alter­nativo come il tuo socio.

    - No, non ci sono ancora andato. Comunque, sappi che se la pratica l’avesse trattata Andrea, che si presenterà anche in modo eccentrico, ma è molto scrupoloso, è assai probabile che non ci sarebbe bisogno ogni volta di riverificare il tasso d’interesse.

    - Dai, dai!, pelandrone dei massimi sistemi, - tronca affettuosamente Anna.

    Carlo si passa una mano sulla nuca. È certo che nessuno dei due sarebbe mai riuscito a convincere l’altro. Cio­nondimeno, si sente fortunato ad avere vicino una donna come lei e accetta con indulgenza i suoi continui rimproveri.

    Senza, e con un carattere schivo, rasente la misantropia come il suo, si ripete convinto, chissà quali incomprensioni con il mondo avrebbe dovuto gestire!

    - Mamma, non trovo le calze.

    - Guarda nel primo cassetto.

    - Mi aiuti a vestirmi?

    Per essere un ragazzino di otto anni, Alessandro ha imparato presto a con­quistarsi attenzioni. Se ne approfitta e non perde opportunità per rimarcare i suoi bisogni.

    Anna lo adora e una volta che l’ha vestito prepara la colazione.

    Quindi, armatasi di una tazza gialla di caffè quale musa ispiratrice, si rintana nello sgabuzzino.

    Deve scegliere le calzature. Sono un accessorio importante e le cura con zelo.

    - Mamma! Hai visto le mie scarpe da ginnastica?

    - Prova a guardare sul terrazzino, dietro al vaso dei fiori. Può darsi che le abbia appoggiate lì ieri, a prender aria.

    - Dove sono i miei pantaloni grigi?, - urla Carlo, uscendo dal bagno. - Vedi di non farmi arrivare in ritardo proprio ora che sono diventato operativo.

    Nell’evidente tentativo di contrastare un fastidioso senso di accerchiamento, Anna indossa in fretta le scarpe, abbandona lo sgabuzzino e risponde:

    - Devo averli appesi vicino alla finestra. Li hai visti?

    - Trovati. Un attimo ancora e sono pronto. Vieni a fare colazione?

    - Arrivo, pa’.

    Padre e figlio sono coinvolti in un fitto dialogo a bassa voce quando Anna entra in cucina. Si nota che non afferra le loro parole, ma negli occhi le si legge la gelosia per l’armonia che emanano. Si blocca assorta, non avvedendosi che quelli, nel frattempo, si sono alzati e hanno aperto la porta di casa. Allora appoggia la tazza vuota nel lavello e, regalato un tocco di colore all’opacità delle altre stoviglie, li raggiunge.

    - A stasera.

    - Ciao.

    Il ragazzino attende che la madre lo baci, si sistema la cartella sulle spalle e corre dietro al padre giù per le scale.

    - Ciao mamma.

    Rimasta sola, Anna si concentra su quello che l’aspetta. Grazie alle indiscusse doti diplomatiche, ha ottenuto un incontro con la redattrice di un periodico femminile per convincerla a recensire la sua nuova attività. Allo scopo, si è procurata alcune fotografie dei prodotti e le ha raccolte in una cartellina. È se­rena e presa la borsa vi stipa l’agenda, stacca il portatile dal caricatore ma, proprio mentre infila il soprabito, sente scampanellare.

    - Chi diavolo è adesso?, - esclama meravigliata. Come le succede spesso, si prodiga per gli altri a rischio di rimandare le proprie scadenze.

    - Postino! La signora Mareschi?

    - Sono io.

    - Bene signora, se è così gentile da mettermi una firmetta qui e anche qui, grazie. È una raccomandata per il signor Carlo Mareschi. Suo marito, vero?

    - Certo, - risponde lei un po’ risentita.

    Dopo aver salutato, Anna legge di sfuggita l’intestazione sulla busta: Tribunale per i Mino­renni di Milano . Lì per lì non vi dà peso e, lasciatala in anticamera, si specchia, verifi­cando di essere impeccabile. Si ritiene una donna affascinante e non vuole deludere.

    Una camicetta con il collo alla coreana abbottonato le evidenzia la sottile attaccatura della nuca e una sciarpina di seta pendant con il tailleur sporge dal bavero.

    - Speriamo di non aver dimenticato nulla, - si ripete a voce alta. Poi, cercando le chiavi, riflette su quanto abbia riposto nella borsa.

    La porta di casa si richiude alle sue spalle e l’ascensore si fa trovare al piano.

    È di nuovo tranquilla. Nondimeno, percorsi pochi passi per strada, ripensa alla visita del postino e avverte un sottile disagio.

    ***

    Quella sera, la famiglia Mareschi rincasa a orari insoliti.

    Anna rientra prima, perché uscita dalla redazione le è venuta meno la voglia di recarsi in ufficio.

    Ales­sandro torna alle diciannove: ospite di un compagno di classe, dopo la scuola ha deciso di fare i compiti con lui.

    Infine, Carlo arriva quando ormai figlio e moglie hanno mangiato. A causa del protrarsi della trattativa per un progetto da tre milioni di euro , non si è accorto del tempo che passava.

    - Perdonate il ritardo, ma ho avuto un imprevisto in ufficio.

    2

    2

    Curiosamente, la mattina dopo Carlo è il primo a svegliarsi. Esce furtivo dal letto e si rifugia nello studio. L’entusiasmo per l’accordo milionario scorre an­cora impetuoso nelle sue vene. Il cuore gli canta e, aperte le persiane, si sistema alla scrivania, accogliendo il mondo che si fa amico.

    Il ritratto a sanguigna di Anna lo osserva con dolcezza, mentre i pennarelli colorati rallegrano il tavolo da disegno. Vicino alla poltrona, un periodico di de­sign sporge gualcito dal portariviste. Solo la lettera del tribunale stride. Ab­bandonata davanti a lui, lo squadra severa con quel suo color ocra.

    - Come mai sei già in piedi? Ti spiace mettere su il caffè mentre io mi preparo? Oggi devo andare a Torino con Franca. C’è la fiera del tes­sile. Abbiamo il treno alle otto e un quarto.

    Carlo alza la testa come riscosso all’improvviso.

    - Non me l’avevi detto. Tranquilla. Penso a tutto io.

    - Già che ci sei, sveglia anche Alessandro e aprigli la finestra, - conclude Anna, trascinandosi verso il bagno..

    - Non ti preoccupare.

    La busta gialla è sempre lì: implacabile e fissa.

    Carlo l’analizza di nuovo con disagio e, snobbate le prescrizioni della moglie, afferra il tagliacarte per liberarne il contenuto.

    Il foglio che ne estrae non assomiglia a una multa.

    L’unica facciata, sotto l’emblema della Repubblica, recita:

    Il giudice, preso atto del procedimento ex art. 330 e ss. Codice civile, ritenuto necessario assumere informazioni in merito alla minore Sofia Mitrajeva, nata a Milano il 18.05.2002 dalla sig.ra Katrina Mitrajeva, nata a Minsk, Bielorussia, il 27.03.1977, convoca il sig. Carlo Mareschi, nato a Milano il 13.10.1970, presso questo Tribunale per i Minorenni per il giorno 27 febbraio 2008 alle ore 9.30, piano terzo, stanza numero 414.

    Letta e riletta la comunicazione, Carlo rimane a bocca aperta. Si domanda chi siano quelle persone, che cosa diavolo c’entrino con lui e perché il giudice voglia parlargli. Quindi, meditando con frenetica energia, si con­centra sulla postilla in calce. Lo informa della possibilità di farsi patrocinare da un avvocato oppure, se indigente, da un difensore d’ufficio nel rispetto dei parame­tri reddituali.

    Una strana sensazione di malessere gli risale dallo stomaco.

    - Devo scappare! Partiamo dalla Centrale e non voglio arrivare tardi.

    All’annuncio della moglie, Carlo si riprende dallo sconcerto e occulta con rapi­dità la busta insieme al foglio.

    Anna entra di slancio, si accosta alla finestra e la spalanca.

    - Avresti dovuto preparare il caffè. Certo che se resti lì imbambolato…

    Per timore di risultare sospetto, Carlo stacca le mani dal cassetto, si alza d’impulso e, avvicinatosi alla moglie, le dispensa un bacio del buongiorno con inusitata passione.

    Anna accoglie stu­pita l’imprevisto pegno d’amore, ma non chiede nulla. Si volta flessuosa e se ne va bofonchiando.

    - Pa’, mi aiuti a prendere il quaderno di matematica dallo scaffale?, - è la richiesta di Alessandro, affacciatosi allo studio.

    Carlo non risponde. Ancora inquieto, si alza dalla scrivania, si dirige in cameretta, sfila il quaderno riposto in alto e lo allunga al figlio con tenerezza.

    Alessandro ringrazia e, permettendo alla frangia bionda di nascondergli la fronte, sorride.

    Frequenta la terza elementare, ha un dinamismo contagioso e lo sguardo pennellato di un castano identico a quello della madre. Per lei stravede, tuttavia quand’è in difficoltà, chiede aiuto al padre: meno severo e più flessibile.

    Come ora, mentre piroetta sul materasso avvolto in un pi­giamino turchese con allegre balene che sbruffano gocce di mare colorate.

    - Guarda come sono bravo, pa’!

    - Sei un fenomeno. Adesso, però, sbrigati, che la mamma è già nervosa. Quando sarà uscita, mi farai vedere qualcos’altro.

    Insieme al figlio, Carlo vive spesso di queste innocenti complicità. Questa mattina, tuttavia, sarebbe felice se Alessandro l’assistesse. Lo prendesse da parte e gli svelasse che la lettera è solo un innocuo scherzo; che quei nomi non esistono; che nessuno del tribunale vuole veramente conferire con lui.

    - Pelandrone capo e assistente pelandrone. Vedete di non fare tardi. Io devo pro­prio scappare. Berrò un caffè in stazione con Franca. Ciao a tutti. Stasera, spero di non tornare più tardi delle nove e mezza, - e prima di uscire, Anna bacia entrambi.

    Alle frenetiche attenzioni della moglie, Carlo rimane catatonico. Ha le braccia molli e il respiro corto come fosse passato un tornado. Poi, osservando scomparire quel bel sorriso profumato dal portamento mediterraneo, ricambia il saluto.

    Alessandro lo imita.

    La porta d’ingresso scatta e uno strano silenzio riempie la casa.

    ***

    Carlo lavora in un antico palazzo del centro, nelle vicinanze di Corso Venezia. Da casa a scuola e da lì all’ufficio ci vuole almeno una mezz’ora in moto. L’utilizzo della macchina è diventato difficoltoso a causa del traffico troppo caotico. Inoltre, l’aria sul viso gli regala ancora il fascino della libertà. Lo mette di buon umore, permettendogli di apprezzare le sfumature di Milano.

    Stamattina, tuttavia, è cupo. Rimugi­na sul contenuto di quel foglio. Prima di uscire, lo ha rimesso nella busta, che custodisce gelosamente nella tasca interna della giacca, e per l’intero tragitto non si dà pace.

    Cosa c’entro io con quella madre e sua figlia? Chi sono quelle persone?

    Quei nomi a Carlo non dicono nulla e non ricorda di aver mai conosciuto nessuna bielorussa. Cosicché, ac­compagnato Alessandro, decide di passare da Ermanno.

    Ottenere consigli prima di parlarne ad Anna gli pare la strategia migliore.

    Avverte in ufficio del ritardo e cambia strada con una rapida inversione di marcia.

    Lo stabile in cui ha lo studio il suo amico d’infanzia è una costruzione dei primi del secolo scorso. Prospiciente il palazzo di giustizia, vanta un solerte por­tinaio che, vedendolo arrivare, lo saluta con un sorriso di circostanza.

    - Avrei un appuntamento con l’avvocato Soprechi.

    L’uomo con berretto e marsina annuisce, indirizza con cortesia il suo interlocutore al quarto piano e si ritira nella guardiola.

    Carlo abbozza un cenno di ringraziamento con la testa, prende la rampa che lo separa dall’ascensore, vi sale e si lascia trasportare.

    Giunto a destinazione, individua la porta a vetri con impresso il logo dello studio legale ed è ricevuto da una segretaria vestita di nero.

    - Salve. Cerco l’avvocato Soprechi, - dice a disagio, per aver già mentito al por­tiere.

    La donna lo squadra sospettosa.

    Lui, allora, le si avvicina, fingendo disinvoltura per non essere scoperto.

    - Sono l’architetto Mareschi. Sarebbe così gentile da sentire se può ricevermi?

    Sa bene che l’amico detesta le intrusioni sul luogo di lavoro. Tuttavia, è fiducioso che le eccezionali circostanze avrebbero giustificato quella sua incauta iniziativa.

    - Ha un appuntamento?, - indaga la segretaria, sfogliando una voluminosa agenda.

    Carlo trattiene il fiato:

    - Veramente, io…

    Poi, mentre sta per sciogliersi in una confessione imbarazzante ma liberatoria, ode la voce stentorea di Ermanno:

    - Adesso devo andare, ne parliamo più tardi. Resto comunque della mia idea!, sappilo.

    Elegante e con il soprabito sul braccio, l’amico è comparso dalla porta in fondo a uno dei due corridoi che danno sull’ingresso e si dirige a lunghe falcate verso di lui.

    - Che ci fai qui a quest’ora?

    - Ti cercavo.

    Ermanno non commenta, si gira verso la segretaria per ricordarle che sarebbe rimasto in tribunale tutta la mattina, le impartisce le ultime consegne e, spintolo verso l’uscita, gli chiede in tono inquisitorio:

    - Che diavolo sei venuto a fare? Perché non mi hai avvertito? Adesso non ho tempo. Devo correre a Palazzo, - e appoggiata la borsa per indossare il soprabito, lo scruta severo.

    Carlo mostra i palmi in segno di contrizione e, mentre un fresco profumo di do­pobarba lo investe, si lascia condurre verso l’ascensore.

    - Perdonami, ma non potevo aspettare. Magari è una sciocchezza. Però vorrei es­ser rassicurato. Ho ricevuto questa. È una convocazione da parte del Tribunale per i Minorenni. Credo che Anna abbia ragione. Deve trattarsi di un caso di omonimia o un errore di persona. Vorrei un tuo parere professionale.

    - Perché? Ne avete già discusso?, - chiede Ermanno con aria smaliziata.

    - No, in verità non le ho ancora detto nulla. Non volevo si preoccupasse. L’ha ri­cevuta ieri e, senza neppure leggerla, mi ha suggerito questa interpretazione.

    Ermanno lo squadra di nuovo con l’inflessibilità di chi riconosce le bugie. Ripone la lettera nella borsa, fa scattare la grata in ferro dell’ascensore e, aggiustatosi i capelli di un biondo spento, pigia lo zero.

    Carlo ha sempre invidiato la disinvoltura con cui l’amico affronta la realtà. Fin da bambino riteneva che qualcosa di eroicamente affascinante lo distinguesse. Come se quell’attitudine ad assumere decisioni con rapida fermezza fosse in grado di placare ogni sua smania. Così, pervaso dal dubbio di essergli sembrato uno sprovveduto, lo tallona come un cagnolino.

    Prova affanno e lo innervosisce la storia della raccomandata. Allora, tenta di spiegarsi meglio, ma gli mancano le parole.

    Arrivati al piano terra, i due indugiano davanti alla portineria, accolgono il saluto dell’uomo in marsina e si incamminano.

    - Buongiorno, avvocato, - saluta improvvisa una garbata voce femminile che scende le scale.

    - Oh, buongiorno a lei signora Carminati. Come sta suo marito? Ancora raffreddato?

    - Molto meglio, grazie.

    - Me lo saluti.

    - Non mancherò, - e infilandosi i guanti, la donna si dilegua con passo felpato.

    Davanti a quello stucchevole formalismo condominiale, Carlo sente crescere la fiducia. È sicuro che Ermanno abbia già inquadrato la banalità della situazione, senza nemmeno aprire la busta. Quel comportamento disteso glielo conferma e consacra l’attimo con muta condivisione.

    - Non preoccuparti! Darò un’occhiata appena possibile. Se del caso, manderò uno dei miei a controllare in cancelleria.

    Carlo è raggiante. Nonostante conosca l’amico a fondo, capace com’è di dissimulare una catastrofe a mo’ di un’innocua svista, a queste parole cessa del tutto di affliggersi. Dilata gli occhi per la gratitudine e sorride.

    Ermanno lo saluta e si allontana in fretta.

    ***

    Purtroppo, la quiete acquisita alla presenza di Ermanno si dimostra una compagna assai volubile. Per il resto della giornata, infatti, Carlo è oppresso dall’attesa di notizie che immancabilmente non arrivano.

    - Marica, nessun messaggio per me?

    - No, architetto.

    - Mi raccomando: se telefona l’avvocato Soprechi me lo passi immediatamente, - e, guardato l’orologio appeso sopra la centralinista, si accorge che sono quasi le quattro. Controlla il telefonino. Macché, nemmeno lì tracce di Ermanno si affligge; e per chiudere il cerchio, neanche Anna si è fatta sentire. - Certe giornate sembrano fatte apposta per ammalarti d’apprensione, - constata a mezza voce, richiudendosi nella sua stanza.

    - Ti ricordi che domani hai appuntamento con la signora Maruti? Viene per quel progetto in via Rubattino.

    - Non preoccuparti. Ho già qui il materiale per la proposta: la Maruti me la lavoro io.

    Andrea è entrato di colpo. Porta un loden verde, una sciarpa rossa, i capelli trattenuti da un elastico e a una barba fluente che gli conferiscono un’aria d’artista fuori dagli schemi. Nonché, un’età imprecisata.

    Carlo si riconosce in quello stile e prova una tale intesa che aprirsi con lui non è mai stato un problema.

    Questo pomeriggio, invece, immaginando come la moglie potrebbe detestarlo, non ha il coraggio di raccontargli nulla. Tantomeno del muro d’ansia che scala dalla mattina. Appesantito per non essersi ancora confidato con Anna, ne avverte lo sguardo indagatore. China il capo in segno di pentimento e lascia che il socio si allontani.

    ***

    Ripreso Alessandro da scuola, Carlo gli propone di fare una lunga passeggiata insieme. La testa gli pesa e l’animo è sempre più cupo. Ha l’impressione di trovarsi sperso in un quadro di Kandinsky ad annaspare tra colori luminescenti e tratti decisi all’affannosa ricerca di una via d’uscita.

    Acquista il pane e posteggia la moto in garage.

    Essersi intrattenuto con il figlio non lo ha rasserenato.

    Ripensa nervosamente alla convocazione del tribunale e, quando spalanca la porta di casa, al trillo del telefono non estrae neanche le chiavi dalla serratura. Si precipita con foga a rispondere.

    - Pronto?

    - Devi venire immediatamente. Ho estrema urgenza di parlarti.

    - Ma come faccio?, - risponde con Alessandro che gli saltella intorno.

    - Non lo so, ma devi venire. Scusa se ti chiamo a casa, ma questo è l’unico nu­mero che ho trovato. Sbrigati!

    Carlo avverte un fastidioso senso di nausea che inizia a corroderlo. Tappa la cornetta, richiama il figlio e, aguzzando l’orecchio per carpire un benigno segnale della presenza della moglie, grida:

    - Anna ci sei?

    Nessuna risposta.

    Alessandro si è placato e l’appartamento pare avvolto da una minacciosa penombra.

    Con amarezza, Carlo rigurgita tutta la sua irritazione:

    - Sono appena rientrato, diamine. Non so dove lasciare il ragazzino. Anna non è ancora tornata. Fammi almeno capire se c’è qualche possibilità che ritorni a breve. Posso richiamarti tra un quarto d’ora?

    Poi, rammentatosi che la moglie non rincaserà prima delle nove, scruta l’orologio.

    Sono soltanto le sette cazzo .

    - Assolutamente no! È indispensabile che ti precipiti.

    - Va bene. Vedo se la vicina può tenermi Alessandro e ti raggiungo. Dammi mezz’ora. Inutile chiederti di anticiparmi qualcosa al telefono, vero?

    - Inutile, - conclude secco Ermanno.

    Carlo abbassa lo sguardo verso il figlio, ma non sa bene come giustificarsi.

    - Pa’, la mamma non c’è?

    - No, tesoro: non è ancora arrivata. Da bravo, vai in camera tua a cambiarti. Vediamo se la signora Fernanda ha preparato qualcosa di buono da mangiare. Starai con lei. Io devo correre in centro. Ho promesso alla mamma che le avremmo fatto un regalo e me lo son dimenticato.

    - Un regalo?, - sottolinea Alessandro stupito. - È il suo compleanno?

    - No, ma ieri mi sono impegnato dicendole che le avrei portato qualcosa di bello. Perché tu e io le vogliamo un mare di bene. Devo mantenere la parola.

    Carlo non sa perché abbia partorito quell’idea strampalata. Se per accampare un valido motivo o per crogiolarsi nella tenerezza del proposito. L’unica cosa di cui non dubita è che Anna adora ricevere regali; e, magari, fargliene uno, l’avrebbe ammansita, pensa trasognato.

    Dopodiché, preso per mano Alessandro, controlla che svuoti lo zaino e lo aiuta a mettersi la tuta. Quei gesti consueti gli donano un umore meno torvo, illudendolo che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. Se ha taciuto la verità alla moglie è stato per non inquietarla. Al rientro, le avrebbe riferito tutto. Anzi, le sue spiegazioni sarebbero apparse ancor più esaustive, avendone discusso con un esperto.

    - Buonasera, signora. Perdoni l’intrusione. Purtroppo, mi hanno chiamato con urgenza dall’ufficio. Mia moglie non è ancora rincasata. È fuori Milano per lavoro. Sarebbe così gentile da accudirmi il ragazzino? Non dovrei averne per più di un’ora, un’ora e mezza.

    -

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