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Due uccelli: Capitoli di un'esposizione
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Due uccelli: Capitoli di un'esposizione
E-book119 pagine1 ora

Due uccelli: Capitoli di un'esposizione

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Info su questo ebook

Mi sono sempre piaciuti i dipinti di Salvador Dalì. Un quadro non è una mera rappresentazione, ma un dinamico viaggio emozionale di cui nulla si può programmare. Pensa, ad esempio, alla Tentazione di S. Antonio! Viaggio per l’artista che lo crea, viaggio per l’osservatore che lo contempla. Vedi un quadro e le tue emozioni viaggiano, torni qualche giorno dopo a vederlo e il tuo viaggio ha cambiato repentinamente programma.

Ho riportato le scene del mio Due uccelli perché credo di non saper dipingere. L’idea mi è venuta ascoltando i Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij, il quale tentò con la musica di rappresentare degli acquerelli. E siccome so di non saper suonare che da maldestro autodidatta, alla fine mi è rimasta l’unica scelta meno impossibile: rappresentare attraverso la scrittura.

Ne potresti concludere che mi reputo capace di scrivere. Ebbene, mettiamola così. Scrivendo mi sento più efficace, più soddisfatto, che non dipingendo o suonando. Non ho idea se tu sia d’accordo o meno. Io ho fatto il mio viaggio, il tuo dipende solo da te.
LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2014
ISBN9786050303773
Due uccelli: Capitoli di un'esposizione

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    Anteprima del libro

    Due uccelli - Luca Scarano

    ringraziamento

    A proposito

    Mi sono sempre piaciuti i dipinti di Salvador Dalì. Un quadro non è una mera rappresentazione, ma un dinamico viaggio emozionale di cui nulla si può programmare. Pensa, ad esempio, alla Tentazione di S. Antonio! Viaggio per l’artista che lo crea, viaggio per l’osservatore che lo contempla. Vedi un dipinto e le tue emozioni viaggiano, torni qualche giorno dopo a vederlo e il tuo viaggio ha cambiato repentinamente programma.

    Ho scelto la strada della rappresentazione scritta perché questi capitoli così sono apparsi agli occhi (del mio spirito?): come immagini. Mi rendo conto della difficoltà di leggere qualcosa che non andrebbe letto ma sentito , proprio come quando si guarda un dipinto.

    Il fatto è che non avevo una soluzione migliore.

    Ho riportato le scene del mio Due uccelli perché credo di non saper dipingere. L’idea mi è venuta ascoltando i Quadri di un’esposizione di Modest Mussorgsky, il quale tentò con la musica di rappresentare degli acquerelli. E siccome so di non saper suonare che da maldestro autodidatta, alla fine mi è rimasta l’unica scelta meno impossibile: rappresentare attraverso la scrittura.

    Ne potresti concludere che mi reputo capace di scrivere. Ebbene, mettiamola così. Scrivendo mi sento più efficace, più soddisfatto, che non dipingendo o suonando. Non ho idea se tu sia d’accordo o meno. Io ho fatto il mio viaggio, il tuo dipende solo da te.

    Ragion per cui, con questo libro non pretendo di rivelare alcunché. L e filosofie sono sufficientemente vaste e abbondantemente studiate da poter trovare chi è in grado di spiegarle, ma io non sono tra queste persone. Io sono tra di cerca di capire.

    Va bene, ti starai chiedendo, ma allora perché? Perché rappresentare tutto questo?

    Rispondo che è un po’ come per i ricercatori. Uno pensa che il ricercatore sia quello che trova la cura al male incurabile, ma non è proprio così. Quello è uno solo dei ricercatori. Ma perché lui potesse arrivare alla sua scoperta, molti altri hanno pubblicato i resoconti dei loro fallimenti, dei loro vicoli ciechi, delle loro conclusioni senza sapere a cosa esse portassero. Tutto è ricerca, anche l’ammettere di non sapere dove si sta andando o riconoscere che la direzione è sbagliata. Ecco! Per questo, ho scritto: poter dire Io sono arrivato qui! Sperando che qualcuno più bravo di me possa ripartire da questo e andare più avanti. Oltre!

    Per quanto riguarda me, dove andrò a partire da qui forse lo scriverò in futuro.

    Fara Gera d'Adda, 30 settembre 2013

    Intro: Preludi, promesse e l’airone.

    Magnifici tempi

    quando i tempi

    non passavano mai

    - Ehm...! Oh!

    Un paio di colpi di tosse che non avrebbero ingannato neanche un sordo.

    Occhi brucianti come investiti da un incendio che asfissiava e costringeva a spettacolari singulti.

    - Wilhelm! Ciao!

    È innegabile che la prima stretta di mano,

    le prime sillabe pronunciate,

    soprattutto il grado di difficoltà e la figura patetica che si sopportano nel pronunciarle,

    sostenendo uno sguardo che proprio non ti riesce di mantenere né distratto né disinteressato,

    per quanti sforzi tu faccia per far sembrare il contrario,

    tutto questo gioca un ruolo fondamentale, diremmo fatale, in quello spettacolare processo umano (umano?) che è l’innamoramento.

    Ah, certo! Si potrebbe obiettare che non sono per nulla, non sono mai sufficient i una stretta di mano e due parole stentate. Questi sono solo i primi ingredienti in una fase velocemente transitoria. In quanto a ciò, molte coppie riuscite sarebbero pronte a giurare che ci è voluto ben altro per riuscire...

    Be ne! Tutto ciò mi sembra ragionevole, ma ripeto, non si può negare che, mancando quell’attimo iniziale, nel quale sembra che subitaneamente ci si giochi tutto e nessuna regola definisce completamente il gioco, si perda la classica chiave dell’uscio dell’amore. Vero sarebbe che aprirlo, l’uscio, basta a poco perché poi ci sono stanze vuote dell’anima da scoprire e riempire. Cionondimeno bisogna anzitutto cogliere la chiave e sognare ciò che forse (forse) verrà.

    Quando Wilhelm Balestri strinse per la prima volta la mano di Eda-Livea,

    nel fugace rantolo in cui si presentò,

    nell’istante in cui la guardò senza mettere a fuoco altro che il proprio repentino istupidimento,

    maturando la consapevole sensazione di gola strozzata dalle proprie parole,

    allora capì cosa stava accadendo. Cosa sarebbe potuto accadere. Come sarebbe stato meraviglioso se tutto fosse accaduto davvero.

    Che serata era?

    Che tempo faceva?

    L’orario era quello tipico del centro città affollato e festoso.

    Strade inevitabilmente percorse da auto su più file, la copiosità di luci tonde, quadre, stellate, nelle tonalità più variegate del bianco, giallo, cremisi, arancio, indaco, decorava per ore e ore quella via lattea a portata di mano.

    Eda-Livea vestiva un po’ pesante per essere a Giugno, con quel giaccone di tela jeans che celava la bianca camicetta e chissà quali altre meraviglie.

    In quel Giugno dell’anno 2004 l’estate ufficiale della costa era stata abbondantemente anticipata da un sole caldo, le cui sfumature del rosa coloravano il mare, mentre i pesci volanti avevano già deposto le uova e iniziato a saltare sulle onde nella loro tradizionale festa prima della schiusa.

    Deve essere un tipo freddoloso, sovra-pensò Wilhelm con tenerezza ridicola.

    - Hai freddo? Le serate cominciano a riscaldarsi, però. Personalmente non amo molto il caldo eccessivo. – celiò. - Penso che d’estate non mi si concede un’adeguata libertà di scelta su come camuffarmi e vagare in incognito per le vie del mondo.

    Eda-Livea accolse divertita il suo tono scenografico.

    - Immagino si tratti del tuo stile di recitazione nel teatro della vita, nel quale peraltro costringi gli altri a fare da attori quando magari essi vorrebbero essere lasciati in pace.

    - Ah! Trovo lusinghiero che una persona evidentemente tranquilla e desiderosa di quiete come te accetti di buon grado una simile sopportazione, quella di me.

    Wilhelm rise. Rise poiché trovava di che ridere, a cominciare da sé stesso e dalla felicità che provava.

    La calda serata era resa più tropicale dal viavai di gente. Lungo l’aiola al centro del lungomare, sotto le tre palme antiche della città, le fate della costa facevano brillare scintille di sabbia, cantando in coro, cosicché i giganti potessero danzare nel loro tipico stile goffo e baldanzoso e gli uomini battere le mani a ritmo. C’era musica a ogni angolo di strada, gente che rideva, urlava, mangiava e beveva, si baciava o litigava per niente. Una leggera brezza scompigliava i capelli e i cappelli di piume.

    Wilhelm pensò di fare un inchino e invitare Eda-Livea a ballare sotto un pino marittimo. Ma poi si trattenne. In effetti non aveva mai imparato a ballare e perciò solitamente faceva ridere. E poi non ebbe l’impressione che a Eda-Livea dispiacesse starsene ferma a guardarsi intorno, perciò lasciò perdere i suoi propositi di improvvisata quanto improbabile star della costa e decise di continuare a parlare con lei.

    - Cosa fai di bello nella vita, oltre che sopportarmi per cortesia, educazione, pietà...?

    - Solitamente mi impegno per aiutare proprio le persone in difficoltà come te, ammesso che me lo lascino fare, il che non è per nulla scontato. Tu?

    - Sono uno di quelli, sì proprio quelli, che si dilettano di numeri, combinazioni di numeri e realtà dei numeri e con essi ci costruisce qualcosa di tanto in tanto.

    - Non l’avrei detto, sai. - Osservò Eda-Livea ridendo.

    - Nemmeno io. Ma se non l’avessi detto e fatto e continuato imperterrito a fare senza troppe domande, a quest’ora la mia testa starebbe volando per aria, staccata dal collo, privata di qualunque occasione per dire era meglio se stavo con la testa per aria.

    Sin dalle prime battute, tra i due si formò una coltre bianca che ovattò tutti i suoni festosi che gli giravano intorno. Minuscoli folletti vermigli si adoperavano senza sosta per trasportare la voce dell’uno verso il cuore dell’altra e poi al contrario. Cosicché nelle tre ore successive essi parlarono. Parlarono con voce appena udibile e respiri così sottili, tuttavia catturando ogni parola, cogliendo ogni inflessione dei toni.

    Sorse una luna magenta, il cui alone etereo e promettente di sonno e

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