Io amo amy
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Info su questo ebook
Una buca dantesca a più livelli, un incubo freddo, con ospiti inconsolabili di varia natura e provenienza.
E un amore, un amore assurdo, un amore psichiatrico per una fragile rockstar, Amy Winehouse, che incarna, inconsapevole e indifferente, il lato oscuro di ogni aprirsi alla vita.
STEFANO MICHELINI (Lucca 1959), psichiatra e ricercatore scientifico, ha lavorato sia in Italia che negli Stati Uniti ed è stato, tra l'altro, il primo psichiatra nello staff di una squadra di calcio di serie A (Udinese, Napoli, Reggina). Ha pubblicato racconti su prestigiose riviste (Linea d'ombra, Nuovi Argomenti) e il romanzo "Sauna" (Portofranco 2000).
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Anteprima del libro
Io amo amy - Stefano Michelini
IO AMO AMY
STEFANO MICHELINI
Soltanto le rockstar possono permettersi una vita senza maschere e rinunce, possono permettersi una vita che rispecchia ciò che realmente sono fino in fondo, fino alle estreme conseguenze.
Noi, che non siamo rockstar, ma solo pinguini in marcia, dobbiamo aggiustarci un personaggio e sbatterlo nel mondo a vivere per noi e soltanto una moderata espressione ci consente un’organizzazione della realtà rassicurante. La paura matta di noi stessi ci distingue dalle rockstar. Abbiamo una paura matta delle scelte estreme. Siamo impiegati statali dell’esistenza.
Si può obiettare che anche le rockstar abbiano maschere, ma le loro maschere sono in realtà la loro vera essenza. Le nostre maschere sono invece solo tute mimetiche da sogliola grigia. Almeno così mi sembra oggi. Nessuno ha colpe, non ci sono moralità da difendere e l’etica ostentata è la nuova carta igienica. E comunque, tutto questo non è poi così importante. Si vive come ci è dato di vivere, punto e basta.
Senza paura, io ho amato una rockstar. Nella sua luce fredda, nella mia buca umida.
Mi chiedo il significato della mia presenza proprio in questa fase. Sono qui per caso. Una di quelle maledette coincidenze. Ci sono fotografi e pompieri che si muovono coordinati. Io non so che cosa dovrei sentire. Il mio è un corpo senza vita. Un automa che cammina tra le macerie. Decollato attorno alle venti, è precipitato immediatamente. A bordo quarantanove persone. Il relitto si è incendiato, un violento incendio, domato con fatica dai vigili del fuoco del vicino aeroporto. Nelle ore successive al disastro è avvenuto il recupero dei corpi dei passeggeri e dell’equipaggio che, ricomposti in bare di legno, sono stati disposti all’interno di un hangar a pochi chilometri dal luogo dell’accaduto. Da qui ne distinguo il profilo ossessivo da arnia.
Vengo costantemente informato. [Sono un’autorità competente]. Non sanno di mia figlia a bordo. Mi dicono che, come da procedura, parti anatomiche e oggetti vari di appartenenza ignota sono stati raccolti e conservati a parte. Nevica e arrivano le prime giustificazioni scritte: – Date le pessime condizioni meteorologiche, le prime operazioni di soccorso e di recupero, sono state condotte con difficoltà e in modo tale da non favorire le successive fasi di identificazione. Per quanto riguarda la nostra unità operativa, non si è preso nota della posizione dei corpi delle vittime rispetto al velivolo, né di quelle rimaste al suo interno, né di quelle rinvenute nelle adiacenze. Unico dato ottenuto preliminarmente è stato che la maggior parte dei corpi è stata rinvenuta ancora all’interno della carlinga e tutti comunque in un’area di poche decine di metri dal relitto –. A cose normali straccerei questo referto da dilettanti. Caccerei per inefficienza il responsabile di sezione. Non faccio nulla. Annuisco. Ora sono una molla dentro una cassaforte dimenticata.
Da mesi mi occupo di ribasare le pareti della buca. Lavoriamo in tre sulla levigatura e sulla messa in piombo. Lavoriamo con le mani. L’esperienza ci fa riconoscere al tatto la profondità. Ogni livello ha i suoi parametri di umidità e temperatura. Quando sto meglio mi tolgo anche la maglietta e faccio aderire il torace nudo alla parete. All’inizio mi vergognavo. Cercavo di farlo al buio ma poi ho visto anche altri farlo, alcuni anche di schiena. Ora mi sento libero di farlo quando voglio. Dopo qualche ora, la verticale perfetta della mia parete mi ributta indietro. Questo è il momento di smettere e di cominciare a lisciare di nuovo a palmi aperti, con movimenti di piccola rotazione. Con un dito traccio righe provvisorie, piccoli solchi insensati, a volte paralleli a volte intersecati. A volte incido nella terra smossa, il profilo stilizzato di una bambina con le trecce, così come lo potrebbe disegnare un alunno di prima elementare.
Alle bare, allineate in tre file, fu assegnata una sigla, rispettivamente A, B e C e ogni bara di ciascuna fila indicata con numerazione progressiva. Mia figlia era in 3C. Io fui assegnato alla fila A. Furono organizzate tre squadre, una per fila, che iniziarono l’ispezione esterna di ciascun cadavere, per consentire l’identificazione delle