I Reietti
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Info su questo ebook
In una terribile notte, gli uomini del Governo strappano dai loro letti un ragazzo e sua sorella, e li trasportano in una fortezza isolata nel cuore della Siberia.
I due dovranno stringere nuove amicizie e le loro lealtà verranno messe alla prova mentre cercano di ritrovarsi, ma un destino tragico è in agguato nel gigantesco edificio e non sempre i legami di sangue bastano a definire una famiglia.
La trama de I reietti, un romanzo breve di Erick Hofstatter, autore dell'acclamata raccolta Moribund Tales, è un esplosivo intreccio di destini.
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Anteprima del libro
I Reietti - Erik Hofstatter
PARTE UNO
DEMYAN
ISOLAMENTO
Quando arrivarono, stavo dormendo. Erano in due, armati di kalashnikov e con indosso delle tute antiradiazioni. Uno di loro mi prese per i capelli e mi trascinò giù dal letto caldo,non avrei mai più dormito su un soffice materasso. L'altro uomo mi puntò il mitra in faccia prima di girarlo e colpirmi con il calcio dell'arma, facendomi svenire.
Mi svegliai tremando, sul freddo del cemento. Nonostante la vista offuscata, riuscii a distinguere una sagoma nell'angolo più lontano: la silhouette di un corpo umano, piccola, immobile e irrigidita. Cercai di alzarmi in piedi, ma le mie deboli gambe cedettero, e crollai di nuovo sul cemento sudicio.
Senza fiato, rimasi in quella posizione ed osservai ciò che mi circondava. Pareti grigie e spoglie, con crepe che variavano in spessore, da quello di un capello a vere e proprie fenditure, e si dispiegavano attorno a me come una mappa anatomica del sistema venoso.
L'aria era umida e stantia. L'unica fonte di luce era una finestrella sbarrata almeno sei metri sopra di me, impossibile da raggiungere. Un paio di pagliericci erano allineati su due pareti opposte.
Mi strofinai i piedi dolenti e notai un piccolo foro nel mezzo del pavimento. Non c'era nulla che somigliasse ad un water, e conclusi che quella doveva essere la mia latrina. Il corpo nell'angolo si mosse improvvisamente. Trasalii e mi trascinai lontano fino a che toccai una parete con la schiena. Il volto era ricoperto da una lunga chioma nera.
«Urgh... Demyan?»
Riconobbi immediatamente la voce e mi trascinai verso di lei. Sollevai e strinsi tra le braccia il suo fragile corpo, scostandole i capelli dal volto.
«Akilina, sei viva.» le sussurrai dolcemente
Le guardai il volto a lungo. Akilina aveva ancora un occhio chiuso, l'altro... non c'era. Sulla sua fronte deforme c'era un gigantesco bernoccolo, che sporgeva come il corno di un rinoceronte. Lacrime di gioia mi scorrevano sul volto. Ringraziai il cielo che a condividere la cella con me ci fosse mia sorella.
Akilina restava tra le mie braccia, apatica. Raccogliendo tutta la mia forza mi alzai, mi misi a camminare come se stessi trasportando un'incudine sulle sabbie mobili, e sistemai il suo fragile corpo su uno dei pagliericci. Per qualche minuto le braccia e le gambe mi tremarono per la fatica.
Mentre lei dormiva, esaminai le pareti. Cercai dei messaggi lasciati da chi aveva occupato la stanza in precedenza, ma non trovai nulla. La porta della cella non si mosse nemmeno quando la spinsi con tutta la forza che avevo.
Per un istante considerai l'ipotesi di usare la latrina, ma era troppo stretta per entrambi. Eravamo in trappola.
UNA VOCE
Il giorno seguente trovai sul pavimento due ciotole di porridge e un paio di bicchieri d'acqua. Stranamente, non avevo sentito entrare nessuno. Probabilmente lo shock del rapimento non aveva lasciato indenne il mio corpo. Mangiai come una bestia famelica e imboccai lentamente Akilina, che era ancora debole e sotto shock. Sulla sua enorme fronte si erano formate gocce di sudore, chiaro segno che aveva la febbre. Le accarezzai i riccioli neri e la lasciai dormire in pace, poi cominciai a camminare su e giù per la cella buia, sperando che un piano di fuga mi si formasse nella mente.
Ero nato con una malformazione all'anca che mi rendeva impossibile correre. La catastrofe era avvenuta più di diciassette anni prima. La mamma ne parlava spesso e ricordava come avesse ucciso mio padre, ai geni del quale dava la colpa delle nostre deformità.
«Avrei dovuto abortirvi entrambi.» mi diceva spesso.
Ma non ero arrabbiato con lei. Io stesso mi sarei abortito se ne avessi avuto la possibilità. Ero sempre stato diverso, non per le mie malformazioni fisiche, ma perché vedevo il mondo in maniera differente da chiunque conoscessi.
Sapevo di avere un aspetto grottesco, ma almeno avevo il dono dell'intelligenza. Il mio cervello funzionava meglio di quelli degli altri bambini nati dopo le radiazioni.
La mamma spesso ci spaventava con storie sul governo che raccoglieva i bambini disobbedienti e li chiudeva in un manicomio nascosto nel profondo delle regioni più isolate della Siberia, quindi ci comportavamo sempre bene.
Continuai a camminare avanti e indietro. Come avremmo mai potuto scappare? Non sapevo nemmeno dove fossimo! Non avevo parenti, a parte mia madre e mia sorella, che erano entrambe state catturate e rinchiuse in quel posto infernale.
Akilina si mosse e gemette piano. Mi inginocchiai a fianco a lei e le toccai la fronte. La febbre stava aumentando velocemente. Cosa potevo fare per farla scendere? Improvvisamente udii un suono metallico, una chiave che girava. Arrivarono due uomini con indosso delle tute, come la notte in cui eravamo stati rapiti. Abbracciai mia sorella per proteggerla, ma uno dei due mi prese a calci senza pietà e mi fece volare attraverso la cella.
L'altro uomo