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Il Custode Senza Nome
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E-book254 pagine3 ore

Il Custode Senza Nome

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Info su questo ebook

La storia tratta di un giovane venuto a sacrificarsi per salvare la vita di uno sconosciuto. Il suo spirito si risveglierà nella Dimensione di Mezzo, una realtà a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Lì sarà segnato da una missione: trovare l'umano suo protetto e difenderlo dai maligni, presenze oscure in grado di manipolare la realtà affinché le loro uccisioni appaiano eventi casuali. Il custode si troverà impegnato in un'ardua lotta, volta alla difesa di un'anima che risulterà la più rara fra tutte. Urban fantasy dove il finale si sviluppa all'interno di un evento realmente accaduto e che ha cambiato per sempre il mondo come noi lo conosciamo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2023
ISBN9791221472592
Il Custode Senza Nome

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    Anteprima del libro

    Il Custode Senza Nome - Filippo Samorè

    I

    Sapete una cosa? Morire fa veramente schifo. All’inizio si percepisce un improvviso sbalzo nella pressione interna del corpo, capace di distorcere la percezione della realtà. Per un attimo ci si ritrova dispersi in una dimensione aliena, dove ogni legge fisica risulta alterata. Vorreste muovervi, ma il cervello viene bombardato da una quantità tale di impulsi da annichilire ogni muscolo del corpo. Gli occhi si muovono all’impazzata, nell’inutile ricerca di un punto di riferimento. Gli spasmi accrescono la loro violenza, scariche elettriche rimbalzano dalla testa ai piedi. Alla fine sopraggiunge un mancamento generale. Gli arti congelano mentre i sensi si affievoliscono. A quel punto non rimangono che lacrime e un’agghiacciante rassegnazione. La cosa peggiore è che la relatività temporale prolunga la percezione di queste sensazioni. È come se l’universo volesse imprimerti quest’attimo nella memoria. Sembra impossibile, ma il tempo in questione è sufficiente a farti ricordare la tua intera vita e, soprattutto, il modo in cui l’hai condotta. Ti chiedi se sia stato giusto per te un simile epilogo, ti domandi se te lo sia meritato, oppure se potevi evitarlo. Purtroppo, neanche la morte ti libera da questi quesiti, ne rimane un’impronta indelebile da qualche parte, forse nell’anima, forse altrove. Come faccio a conoscere in modo tanto dettagliato il fatidico momento in cui si dice addio al mondo? Ebbene lo so, perché io sono morto.

    Non chiedetemi se ho visto il tunnel luminoso o qualche azzimato angelo comparire dal nulla per guidarmi nel regno dei cieli. Non ho visto niente e, anche ammesso che qualcosa esistesse, non vi è stato alcun comitato di benvenuto. Ero solo un ragazzo qualunque, privo di tutto quello che la società del mio tempo amava idolatrare: la raggiante virtù. Non eccellevo a scuola, tanto meno negli sport. Alcuni sostenevano che avessi il dono dell’invisibilità, per tale ragione mi ero guadagnato il soprannome di Ghost. Non ho mai perso troppo tempo ad appurare questa mia capacità, non ero interessato a quello che la gente pensava di me. Ero semplicemente giovane, contorto quanto solo una persona priva di equilibrio poteva essere. Ciò mi portava ad avere interessi disparati, senza tuttavia terminare mai niente di ciò che avessi incominciato. E la cosa più triste è che non avevo avuto ancora il tempo di innamorarmi, o perlomeno, di ricevere un ricambio in questo senso. È impressionante la quantità di consapevolezza che si ottiene nel momento in cui si trascende da sé stessi. Riguardo a me non ho molto altro da dire, del resto è difficile trattenere i ricordi della vita passata. Una volta perduti sareste disposti a tutto pur di riaverli. Occorre tenerseli stretti, perché ogni giorno che trascorri da morto, perdi qualcosa che ricordavi da vivo. Tutto si offusca, la sensazione è la stessa di chi è chiamato a concentrarsi da ubriaco. La realtà è che, a parte l’anima, non vi è niente che tu possa portare con te oltre la morte. Questo ti priva di ogni calore, ti fa sentire al pari di un oggetto inanimato che ti affianca tutte le mattine, al tuo risveglio. Credetemi, la sensazione non è piacevole.

    E pensare quel maledetto giorno non dovevo neanche essere lì. Se fossi rimasto a casa non avrei visto quell’auto impazzita dirigersi verso quel senzatetto. Di solito nei film la gente si sacrifica per bambini innocenti o per ragazze la cui avvenenza spinge al più estremo dei gesti. Io invece no. Mi sono preso un’automobile in faccia per salvare un barbone che molto probabilmente sarebbe morto di stenti il giorno successivo. L’ironia della cosa poi è che non so nemmeno se sia riuscito a salvarlo. Ad ogni modo tanto è avvenuto e tanto devo accettare. La mia vita passata ormai non è altro che il riflesso sfocato di uno specchio, preda del vapore generato all’interno di un bagno.

    In seguito all’incidente mi risvegliai in un letto di ospedale, ovviamente, ignaro di tutto. I miei vestiti non presentavano alcuna traccia di quanto mi era accaduto, così come anche il mio corpo. L’unica cosa che mi stupì fu il fatto di essere scalzo e di non percepire alcuna sensazione di freddo. Sembrava strano, ma non ero neanche in affanno. Era come se mi fossi risvegliato da una dormita pomeridiana, quando i vestiti ti si stringono addosso e gli occhi stentano a riaprirsi. Non provavo alcun dolore. Neanche la spalla destra, infortunata un mese prima durante una rovinosa caduta a scuola, mi tormentava con le sue fitte. Non sapevo spiegarmelo, ma percepivo un qualche tipo di disconnessione tra me e l’ambiente attorno. Mi fissavo le braccia allo stesso modo di chi osserva gli arti di un’altra persona. Ciò mi inquietò più di ogni altra cosa. Colto da riflessioni contrastanti alzai lo sguardo: squadre di infermieri trasportavano in barella un individuo ricoperto di sangue. Non mi curai di lui. Ciò che mi spinse a parlare fu la sconfortante mancanza di input provenienti dall’esterno. C’era tanto sangue, allora perché non ne percepivo l’odore? Davanti a me lo sconosciuto era in fin di vita, come potevo rimanerne così distaccato? Lo fissavo senza alcuna sorpresa, quasi fossi già a conoscenza dell’inevitabile fine a cui fosse destinato. Al mio appello tuttavia non seguì alcuna risposta, a nulla servirono i richiami successivi. Il pensiero di non sentirmi realmente presente in quella stanza mi fece quasi impazzire. Mi guardai le mani, perfettamente ferme. In una tale circostanza mi sarei aspettato di vederle perlomeno tremare. Neanche il sudore comparve a testimoniare il mio stato d’animo. Mi chiesi che cosa stesse succedendo almeno un centinaio di volte. Mi sentivo soffocare al pensiero che il mio corpo presentasse quella funzionalità quasi innaturale, più ci pensavo e più mi agitavo. Pensai di trovarmi in un incubo, ma di solito ci si sveglia dopo esserne divenuti consapevoli. Di colpo indietreggiai. Ricordo la violenza con la quale scuotevo il capo, prima di accorgermi che avevo attraversato la parete. Mi trovavo in un corridoio trafficato, la gente attraversava la mia immagine allo stesso modo in cui si perfora una sagoma di fumo. Ad ogni contatto provavo la stessa sensazione che si ha quando ci si immerge in una piscina nei mesi freddi. Avrei voluto svenire, sospendere in qualche modo quello spettacolo terrificante che mi si presentava innanzi agli occhi. E invece tutto continuava a ripetersi, senza sosta. Preso dallo sconforto cominciai a correre cadendo a più riprese sul pavimento. Doveva essere un incubo, non vi era altra spiegazione, perciò mi schiaffeggiai nella speranza di svegliarmi. Dentro di me sapevo che era inutile. E così fu. Tentai di appoggiarmi a qualcosa per rialzarmi, ma rimasi sconvolto quando capii di non poter toccare gli oggetti materiali. Con fatica strisciai verso un angolo del corridoio non calpestato dalla moltitudine di persone. Mi rannicchiai, confortato dall’oscurità nel mio guscio provai a piangere, senza riuscirvi.

    Fu allora che la udii.

    Una risata, tra le più infide, la stessa di chi gioisce innanzi alle difficoltà di un perfetto sconosciuto. Non ricordo come feci a distinguerla in quel passaggio caotico, forse si trattava dell’unico suono presente sulla mia stessa lunghezza d’onda. Restava il fatto che quando alzai lo sguardo vidi un uomo avvolto in un impermeabile in parte stracciato e chiazzato fino a distorcerne il colore. Rideva. Dal profilo delle labbra violacee mostrava una serie di denti ingialliti. I suoi occhi erano sporgenti, contribuivano a rendergli l’espressione pari a quella di un folle. Non avrei mai voluto incrociare un’immagine tanto putrida, ma il fatto che anch’egli fosse scalzo mi spinse ad approfondire la questione. Inoltre, pareva l’unico in grado di vedermi.

    «Siete troppo divertenti!» gracchiò lui puntando il dito verso di me.

    Subito non risposi, mi guardai attorno prima di riuscire ad alzarmi. Con la schiena rimasi aderente alla parete, per non essere attraversato dagli infermieri di passaggio.

    «S…siamo ridicoli?» ripetei senza pensare.

    «Già, voi neo trapassati. Vi muovete come burattini governati da un ubriaco, mi fate morire dal ridere!». A quelle parole balbettai qualcosa di incomprensibile. «Non dirmi che non ci sei ancora arrivato!» mi incalzò «Assenza di calore? Acuto senso di estraneità? Attraversamento di cose e persone? Non ti suggerisce niente?».

    Rimasi in silenzio per alcuni minuti durante i quali non riuscii neanche a sbattere le palpebre. Il fatto che gli occhi non mi dolessero dava fondamento alla terribile prospettiva che mi ero figurato.

    «S…sono morto?» domandai in un sussurro strozzato.

    «Finalmente! Benvenuto nella tetra Dimensione di Mezzo amico mio. Vedrai, non ti ci abituerai mai» sghignazzò.

    «Dimensione di Mezzo?» gli feci eco, senza capire. «Si capisce! Ti sembra forse l’aldilà questo? Se la tua anima è rimasta in questa fogna di realtà, assieme a tutti quelli che condividevano i tuoi passi da vivi, è perché sei divenuto un Custode».

    Continuai a balbettare in evidente stato confusionale. L’estraneo si avvicinò, incurante della gente che gli attraversava il corpo.

    «Ascoltami» disse con tono più serio, quasi raddolcito «Non sono tenuto a rivelartelo, ma molto tempo fa qualcun altro lo fece con me e mi fu d’aiuto. Perciò preparati, non te lo ripeterò una seconda volta. Io non so da dove vieni e cosa ti abbia privato della vita, ma sta di fatto che ora ti trovi nella Dimensione di Mezzo, il piano che giace tra due mondi opposti tra loro. Ciò che devi fare ora è trovare il tuo Protetto. Se sei comparso qui significa che è nelle vicinanze, da qualche parte». «Siamo…siamo angeli custodi?» gli chiesi forzando ogni singola parola.

    «Non siamo angeli custodi, non siamo neanche angeli normali. Non siamo niente di maestoso o elegante. Solo anime perdute alle quali, per qualche motivo, è stato affidato il compito di proteggere gli umani che ancora solcano il mondo dei vivi».

    Seguì la mia ennesima espressione vuota. Solo allora il mio pensiero volse ai miei cari e quasi mi accorsi di ricordare a fatica i loro volti. Che cosa ne sarebbe stato di loro? Quale atroce dolore avrebbe causato la notizia della mia scomparsa nei loro animi? Mi sorprese il fatto di provare un misto di dolore e curiosità di fronte all’eventuale risposta.

    Infastidito dalla mia poca lucidità l’uomo mi afferrò per le spalle e mi scosse con violenza.

    «Devi ascoltarmi! So che è difficile, ma devi lasciare ciò che hai amato in vita, ormai non ti appartiene più. Da qui in avanti verrai assalito da mille dubbi, da mille incertezze. Devi riuscire a non dare loro peso o verrai schiacciato sotto ad un macigno di paure. Io lo so, ci sono già passato. Trova il tuo Protetto al più presto, è la tua unica speranza di salvezza».

    «Co…come faccio a trovarlo?» gli domandai con voce spezzata.

    «Non c’è una regola particolare, il contatto si attiverà una volta che avrai incrociato il suo sguardo, non devi fare altro. Per quanto riguarda la tua nuova vita non cercare di assumere del cibo o un qualsiasi tipo di bevanda, anche se senti di bramarle con tutte le tue forze. Sei morto, non hai più alcun bisogno di sostentamento, gli impulsi che proverai non saranno altro che reminiscenze dei bisogni che ti affliggevano da vivo. Non assecondarli! Il tuo destino ora è legato esclusivamente al compito di protettore».

    Io annuii con espressione vuota. Non riuscivo a trattenere tutte quelle informazioni, mi sentivo uno studente incapace di memorizzare le parole contenute in un intero libro di testo.

    «Adesso non ho tempo per spiegarti tutto, è giusto che impari la maggior parte delle cose da solo, come ho fatto io. Ciò che devi sempre tenere a mente però è la regola base di ogni Custode. Ognuno di noi figura come uno spettro estraneo alla realtà dei vivi, perciò, come hai già potuto constatare, di base non possiamo toccare la materia che ci circonda. È il nostro legame con il protetto a darci questa capacità. Più forte è la connessione che ci lega, maggiore sarà il tuo potere di interagire con gli oggetti fisici».

    Io dondolavo, l’impossibilità di piangere era l’unico pensiero che faceva breccia nella mia mente.

    «Presta attenzione! Ascoltami!» mi gridò l’uomo «Il fatto che niente ti possa toccare non significa che tu qui sia al sicuro. Ci sono dei pericoli per quelli come noi».

    «Che tipo di pericoli?».

    «Entità maligne, demoni, chiamali come vuoi. Si aggirano nella Dimensione di Mezzo alterando la materia e modificando il moto dei corpi in movimento».

    «E perché lo fanno?».

    «Per uccidere e per cos’altro altrimenti? Loro dispongono dei nostri stessi poteri, ma anziché proteggere li usano per privare le persone della vita. Ogni qual volta hai visto un incidente o una mera fatalità che ha portato alla morte di qualcuno, dietro c’è sempre stata l’azione di un maligno. Ce ne sono di diversi tipi, se sei fortunato avrai a che fare solo con quelli più deboli. Ma fa attenzione, non vanno comunque sottovalutati. Tra loro vige una sorta di gerarchia, alla base della quale vi è un’unica costante. Più è potente il maligno maggiore è la complessità della sua trama mortale. Spesso i Custodi riescono a sventare gli attentati che vengono posti ai danni dei loro Protetti, modificando la trappola messa in atto dal nemico. Basta anche solo alterare un tassello della loro macchina di morte per mandare a vuoto il tentativo».

    «Tu quanti ne hai visti di questi esseri?» domandai sconvolto.

    «Oltre ai Manipolatori, che sono i più deboli e comuni, ho avuto a che fare con i Costrittori. Sono molto pericolosi, hanno una maggiore capacità di interagire con la materia e se ti toccano possono imprigionare la tua anima. Fortunatamente ne ho incontrato solo uno e ti auguro che non ti accada lo stesso».

    Non so perché, ma al termine di quella spiegazione mi spuntò un sorriso quasi beffardo in volto.

    «Non ti verrà voglia di ridere quando li avrai davanti, te lo posso assicurare. Adesso va! Va alla ricerca del tuo Protetto, o la tua avventura qui finirà ancor prima di incominciare» concluse allontanandosi. «Aspetta, come ti chiami?».

    Si volse lentamente.

    «Nessuno di noi ricorda il nome che aveva quando era in vita. Pertanto tutti i Custodi se ne attribuiscono uno fittizio. Il mio è Gairan. Ora va, non puoi permetterti di perdere altro tempo!». Cominciai ad incamminarmi lungo il corridoio, in pieno stato confusionale. Cercavo in tutti i modi di ricordare il mio nome, invano. Preso dalla disperazione mi voltai indietro dopo aver compiuto neanche una ventina di metri, ma di Gairan non vi era più alcuna traccia. Arrivai addirittura a dubitare di averlo incontrato e a considerarlo come un fantasma partorito dalla mia stessa immaginazione. Ciò che mi aveva raccontato però continuava a rimbalzarmi nella testa, creando un assordante fluire di pensieri discordanti. Non mi capacitavo di quanto mi fosse successo, ancor meno comprendevo il motivo per il quale fossi stato scelto come Custode di qualcuno. A stento riuscivo ad avere cura di me stesso, com’era possibile che una simile responsabilità mi gravasse sulle spalle? Passo dopo passo formulai una serie di domande alle quali tuttavia non avrei avuto risposta senza l’aiuto di Gairan. Tentai di incrociare gli sguardi di chi mi sfilava nel corridoio, nell’inutile tentativo di incrociare un altro Custode. Nel frattempo le porte del reparto dove mi trovavo continuavano a susseguirsi. Anche se di malavoglia, decisi di entrare in ogni stanza per prendere visione delle persone che l’occupavano. Mi trovavo in un ospedale, ciò mi fece pensare che il mio Protetto fosse un dottore o qualcuno che vi lavorava. Fortunatamente la gelida sensazione che provavo ad ogni contatto con gli altri poteva essere evitata con facilità. Ciò che invece non riuscivo a metabolizzare era la totale assenza di attenzione da parte di chi mi stava attorno. Era come guardare un film avendo la possibilità di figurare fisicamente all’interno della pellicola. La sensazione non mi dava alcuna pace, al pari di un individuo al tuo fianco che continua a sussurrarti che sei morto. In tali condizioni mi risultava difficile persino concentrarmi sulla mia ricerca. Mi sforzai cercando di prefigurare le terribili pene a cui sarei andato incontro in caso di fallimento.

    La perlustrazione di quel piano dell’edificio mi richiese quasi tutto il giorno. Nonostante sapessi di poter attraversare le pareti, l’abitudine mi portava ad attendere che l’ingresso alle stanze fosse libero per varcarne la soglia. La vita che mi scorreva accanto non mi era mai apparsa tanto frenetica quanto allora. Avevo l’impressione di muovermi al rallentatore, o forse lo pensavo perché analizzavo la vita dei vivi da una prospettiva differente. Con una certa costanza cercavo di scrutare negli occhi di tutte le persone che mi passavano accanto.

    Niente.

    Ad un tratto mi sovvenne l’idea di guardare al di fuori di una finestra, per capire dove mi trovassi. All’esterno alti palazzi di vetro e un traffico congestionato attirarono fin da subito la mia attenzione. Sembrava una grande metropoli, anche se non credevo di averla mai vista prima. Fu allora che mi resi conto di non ricordare alcun nome di città, nemmeno la mia natale. Non solo, ma anche tutto quello che conoscevo era già svanito: i volti dei miei genitori, dei miei amici, stavo perdendo ogni contatto. Mi misi le mani nei capelli per evitare che le ultime memorie mi abbandonassero. Strinsi con forza, altrettanto fecero le palpebre sugli occhi. Non volevo dimenticare coloro che mi volevano bene. Purtroppo però ogni mio sforzo risultava vano, con le mani serravo un guscio vuoto, etereo. Mi ero ridotto ad un inutile essere dotato di emozioni che poggiavano sul nulla. Abbassai il capo, colto da un’amarezza senza fine. Non avrei mai pensato che la mancanza delle lacrime mi sarebbe mancata a tal punto.

    Alla fine la luce arancione del tramonto mi distolse dallo sconforto dilagante. La visione dei raggi morenti che rimbalzavano sulle vetrate dei grattacieli non mi trasferì altro che una profonda malinconia. Nei marciapiedi fiumi di persone si muovevano tra le luci dei negozi e i clamori del traffico crescente. L’idea che il mondo intero proseguisse senza risentire della mia mancanza mi fece sentire ancora più solo di quanto già non fossi. Alle mie spalle il bianco asettico delle pareti si tinse dei colori caldi provenienti dall’esterno. La luce del sole in procinto di scomparire tra gli edifici penetrava dalle vetrate laterali, senza che io ne percepissi il calore. Era una sensazione strana, alienante.

    Decisi di scendere ai piani inferiori, per continuare la ricerca. Mano a mano che la notte incombeva, le tenebre facevano altrettanto, a poco serviva l’illuminazione interna degli ambienti. Da vivo il mondo non si presentava così cupo e tetro. Cominciai a provare timore verso ciò che poteva annidarsi nell’oscurità. Compresi che a prescindere dal livello di esistenza, le tenebre mantenevano sempre lo stesso ruolo.

    I due piani sottostanti si rivelarono un buco nell’acqua. Erano reparti diversi, caratterizzati da una grande eterogeneità di persone. Anche lì non accadde niente di quanto mi era stato preannunciato. Cominciai a temere che Gairan non fosse reale, perlomeno che non appartenesse alla stessa dimensione in cui mi trovavo io. Per quanto ne sapevo non esisteva alcun Protetto o legame che mi accomunasse ad esso. Magari era tutto frutto di un sogno tremendamente reale, presto mi sarei svegliato e avrei continuato la mia vita di tutti i giorni.

    Preso da altri pensieri mi avvicinai ancora una volta ad una finestra che dava sulla strada trafficata, circa cinque piani più in basso. All’improvviso scorsi qualcosa spostarsi nel tetto di un edificio situato sul lato opposto. Era una sagoma scura, informe, si muoveva in modo scomposto. Assottigliai lo sguardo per mettere meglio a fuoco. Non credetti ai miei occhi quando vidi quell’essere procedere a quattro zampe, con arti lunghi e rinsecchiti, privi di alcun indumento. A parte una bocca animalesca, la testa non presentava alcuna connotazione umana: era liscia, priva di occhi e capelli. Sebbene non avessi mai visto nulla di simile prima di allora fui portato ad affermare che si trattasse di un maligno. Me lo sentivo, anzi ne ero certo. Provai un terrore indefinibile ad osservarne le fattezze da incubo. Lo spiai avanzare come un ragno sul tetto della costruzione. Per mia fortuna non si accorse di me e proseguì per la sua strada sospinto da evidenti atteggiamenti predatori. Non

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