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Park In Son
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E-book68 pagine50 minuti

Park In Son

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Info su questo ebook

Alcune parti di questa nostra vita, così misteriosa, ce le portiamo dentro da quando nasciamo e definiscono chi siamo. Altre, invece, ce le ritroviamo addosso strada facendo, senza sapere come ci sono finite e ancor meno perché. Queste ultime e la nostra reazione ad esse mostrano agli altri, ma soprattutto a noi stessi, di che pasta siamo fatti veramente. L’opera di Francesco Mauro è un intimo e toccante ritratto di chi non ha avuto scelta se non quella di guardare in faccia la realtà, con i suoi raggi di sole e le sue brutture, e tirarne le somme. Nella sua opera, seguiamo tanto il protagonista quanto la malattia che lo affligge, i passi e le considerazioni che ci si trova a fare quando di opzioni ne rimangono poche. Attraverso un’attenta autoanalisi, condotta con occhio critico ed obiettivo, l’autore ci porta a seguire lo srotolarsi della vicenda descritta per scoprire, in queste pagine, uno specchio nel quale scorgere noi stessi, nell’intento di gestire l’immane carico che la malattia porta con sé.

Francesco Mauro è lo pseudonimo dell’autore, nato a Sacile (PN), città in cui tuttora risiede. Park in son è la sua prima opera narrativa.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2018
ISBN9788855081085
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    Anteprima del libro

    Park In Son - Francesco Mauro

    Waters)

    Prefazione

    È un racconto di carattere introspettivo, molto intenso, incentrato su molteplici temi: primi fra tutti, la malattia, già richiamata dal titolo, e coprotagonista essa stessa, e la salute, in stretta interdipendenza con gli affetti familiari, l’amicizia, l’amore e l’equilibrio sentimentale.

    Il protagonista, con lucida ed impietosa analisi della propria psiche, dell’intimo rapporto tra sé e la malattia, mette in luce diverse dinamiche: i suoi problemi esistenziali, esplorati attraverso le vicende personali e la complessa, tormentata vita di relazione, in primo luogo, nella sfera familiare ed affettiva, in cui si radicano il proprio malessere e le proprie insicurezze.

    Lungo lo svolgersi della narrazione, serrata e coinvolgente, affiorano frequenti flashback e riflessioni del protagonista, sempre alla ricerca del senso profondo dell’esistenza, attraverso i dubbi della coscienza, i rovelli dell’anima, l’anelito ai valori autentici della vita. L’autore, dunque, punta il faro su vari aspetti della realtà, evidenziati con un’ottica rigorosa, con un occhio critico rivolto alle umane debolezze e fragilità e alla superficialità dei comportamenti; ma anche con un tono umoristico, con l’autoironia del protagonista, che stempera, in vari punti, la tensione emotiva del suo pregnante raccontarsi.

    Marilena Parro Marconi

    CAPITOLO I

    PARKINSON

    L’uomo è rosso. Alza le braccia e le sue mani sono rosse. Anche il viso della donna è rosso. Non ha saputo difendersi né difendermi, e con fatica mi ha partorito. Io sono Mauro, e ho una malattia che conosco ancora poco, e non soltanto io. Sono a letto, soffoco, e sono rosso.

    Non vorrei ancora dirlo, ma siccome sono passati dieci anni dalla diagnosi e dieci specialisti l’hanno confermato... devo ammetterlo: ho la patologia... il morbo... la sindrome... la malattia di Parkinson. Ecco, sono riuscito a pronunciare questa terribile parola, una verità che pesa nel mio animo, anche se la mia mente non vorrebbe mai crederci e desidererebbe sicuramente rinunciare alle 8-10 pastiglie al giorno, che tengono un po’ controllata la malattia.

    A riconoscerla, ancora agli inizi dell’Ottocento, attraverso la descrizione di molti suoi sintomi, fu quel signore dallo strano nome che si potrebbe tradurre: parcheggiata-nel-figlio, come fosse un cattivo presagio, che fa riferimento a una possibile ereditarietà. Indubbiamente, assieme alle malattie del mondo, doveva nascere l’uomo in grado di scoprirle e di curarle, anche se per questa non c’è ancora la guarigione. Colei che mi guarda attonita è Giulia e ci conosciamo bene da vent’anni...

    Le sussurro con voce fioca: È meglio che tu vada, non ti ho mai vista così (rossa), neanche a causa del tuo nuovo impegno in politica, che hai assunto per colmare il vuoto dovuto alla consapevolezza della mia malattia.

    I miei non ci sono, come al solito. All’inizio del racconto li ho soltanto immaginati. E ripenso alle punizioni e ai rigori subiti assieme a mia madre, assegnati da un arbitrio diabolico.

    Arbitrio non arbitro. È un argomento interessante, che mi distrae un po’ dal caldo che mi agita, come se non bastasse, in questa stanza d’ospedale. Ogni volta che sto male mi vengono in mente temi importanti: lo scopo della vita e il significato della morte, le religioni, le disuguaglianze tra le persone, l’amore gioia e dolore, un fine vita dignitoso e non doloroso, e il libero arbitrio. Il libero arbitrio è un concetto filosofico e teologico, secondo il quale ogni persona è libera di scegliere autonomamente gli scopi del proprio agire, tramite la propria volontà. Nel senso che la sua possibilità di scelta è liberamente determinata. Chi avesse dei vaghi ricordi scolastici, e mi ci metto assieme anch’io, forse avrà bisogno di aprire l’enciclopedia (per molti oggi si chiama internet).

    Credo di trovarmi qui per una complicanza della malattia, o un’altra a sé stante. Questo mi hanno riferito. Sento un battito di mani, e, quando apro un po’ gli occhi, intravedo un’infermiera che grida: Visite, l’ora è finita. A volte siamo soltanto cose, numeri, visite e magari sgradite (non solo dalle infermiere). Il vociare attorno a me cala improvvisamente. Ho appena il tempo di scoprirmi un po’ che la donna, con un gesto automatico, mi ricopre, guardando già verso la finestra e aprendola appena appena. Vicino a me non c’è più neanche Giulia, ma credo mi abbia salutato.

    Sento che ho la bocca un po’

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