È questa la fine?
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Anteprima del libro
È questa la fine? - Erika Marconato
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È questa la fine?
Erika Marconato
È questa la fine? Voglio dire una lama ti colpisce mentre te ne stai per i fatti tuoi ed è immediatamente finita?
È questa la fine? Cazzo, maledetta tu e il tuo spray al peperoncino: per schivarlo ho sbattuto la testa e mi sa che non va bene per niente.
Mi sento tradita: ho sempre amato questa città. Il Duomo con la sua piazzetta piena di adolescenti; piazza Capitaniato e le sue panchine tranquille (in più, quando sei fortunato, la deliziosa bancarella dei libri usati); il Portello, zona di ingegneri e psicologhe. Perché è successo a me? Perché io?
A me questa città ha sempre fatto vomitare: ci sono finito per caso, dopo aver sognato il Bo. Mi ha colpito sognare quell’università del cavolo. All’inizio, non sapevo nemmeno che fosse un ateneo. Non l’avevo mai visto, neanche in foto, ne sono più che certo, anche se a questo punto non sono sicuro di nulla. Solo del nome che mi hanno detto essere il mio: Andrea. Tutti però mi conoscono come Sker. All’inizio era Scherzotto, a dire il vero, uno stupido retaggio delle medie. È diventato Sker quando ho cominciato a voler far perdere le mie tracce: nessuno riesce a risalire a te se ti fai chiamare Sker; se dormi sotto un ponte pieno di graffiti o sul divano di qualche studente se gira bene; se non hai niente, a parte il tuo orgoglio e degli strani sogni su posti che non hai mai visto.
Sker adesso mi piace, non che abbia molto senso visto che la culona mi ha fatto ammazzare. Quando l’ho tirato fuori da ricordi nebbiosi di quella che credevo fosse la mia vita, invece, l’ho odiato. E mi sono detestato per non aver saputo tirare fuori di meglio. Ero sotto pressione, uno sgherro voleva farmela vedere brutta, maccheccazzo qualcosa di meglio lo potevo tirare fuori.
Padova, invece, continuo a odiarla. Sono arrivato in stazione tre anni fa, dopo aver scoperto in biblioteca cos’era quello strano palazzo che avevo sognato sei anni prima. Di solito i sogni ce li dimentichiamo al mattino. Questo no. Era come se fosse tatuato nella mia mente. Come una sirena che mi chiamava. Chissà perché poi.
Io sono nato e cresciuto a Roma. Quando ancora mi chiamavo Andrea, ero un romano qualsiasi: forte accento, burino e leggermente sbruffone. Le cose sono cambiate quando i miei mi hanno detto QUELLA cosa: adottato. Sticazzi. Poi quello stupido sogno. Ho cominciato a inseguirlo, vivendo per strada, e adesso non so più una sega di niente: le cose sono confuse – e non solo per la botta in testa. Speravo di