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UB Underground
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E-book97 pagine51 minuti

UB Underground

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Info su questo ebook

Ulaanbaatar, l'inquinata e caotica capitale della Mongolia che gli abitanti chiamano amichevolmente UB. Nergui è un perdigiorno che deve molti soldi a Gestapo, l'usuraio del quartiere. Dopo l'ennesimo tentativo di farla franca, Nergui verrà mutilato e costretto ad abbandonare il quartiere e ad andare a vivere nel sottosuolo, insieme a centinaia di altri disperati. Inizierà così per Nergui un viaggio negli inferi della metropoli asiatica, fra espedienti, furti, abuso di droghe e la difficile ricerca di un riscatto per riguadagnarsi l'amore di Saran.

Il libro include 34 scatti tratti dal reportage fotografico che ha ispirato questo romanzo
"-40/96 Ulaanbaatar" di Mikel Aristregi.

++ Il libro contiene contenuti poco adatti ad un pubblico sensibile ++
LinguaItaliano
EditoreKoi Press
Data di uscita16 set 2014
ISBN9788898313396
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    Anteprima del libro

    UB Underground - Leonard J. Monk

    Autore

    Leonard J. Monk, statunitense, è nato ad Austin nel 1983. Figura di culto dell'underground texano, prima di dedicarsi interamente alla scrittura è stato chitarrista, pittore, scultore e DJ radiofonico. Ha vissuto in Messico, Uzbekistan, Mongolia e Thailandia. Attualmente risiede ad Hong Kong. UB Underground è il suo primo romanzo.

    UB Underground

    © Copyright 2014 by Leonard J. Monk

    ISBN 9788898313396

    Koi Press | Milano

    Direttore Responsabile: Massimo Di Gruso

    Fotografia in copertina: Soyoloo entering in a hole seeking for shelter at Bayangol District (UB)."  © Mikel Aristregi

    Ogni riferimenti a cose e persone è da ritenersi casuale.

    La storia raccontata è ispirata al reportage fotografico

    -40º/96% Ulaanbaatar

    photo by Mikel Aristregi

    che troverete al termine del romanzo o cliccando qui.

    A causa del linguaggio crudo e delle scene cruente raccontate nel libro si sconsiglia la lettura alle persone particolarmente sensibili e ai minorenni.

    UB Underground

    – Un tempo eravamo amici.

    – Esatto, un tempo, prima che tu facessi di tutto per fottermi.

    – Te li darò i tuoi soldi.

    – Sono stanco delle tue promesse, ti ho già dato troppa fiducia. Sei un perdente, Nergui, non lo hai ancora capito? Prima volevi aprire quel locale e ti sei bruciato i soldi con la droga, poi hai investito direttamente nella cocaina e te la sei sniffata tutta, poi ti sei rovinato al gioco per procurarti altra roba. Sei un povero drogato di merda. Quanto mi devi?

    Sto zitto e lo guardo.

    È seduto dietro la scrivania con un cellulare che scompare tra le sue mani enormi. Mangia un panino staccandone piccoli pezzi con le dita. Nei suoi occhi opachi passa una luce prudente.

    I tappeti sono stati attaccati dalla muffa. Ci sono cimeli nomadi ovunque. Vestigia di un passato barbaro e glorioso che non tornerà più. In un angolo sono ammucchiati archi e paletti di legno per montare delle gher.

    – È un’idea che mi è venuta in mente guardando quel film con Brad Pitt. Lo hai visto?

    Sto zitto. Fumo. Mi guardo in giro.

    – Lui comandava un gruppo di soldati americani a caccia di nazisti. Quando ne acchiappava uno, lui, con un coltellaccio come questo, gli incideva sulla fronte una svastica. Lo faccio anche io. Una bella svastica per imprimerti il mio marchio di fabbrica.

    Gestapo si alza e si avvicina con un grande sorriso.

    La stanza, immensa, è un caos. C'è silenzio. Una voluta di fumo nell'aria.

    Si arrotola le maniche della camicia:

    – Adesso ti faccio vedere come un mongolo fa a pugni dalla notte dei tempi. Noi siamo dei guerrieri, cazzo. Lo sai?

    Silenzio. Un'altra voluta di fumo.

    – Tu credi di essere furbo – mi dice.

    Il pugno mi sfonda la faccia. Crollo a terra.

    – Dammi ancora un giorno – supplico, mentre il sangue mi cola sulla bocca, sul mento, mi imbratta il collo.

    – Un giorno, certo.

    – Grazie...

    – Povero idiota.

    – Ti scongiuro.

    – Zitto, se non vuoi peggiorare le cose.

    Il ciccione senza un occhio e l'uomo dai denti d'oro si avvicinano. Il primo porge a Gestapo una katana in miniatura, il secondo mi prende sotto le ascelle e mi solleva in piedi.

    – Mi devi tre milioni di tugrik, perciò... – Mi mostra tre dita della sua mano gigantesca. – Uno, due e tre... oltre alla svastica, naturalmente.

    – Ti chiedo perdono, Gestapo...

    – Fai l'uomo per una volta, cazzo. Avanti, dammi la mano... Coraggio, durerà un attimo. Heil Hitler, piccola merda.

    DIECI DITA

    Estate

    1

    La mia chitarra elettrica Gretsch Penguin. La mia chitarra senza amplificatore. Quello l'ho già venduto, due settimane fa. L'ho venduto e mi sono comprato della cocaina. Sono andato al Metropolis e l'ho offerta a tutti, perché io sono un tipo generoso. Suonava un gruppo filippino quella sera. I Jokers qualcosa. Rock sperimentale, vibrazioni. Mi ha svegliato un inserviente all'alba, ero riverso su un divanetto e avevo vomitato sul pavimento.

    La mia chitarra elettrica Gretsch Penguin. Le mie dita pizzicano le corde. Silenzio. Il traffico della strada copre il flebile suono metallico.

    Canticchio Burn my mind, The Monsters. Ho un cerchio alla testa. Puzzo di vodka.

    Mio padre entra nella stanza senza degnarmi di uno sguardo. Indossa dei pantaloni troppo larghi, cammina mogio, con le spalle curve. Appoggia la stampella al muro e si siede

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