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Brevi Racconti Scoordinati: La giraffa blu e altre storie
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Brevi Racconti Scoordinati: La giraffa blu e altre storie
E-book112 pagine1 ora

Brevi Racconti Scoordinati: La giraffa blu e altre storie

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Info su questo ebook

"Poesie, racconti, elucubrazioni, accenni ironici e brevi appunti scanzonati, grotteschi e visionari, a tratti picareschi, qualche volta trash: ognuno di essi racchiude quel pizzico di spontanea follia capace di sdrammatizzare anche le situazioni più estreme.

La capacità di saltare da un personaggio all´altro con estrema naturalezza fanno dei suoi racconti, dotati di uno stile sempre immediato ed accattivante, veri spaccati di vita vissuta di una umanità variegata e vagabonda: il lato più bizzarro ed inaspettato della vita umana, un´inquadratura rivoluzionaria della realtà."

(Gary Andersave)

Pagine: 225.
LinguaItaliano
Data di uscita6 giu 2017
ISBN9788826447940
Brevi Racconti Scoordinati: La giraffa blu e altre storie

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    Anteprima del libro

    Brevi Racconti Scoordinati - Andrea Gervasi

    Andersave

    mmm,

    Mmm, però…

    26 novembre 1974, notte fonda

    confusione mentale

    II ritratto di Garibaldi era appeso là, sulla parete spoglia dello studio. C'era solo quello. Pensavo. Fissavo il ritratto e pensavo. Intensamente.

    Hanno tentato di uccidermi, quei bastardi, hanno tentato... di uccidermi. Ma chi sono? Chi diavolo sono? Ho molti nemici, d'accordo, ma chi mi vuole così male da organizzare addirittura un attentato in piena regola, chi? Saranno quelli della partita di coca, gli abbiamo fregato venti chili di quella roba, a capo dell'operazione c'ero proprio io, saranno mica quelli? Oppure no, sono i due della rapina alla banca, quelli ci sono sfuggili però abbiamo accoppato la ragazza a uno di loro...

    Il tuo autoritarismo non lo sopportavo proprio

    Chi potevano essere? Scampata per un pelo, avevo sfiorato la morte questa volta. C'ero andato vicino, come le bocche di due innamorati che si stanno per baciare. Per fortuna, ci ripensano. Che diavolo vado pensando, sono sconvolto.

    Mi venne in mente una situazione di pericolo scampato, quando durante la rivoluzione (la rivoluzione?) volevo guadagnare Venezia. Guadagnare, volevo guadagnare Venezia. Ma mi esprimevo con quei termini, io? Che cosa mi stava succedendo? Mi ricordai del plenilunio traditore, quello che ci fece scoprire dall'Oreste, e a giorno eravamo circondati. Cannonate, razzi, ci toccò guadagnare la costa. Riparai la mia amata a casa della sorella di Nino, ricordo. Era incinta, morì dal dottore. Ahi, dolore.

    Sul luogo dell'attentato c'era un gran casino. Per tutto il giorno ci fu un gran casino, non solo dal farmacista. Ambulanze lampeggianti, auto della polizia che correvano da un capo all'altro della città nel disperato tentativo di raggiungere cosa non sappiamo. Povero Carlo. Si chiamava come me il farmacista.

    Corsi a rintanarmi nel mio studio, armadio a sinistra della porta. Sì, mi rinchiusi la dentro, volevo evitare. Evitare di sentire le sirene che rimbalzavano all'impazzata sui muri della città, evitare il confronto, il colloquio, fosse anche stata colpa mia, chi lo sa. Evitare la galera, la morte forse. Se quelli mi avessero trovato. Frugarono tutta la stanza, in pochi attimi fu tutto un soqquadro: cadde perfino il quadro, quello a cui tenevo, quello a cui teneva lui, il socialista. Ci tiene ancora. Sedie che volavano, l'acqua della macchinetta sputa-caffè che per una volta stava sputando fuori acqua invece che acqua color caffè. Penne conficcate sulle poltrone, poltrone conficcate dove prima stava la porta, la porta conficcata sotto la scrivania. La mia scrivania.

    Mi ero fatto piccolo dalla paura, talmente piccolo che anche l'armadio nel quale ero richiuso si era fatto piccolo con me, adesso mi calzava come un abito su misura. E nessuno ci poteva vedere, inseriti com'eravamo nella fessura tra due mattonelle murate male. Nessuno ci poteva vedere. Neanche mia madre.

    In alto, due ceffi appoggiati all'enorme scrivania di mogano si scambiavano parole come merda , mondo cane e il capo ci taglia due dita . Fossero solo due, ne avete cinque per mano. Se ne andarono.

    Uscii di casa canticchiando,

    ...noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un'unica bandiera, una speme. Di fonderci insieme già l'ora suonò ,

    Guardai per l'ultima volta la scritta Carlo Rigoletti sul campanello, poi m'incamminai senza incertezze,

    ...giuriamo far libero il suolo natio... siam pronti alla morte. Italia chiamò...

    Non rientrai mai più.

    27 maggio 1989, ore 12.03

    la giraffa blu

    Spesso mi sento osservato da una piccola giraffa blu. Cammino e sento il suo fiato sul collo, mi giro e non c'è più. Mi sono chiesto come faccia a sparire così rapidamente ma non mi sono saputo dare una risposta plausibile. E' una giraffa, non una pantera. Eppure deve essere rapida come una pantera perché riesce a farmela sempre. Cammino e sento il suo fiato sul collo. Mi giro e non c'è più.

    Ho deciso di tendergli una trappola. Compro uno specchio e cammino tenendolo in mano. Mi sento osservato dalla solita piccola giraffa. Sento il suo fiato sul collo e la intravedo nello specchio. Allora mi giro. La piccola giraffa non c'è più. Possibile che me la faccia sempre?

    Decido di cambiare tattica. Chiamo Cristina, una mia amica e la invito a fare due passi nel parco. Gli dico di camminarmi dietro, molto lontano, e di stare attento a quello che vede. Se vede una piccola giraffa che mi segue deve avvertirmi. Cammino nel parco e non noto nulla di strano. Chiamo la mia amica e discutiamo. Nel parco si sentiva osservata da una piccola giraffa. Sentiva il suo fiato sul collo. Si è girata ma la giraffa non c'era già più.

    Decido di desistere. In fin dei conti, che male può fare una piccola giraffa che mi segue? Nessuno, dico io. Allora che mi segua pure.

    E voi? Non vi sentite mai seguiti da una piccola giraffa? Non seguirà solo me, spero.

    21 ottobre 1989, ore 19.45

    l'ometto sul ciglio

    - Benvenuti a Tuttavelocità, limite dei cinquanta -, stava scritto sulla tabella del colore del solito colore di tutte le tabelle segnaletiche italiane. Un vigile urbano, pochi metri prima, faceva incanalare le auto ed un secondo, con la sua monotona paletta bicolore manico nero e stemma ufficiale, le faceva partire sgommando. Non capivamo cosa stessero facendo, ma ci toccò la stessa sorte.

    Sgommai ed in pochi metri andavamo oltre i settanta orari lindi lindi. I miei due migliori amici si guardavano nelle palle degli occhi, poi li alzavano al cielo - gli occhi - e li riposavano sul panorama. Le auto ci sfrecciavano al fianco, schegge impazzite in una città frenetica. Un anziano munito di cinquecento gialla con aggressiva strisciolina rossa come contorno ci fece il classico gesto dell'ombrello, quello che ti verrebbe voglia di scendere e fare a cazzotti e gomitate ma che poi un po' perché è vecchio, un po' per paura ( forse più la seconda che la prima), va a finire che rispondi con il meno classico gesto del dito medio e lasci perdere. Ad un tratto la strada curva, stringe, vedi un ometto sul ciglio che sbandiera con un grosso asciugamano color cacao e ti ritrovi stampato su un fico di 13 metri, l'auto spalmata sull'asfalto. Ci andò di lusso. Se non contiamo Marco, che respirò i suoi ultimi minuti con la testa spappolata mentre davanti agli occhi passavano le immagini della sua vita (soprattutto la scena in cui si spenge la sigaretta in un occhio per smettere di fumare), e Alessio, morto per eccessiva perdita di sangue mentre si rivedeva faccia a faccia con il bidello della facoltà che gli infilava su per il culo il piccolo riproduttore di effetti sonori acquistato al centro commerciale di via Biscolle. andò tutto bene: io me la cavai con una costola incrinata (a causa del piede sinistro finitomi dietro all'orecchio destro), la mia 205

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