Orrori sociali
Di Ivo Scanner
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Anteprima del libro
Orrori sociali - Ivo Scanner
Indice
Premessa
SANGUE SULLA STORIA
Sognando il 2001
La maglietta a strisce
La stella del generale
FOLLIA POLITICA
Un colpo di gladio
Vana
Eva
TERRORI VIRTUALI
Omicidio digitale
Eliminati
Il telefono dell'Aldilà
EMARGINAZIONI MORTALI
Il vicolo senza uscita
Serpe in seno
I coniugi Ingre
SOLITUDINI ESTREME
Lei
Felco
Il venditore di forbicette
DESTINI INDIVIDUALI
La decisione
La scelta
L'attimo
IN CHIUSURA
Il racconto dell'orrore più orribile del mondo
NOTA DELL'AUTORE
Ivo Scanner Orrori sociali - Racconti inquietanti 978-88-31683-83-8 Prima edizione cartacea: dicembre 2018 Prima edizione ebook: giugno 2020 ivoscanner@iol.it
Alta Tensione Tutti i diritti riservati. All rights reserved In copertina: dipinto di Vasily Vereshchagin
Ivo Scanner
ORRORI SOCIALI
Racconti inquietanti
Premessa
La storia, nei suoi grandi e minori eventi, è fatta di sangue, di morte e massacri. E la politica, che della storia è uno dei motori fondamentali, spesso impazzisce, creando mostri. Questo percorso di sangue continua anche oggi, nell'era digitale, dove molta parte delle nostre vite si trasferisce su schermi e monitor. Ma la società, nel mondo reale
esiste ancora, le sofferenze sono sempre presenti, provocate dalle diversità, dalla solitudine. E gli individui, nella perdita di senso della storia, diventano solo atomi, biglie lanciate su un tavolo da gioco e sottoposte al caso, guidate esclusivamente dal destino.
I.S.
SANGUE SULLA STORIA
Sognando il 2001
Oggi fa freddo, il cielo è grigio, ma a Milano siamo abituati. È sempre così, soprattutto in dicembre. Se non fosse che oggi è il 12, e tutti ci ricordiamo quello che è successo l'anno scorso. Questa è una data che non ci dimentichiamo. Tutti in questo periodo sono già in giro per i regali di Natale, ma oggi è il 12, e abbiamo tutti un brivido, un momento di pausa nella nostra gioia festiva. La città è rimasta segnata da quel 12 dicembre 1969, dalle bombe alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, da quei 16 morti e da quello che successe dopo, il volo di Pinelli, l'arresto di Valpreda...
Oggi è il 12 e io sono in attesa di brutte notizie. Si manifesta nelle strade milanesi, e noi del telegiornale siamo in allerta. Pronti a qualche servizio dell'ultima ora. Io aspetto, con il mio telefono nero sulla scrivania che può squillare da un momento all'altro. Ieri, poi, abbiamo saputo che la situazione è seria. Il Msi ha distribuito volantini annunciando che vogliono commemorare i morti dell'attentato e i martiri giuliano-dalmati con una messa e una manifestazione proprio a Piazza Fontana, il Movimento studentesco ha dato appuntamento ai suoi nella stessa piazza, gli anarchici vogliono sfilare per la libertà di Valpreda e i partigiani dell'Anpi hanno promosso un comizio... Ci sono tutte le premesse per una giornata incandescente, anche perché il questore ha autorizzato solo la manifestazione dell'Anpi. Io sono pronto a muovermi dall'ufficio e andare sul posto. Come sempre, ho fazzolettini di carta e un limone in tasca, se lanciano i lacrimogeni.
Immancabile, ecco la telefonata. Pronto?
Presto, vai subito in via Torino, gli anarchici si sono staccati dal corteo dell'Anpi. Secondo me, finisce male...
Esco da solo, con un notes in tasca e una biro, niente troupe in questi casi. C'è la consueta nebbia, in città, e sta facendo buio, sono quasi le sette. Quando arrivo vicino a via Torino, percepisco il ben noto puzzo dei lacrimogeni. Un odore dolciastro che riconosco sempre. Ci siamo, hanno caricato, penso. Si sentono sirene, scoppi, rumori indistinti. Mi spingo fino a piazza Missori. In lontananza c'è una selva di elmetti, un gruppo di carabinieri che caricano alle spalle dei manifestanti in fuga. Vedo i fucili con i tromboncini e i candelotti pronti a sparare lacrimogeni, puntati in orizzontale, ad altezza d'uomo
come gli studenti vogliono sempre che diciamo noi giornalisti. Ora i fucili sparano, mentre da una via laterale parte un'altra carica. La gente a passeggio scappa, si ripara nei portoni. I regali di Natale sono dimenticati e si pensa solo a non rimanere coinvolti negli scontri. A terra c'è qualche busta della Upim, qua e là rotolano gli involucri dei candelotti. Non mi piace, mi sposto, tra auto rovesciate e vetri rotti. Ormai sono un esperto in scontri di piazza, sono riuscito a non prendere mai una manganellata dalla polizia e a non farmi mai pestare da quelli del movimento, che con noi della Rai ce l'hanno da sempre. Non hanno mica torto, ma non vedo perché dovrei pagarla io. Cammino per qualche metro, tenendomi lungo i palazzi, e arrivo in Piazza Santo Stefano. Niente, anche lì i manifestanti fronteggiano dei plotoni di agenti, c'è la celere, c'è il Movimento studentesco. Però non c'è battaglia. Torno indietro, dove si combatte. Ho capito che le cariche dei carabinieri tentano di portare i manifestanti verso la Statale. Corro in via Bergamini, dove si stanno verificando altri scontri. Mi fermo all'improvviso: ho sentito due colpi, sembrano di pistola. Mi accuccio istintivamente. Ora sento altri colpi, ma questi li distinguo con certezza: sono i lacrimogeni. Resto ancora accucciato, poi mi alzo. La prima cosa che vedo, all'incrocio, è una figura stesa a terra, in una nube di gas. È uno studente, non si muove. No, adesso ha avuto un tremito. Gli si avvicinano, nel fumo giallastro, alcuni suoi compagni. Lo sollevano, corrono in direzione dell'università. Con cautela mi avvio anch'io verso la Statale. Confabulo con il servizio d'ordine perché mi facciano passare. Hanno i caschi, il fazzoletto sul viso e delle tozze aste di bandiera tra le mani. Non mi picchiano, uno di loro lo conosco. Riesco a entrare. Dove l'avete portato?
È in infermeria, ma per me non ce la fa.
Mentre mi avvicino a un tizio con il camice bianco e il volto cupo sento una sirena sempre più forte. Non è la polizia, questa volta. È un'ambulanza. Una barella appare nel corridoio, in un attimo il ragazzo ferito è caricato sul veicolo. Lo vedo di sfuggita, sembra morto. Esco, per ritornare in Rai. La città è ancora un campo di battaglia, sirene, fumo, rumori, echi di scontri. Sto già pensando a come scrivere la notizia da leggere al telegiornale. Un colpo al cerchio e uno alla botte, come vogliono loro. Scriverò che la polizia doveva fronteggiare una folla minacciosa, ma questa volta scriverò anche che hanno ferito gravemente un ragazzo. Spero non sia morto...
Quando entro nel palazzo della nostra sede Rai, incontro un collega. Ha dei fogli in mano. Mi dice subito, con un sussurro: C'è scappato il morto. Il ragazzo si chiama Saverio Saltarelli, uno di Rivoluzione comunista, 23 anni.
Vado subito a scrivere, ero là quando un ragazzo è caduto. Credo sia lui il morto.
Non c'è bisogno. Il pezzo è già scritto.
Da chi?
A Roma.
Sono senza parole. Salgo lo stesso e mi siedo alla scrivania. La sede Rai sembra deserta. Forse sono restati tutti a casa per paura degli scontri, forse hanno capito che è meglio non farsi vedere. Anch'io, cosa ci sto a fare? Scrivo lo stesso. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Un po' di opposti estremisti, parole dure per i fascisti che hanno lanciato molotov, parole dure per gli extraparlamentari che hanno ingaggiato gli scontri con le forze dell'ordine. E poi un po' di apprezzamento per il lavoro degli agenti, che è d'obbligo. Poche righe, ma l'apertura non è morbida: Una giovane vita stroncata... un candelotto ha ucciso... si temono ripercussioni negative... si attendono spiegazioni... non è ancora noto il nome del responsabile...
Sto per cancellare tutto, poi tolgo il foglio dalla macchina da scrivere e lo metto nel contenitore che viene passato in studio o dettato a Roma. Ma non vedo la segretaria.
Mi vado a prendere un caffè, da solo. Torno in ufficio per guardare l'apertura del telegiornale. Nel cestello dei pezzi per Roma c'è ancora il mio foglio. Vado davanti al televisore in sala regia, accendo. Ci mette un po' ad apparire l'immagine, come al solito. Ecco la faccia di circostanza del nostro annunciatore. Proprio quando il televisore si sintonizza sento ...e uno studente è deceduto per malore all'interno dell'università...
Mi viene un brivido. Spunta alle mie spalle una collega, la ragazza bionda che mi è piaciuta dal primo giorno che ho preso servizio. Mi volto verso di lei. Hai sentito?
Povero ragazzo, sarà stato malato...
Prima di addormentarmi ho telefonato al mio capo. Volevo sapere perché non era in Rai, dove si era nascosto, in una giornata come quella. Ha un tono di voce distaccato, non fa nessuna delle sue abituali battute. Gli chiedo perché non