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Estranei
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E-book256 pagine3 ore

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Info su questo ebook

In una casa dell’hinterland milanese vivono quattro estranei: Franco, Alice, Marco e Caterina.

Loro sono la famiglia Spinelli.

Franco ha quarant'anni, fa il netturbino, è un appassionato collezionista di figurine di calciatori e si invaghisce di una giovane prostituta che vede tutte le notti durante il suo periplo lavorativo.

Alice, sua moglie, ha abbandonato il sogno di avere un'esistenza da benestante, si è riciclata come parrucchiera a domicilio e pensa di aver trovato in Guglielmo, un vicino di casa, la rivalsa verso la sua vita di rinunce. 

Caterina ha diciassette anni, è la reginetta della scuola, frequenta maturi uomini in carriera che la riempiono di regali e si innamora, inaspettatamente, di un coetaneo agli antipodi dal suo modo di pensare.

Marco è suo fratello gemello, è un ragazzo esile e impopolare continuamente preso di mira dai bulli del quartiere che lo additano come omosessuale. 

La famiglia Spinelli è una famiglia di estranei, quattro entità che si ignorano nonostante vivano sotto lo stesso tetto. 

Nell’arco di due settimane ognuno di loro vivrà emozioni simili agli altri, sebbene a loro insaputa. 
Attraverso la loro storia i lettori ritroveranno felicità, lutti, redenzioni, drammi, fedeltà e infedeltà che riguardano tutti.
Una storia contemporanea.

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Hanno collaborato al progetto ThinkABook prodotto da Koi Press gli autori Massimo Di Gruso e Lorenzo Mazzoni sotto il nome Osaka Dolls

Prefazione di Elena Mearini
Postfazione della Dott.ssa Valentina Stirone (Psicologa psicoterapeuta)
 
LinguaItaliano
EditoreKoi Press
Data di uscita27 ago 2018
ISBN9788885769137
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    Estranei - Osaka Dolls

    ESTRANEI

    Osaka Dolls

    Estranei

    Osaka Dolls

    © Koi Press 2018

    Koi Press è un marchio editoriale di Openmind Srls

    Via Volta 72, 20013 - Magenta (MI)

    www.koipress.it/ebook/

    ISBN 9788885769137

    Progetto grafico: Koi Press

    Immagine in copertina: Pexels.com

    Tutti i diritti sono riservati

    Prima edizione: Settembre 2018

    Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.

    Estranei è un progetto ThinkABook in collaborazione con Koi Press.

    ThinkABook_300

    www.thinkabook.it

    Hanno collaborato sotto il nome Osaka Dolls 

    Massimo Di Gruso e Lorenzo Mazzoni le cui opere hanno superato la quota di 150,000 copie distribuite.

    Prefazione

    di Elena Mearini

    Questo è un romanzo che ti trascina nell’incalzare di parole, gesti, azioni che si succedono a ritmo serrato, senza lasciare spazio alla sosta.

    La storia di una famiglia come tante, in una Milano piegata dal peso della periferia, dove l’unico lusso che ci si può concedere è quello di levare lo sguardo al cielo.

    Il lettore si ritrova immerso nella vita di Franco, netturbino che si specchia negli scarti e si ritrova copia dei rifiuti, sua moglie Alice, parrucchiera a tempo perso, bella quando i sogni erano ancora vivi, adesso stanca e basta per i troppi sogni che non esistono più.

    Poi i loro figli, due gemelli non scelti, capiremo leggendo se per scherzo o grazia del destino.

    Marco e il suo mondo di fumetti e fantasia, la sua eterna fuga da una realtà troppo dura per quelli fragili come lui, ragazzo di carta tra corpi di carne.

    Caterina che cerca riconoscimento, la bellissima che vuole essere a tutti i costi vista e fissa un prezzo per mostrare il suo corpo sui social, il desiderio degli uomini legittima la sua esistenza.

    Ogni personaggio è un grumo isolato, una solitudine compatta che non si amalgama all’impasto famigliare.

    A ognuno manca qualcosa, tutti sono portatori di un vuoto taciuto che annulla ogni possibilità di autentica relazione.

    Estranei per incapacità di parola e sguardo, i protagonisti incarnano il dramma contemporaneo della comunicazione impossibile, quella che esclude i corpi e mortifica la realtà.

    Presto l’urgenza di essere visti, toccati, ascoltati emerge, coinvolge Franco e Alice, travolge Caterina e Marco.

    Tutti e quattro si imbattono in amori rovinosi, s’illudono di avere trovato il corpo che li potrà salvare, la realtà che permetterà loro di sentirsi vivi e pieni.

    Ma quando i bisogni nascono sotto la spinta del malessere portano sempre in sé un guasto meccanico. A un certo punto il motore delle favole s’inceppa e i sogni non girano più.

    L’unica a proseguire nel suo movimento è la famiglia, la sua risulta essere la meccanica più affidabile, nonostante i pezzi imperfetti che la compongono.

    Estranei ci costringe a rivalutare il senso dell’essere padri, madri e figli, con durezza e umanità al contempo ci esorta a non dimenticare l’importanza di mettere ed essere messi al mondo.

    Elena Mearini - autrice dei romanzi 360 gradi di rabbia (Exccelsior 1881), Undicesimo Comandamento (Perdisa Pop), A testa in giù (Morellini Editore), Dilemma di una bottiglia (Edizioni Forme Libere), Per silenzio e voce (Marco Saya Editore), Bianca da morire (Cairo Editore), Strategia dell’addio (LiberAria), È stato breve il nostro lungo viaggio (Cairo Editore).

    E S T R A N E I

    Non ti tirerai mai fuori dalla giungla a quel modo.

    ARTHUR MILLER

    Se mala cupidigia altro vi grida,

    uomini siate, e non pecore matte

    DANTE ALIGHIERI

    So you stay out late at night

    And you do your coke for free

    Drivin your friends crazy

    With your life’s insanity

    GUNS N' ROSES

    1

    Franco

    La notte delle periferie ha sempre qualcosa di malsano.

    La notte, lontana dai centri del controllo e delle architetture per turisti, è solo un sipario di strade anonime con un soffitto nero tranciato da scie chimiche e aerei silenziosi.

    Appoggiato alla fiancata di uno scooter, Franco fuma una sigaretta. Fissa un punto imprecisato davanti a sé.

    Ha un mal di testa lancinante che va dalla sommità del cranio fino al collo.

    Sull'altro lato della strada una bottiglietta di plastica svuotata della sua anima liquida e gettata a terra da qualche maleducato, si muove, quasi impercettibilmente, sospinta dalla lieve brezza.

    È circondato da palazzi senza anima. A poche centinaia di metri scorre il fiume Lambro, nascosto da colate di cemento proiettate verso il cielo scuro e contornate da decine e decine di finestre spente. Solo qualche riquadro è illuminato. Occhi rettangolari con pallide pupille giallognole.

    La notte delle periferie ha sempre poco da offrire, soprattutto quando qualcuno vuole prendersi una pausa dal lavoro.

    Il motore di una macchina. Compare da sud. Si ferma di fronte a Franco. È una Dacia Logan MCV metallizzata. La luce dentro l'abitacolo è accesa. Due persone parlano. Due profili chiusi in uno spazio ristretto.

    Franco per un fugace istante desidererebbe ascoltare il loro discorso. Intromettersi.

    La portiera del passeggero si apre. Delle sonorità rock escono sulla strada insieme a una ragazza mora dalla pelle lattea. L'automobile riparte lentamente e lei si sistema il cappotto. Calza scarpe con i tacchi a spillo e jeans aderenti.

    La osserva camminare avanti e indietro. Sente il ritmico tacchettio frenetico sul marciapiede.

    La ragazza si ferma davanti alla saracinesca abbassata di una macelleria. Digita qualcosa sul cellulare che ha estratto dalla sua borsetta di pelle rosa shocking.

    Un'anima della notte. Sola e abusata, come tutti quelli che si possono incontrare in quella periferia a quell'ora.

    Passa una vecchia BMW nera e frena delicatamente davanti alla giovane sconosciuta. Franco intravede che lei si abbassa verso il finestrino e passa qualcosa all'uomo seduto all'interno. Poi l'automobile riparte e scompare dietro l'angolo.

    Un'altra lieve folata di vento.

    La bottiglietta di plastica rotola fino a un tombino.

    Franco getta il mozzicone a terra, si strofina gli occhi e si scosta dallo scooter.

    Attraversa la strada, raccoglie la bottiglietta e la deposita in un cestino dell'immondizia: deformazione professionale. Poi percorre i dieci metri che lo dividono dal furgoncino della nettezza urbana.

    Nessun altro per la via se non lui e la ragazza in cappotto e tacchi alti. Si incrociano. Franco cammina lentamente. Vede che lei sta cercando il suo sguardo. Una speranza di racimolare qualche soldo. Una supplica silenziosa.

    È bella. Il trucco, intorno agli occhi grevi e profondi, sbavato. Il collo lungo e sottile.

    Franco abbassa il capo, raggiunge il furgoncino, sale a bordo e mette in moto. Lo specchietto retrovisore tira giù il sipario sulla ragazza fino a farla scomparire dietro alla svolta dell'angolo alla fine della strada.

    C'è ancora molto lavoro da fare. La periferia nord di Milano si estende per chilometri e chilometri e loro in cooperativa sono sempre di meno. Fino a qualche anno fa, prima dell'ultima crisi globale, il suo giro notturno prevedeva solo Cimiano. Adesso da Casoretto a Crescenzago i bidoni dell'immondizia sono tutti per lui.

    Franco guida per strade deserte. Miriadi di call center, un ipermercato, negozi sbarrati al piano terra di colonnati sterili e asettici. Cattedrali di vetro. Saracinesche abbassate di parrucchieri cinesi e negozi di telefonia mobile.

    Davanti alla vetrata buia di un bar due africane in vestiti succinti si affrontano a colpi di isteriche e incomprensibili grida. Sono le uniche anime che gravitano lì intorno.

    Lui continua a guidare fino in prossimità di una fermata della metropolitana. Davanti a un cestino dell'immondizia circondato da rifiuti direttamente gettati a terra.

    Scende.

    L'aria notturna è buona. Depurata dagli effluvi dei gas di scarico e dal monossido di carbonio.

    Raccoglie dei pacchetti di patatine, una lattina di Coca Cola e li getta nel cestino.

    Si sorprende ad analizzare i rifiuti che già sono contenuti nel contenitore maleodorante. Carta imbevuta di liquido rosso, pacchetti vuoti di sigarette, Gratta e Vinci, confezioni di Big Mac, un kebab smozzicato.

    Dopo anni di quel lavoro Franco è in grado di fare una mappa sociale e demografica delle vie in base ai rifiuti che trova. Quando lavorava ancora con il suo amico Pierre, questi era solito dire: Siamo ciò che buttiamo. Franco è d'accordo: quelli che adesso sta osservando sono gli scarti degli abitanti di un quartiere dormitorio, disperati abbruttiti che vedono come unica speranza di una rinascita economica l'improbabile fortuna della lotteria istantanea, buona sorte da grattare con una monetina da dieci centesimi ingozzandosi di cibo spazzatura o fumando una sigaretta via l'altra.

    Sfila il sacco nero dalla struttura metallica, fa il fiocco e ne mette uno vuoto.

    Procede così lungo tutta via Palmanova. Cento metri. Frena. Scende. Raccoglie. Sostituisce. Riparte.

    Lattine di Coca Cola, bottiglie di birra, kleenex, mozziconi, carta unticcia di Crispy McBacon, Turista per Sempre, buste vuote di noodles istantanei Buitoni al pollo.

    Una volta giunto al limite della città, alle porte della Tangenziale Est, torna indietro e guida assonnato fino al grande magazzino della cooperativa, ad Affori.

    Un avanzo di luna sopravvive tra le prime rossastre avances dell'alba.

    Altre strade deserte. Un distributore Q8. Cani bastardi e nutrie. Cantieri abbandonati, rimasugli del miracolo dell'Esposizione Universale, i lampioni zoomano muri imbrattati di scritte indecifrabili.

    Franco tiene una mano sul volante e con l'altra si massaggia la fronte.

    Parcheggia il furgoncino nel cortile del magazzino, di fianco ad altre autovetture simili. Entra nell'ufficio. C'è odore di caffè stantio.

    Dietro la scrivania, Alvaro, il responsabile del turno notturno, sta consultando qualcosa sul monitor del suo PC impolverato.

    «Ciao Franco» dice, senza alzare gli occhi.

    «Ciao.»

    «Tutto bene?»

    «Il solito.» Franco osserva il poster dell'Inter della Triplete alle spalle della testa spettinata di Alvaro. Attende.

    Alvaro smette di concentrarsi sul monitor e si volta verso Franco. Gli sorride, apre il cassetto della scrivania, ne estrae una busta sigillata e gliela allunga:

    «Firma il foglio.»

    Franco ubbidisce e prende la busta. Va nello spogliatoio, si cambia, esce di nuovo in strada e si dirige verso il parcheggio dei dipendenti, dove ha lasciato la sua Opel Astra.

    Una volta nell'abitacolo apre la busta. Con sorpresa scopre che alla paga mensile è stata aggiunta una tantum dovuta a un'errata tassazione dei turni notturni, come specificato nella circolare allegata. Si ritrova con trecento euro in più in contanti.

    Appoggia la testa allo schienale e sospira: sono soldi suoi, del suo lavoro. Li toglie dal resto e li mette nel taschino della giacca, dove tiene le sigarette.

    Mette in moto e si immette nelle strade che, lentamente, vanno rianimandosi.

    Accende l'autoradio e ascolta una stazione di musica commerciale italiana mentre la Opel Astra taglia la periferia, attraversa le aree un tempo sede degli stabilimenti Falck. Un milione e mezzo di metri quadrati di terreno in rovina. Murales di artisti di strada che raccontano una storia di creatività ignorata. Scheletri industriali si riflettono nella luce rossa che già sta diventando color antracite. In lontananza la collina formata dagli scarti di lavorazione del metallo provenienti dalle fabbriche vicine.

    Squarci di cielo grigio si richiudono nell'angusto perimetro dei palazzi in fondo alla via. Un nucleo di abitazioni operaie degli anni Sessanta, un sobborgo postindustriale, un tempo feudo di famiglie meridionali, ormai una babele di gente arrivata dal continente africano, dalla Cina, dall'America Latina e dall'est Europa, disperati affamati di tutto, raccolti dalle maree seguite alle continue ondate migratorie.

    Franco scende dall'auto, la bocca impastata e il mal di testa che non vuole dargli tregua.

    Seduto su una panchina un uomo dai capelli lunghi, con le spalle ricurve, fa ciondolare una bottiglia di birra tra le mani. In lontananza la campana della chiesa rintocca per coinvolgere improbabili devoti mattinieri nullafacenti al rito della messa.

    Mentre sta per varcare la porta a vetri che delimita il condominio incrocia una donna che sta portando il cane a svuotare la vescica contro qualche muro o contro un albero rinsecchito del parco pubblico. Si salutano con un cenno del capo.

    Odia quel quartiere, ma è consapevole che non se ne andrà mai. Qui è casa sua, il destino ha voluto così e lui non ha fatto nulla per mettere il bastone tra le ruote del carro guidato dal fato.

    Gira la toppa, entra nell'appartamento silenzioso. Va direttamente in bagno e si spoglia. Una doccia veloce, nello stretto e angusto box dai vetri opachi. Uscendo inciampa in una ciabatta di suo figlio. Trattiene un'imprecazione.

    Mette i vestiti sporchi nella cesta della biancheria e appende la giacca in corridoio, nell'appendiabiti sopra alla scarpiera.

    Estrae la busta della paga mensile. Con il contante va in camera da letto e deposita il denaro sul comodino dal lato di Alice, sua moglie. Fa il giro del letto e con delicatezza si sdraia dandole le spalle.

    Il mal di testa sembra essersi attutito.

    Gli ultimi rumori che riesce a udire sono le molle del materasso che cigolano sotto il peso di Alice che si sta alzando e lo scroscio del manicotto della doccia aperto da sua figlia Caterina: oggi è giorno di shampoo, phon e piastra.

    Prima di addormentarsi rivede, nitida, l'immagine della ragazza mora con il cappotto e la borsetta rosa shocking che lo guarda negli occhi.

    2

    Caterina

    L'attacco di Mr. Saxobeat di Alexandra Stan esce dal piccolo ma potente amplificatore del Samsung Galaxy S8. Caterina allunga il braccio e, ancora con gli occhi chiusi, riesce ad afferrare lo smartphone sul comodino e a spegnere la sveglia.

    Vorrebbe rimanere a letto, riaddormentarsi, ma il sabato è giorno di shampoo e piastra. I capelli devono essere perfetti, questo è il segreto. Costruirsi un look studiato che risulti naturale.

    Si mette a sedere e si appoggia allo schienale. Consulta gli SMS che le sono arrivati. È una lunga sequenza di Ciao bellissima, buongiorno!, Dolce giornata, stellina, Dormito bene, cucciola?. Caterina, sorridendo compiaciuta, distribuisce emoticon banali ma che sa faranno colpo sui destinatari: faccine che sbadigliano, cuoricini, soli splendenti, labbra rosso corallo socchiuse in un bacio e una provocante frase: Ora vado a fare la doccia.

    Non attende le reazioni. Ha fretta. Il rituale dei capelli ha i suoi tempi.

    Sente, oltre la parete, il padre alle prese con la doccia. Aspetta seduta sul letto: non vuole incrociarlo.

    Si scatta un selfie nell'oscurità, criptica e misteriosa. Quasi casta. Manda la foto a pochi fortunati. I migliori.

    Quando la porta della camera dei genitori si chiude decide di alzarsi. Si fionda in bagno e si spoglia.

    Ha un momento di disgusto, quasi un attacco di bile, alla vista dei peli di suo padre sul piatto doccia. Si calma facendo scorrere l'acqua e osservando quei brutti elementi epidermici filiformi scomparire nello scarico.

    Mentre si insapona i capelli con un gel nutriente alla vaniglia si ripete mentalmente che mancano ancora pochi mesi alla maggiore età, poi potrà fare quello che vorrà, anche andarsene. Addio a quel cesso di casa e a quella famiglia di sfigati.

    Si specchia, nuda. Attraverso lo specchio appannato intravede la propria silhouette. Le sue proporzioni sono perfette. Lei è perfetta. E ne è consapevole.

    Si asciuga i capelli in camera. Non vuole essere interrotta, mentre si contempla, rapita dalla propria immagine, da suo fratello con la classica urgenza della pisciata mattutina. Marco non ha speranza, è già un miracolo che si lavi la faccia prima di uscire. È sciatto, come suo padre.

    Phon. Piastra. Pettine.

    Dà un'occhiata al display dello smartphone. I messaggi si susseguono: Cosa fai lì tutta sola, dolcezza?, Serena giornata, piccola, Hai fatto una doccia bollente?, Vorrei essere lì a insaponare la tua divina schiena, Sei bellissima!. Complimenti e lusinghe. Quello di cui Caterina sente il bisogno.

    Sceglie con cura cosa indossare dall'armadio stipato di abiti femminili. Apre un cassetto, prende tre paia di mutandine raffinate, pizzo e seta, le getta sul letto sfatto e scatta una foto.

    Quale mi consigli?, chiede ai suoi ammiratori, pronti, da qualche parte in città, a toccarsi o a mordersi le labbra per la frustrazione di non essere con lei.

    Prima di uscire dalla stanza infila un paio di libri nella borsa Brandina, elegante e al contempo sportiva.

    Sua madre è in cucina che beve il caffè e fuma una sigaretta. È assorta a guardare il nulla.

    Caterina si ripromette, per la milionesima volta, che non diventerà mai una depressa come lei.

    «Ciao», dice, ed esce di casa senza dare a sua mamma il tempo di replicare.

    La rampa delle scale, già di prima mattina, puzza di effluvi nauseabondi. Casalinghe disperate che iniziano a friggere e cuocere intrugli maleodoranti ancor prima di mettere in moto il cervello. Caterina, d'istinto si tappa il naso.

    Nell'atrio incontra Luisa. È una sua amica d'infanzia. Una sciattona con cui ora ha poco con cui spartire. Bassa, infagottata dentro una felpa sformata e dei jeans fuori moda da un secolo, l'acconciatura che

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