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Cuore di ranocchia. Secondo volume. I primi passi verso la maturità
Cuore di ranocchia. Secondo volume. I primi passi verso la maturità
Cuore di ranocchia. Secondo volume. I primi passi verso la maturità
E-book430 pagine5 ore

Cuore di ranocchia. Secondo volume. I primi passi verso la maturità

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Info su questo ebook

Il secondo volume intitolato I primi passi verso la maturità introduce in un modo del tutto impressionante gli elementi mitologici attinenti in parte al cristianesimo primitivo e folcloristico e in parte al paganesimo, nell’ambito di una storia piuttosto “realista”, anche se scritta nello stile del fantastico e del miracoloso.


Per il lettore, a prescindere dalla sua età, la lettura di questi volumi sono sicuramente un enorme piacere. Per il giovane lettore, molto giovane, per quello che non legge ancora, ma che ascolta la lettura del libro, questo è anche un „libro d’insegnamento”, tramite il quale il piccolino si può spiegare quello che passa aldilà del primo livello della recezione oppure può prendere contatto con la dimensione etica della nostra esistenza.

LinguaItaliano
EditoreAdenium
Data di uscita17 feb 2016
ISBN9786068622583
Cuore di ranocchia. Secondo volume. I primi passi verso la maturità

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    Anteprima del libro

    Cuore di ranocchia. Secondo volume. I primi passi verso la maturità - George Vîrtosu

    GEORGE VÎRTOSU

    CUORE DI RANOCCHIA

    Una fiaba per tutte le età

    I primi passi verso la maturità

    Secondo volume
    Traduzione da Elena Iftime

    Redattore: Adriana NICORICI

    Lettore: Liviu ANTONESEI

    Illustrazioni: Ciprian O. Dudaș

    Stesura al PC: Adenium Print srl

    Vol. II : I primi passi verso la maturità. - 2012

    Editorial Adenium, Iași, Romania

    www.adenium.ro

    ISBN ePUB: 978-606-8622-58-3

    ISBN PDF: 978-606-8622-59-0

    Tutti i diritti riservati. Sono vietate la pubblicazione, la riproduzione (in qualunque forma: informatica, meccanica, fotocopiatura, etc.) e la trasmissione di qualsiasi parte di questo lavoro senza l’accordo della casa editrice.

    Le illustrazioni, i nomi, i personaggi e i luoghi sono marchi registrati

    copyright Gheorghe Vîrtosu, 2011

    Le persone interessate potranno entrare nel mondo mirifico degli amici del Cuore di Ranocchia anche attraverso i bellissimi fumetti..

    e-mail: oinimadebroscuta@gmail.com

    Il secondo volume della serie „Cuore di ranocchia" è dedicato a mio Padre: uno spirito forte, particolarmente vivo, che spero abbia trovato il posto giusto in quest’universo miracoloso.

    Gli dedico in questo modo un rispettoso omaggio, non solo perché gli devo la vita, – divina Alba dell’esistenza – ma soprattutto per l’educazione che mi ha offerto, che non è stata per niente abituale, ma speciale e fuori comune. Mi chiedo a volte se per caso mio Padre stesso, più della sua educazione, non sia stato del tutto speciale, diverso da altri genitori ?! Chi lo sa?...

    Mio padre ha provato a inocularmi una visione chiara della vita e non l’ha fatto per niente in uno spirito moralista, che mi facesse paura oppure che mi rendesse stufo dei suoi consigli! No! Mi ha aperto gli occhi verso il mondo con l’aiuto di mille proverbi e diciture, di centinaia di storie piene di significato, dette al momento giusto, alcune tra loro essendo la sua personale creazione.

    Cosa assolutamente fantastica – mio Padre si sforzava, per quanto possibile, di non ripetere le stesse storie, per non trasformarle in routine! E allora, diventavo molto attento! Certo, ogni volta che mio padre parlava mi sembrava, a causa della mia giovane età, che stesse scherzando; benché avesse un’attitudine grave, una mimica seria, il modo in cui mi si rivolgeva mi accattivava!

    Non vedevo l’ora di sentire un nuovo consiglio, ero arrivato in un punto in cui vivevo intensamente ogni parola che pronunciava!

    Dirò qui due degli insegnamenti di mio Padre che la mia coscienza ha semplicemente inciso nel suo corpo, affinché insieme li possiamo vedere per sempre, tutta la vita.

    Non dimenticherò neanche gli altri, che conserverò con cura nell’archivio prezioso dei miei ricordi d’infanzia: li cospargerò al momento giusto, come faceva mio padre, proprio nelle pagine del volume Cuore di ranocchia.

    Ecco il primo insegnamento...

    Mi capitava spesso di lasciare cadere qualcosa dalla mano, a volte in presenza di mio Padre. Mi guardava ogni volta attentamente, ma non mi rimproverava dall’inizio. Aspettava con pazienza finché era convinto che i suoi sguardi mi dicessero tutto.

    Un giorno però, quando ero già cresciuto, mi è successo di nuovo: ho lasciato cadere qualcosa dalla mano.

    Mi sono chinato in fretta per sollevare l’oggetto, mentre sentivo lo sguardo intenso di mio Padre fissato su di me.

    E allora mi ha detto con una certa autorità:

    — Figlio mio, non è per la prima volta…. Immagina però che ti fossi trovato sopra un pozzo profondo e che avessi lasciato cadere questo oggetto a cui vedo che sei abbastanza affezionato... Oppure immagina che le fiamme di un fuoco crudele te l’avessero rubato, oppure una voragine profonda! Come l’avresti recuperato in quelle circostanze?

    Poi taceva e mi fissava con il suo sguardo penetrante. Voleva convincersi che io capivo il significato delle sue parole. Ovviamente, io non facevo altro che sorridere, come se tutto fosse uno scherzo.

    Visualizzavo le sue parole, ma, orgoglioso di me, mi chinavo per sollevare l’oggetto caduto, mostrandogli che la realtà era completamente diversa. Pertanto, non aveva ragioni per preoccuparsi.

    In quel giorno invece, mio Padre mi ha preso per le spalle, guardandomi fisso negli occhi. Ero quasi spaventato della sua reazione!

    — Non ridere, bambino! Voglio che tu VEDA, caro mio! Voglio che tu VEDA che non avresti potuto recuperare l’oggetto in quelle situazioni rammentate da me…

    — Sì, padre, VEDO! gli ho detto sottovoce, guardandolo negli occhi blu come il cielo.

    — Sono contento... mi ha risposto, abbracciandomi. Devi fare molta attenzione a tutto ciò che nella vita riuscirai a „tenere in mano"! Guai a te se lasci cadere dalla mano, inavvertitamente, un dono ricevuto dall’Alto! Le opportunità nella vita sono uniche! Guarda ogni istante, ogni evento come un’Opportunità! Se vedrà invece che la ignori, che ti è indifferente, non tornerà mai più!

    — Sì, Padre... ho detto sottovoce, chiudendo gli occhi, provando a immaginare l’Opportunità di cui mi parlava e accoccolandomi sul suo petto.

    Mio Padre mi ha sollevato l’oggetto che avevo lasciato cadere. L’ha pulito con cura e me l’ha messo nel palmo. Poi mi ha chiuso la manina, stringendola un po’ nel suo pugno protettore, come se lo volesse chiudere lì per sempre, per non lasciarlo mai scappare.

    — Vieni qui, caro mio! mi ha detto poi apprendo largamente le sue braccia e chinandosi sopra di me.

    Mi ha stretto di nuovo tra le braccia, mi ha baciato sulla fronte e poi se n’è andato, lasciandomi riflettere in silenzio alle sue parole piene di senso.

    Sarò sincero con voi, cari lettori, e vi confesserò che solo tardi, molti anni dopo, ho capito pienamente e correttamente le parole di mio Padre. Non so perché: forse la giovane età che avevo in quel momento mi aveva impedito a prendere le cose sul serio? Adesso sono completamente consapevole che devo rispettare e pregiare tutto ciò che mi è dato, per non rischiare di perderlo e per non lasciarlo arrivare nelle mani di qualcuno che lo potrebbe usare contro di me oppure contro tutto ciò che io amo…

    Ecco anche il secondo insegnamento importante di mio Padre che vorrei condividere con voi:

    — Figlio mio, non deludere mai quelli che si fidano di te! La vita, come un boomerang, farà tutto ritornare da te e ne soffrirai molto!

    Quante volte mi ha detto mio Padre queste parole? Difficile ricordarmi: ogni volta che non ascoltavo lui o la Mamma…

    Gli anni sono passati e sono riuscito a sperimentare sulla mia pelle la verità di queste parole.

    La mente ha portato tutto nel primo piano, ogni giorno, soprattutto quando mi sono ritrovato solo, in una cella fredda, scura, non accogliente, dimenticata da Dio, di cui non potevo nemmeno immaginare che esistesse in questo mondo. Sì, è vero, la delusione che ho vissuto quando tutti quelli di cui mi fidavo mi hanno tradito è stato molto amara!

    Sforzandomi di non chiudere gli occhi, guardavo il sole tra le grate della maledetta cella, che si nutrivano con una parte dei giorni della mia vita. Lasciavo gli occhi sulla mano dei raggi di sole che si precipitavano a punirli, così come fanno di solito con chiunque vuole affrontarli.

    In questo modo nascondevo il mio „gemito di dolore", accusando i raggi, non volendo offrire la soddisfazione ai muri del carcere che si nutrono solo con la sofferenza di quelli che arrivano aldilà.

    Le lacrime scorrevano, ardenti, ma io sentivo che con la loro partenza, il mio corpo si purifica. E pensavo a mio Padre… Mi dispiaceva che l’avessi deluso tante volte quando ero bambino…

    I miei genitori, due angeli ora, non mi hanno mai colpito. Non mi hanno nemmeno rimproverato!

    La loro educazione non è stata moralista! Mi hanno detto come devo procedere in diverse situazioni, ma mi hanno lasciato scegliere da solo la via da seguire.

    Ho sempre vissuto intensamente il sentimento di piena libertà, sentendomi come una piuma portata dalla brezza del vento, che non si oppone per niente a quest’ultima. Per questo considero che forse io sia stato un bambino diverso dagli altri della mia età. Mi è piaciuto questo sentimento e ho voluto conservarlo per sempre: esso mi ha ripagato la fedeltà, aiutandomi a descrivere delle storie che desidero siano altrettanto particolari.

    La libertà e la salute mi sembrano i Regali più preziosi che mi sono stati offerti nella vita. E da mio Padre ho imparato che devo pregiarli come si deve, per non deludere Quello che me li ha offerti e soprattutto per non lasciarli mai cadere dalla mano!

    Cari lettori,

    Nel preambolo del primo volume6 di questa serie di libri per bambini – „Penna d’oro, angelo o boia?- ho provato a descrivere brevemente il modo in cui è nata la storia „Cuore di ranocchia. Così, il preambolo del primo volume si è trasformato (senza la mia volontà) in un’altra storiella che, a vostra richiesta, proseguirò. Andremo avanti con le due storie in parallelo: la misteriosa storia del Cuore di ranocchia che ha fatto i suoi primi passi nel carcere, e le avventure dei personaggi, che conoscete già, la Goccia di Sangue, Pulcettino e il Baco da Seta.

    Vi auguro una gradevole lettura!

    Continuiamo il nostro viaggio!

    Liviu Antonesei

    Leggere un libro, percorrere pagina dopa pagina un volume di fumetti, seguire un film – tutto questo somiglia molto all’avventura di un viaggio. Quando il libro ha diversi volumi, quando una moltitudine di storie secondarie s’intrecciano con la storia principale, il cammino sembra anche pieno di peripezie, perché devi percorrere una lunga strada, circondato da paesaggi miracolosi, devi fare delle deviazioni sorprendenti, devi guidare i tuoi passi su ponti e viadotti. Questa è proprio la situazione del presente ciclo del „Cuore di ranocchia, di cui sono sempre più convinto che sia stato scritto „per tutte le età, voglio dire anche per i nonni come me, non solo per i miei nipotini!

    In questo volume, la Goccia di Sangue, con cui abbiamo fatto conoscenza nel primo volume, sembra stanca e ha bisogno di riposo. Pulcettino e il piccolo Baco da Seta invece sembrano al contrario non solo riposati, ma anche curiosi e loquaci, perché non smettono di parlare durante le tre cento pagine del volume. Pulcettino, più grande e più sperimentato, racconta al Baco da Seta migliaia di storie miracolose, chiedendo a quest’ultimo una sola cosa: non interromperlo! Ma questo, per fortuna, non succede!

    Puoi impedire a un essere così minuscolo e così vivace di porre centinaia, persino migliaia di domande? Come qualsiasi altro bambino, il Baco ha moltissimi perché e Pulcettino, nonostante la sua apparente insoddisfazione, cerca di rispondere a tutte. In questo modo sappiamo anche noi, con il piccolo Baco, una moltitudine di cose sui sogni e sulla loro interpretazione, sulla saggezza delle pulci, sulle peripezie dei cornuti oppure sul potere dei ricordi. Ma soprattutto ci rimane nella mente la storia principale, che s’incrocia con diverse storie secondarie, del seppellimento del Vecchio Topo, il vecchio padrone di Pulcettino e della sua famiglia.

    Come in altri luoghi dello stesso ciclo, anche qui è del tutto impressionante il modo in cui sono introdotti gli elementi mitologici che tengono sia al cristianesimo primitivo e folcloristico, sia al paganesimo, all’interno di questa storia comunque realista, anche se scritta nello stile del fantastico e del miracoloso.

    Se capisco bene, per il lettore, a prescindere dalla sua età, la lettura di questi volumi è un vero piacere. Per il lettore giovane, molto giovane, per quello che non sa ancora leggere, ma ascolta la lettura fatta dai genitori, è ancora un libro d’insegnamento, tramite il quale il piccolo lettore si può spiegare quello che passa aldilà del primo strato della percezione oppure può prendere contatto con la dimensione etica della nostra esistenza nel mondo. Complimenti all’autore, buona lettura ai lettori di tutte le età e, per quanto mi riguarda, rimango in attesa dei prossimi volumi.

    Iaşi, 9 giugno 2011

    Liviu Antonesei

    Storia imprigionata II

    Era già mattino.

    Avevo già riempito tutte le pagine del primo quaderno con migliaia di righe storte, consapevoli del peso della fiaba che da esse nasceva. Le mani conducevano la biro con una destrezza fuori dal comune, mentre la mia anima era diventata, durante tutta la notte, la preda di un volo allucinante nel mondo della fiaba che stava nascendo.

    Le emozioni mi avevano sopraffatto, erano diventate padroni del mio corpo intero. Scavando in tutti gli angoli della mente e del cuore, scoprivo mille onde di pensieri e di sentimenti che le mie mani mettevano sulla carta con un accanito entusiasmo.

    Scrissi così, senza sosta, fino a quando una vicenda imprevista pose fine, ad un certo momento, alla mia esaltazione: ero arrivato all’ultima pagina del quaderno. Fui amareggiato al punto che la fiamma fedele che mi aveva tenuto compagnia tutta la notte si spaventò. Il mio viso che fino a quel momento irradiava una gioia infinita, all’improvviso era diventato scuro. Guardavo la candela: provando a indovinare i miei sentimenti, ella esaminava attentamente, rabbrividita, le righe rughe apparse sulla mia fronte che si muovevano, inquiete, simili a serpenti affamati. La mia preoccupazione però era fondata. Non avevo un altro quaderno, quindi non avevo più modo di continuare a scrivere...

    La mia fiaba stava nascendo, proprio in quel momento, in quella cella fredda… Nessun dottore e nessun’ostetrica si trovavano nei dintorni. Non c’era nessuno con cui potessi condividere la gioia della sua nascita, né il dolore causato dall’impossibilità di continuare.

    Avevo tempestivamente bisogno di fogli puliti, bianchi, che prendessero in braccio e fasciassero il neonato. Somigliavo ai giovani genitori che preparano dei pannolini nuovi e bianchi per il bimbo che sta per cambiare la loro vita, provando a proteggere il piccolo e a mantenere, per la sua felicità, l’amore e il calore con cui questo si è abituato nel corpo della madre… Il solo modo in cui mi potevo sentire meglio era di respirare profondamente. Un sospiro lancinante invase la mia anima. Misi la biro, con cura, nel solco che separava l’ultima pagina del quaderno dalla copertina. Aprii le dita, lentamente; alcune articolazioni cigolarono, scontente che le avessi private del tocco della biro.

    Le guardavo, assente. La rassegnazione mi aveva determinato a non fare attenzione alle pretese che loro sollevavano; sapevo che erano stanche, benché ansiose di lavorare ancora… Avevano lavorato, infatti, tutta la notte. Le tre dita della mano destra, soprattutto il pollice, l’indice e il medio, avevano tutte una simpatica fossetta sulle loro guance rubiconde. Notai i loro sguardi discreti e pieni di affetto rivolti alla biro che si riposava, coricata sul quaderno… La biro sorrideva discretamente alle dita, contenta di esser riuscita a regalare loro quelle fossette. L’aveva fatto apposta, affinchè non la dimenticassero fino a quando sarebbero state di nuovo insieme. Esattamente come un giovane sveglio che vuole sempre lasciare indietro ottime impressioni, prima di abbandonare il un gruppo di ragazze, per strappare il loro interesse fino al prossimo incontro.

    In questo modo faceva la biro alle mie dita: quella notte le aveva provocate, accompagnandole attraverso le radure misteriose della fiaba, e ora si sentivano importanti.

    Sorrisi guardandole; con le dita della mano sinistra, accarezzai dolcemente le loro simpatiche fossette, in modo che venissero visitate da un po’ di sangue caldo che le accarezzasse e che le preparasse per il sonno che le stava aspettando con pazienza, da molto tempo.

    Un sorriso discreto volò sulle mie labbra e il suo soffio si fece strada sulla fiamma della candela. Gracile e delicata, questa si chinò leggermente e il suo movimento attirò il mio sguardo. Un pensiero di gratitudine si staccò in quel momento dai cassetti della mia mente, dirigendosi verso di lei. L’intera notte si era sacrificata accanto a me, però trovava ancora la forza di tracciare un’ombra giocosa sul tavolo rotondo in legno. Comunque, vedevo come cominciava piano piano a perdere i suoi poteri magici: tra le grate della finestra, si faceva strada, audace, la luce del giorno. Il Sole si preparava per il suo quotidiano intronarsi sulla volta del cielo.

    I raggi della luce inondavano la cella, curiosi, senza chiedere il permesso di nessuno. Anzi: ignoravano tutto, scivolando, coraggiosi e orgogliosi. Erano, infatti, consapevoli di quanto erano bramati: andavano avanti verso il mio tavolo, verso la candela.

    Benchè soave, dotata di un grande cuore, vedevo come la candela era man mano sopraffatta dalla gelosia: davanti alla luce incontestabile del giorno, si ritirava, ubbidiente, consapevole della sua impotenza… La guardai a lungo, di nascosto, affinché i miei sguardi non le dessero fastidio.

    Vedendola così mi ero commosso: bruciata per più della metà, si teneva il viso pallido tra le mani, mentre il suo sguardo mirava alla mia fronte corrugata. Non le piaceva vedermi così. Sembrava rimproverarmi per aver accettato la visita di quelle rughe selvagge.

    Indovinai la sua insoddisfazione e per farle piacere, le regalai un largo sorriso, cacciando via le rughe che l’avevano preoccupata. Osservandole, la candela diresse subito lo sguardo verso di me. Sorrise a sua volta, felice che le sue emozioni non mi fossero indifferenti. Lasciò cadere le sue manine lungo il corpo, un po’ imbarazzata, fermò la danza della sua fiamma e, intimidita, diventò piccolissima, al punto che non la vedevo quasi più. Per un attimo, pensai che si fosse proprio spenta. Però avevo sbagliato: tremolava ancora. Faceva sempre così all’arrivo dei raggi del sole. Era saggia, usava la sua fiamma con una particolare moderatezza, volendo prolungare la sua vita quanto più possibile. Mi era fedele, la sentivo pronta a sacrificarsi per me, preoccupata di servirmi con la sua luce magica, quante più notti possibile.

    Con uno sguardo languido, mi seguiva, attenta: sapeva che presto l’avrei spenta, così come facevo sempre dopo l’apparizione del sole. Mi preoccupava ogni attimo della sua vita. Il giorno sarebbe poi sparito, e insieme alla sua amica, la notte, aveva l’occasione di diventare la padrona della stanza che io le affidavo ogni sera, con tutta la mia buona fede. Era consapevole che dovevo farlo ogni mattina; tuttavia, la sentivo scontenta ogni volta che mi vedeva avvicinarmi e prepararmi le labbra per spegnere la fiamma giocosa di cui era così fiera. La preoccupava il fatto che io rimanessi da solo tutta la giornata, dandomi da fare nella stanza in sua assenza. Era una specie di gelosia che germogliava nel suo cuore nei confronti di tutti gli altri oggetti della cella, nonostante fossero pochi. Si rattristava sapendo che loro continuassero a tenermi compagnia, mentre lei doveva andare a letto…

    Ero preso dalla compassione per la mia cara candela, che mi guardava con occhi arrossiti dalla stanchezza. Il suo sguardo languido mi determinò a decidere:

    — Stamattina non la spegnerò più, mi dissi.

    Mi alzai in fretta e mi avvicinai alla finestra: era coperta di uno strato spesso di neve. Il venticello aveva raccolto i fiocchi con cura e aveva coperto tutto, lasciando solo un po’ di vetro scoperto, tramite il quale si poteva ancora vedere cosa succedeva fuori. Lo vidi: era un giovane venticello che mi volgeva le spalle. Furioso, gettava i cumuli di neve da una parte e dall’altra, facendone dei blocchi giganteschi, come se si preparasse per una dura battaglia. Si ostinava a non lasciare che i fiocchi di neve si depositassero sopra la natura gelata, affinchè, come una coperta di piume di colore argenteo, non avessero modo di riscaldarla.

    — Beh... È davvero arrabbiato il Venticello! mi dissi, guardandomi intorno, per vedere chi gli avesse dato fastidio.

    Però non c’era nessuno. Ad un certo punto, mi sembrò che aumentasse la sua foga, poiché lo vidi sollevare con tutte le sue forze le palline di neve che egli stesso aveva fabbricato, sputandole in tutte le direzioni. Pensai per un attimo che mi avesse visto e che per questo volesse dimostrarmi di cosa era capace. Si era creata una grande mischia, che diventò in breve tempo una burrasca di neve.

    Il-Giovane-Venticello diventava sempre più ardito: era forse uno dei primi inverni con cui avesse avuto a che fare?! Lo vidi misurare le sue forze persino con il filo spinato che nessuno aveva il coraggio di affrontare, per paura. Nessuno osava offenderlo o toccarlo! In diverse occasioni, avevo visto alcuni poveri uccellini che, nella loro innocenza, si volevano accomodare sul filo ruvido, sedendosi sopra delicatamente... Però quando lo toccavano, ci lasciavano la vita, poverini, e il loro corpo rimaneva lì, ai suoi piedi, a decomporsi... In un’altra occasione avevo visto alcune gocce d’acqua che avevano osato addolcire la crudeltà del filo spinato, con i loro tocchi delicati, però senza nessun risultato... Per questo le gocce, ubbidendo ai consigli delle nuvole, abbandonavano il filo spinato, lasciandolo nelle mani dell’aria umida, la sola che sembrava fargli del bene. Il filo crede che l’aria umida sia priva di pericolosità, però sbaglia, ingenuo, non pensando che proprio da essa gli verrà la fine! Poiché col tempo, senza che se ne accorga, si sveglierà vestita, dalla testa ai piedi, con il morbido vestito della ruggine. Tanto furba e ingannevole è l’umidità!

    Le gocce di acqua sanno bene che il filo spinato, un giorno, sarà di nuovo a loro disposizione! Le supplicherà, con le lacrime agli occhi, di mettersi almeno un po’ sul suo corpo irrigidito e di accarezzarlo almeno per un attimo, rianimandolo e calmando il suo dolore soffocante.

    Il filo è consapevole di essere stato creato da mani maledette, essendo destinato a riprendere la loro sofferenza e a trasmetterla agli altri, in continuazione, senza sosta. È consapevole di essere fatto dalla stessa materia con cui è stata fatta la falce della morte, che semina il terrore nelle anime di tutti quelli che gli vengono incontro. I due hanno lo stesso carattere: non sanno perdonare, non sanno amare. Hanno imparato la loro missione nelle scuole tenebrose del male, prive della luce della vita e del calore dell’amore. Non sanno altro che falciare con avidità, spietati, in tempi tenebrosi, le vite degli esseri innocenti per cui la clessidra del tempo ha già cernito l’ultimo grano di sabbia. Il regno della morte ha in permanenza bisogno di nuovi corpi che addensino la parete che separa i due mondi, affinché i raggi del sole non penetrino nel Regno delle Tenebre.

    L’immagine grottesca a cui avevo dato vita nella mia mente mi fece rabbrividire. Scossi la testa in fretta, come per cacciarla via al più presto. Rividi in quel momento il vento che era alle prese con la natura, nel cortile della prigione, punendo senza pietà le palle di neve. In quei momenti passò per caso una cornacchia vanitosa: sembrava una buona amica del vento selvaggio, poiché era completamente indifferente alla sua presenza! Anzi, sembrava esser venuta solo per un sopralluogo, per vedere come se la cavava il vento quel mattino… Oppure chissà: forse avrà avuto anche lei una missione speciale in quel mattino, sopra la prigione!

    Invece sbagliavo: perché nel momento in cui vide la povera cornacchia, il vento si precipitò ad aggredirla. Le buttò una palla di neve dritto in faccia. Aveva mirato bene la sua preda e l’aveva colpita con tutte le sue forze! Avresti detto che volesse dare una lezione all’uccello della morte, che non avrebbe dovuto uscire di casa proprio nei momenti in cui lui intratteneva delle negoziazioni con i bambini della natura. In tal modo, la cornacchia non avrebbe mai dimenticato che il vento era una persona importante, a cui conveniva mostrare il dovuto rispetto!

    Vidi la palla iniziare la sua traiettoria verso la maledetta cornacchia. Sentivo il fischio che accompagnava la sua pazzesca velocità. Credo che anche la cornacchia l’avesse sentito, dato che questa si voltò stupita per vedere cosa stava succedendo. Era riuscita, la furba, a mettersi al riparo quando vide il pericolo che la minacciava. La salvava la sua esperienza. Però astuta com’era, la cornacchia non si accontentò di questo: dopo che la palla le passò vicino, capì che aveva a che fare con un bambinone e, facendo finta di esser stata colpita, si mise la mano sul cuore e si lasciò cadere per terra!

    Il Vento era contento, l’ingenuo! La cornacchia lo guardava con la coda dell’occhio per vedere cosa faceva. Quando lo vide ridere, gli voltò le spalle, prendendolo in giro!

    Il vento non aspettava che questo: andò subito su tutte le furie! Senza nessuna esitazione, prese una palla di neve, la modellò nelle sue mani, la strinse nei pugni per renderla più dura e la lanciò dietro alla cornacchia. La cornacchia invece era, a sua volta, molto abile: avendo una lunga esperienza di vita, si mise a ballare, dondolandosi nella danza della morte, evitando con molta abilità le palle lanciate furiosamente dal vento! Nessuna finì per colpirla!

    Ad un certo momento, il vento si stancò. La cornacchia capì la sua estenuazione e, per prenderlo in giro, gli fece mille smorfie: tirò la lingua, mostrò il didietro...

    — Stupido! gracchiò ad un certo momento. Non sei capace di niente! gli disse con sdegno alla fine.

    Allora il giovane vento scosse le spalle, arrabbiato per l’offesa subita: in un attimo, concentrò tutte le sue forze e, con un vortice pazzesco, raccolse in un angolo tutta la neve esistente nel cortile del prigione. Si fece parecchie palle di neve che sistemò a portata di mano e rincominciò l’artiglieria. Voleva assolutamente abbatterla!

    La cornacchia sentiva ora che non si poteva più scherzare con quel ventaccio furioso e la vidi darsi alla fuga, volendo lasciare il cortile del carcere. Non sarebbe stato di nessuna utilità se il vento, nel suo desiderio di vendicarsi, l’avesse ferita. Sicuramente avrebbe trovato la sua fine nelle mani delle guardie, se la debolezza l’avesse costretta a fare sosta sul territorio del carcere. Tuttavia, quando arrivò davanti al filo spinato, la cornacchia guardò attentamente, per ferirsi nel suo sorvolo. Il vento approfittò di quel momento in cui la cornacchia non lo vedeva e lanciò di nuovo una palla di neve. Questa volta la prese! Proprio nel sedere!

    Povera cornacchia! Questa volta cadde sotto il peso del colpo. Era comunque fortunata perché aveva già varcato il recinto del carcere. Poteva sollevarsi, scuotere la neve e volar via. La rissa con il giovane venticello rimase per lei indimenticabile…

    Il vento era contento. Sorrideva con soddisfazione. Lo guardai più attentamente e lo riconobbi: era il venticello che una sera prima era entrato nella mia cella e aveva disperso tutto per terra – il quaderno, la biro… Fui felice di rivederlo. Capii che tutta la notte era rimasto vicino alla finestra, tenendo quest’ultima in prigionia. L’aveva coperta di neve, lasciandole solo un occhio libero, tramite il quale probabilmente mi aveva inseguito di tanto in tanto.

    Bussai gentilmente con il dito nel vetro della finestra, volendo attirare la sua attenzione. Il venticello mi sentì e vedendomi sorridere mentre lo guardavo, dopo un po’ arrivò alla mia finestra. Mi guardava un po’ irritato, mentre si asciugava il sudore sulla fronte. Sembrava chiedere perché lo avessi chiamato. Gli mostrai il dito e gli sussurrai:

    — Pulisci la mia finestra!

    — No! accennò lui con la testa, ostinato.

    Non mi guardava negli occhi. Si vedeva che l’ira della sera scorsa non gli era passata. Però non lo lasciai: bussai di nuovo, ancora più forte, e gli dissi:

    — Ti prego, pulisci la mia finestra e ti lascerò di nuovo entrare nella mia cella!

    Quando sentì la mia promessa,

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