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Cuore di ranocchia. Volume I. Penna d'oro, angelo o boia?
Cuore di ranocchia. Volume I. Penna d'oro, angelo o boia?
Cuore di ranocchia. Volume I. Penna d'oro, angelo o boia?
E-book268 pagine3 ore

Cuore di ranocchia. Volume I. Penna d'oro, angelo o boia?

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Info su questo ebook

Sicuramente non mi aspettavo di leggere un libro per i bambini con tanta concentrazione e – devo riconoscere! – con tanto piacere. E comunque, non credo di esser già sul punto di diventare senile. Semplicemente il libro mi ha affascinato per l’ingegnosità dei personaggi, non meno, per il carattere vivo delle vicende che affrontano. Per non parlare poi dell’ottimo modo in cui il libro è scritto.

Sono felice che questo primo volume non sia anche l’ultimo, che si tratti di un ciclo intero, il quale è lontano dal chiudersi. Vorrei ritrovare questa stessa freschezza nella lettura anche nei volumi che seguiranno. Ho delle buone ragioni per dirlo. A differenza di voi, che avete adesso davanti agli occhi il primo volume della serie Cuore di Ranocchia, io ho già letto anche il secondo e mi preparo per leggere il terzo.

Non so esattamente che cosa abbia portato l’autore alla letteratura per bambini, però due cose mi sembrano chiare. La prima, che ha tutto il talento d’immaginazione e di espressione necessario a questo genere di letteratura, quindi è indiscutibilmente portato per questo genere. La seconda, che la sua opera capita in un genere assente, nella nostra letteratura, da qualche decennio. Il genere sussiste, negli ultimi tempi, soprattutto tramite le traduzioni e le ripubblicazioni, i libri originali essendo invece un’immensa rarità, se non un’assenza vera e propria. Sono felice che tra quelli che hanno pensato a coprire questa lacuna ci sia un autore talmente ricco di talento. Un autore che, accanto alle qualità di fantasia e di espressione già menzionate sopra, ha anche un’altra qualità che ritengo essenziale - sa introdurre quella dimensione morale senza la quale la letteratura per bambini non potrebbe essere concepita e che, però, non diventa mai moralizzatrice. La tesi morale risulta indirettamente dalle vicende, dai dialoghi e dalle meditazioni dei personaggi. E questo, come ho già detto, mi sembra capitale. Niente può allontanare un bambino dalla dimensione etica, neppure un adulto, così come lo fa un discorso moralizzatore.

Per quanto sappia io, queste fiabe si presenteranno al pubblico in varie forme – come volumi riccamente illustrati, come fumetti e ad un certo momento, se ho capito bene, come film di animazione. C’è ancora una cosa molto importante: in base alla nostra età e al tipo di struttura psichica individuale di ognuno di noi, il nostro modo di recepire è molto diverso. Perciò la cosa migliore è che ognuno di noi venga colpito dalle cose che più si avvicinano al nostro modo di essere.

Non vorrei chiudere prima di augurare ai lettori una gradevole lettura, aldilà della loro età e della forma di presentazione della fiaba che avranno scelto – libro, fumetto, ecc. – e allo stesso tempo, vorrei augurare buon lavoro all’autore, affinché noi lettori possiamo rallegrarci il più possibile delle peripezie dei suoi ingegnosi e affascinanti personaggi ! Se prima di fare questa lettura, qualcuno mi avesse detto che le pulci, i topi, persino i bachi da seta mi sarebbero divenuti simpatici, non ci avrei mai creduto!

Ancora una volta, buona lettura! – Liviu Antonesei, 14 Dicembre 2010, Iași

LinguaItaliano
EditoreAdenium
Data di uscita14 giu 2016
ISBN9789738097506
Cuore di ranocchia. Volume I. Penna d'oro, angelo o boia?

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    Anteprima del libro

    Cuore di ranocchia. Volume I. Penna d'oro, angelo o boia? - Vîrtosu George

    Storia imprigionata I

    Scrivo questa storia in memoria di un vecchio topo…

    Tutta la storia cominciò nel 2004, l’anno in cui la sfortuna mi prese prigioniero tra le sue grinfie, chiudendomi in un carcere nel sud della Francia. Tra i suoi confini, in tempi remoti, la Signora Ghigliottina era riuscita a far nidificare la paura nelle anime degli abitanti. Sotto la sua lama mortale, sulla quale padroneggiava il potere del Male, erano cadute le teste dell’intera famiglia reale, incoronata secondo la volontà e con la benedizione del Signore e di tutti coloro che avevano creduto ai loro ideali di costruire un mondo nuovo.

    In un giorno di primavera di quell’anno, il sole accarezzava teneramente la natura intera: risvegliava alla vita molte radici amare, assaggiando il verde crudo dei boccioli…

    Io tenevo gli occhi chiusi nella cella fredda e scura. Non potevo fare altro che immaginarmi le impareggiabili bellezze di questo periodo dell’anno. Cercavo di dormire dopo pranzo tra le quattro pareti di cemento, crocifisse da secoli sullo scheletro dell’armatura che ogni giorno, dopo la mezzanotte, sentivo sospirare. Soffriva vedendo che la ruggine la mangiava, pian piano, soddisfacendo i piaceri dell’umidità, una delle fedeli serve della sofferenza. Infatti, qui dentro, tutto ciò che ci stava attorno sembrava compiacere la sofferenza, che portava sulle sue livide labbra la tragica sorte di tutti quelli che si trovavano in quel posto maledetto.

    Caddi in un leggero sonno, nel quale pensieri di ogni tipo inondavano la mia mente: ad esempio, era facile per me immaginare come stavano i morti nella bara, poiché la mia cella, fredda e non accogliente, somigliava proprio a un sepolcro.

    A un certo momento però, un rumore venuto da vicino mi fece trasalire. Aprii gli occhi intorbiditi dai pensieri che mi tormentavano e mi guardai intorno per capire che cosa potesse essere: ero come un’aquila selvaggia, cercando disperatamente la preda.

    Cosa pensate che mi sia stato dato di vedere? Un topo! Arrotolato in un filo bianco di seta, molto affamato, le orecchie schiacciate, coperto da varie cicatrici, stava sul tavolo, proprio vicino al mio letto. Rosicchiava disperato e spaventato la crosta di pane secco rimasto sull’angolo del tavolo. Non ebbi nessuna reazione. Mi parve molto coraggioso visto che non badava alla mia presenza. Rimasi di stucco, guardandolo da un lato, chiedendomi da dove fosse apparso… Teneva il pane con le sue zampe e rosicchiava freneticamente. Sicuramente la fame gli dava quel coraggio folle. Anche noi uomini facciamo lo stesso quando abbiamo lo stomaco vuoto: nel bisogno di dargli soddisfazione, proviamo a riempirlo il più velocemente possibile e ad ogni prezzo. E’ così che si spiegano i rischi pazzeschi ai quali ci sottoponiamo a volte, commettendo certe azioni, degne dell’impero del male, senza pensare alle conseguenze…

    Provavo a indovinare l’età del topo. Le sue cicatrici dicevano molto di lui: dove si era recato, quante prove aveva subito… Sicuramente aveva una grande esperienza di vita; abbastanza in ogni caso, visto che quel giorno di primavera era riuscito a essere libero e a cercare da mangiare nella cella di una prigione. Lo seguivo affascinato quando un altro rumore, stavolta famigliare, giunse alle mie orecchie: sul davanzale della mia cella erano atterrate dolcemente due colombe. Mi guardavano attentamente, volgendo verso di me quando un occhio quando quell’altro. Piano, sussurrando, come se non volessero svegliarmi, canticchiavano il loro canto non melodioso che aspettavo con piacere ogni giorno... Mi annunciavano che erano lì, che aspettavano il mio ritorno dal sonno tormentato, in cui vagavo ogni giorno, stordito, cercando attraverso oscuri anfratti almeno un sogno piacevole che mi fosse stato, un tempo, leale. Poiché tutte le cose belle mi avevano abbandonato a causa del terribile posto in cui mi trovavo. Cercavo un sogno che, quando mi sarei svegliato, mi desse la speranza di andare avanti. Una speranza che mi suggerisse che la Libertà infinita mi aspettava, dandomi di nuovo la forza di far rinascere i miei sentimenti appassiti, poiché da tanto tempo non sentivano più la carezza dei raggi di sole.

    Le colombe erano mie vecchie amiche: erano abituate a venire a trovarmi, ogni giorno dopo il mio risveglio, per prendere le loro briciole di pane. Spesso chiedevo loro:

    — Che colore avrà adesso la Libertà fuori?

    Le colombe stendevano larghe le loro ali. Mi facevano vedere le piume sporche, di un grigio scuro. Volevano dirmi che quello era il colore della libertà

    — Ma che succede? chiedevo io stupito. E’ forse finita l’acqua sulla terra?

    Chiudevano le ali e chinavano la testa per dire di no. Poi mi sussurravano con voce triste:

    — No, non è finita, però noi non abbiamo più modo di giungere all’acqua limpida e pulita. Aquile gigantesche, protette dalla legge (perché, dicono loro, sono in via di sparizione) si sono fatte padrone delle acque. La danno solo a chi vogliono loro, in cambio di carne fresca e morbida – neanche a dirlo – di colomba. Ovviamente... Parli della libertà? mi dicevano, voltando timorose le loro teste. Perché credi che veniamo a trovarti? mi chiedevano poi retoricamente.

    Sempre loro si davano la risposta:

    — Paradossalmente, qui, sul territorio del carcere, ci sentiamo più libere che nella nostra Libertà di fuori… Qui siamo desiderate, rispettate…. Mentre fuori siamo sempre sorvegliate dall’occhio del nemico. Non ci sorprenderebbe se venissimo a sapere che ci invidiano perché abbiamo accesso qui…. C’è un proverbio su quelli che non hanno molte opportunità nella vita: si dice che è meglio laddove noi non possiamo arrivare!

    Mi dovevo alzare per dar da mangiare alle colombe. Però, non volendo far paura al mio nuovo visitatore, aspettai ancora un po’.

    Volsi lo sguardo verso il Topo. Non avevo nessuna idea di com’era potuto penetrare nella cella. Il primo pensiero fu che era penetrato probabilmente tra le grate di ferro della finestra. Era possibile che, dal davanzale, dove mettevo le briciole di pane per le colombe, queste fossero cadute fuori, lungo il muro di cemento dell’edificio. Avendole trovate, il Topo avrà rischiato il tutto per tutto per salire su: si sarà arrampicato sul muro per vincere la sua terribile fame. E chissà: da lì, forse sarà caduto dentro…

    Buttai di nuovo lo sguardo attraverso lo spazio che mi offriva l’apertura della finestra. Vidi il filo spinato così fedele, così aguzzo, adempiendo la sua ingrata missione di far male a chiunque provasse ad entrare e, inutile dirlo, a chiunque provasse ad uscire…

    — Tuttavia, pensai, il topo è riuscito a giungere fino alla mia cella. Il suo ingegno, affilato al massimo da tante cicatrici, gli è servito. Non facevo nessun movimento, per non spaventarlo. Giravo solo gli occhi, per cercare di vederlo meglio. Sembrava soddisfatto come se avesse scoperto un mulino magico oppure un forno che prepara in continuo un pane squisito…

    Dopo aver mangiato con appetito e aver soddisfatto la sua fame, il mio Topo si leccò più volte le zampette, mormorando confusamente qualcosa che solo lui e il buon Dio potevano capire. Avrà detto una preghiera al Signore, ringraziandolo per il festino ricevuto come regalo.

    Scese lentamente dal tavolo, come un vecchio, rifugiandosi sotto il letto, verso l’angolo destro della cella. Rimase lì, deciso a condividere la cella con me. Doveva abituarsi al suo nuovo riparo. Dopo una settimana, con molta pazienza e perseveranza, riuscii a nutrirlo dalla mia mano. Diventò il mio amico. Dopo una settimana, il Topo mi permise di prenderlo in braccio. Lieto della fiducia che mi mostrava, lo liberai dal filo di seta imbrogliata a causa del quale inciampava e si muoveva con fatica. Anzi, gli feci fare anche un bagno caldo. Lo lavai bene, con il mio sapone da bucato, perché non ne avevo un altro. Un esercito di pulci si diede alla fuga dal suo pelo grigio…

    Abbiamo vissuto così un anno e nove mesi: abbiamo condiviso la stessa cella stretta, non visitata dai raggi di sole, e anche il nostro cibo ed i nostri guai… Sono riuscito anche ad imparare il linguaggio dei topi!

    La sua compagnia mi faceva bene. Ero felice di saperlo sempre con me. Però non pensate che avessi provato a tenerlo in cattività per paura della mia solitudine. Assolutamente no! Al contrario, sentivo pietà nei suoi confronti. Mi sembrava ingiusto che lui subisse la stessa pena con me. Più di una volta lo misi sul davanzale della finestra facendogli capire, nei limiti del possibile, che era libero di andarsene, di avere tutto ciò che gli offriva l’incantevole Natura, con poche parole, di godere la libertà…

    Mi sembra di vederlo stendere il suo musetto fuori, inspirando l’aria pulita. Poi si girava verso di me, si alzava sulle zampette posteriori mentre stendeva verso di me le zampette davanti affinché lo prendessi in braccio.

    Non voleva andarsene. La nostra amicizia diventava sempre più forte. E poi pensai che il povero topo non avesse alcun posto in cui andare. Come siamo anche noi uomini, una parte di noi... Oppure al contrario: come dice un vecchio proverbio, non tornare mai laddove è andata bene, perché potresti essere deluso di ciò che ritroverai al ritorno. Un brutto presente potrebbe rovinare i bei ricordi che una volta ti resero felice. Sarebbe un peccato finire nella trappola amara dei rimpianti…

    Comunque, ogni giorno capivo sempre meglio il mio piccolo animale che mi accompagnava con tanta devozione. Venni persino a sapere quale missione fu affidata ai topi su questa terra, ma di questo scriverò ampiamente nella fiaba che vi invito, con gioia, a leggere, nei prossimi volumi.

    I giorni passavano, ad uno ad uno, però tutto ciò che è bello, più precisamente la tranquillità che il Topo mi aveva offerto, non poteva perdurare per sempre. Un giorno d’inverno, alle prime ore del mattino, all’improvviso, così come succede di solito ai prigionieri, qualcosa d’imprevisto ebbe luogo nel carcere. Fui costretto per forza ad alzarmi dal letto che ero appena riuscito a riscaldare. Con le manette fredde alle mani e ai piedi, mi fecero uscire dal palazzo di cemento come se fossi un cane scacciato, preso con la gallina in bocca. Se prendessimo in considerazione i fondamenti della legge, non è giusto che i detenuti siano trattati in questa maniera. Non avevo trasgredito nessun regolamento attinente alla detenzione. Ma comunque…

    Uscii nel cortile del carcere, dove incontrai centinaia di altri detenuti, insoddisfatti come me. Aspettammo tutti un giorno intero, senza che nessuno ci desse alcuna spiegazione.

    Faceva un freddo cane. Nevicava. Guardavo i fiocchi enormi e mi immaginavo che Dio li spargesse sulle nostre teste attraverso il gigantesco settaccio del cielo, mandandoli proprio per pulire le nostre anime.

    Verso sera, seppi anche che cosa era successo: si era organizzata una perquisizione improvvisa in tutto il carcere. Come i cani da caccia che braccano la preda, le guardie della prigione avevano messo tutto sottosopra: pieni di sospetti, avevano frugato in tutti gli angoli. Sembrava loro che persino nei WC coperti potessero nascere vermi delle più evolute specie e temevano che se un giorno fossero diventati liberi si sarebbero adattati a qualunque ambiente, a qualunque situazione o rischio e sarebbero riusciti alla fine a comandare milioni di batteri (cosi come succede anche nella nostra società controllata da ladri furbi, difesi dalle leggi fatte da loro stessi).

    Il freddo mi aveva paralizzato. Non mi ricordavo più da quando aspettavo nel gelo. Pensavo al mio amico, il Topo. Ero impaziente di vedere che cosa faceva, di confessargli i sentimenti che avevo provato quel giorno in cui non eravamo più stati insieme. Più tardi, quando ci lasciarono entrare, nella mia cella invasa con la forza, trovai un disordine indescrivibile. Come se fossero passati migliaia di fulmini furiosi. Il letto era spostato da un lato, verso la parete. Nell’angolo in cui viveva il Topo scoprii un lago di sangue. Centinaia di gocce si staccavano e scorrevano tristemente tra il mucchio di paglia che conservava ancora il calore della povera bestia.

    Capii che era stato schiacciato da un grande stivale, che non aveva omesso di lasciare un’impronta sporca, tremenda, sulla parete, sopra il luogo in cui l’animale aveva vissuto. Il Topo però, era scomparso nel nulla. Giravo come un pazzo, cercando dappertutto nella cella. Avevo voglia di precipitarmi verso la porta e di gridare! Sapevo invece che tutto era invano, che nessuno mi avrebbe sentito… Ebbi solo il tempo di scorgere un ghigno di pagano. Questo mi sbatté la porta in faccia così forte, che il rumore assordante mi tappò le orecchie. Girai lo sguardo verso il luogo in cui il Topo era seduto. Dalla tristezza, rimasi con lo sguardo sospeso nel vuoto… Provavo a immaginarmi che cosa fosse successo… E io che non ero stato lì, a difenderlo!

    Non so quanto tempo rimasi così. Sentii a un certo momento un vento freddo che s’infilava tra le grate della finestra. Lo sentivo curioso, come se volesse raccogliere l’ultima briciola di calore rimasta dal corpo del topo, ciò che era rimasto sulla paglia bagnata di sangue… Rimasi di stucco. Non volli chiudere la finestra. Pensavo di lasciare che almeno il vento si sentisse a suo agio, poiché, per quanto mi riguardava, ero sconvolto da una tristezza infinita. Sarebbe stato ingiusto che tutti soffrissero per una disgrazia avvenuta a me; Dio ci ha lasciato un equilibrio, in questo senso: una bilancia le cui braccia si inclinano da sempre verso l’alto e verso il basso, cercando di equilibrare il Bene e il Male, la Luce e le Tenebre, la Bellezza e la Bruttezza, la Gioia e la Tristezza, l’Amore e l’Odio…

    A che poteva ancora servire la filosofia?... Io non ero più capace di niente. La disgrazia e il dolore si erano nascosti nella mia anima dopo questa triste vicenda. Una settimana intera non mangiai niente. Non uscii neanche dalla cella. Non volevo vedere nessuno. Tutti erano colpevoli di ciò che era successo. Pensavo solo al Signore, non smettendo di chiedergli: Mi hai dimenticato, Signore mio? Perché mi hai lasciato di nuovo solo tra questi muri tremendi, privi di calore, di pietà, recintati dalle sinistre grate di ferro? Queste pareti si nutrono praticamente con i giorni dei detenuti, invecchiando il loro corpo precocemente e cancellando dalla loro memoria tutto ciò che ha più valore.

    Credevo che Dio non sentisse più il mio pianto, però avevo sbagliato. Dopo otto giorni, durante la notte, ebbi la visita del mio amico, il vecchio Topo. Si arrampicò sul tavolo, senza affrettarsi, come si era abituato quando eravamo amici. Solo che questa volta il pane non lo interessava più. Era di nuovo imbrogliato nel filo di seta, come l’avevo visto la prima volta, come se lo avesse fatto apposta per ispirarmi pietà. Colmo di felicità, lo presi in fretta nelle mie braccia calde, come lo facevo nel passato, prima di andare a letto, quando volevamo riscaldarci a vicenda, affinché il sonno fosse più dolce. Vedendomi così triste a causa della sua scomparsa, il Topo mi mormorò:

    „— Che cosa ti succede? Non ti riconosco più! Sii forte amico mio! Non sarai qui per sempre! Forse Dio ti ha mandato qui con uno scopo, che solo lui conosce, per proteggerti da una disgrazia ancora più grande, con cui ti saresti confrontato se in questo momento tu fossi altrove. Il tempo passerà così com’è venuto; sarai un giorno liberato, tornerai dai tuoi cari. Più tardi capirai perché tu sia stato destinato a vivere questa disgrazia. Tu hai solo la missione di seguire la tua strada luminosamente, nonostante la notte profonda che ti circonda. Non dimenticare che ogni sfortuna conduce a un cambiamento. Può essere un’opportunità nascosta, vestita con panni troppo larghi, difficile da riconoscere a prima vista. Ogni volta che ti confronti con un problema, dopo averlo superato, questo poi ti lascia un regalo. Qualunque disgrazia, per quanto grande sia, può essere trasformata in una benedizione, e una benedizione, a sua volta, può diventare una maledizione se non sai come approfittarne adeguatamente. Prima di tutto però, prenditi cura di te. La vita perde il suo significato quando ti manca la salute. Non credere solo a quello che vedi: l’orizzonte dello sguardo è limitato. Devi guardare intorno a te con la Mente, approfittando di tutte la qualità con cui Dio ti ha dotato, nella sua infinita bontà. Solo lo spirito è veramente libero. Ci rivela che il Bene non è una meraviglia, che l’Amore non è un inganno, che la Bellezza non è una semplice fantasia. Al contrario: loro sono la vera realtà! La mente apre delle porte inaspettate, ci aiuta a trovare un modo per volare, non conoscendo nessun confine. Non lasciare che il peccato limiti i tuoi sogni. Non ostacolare la tua fede negli ideali, anche se adesso non sei per niente sicuro di poterli realizzare.

    Il Signore ci ha dotato di Anima, Mente e Corpo; in poche parole – di Vita. La mente è il ponte tra il Corpo e l’Anima. Essa mantiene la pace e l’armonia tra i due. Il Corpo è il tempio che ospita la Vita, proteggendola come un fiore che porta un’indescrivibile sensibilità – l’Anima. La Mente è quella che apre alla Vita la strada verso l’Universo infinito, arricchendola di tutte le meraviglie regalate da Dio. Se il Corpo non può portare nella tua vita le cose che la tua Anima desidera, la tua Mente ti può aiutare a immaginare di aver già tutto, insegnandoti a credere nella tua forza di andare avanti.

    Quindi, mio caro amico, caccia via la Tristezza! Pulisciti senza piètà i piedi su di essa, a tal punto che, sporca com’è, non meriti che tu la raccolga più da terra! Non permetterle di oscurare il tuo viso illuminato dalla fiducia in te stesso!"

    Lo ascoltavo senza accennare nessun gesto. Ero così depresso…

    L’assenza di ogni reazione da parte mia determinò il Topo a sospirare profondamente. Mi chiese di metterlo di nuovo sul tavolo e io risposi alla sua richiesta, in silenzio. Si inclinò, lentamente, come un vecchio, prese la biro e me la tese. Non ebbi il tempo di prenderla dalla sua zampetta: il rumore di passi che si allontanavano ci fece trasalire. Come se qualcuno, passando davanti alla finestra, si fosse fermato per ascoltare le parole del mio amico e adesso se ne andasse. Il Topo girò subito la testa verso il luogo in cui il rumore si era fatto sentire: era spaventato. Però non ebbe il tempo di fare altro che scorgere le orme di un’ombra che scompariva anch’essa dalla luce dei raggi della Luna...

    Per l’emozione, il Topo lasciò cadere la biro dalla zampetta. Quando questa giunse sul pavimento, si fece un rumore così forte che mi svegliò.

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