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Due eroi sconosciuti (Policromia)
Due eroi sconosciuti (Policromia)
Due eroi sconosciuti (Policromia)
E-book539 pagine8 ore

Due eroi sconosciuti (Policromia)

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Info su questo ebook

Un ragazzo e una ragazza devono diventare adulti in fretta in una comunità di coetanei legati a consuetudini vecchie, a interessi economici di potere di famiglie-bene. I due giovani uniscono le forze, si dissociano da un conflitto aperto, in silenzio operano per proprio conto fino a diventare autonomi e superare chi li contrastava. Il passaggio di credibilità non è indolore, ci sono morti violente che ristabiliscono equilibrio tra forze centripete. Gli episodi sono lo specchio della società italiana dell’inizio del secolo scorso fino alla metà. Due guerre, poteri forti che si contrappongono alle richieste di uguaglianza e di superamento della povertà del Paese ancora legato all’agricoltura. La scelta della classe ricca e agraria di nascondersi dietro le ideologie del fascismo pretende di mantenere potere e benessere. Ma la disfatta della guerra sarà anche la rinascita di un popolo.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita28 ott 2019
ISBN9788833663661
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    Anteprima del libro

    Due eroi sconosciuti (Policromia) - Gianni Cardia

    1948

    CAPITOLO I

    Era una mattina strana di una calda estate, un borbottio di nuvole chiassose annunciava una cascata di pioggia che avrebbe rinfrescato la temperatura e allontanato i bagnanti dalle spiagge.

    Subito dopo, l’acquazzone fendeva il cielo, creando una barriera d’acqua che limitava l’orizzonte.

    La terra bagnata esalava profumi antichi tanto da suggerire a Francesco di ritornare a letto, ascoltare la pioggia e allungare le ore di sonno.

    Sognava di trovarsi in una città lagunare, attraversava di corsa i ponti ma con la bicicletta a spalle altri corridori si univano a lui attirati da quella singolare corsa fra canali e barche di pescatori. Raggiunta la terra ferma, la gara continuava pedalando verso vette più alte dei colli. Non c’era agonismo quanto fretta di salvarsi da una catastrofe che avrebbe sommerso l’intera città causa l’innalzamento del mare.

    La prima sosta dei corridori fu fatta per dare tempo a tutti di recuperare le forze e riprendere fiducia prima di arrivare alla meta, ma l’arrivo caotico e disordinato di tutta quella gente svegliò Francesco e lo riportò alla realtà del suo letto e ai suoi doveri quotidiani.

    Si alzò con un senso di stanchezza, confuso e consapevole di aver vissuto un sogno. Come interpretarlo?

    Il vento di scirocco riscaldava l’aria e le case, la gente si affacciava ai portoni per attenuare il caldo. I ragazzi ultimate le lezioni di scuola si riunivano a piccoli gruppi nelle piazzette centrali del paese, giocavano e si divertivano.

    C’erano quelli che giocavano a batti, battevano contro il muro delle vecchie monete della lira monarchica, colui che con il lancio si avvicinava a una moneta sul cordolo del marciapiede vinceva il doppio della posta.

    Altri ragazzi giocavano al somaro: si formava un cerchio dei presenti, uno di loro al centro, uno, due, tre, etc. fino allo stop, in senso orario si faceva la conta per esclusione e gli ultimi due rimanenti dovevano sostenere il carico degli altri. Infatti si chinavano a groppone, il primo appoggiato al muro il secondo alle terga di questi, tutti gli altri estratti, uno alla volta si lanciavano cadendo a cavalcioni sui due, quelli che cadevano perché sbilanciati dal groppone dei malcapitati si sarebbero sottoposti alla stessa pena.

    Altri giocavano alla guerra e si affrontavano con armi bianche di legno o imitavano i moschettieri.

    Un gruppo era seduto su un muro, raccontavano o imitavano i loro maestri di scuola, ridevano e scherzavano sui difetti degli adulti o dileggiavano i coetanei di passaggio.

    C’era il prepotente di turno che se la prendeva con qualche bambino timido con l’intento di imporsi sul gruppo, per fortuna gli amici di quello si avvicinavano minacciosi e gli equilibri si invertivano, il bullo diventava oggetto di scherno.

    Le bambine assistevano in disparte applaudendo ora gli uni ora gli altri.

    La serata estiva si concludeva quando calavano le tenebre, i più giovani si ritiravano nelle proprie case, mentre tanti adulti si riunivano nelle bettole o nei bar.

    Tali episodi di vita si verificavano in un anonimo paese del sud Italia, edificato tanti secoli prima su di una lingua di terra circondata da paludi di acque salmastre che protendevano gradualmente verso il mar Mediterraneo. La costa era sabbiosa, il mare prospiciente era pescoso, e ricco di frutti di mare, meta di pescatori e turisti. La comunità paesana si raccoglieva attorno alla chiesa parrocchiale costruita nel IV secolo d.c., dominava su una pianura circondata interamente dal mare, godeva di un clima mediterraneo, aveva un’origine vulcanica, il cratere centrale vicino all’abitato, in tempo remoto aveva vomitato ceneri e lapilli.

    Abitata già nel neolitico aveva trovato il massimo fulgore tra il VIII e il II secolo a.C. grazie ai Fenici, che avevano costruito la città divenuta punto strategico nel Mediterraneo e ponte di espansione verso le coste sud della Gallia continentale. Diventata ricca grazie al commercio, conobbe un periodo di decadenza con l’avvento dei Romani che si sostituirono ai Cartaginesi. Ciò che questi avevano sviluppato con gli scambi con altri popoli del Mediterraneo, oro, grano, cereali, porpora, vetro, ceramica, marmi, ora finiva in tasse per la città di Roma.

    L’intero abitato si era sviluppato presso l’attuale paese, aveva ereditato i maggiori monumenti, aveva salvaguardato il vasto cimitero antico che ancora oggi è meta di scavi archeologici per la storia della comunità.

    Il secolo XX aveva lasciato dietro di sé eventi antichi e recenti e la vita si era nuovamente affacciata alla comunità di anime in cui vigevano ancora consuetudini antiche, i giovani si sposavano presto, avevano figli presto, la mortalità infantile era causata dalla malaria e da influenze di popolazioni che si erano avvicendate nel tempo, i ragazzi che superavano le malattie venivano avviati al lavoro, c’era necessità di nuove braccia in campagna. I primi rudimenti sul sesso si apprendevano dalla natura, parlarne era fuori luogo.

    Chi possedeva la terra poteva cambiare il proprio status sociale già dai primi anni di vita, la scolarità infantile e primaria non era obbligatoria.

    I matrimoni erano regolati dai genitori o dai clan familiari, l’obiettivo primario era aumentare la proprietà terriera che era condotta dai maschi, le femmine portavano in dote terreni, ma si occupavano della casa, diventavano madri, fattrici di nuove braccia per il lavoro.

    L’impegno dei ragazzi iniziava al sorgere del sole e finiva al tramonto assieme agli adulti. L’anno agricolo era di fondamentale importanza: la semina e i legumi, semi in grado di trattenere la vita, perpetuarla anche quando apparentemente sembra averli abbandonati.

    Accogliere il ritorno dei defunti, preparare il cibo e al tempo stesso consumarlo, vuol dire essere partecipi di questo infinito ciclo di morte e di rinascita, cibandosi degli stessi semi.

    L’alimentazione tipica del povero diventa un vero e proprio tesoro, colmo di ricchezza spirituale, tanto per il vivo che per il morto, il quale si dice si alimenterà del senso di eternità trasmesso dal cibo o attraverso il suo odore o per mezzo della stessa persona che se ne nutrirà.

    Il cibo, così, da simbolo di vita si tramuta in forte fattore d’aggregazione ed elemento principale di generazione. È qui che entra in gioco la sottigliezza di quel velo che divide il mondo dei vivi da quello dei morti. Essa si fa più fine e le due dimensioni possono quasi arrivare a toccarsi, se non a fondersi, qualcosa rimane non solo attraverso e per mezzo di noi che la manteniamo in vita per discendenza biologica e culturale. Qualcosa resta anche attraverso la testa e il cuore, ragionamento e sentimento rimangono verso l’esterno o l’interno di noi stessi.

    Le feste paesane rappresentavano l’evasione dal quotidiano, l’opportunità, il sogno, coinvolgevano tutti o quasi a partecipare con fervore, i giovani guardavano le giovani, gli adulti presentavano la propria famiglia o se avevano figli li preparavano a formare nuove coppie che avrebbero a loro volta prodotto nuove braccia.

    I sogni delle ragazze erano rivolti ai loro coetanei più benestanti o ai forestieri che le avrebbero portate via. Sapevano fin da bambine che la loro condizione sarebbe stata quella di spose, madri e che avrebbero dovuto sobbarcarsi il lavoro entro le mura di casa. Le coetanee adulte e già sfiorite rinunciavano alla festa, per loro non ci sarebbe stato né incontro né gioia.

    Qualche donna maritata, lusingata da qualche maschio adulto, si concedeva a brevi e furtivi appuntamenti e amori compulsivi, il sesso era la via di fuga dalla monotonia delle lunghe giornate afose.

    Francesco era uno di quei bambini che giocavano nella piazza e, diventato ragazzo-adulto, sognava orizzonti lontani, desiderava ardentemente vivere in qualche città della penisola Italiana, sperava in una attività lavorativa diversa da quella che conduceva.

    Confrontava le sue aspettative di vita con quelle del farmacista, dell’avvocato, del notaio o del medico: costoro, che provenivano dalla città, godevano di privilegi in paese, occupavano posizioni invidiabili, vestivano bene, erano accolti e rispettati, ricevevano doni, si sedevano ai primi posti nelle feste o nelle manifestazioni, possedevano carrozze, avevano potere trasmissibile ai figli.

    Lui invece era solo un contadino del sud. Doveva fare qualcosa per cambiare.

    La sua famiglia era fra quelle più in vista in paese. Il padre Salvatore e la madre Maria si erano sposati tramite matrimonio concordato dalle famiglie ed era ben riuscito, aveva due fratelli, Giuseppina e Gavino, più piccoli di lui.

    Erano proprietari di vigneti, campi di grano, terreni a pascolo e bestiame. Avevano dei collaboratori. La loro casa era situata alla periferia del paese e aveva diverse stanze, una stalla attigua e un cortile. I genitori erano assidui lavoratori, non si concedevano lussi o sprechi, i guadagni stagionali erano accuratamente conservati per le evenienze quotidiane o per acquistare nuova terra.

    Si potevano definire benestanti, ma erano allo stesso tempo persone umili e discrete.

    Francesco V. era un ragazzo di rara bellezza, più alto dei suoi coetanei, viso fine, occhi neri penetranti, sopracciglia folte, capelli pure neri e ricci, zigomi appena pronunciati, mandibola forte, labbra rosse carnose, naso affusolato quasi perfetto, mento proporzionato, il sorriso scopriva denti bianchi e formava fossette ai lati. Aveva un collo forte e spalle larghe, braccia e mani muscolose.

    I suoi gesti erano sempre controllati e armoniosi, possedeva voce gradevole e suadente per la sua età, i suoi discorsi erano semplici, da contadino, ma sempre appropriati. Amava passare inosservato, eppure già da giovane aveva dei concorrenti.

    Dopo le stagioni di lavoro sui campi, l’estate era un periodo eccellente per i più giovani: raggiungevano le spiagge vicine e davano libero sfogo alle loro energie, nuotavano in acque cristalline, si rotolavano nella sabbia fine e calda, giocavano al pallone o si rincorrevano. Qualche giovane mostrava le sue natiche bianche e si divertiva dell’imbarazzo che causava negli altri.

    Se qualche barchetta di pescatori era ancorata più al largo della spiaggia era occasione per salirvi e tuffarsi in gara competitiva, alcuni di loro spalmavano tutto il corpo di fango nero e correvano spaventando le rare ragazze che avevano raggiunto la spiaggia.

    Ma il vero momento di pausa atteso per l’intero anno era la grande festa di mezzo agosto, durava tre giorni ed era l’occasione propizia per fare incontri, per ballare, per divertirsi, per conoscere nuove ragazze, per amare. Ma era anche l’occasione per vedere tante novità commerciali che venivano esposte, vedere il circo equestre con animali esotici, essere coinvolti in tanti giochi che animavano gli stand, lustrarsi gli occhi con una infinità di articoli inconsueti per loro, partecipare a gare sportive o competitive; insomma, far parte di una comunità intera che lasciava il lavoro e veniva interamente coinvolta in una miriade di opportunità diverse dalla quotidianità contadina.

    Le maggiori animatrici della festa erano le ragazze, loro coloravano di bandierine le strade, addobbavano i balconi di teli colorati, spargevano fiori nelle strade principali, preparavano nicchie ricche di porpore e rami profumati dove la processione del santo patrono si sarebbe fermata per benedire le case. Erano sempre loro che si facevano belle di preziose stoffe e ricchi gioielli per sentirsi ammirate e adulate dai maschi loro coetanei. Erano ancora loro che partecipavano ai cori, ai balli, a tutte quelle piccole manifestazioni di gioia così importanti per rinnovare la vita della comunità. Infine erano le giovani più veraci che si riunivano e scherzavano sui difetti, le morbosità o le timidezze dei loro concorrenti maschi.

    Fra le molteplici occasioni festaiole, fossero materiali o di puro divertimento, c’erano i balli.

    Era l’occasione diretta per incontrarsi, conoscersi, far nascere emozioni, stringersi, abbracciarsi, gli uni agli altri, scegliersi, innamorarsi, sognare, divertirsi come non mai.

    Tutte occasioni impensabili durante il resto dell’anno nell’ambito del mondo contadino di quella comunità legata a usi e consuetudini secolari.

    Erano ancora una volta le ragazze che prendevano l’iniziativa di invitare, scegliere il ballerino e stringerlo a sé in quella occasione così attesa e festosa.

    Letizia scelse Francesco, l’amica Grazia un amico di lui e si diressero al centro per ballare. Per rompere il ghiaccio qualcuno doveva pur dire qualcosa, fu così che Francesco disse alla sua ballerina: «Sei leggera come una piuma, chi ti ha insegnato?»

    Lei sorridendo rispose: «Guardavo gli altri o mi esercitavo con mia sorella… guarda Grazia come si diverte con il suo nuovo compagno! Sembrano fatti l’uno per l’altra.»

    Lui, dopo una breve pausa, riprese: «Ti ringrazio per avermi invitato, ti ho vista e seguita altre volte, ma non ho avuto il coraggio di farmi avanti.»

    Letizia non rispose.

    Francesco continuò a farle complimenti: «Profumi come un fiore fresco e il costume che indossi è bello come te.»

    «Grazie, l’ho cucito io stessa in lunghe serate» spiegò la giovane, gratificata. Poi cambiò argomento: «Anche io ti ho notato, sebbene ti nasconda fra gli amici. Non ti ho visto con altre ragazze, forse le eviti?»

    «Mi limito a guardarle.»

    «Sei timido?»

    «Non proprio» spiegò Francesco «ho timore dei vostri giudizi, specialmente quando siete in gruppo. Vorrei sapere cosa raccontate di noi ragazzi.»

    «Noi osserviamo se sapete sorridere, se sapete ballare, stare in compagnia…»

    «Se siamo dolci, se giochiamo con voi, se andiamo alle feste…» aggiunse lui ridendo.

    «No, non dico questo. L’importante è che ci capiate, perché anche noi abbiamo dei desideri, per esempio mi piace come mi abbracci, mi piace il tuo odore fresco.»

    Lui si sentì lusingato e l’attirò più a sé. Intanto l’orchestra aveva rallentato il ritmo del brano musicale e i ballerini si avvicinavano, così fecero i nostri due giovani che erano quasi a contatto di pelle. Francesco aveva partecipato ad altri balli, ma era la prima volta che provava viva gioia per la graziosa giovane che era fra le sue braccia e che istintivamente l’attirava, sentiva che era una sensazione nuova, inspiegabile. Provava piacere, ma allo stesso tempo lo dissimulava con imbarazzo.

    Non voleva attirare l’attenzione della compagna di ballo, era arrossito e sudava.

    Lei, che si era accorta del cambiamento, era incuriosita e divertita; capì il suo imbarazzo, gli sorrise e continuò disinvolta. Anche lei provava piacere e sperava che la danza continuasse a lungo.

    Fu proprio l’amica Grazia che, fattasi avanti, chiese di continuare il ballo. Letizia ritornò al suo tavolo assieme alle altre ragazze chiassose. Appena le due si trovarono vicine, Grazia rivolta all’amica domandò: «Perché mentre ballavi con quel ragazzo sei arrossita e sudavi? Cosa ti ha detto per farti diventare così seria e concentrata?»

    Letizia sorrise cercando di evitare la prima domanda, fece una pausa e cominciò a raccontare le sensazioni che aveva provato durante il ballo; aveva intuito che il giovane era eccitato e tale situazione attraeva anche lei e, ridendo, aggiunse che le piaceva.

    Grazia chiese, ridendo: «Ti è passato il rossore?»

    «Avrei continuato ancora a lungo!» confessò Letizia.

    Entrambe risero divertite.

    Francesco intanto si era rifugiato tra i suoi amici e aveva ripensato a ciò che aveva provato per quella giovinetta. Era molto imbarazzato, non gli era mai capitata una cosa simile, avrebbe voluto rivederla.

    La serata si era prolungata fino al tramonto, tutti i presenti avevano partecipato attivamente ai giochi, ai canti, ai cori e alle contrapposizioni giovanili.

    I genitori di Letizia si chiamavano Mario e Lucia. Aveva anche due fratelli, Giuseppe ed Efisio. I suoi erano stati sposati tramite accordi con le rispettive famiglie di appartenenza e la loro unione era felice. Erano proprietari di vari terreni seminati a grano e vigneti e possedevano bestiame da allevamento. Fin da giovani erano impegnati a gestire le proprietà e migliorarle.

    I loro obiettivi principali erano dare maggior istruzione ai figli oltre che impegnarli nel lavoro quotidiano. I ragazzi da piccoli avevano frequentato la scuola elementare. Letizia, unica femmina, era stata ammessa alla scuola privata superiore: era molto competitiva, studiosa, attenta. Non accettava compromessi dei compagni, sapeva distinguersi nel gruppo ed eccelleva per intelligenza.

    Sognava di vivere e lavorare nel capoluogo dell’isola, in città, poiché era di famiglia agiata le sarebbe piaciuto vestire bene, frequentare i negozi, affrancarsi dal lavoro duro, avere nuove amicizie, sposare qualche giovane borghese e benestante. Desiderava una famiglia tutta sua, far frequentare ai figli le scuole superiori e l’università del capoluogo isolano.

    Dai contatti d’affari di suo padre con i commercianti della penisola, aveva appreso di nuove opportunità occupazionali nelle fabbriche. Anche lei vi avrebbe lavorato, se ciò le avesse cambiato la vita.

    Letizia e Francesco si erano rivisti mesi dopo, l’incontro era stato casuale, una festa: stessi gruppi, stessi entusiasmi, tavoli diversi, attese diverse. Le luci delle lampade illuminavano le strade e gli stand dei venditori; si esponevano stoffe colorate a fiori vivaci, oggetti per la casa, cassapanche intarsiate, maschere di legno, bibite di importazione, vini locali, miele, dolci, varietà di pesci freschi, datteri di mare, prodotti della campagna, ortaggi, frutta di stagione e frutta secca, formaggi di varie forme ed essenze, pani elaborati, salumi, liquori, animali da cortile, asini, cavalli, buoi, maiali vivi e morti e carni, tante carni esposte. C’erano gli arrosti di carni e di pesci e vivande cotte per il consumo. C’erano i rappresentanti del circo, con i loro abiti sgargianti e gli animali esotici, era un mondo variopinto e vivace che si mostrava, c’erano le attrazioni e gli svaghi che avrebbero animato tutti. Era l’occasione per mettere in circolazione qualche risparmio.

    I due giovani che da tempo si cercavano si erano visti confusi tra la folla, gioiosi si erano salutati con gesti delle mani. Si sarebbero abbracciati, tanto erano felici di rivedersi, ma la presenza di amici e conoscenti aveva frenato il loro impetuoso entusiasmo.

    La sera ci sarebbe stata la festa da ballo, era l’occasione per rinverdire nuove e vecchie amicizie, frequentarsi e gioire insieme. Ognuno in cuor suo cercava l’anima gemella, qualcuno diceva:

    «Guarda quella bruna con il vestito a fiori, è bellissima!»

    «Guarda quella seduta in disparte, attende che la inviti!»

    «Mi piacerebbe conoscere quella seduta in disparte, vicina a quella che ha quel fazzoletto così vistoso, mi piacerebbe incontrarla.»

    «Vorrei incontrare quella che si sbraccia salutando tutti.»

    «Vorrei baciare quella che…»

    «Guarda quel ragazzo con i pantaloni neri, è bellissimo!»

    «Io vorrei che mi invitasse al ballo quel tipo alto, me lo stringerei forte…»

    «Quel tipo un po’ biondo, là in piedi… gli morderei le labbra tanto mi piace!»

    Ogni ragazza o ragazzo sperava di far centro nel cuore dell’altro, era la sfida per incontrare colui o colei che avrebbe acceso il loro desiderio.

    Letizia e Francesco c’erano, si guardavano dai rispettivi tavoli e desideravano avvicinarsi, stare insieme, ballare, parlarsi, ma non volevano attirare l’attenzione.

    L’orchestra suonava diffondendo musiche orecchiabili. Fu Francesco a fare la prima mossa: si diresse al tavolo di Letizia e la invitò. Lei aspettava ansiosa, insieme si infilarono fra le coppie al centro.

    Fu sempre lui a parlare per primo: «Letizia, ti ho cercata a lungo, non ti ho più vista. Come mai?»

    «Sono stata molto impegnata a scuola e a casa» rispose lei.

    «Oggi sembri più bella… Sei impegnata con qualcuno?» cercò di informarsi il ragazzo.

    «No, non ho nessuno» chiarì Letizia.

    «Avrai dei momenti liberi!» Francesco insisteva.

    «Sì, ci vediamo con Grazia e con le altre amiche. Qualche volta ci riuniamo e chiacchieriamo.»

    «Vorrei ascoltare cosa dite e pensate di noi!» Francesco era curioso.

    «Ti consiglio di non scoprirlo mai!» disse lei, sorridendo.

    Dopo una breve pausa, Francesco si fece serio e le domandò: «Senti, Letizia, se avessi un ragazzo come dovrebbe essere per attirare la tua attenzione?»

    «Ancora non ho un ragazzo e non saprei come descriverlo, forse dipende dal momento» rispose la giovane.

    «A me piacerebbe una come te, allegra, profumata, bella…»

    «Grazie!» Letizia era lusingata dalle parole di Francesco. «Io non so, mi farei guidare dall’istinto.»

    «Potresti uscire di casa qualche volta?» volle sapere il ragazzo.

    «Dipende…»

    «Dipende da cosa?»

    «Dal permesso dei miei genitori, dagli impegni… non saprei. Perché me lo chiedi?»

    Dopo un breve silenzio, Francesco riprese a parlare: «Sai, Letizia, mi piacerebbe rivederti, ma non fra mesi, fra qualche giorno, anche domani… Vorrei parlarti lontano da questo chiasso, vorrei confrontarmi con te e scoprire se abbiamo cose in comune… Cosa ne dici?»

    «Dovrei pensarci e trovare l’occasione. Mi devi dare tempo» rispose Letizia.

    «Di quanto tempo hai bisogno? E come possiamo comunicare?»

    «Non so… È molto importante?» Letizia era dubbiosa.

    «Sì, per me sì, ci terrei tanto… Puoi farmi sapere dove possiamo incontrarci?»

    «Ti farò sapere. Ora continuiamo a ballare.»

    I loro corpi volteggiavano tra la folla dei ballerini, evitando di scontrarsi. Il silenzio si era protratto a lungo, i loro pensieri elaboravano domande e risposte, ognuno per proprio conto attendeva la mossa dell’altro.

    Francesco le sussurrò: «Le tue amiche sono vicine, parleranno di noi? Ci guardano!»

    «Forse guardano te» si schermì Letizia.

    «Non credo. Sei raggiante, sorridente, il tuo abito attira gli sguardi. Sembriamo una bella coppia, non ti pare?»

    Lei gli sorrise senza rispondere. Continuarono a ballare anche quando la musica si era interrotta, erano immersi entrambi nei loro pensieri e nell’entusiasmo del momento. Finalmente si fermarono e si diressero verso i rispettivi tavoli. Il locale si era riempito. Si respiravano partecipazione, entusiasmo, complicità tra i giovani e curiosità da parte degli adulti. Le ragazze vivacizzavano l’ambiente, con le loro risate e chiacchiere. Scambiavano pareri sui cavalieri e sui loro abbigliamenti, parlavano delle stoffe usate per i loro abiti, dei gioielli finemente lavorati che indossavano, raccontavano se erano di proprietà o presi in prestito.

    I ragazzi, più dimessi, si confrontavano sulle conquiste fatte e si burlavano per i rifiuti ricevuti dalle ragazze. Uno di loro, mimando un invito a una damigella e inchinandosi, scimmiottò gli amici: «Ciao, bel fiore, sei così carina, balli come una zanzara… Ti prego, non pungermi subito! Non vorrei contrarre la malaria! Ma baciami sul naso, così volerò lontano.»

    Risero tutti.

    L’orchestra riprese a suonare, le coppie si portavano al centro, i ragazzi invitavano le ragazze, altre si divertivano allegramente, altre ancora attendevano un particolare cavaliere.

    Anche Letizia era richiesta da tanti giovani per la sua bellezza, ma rifiutava cortesemente; aspettava qualcuno, il suo tavolo intanto si era svuotato.

    Francesco le si avvicinò, le tese la mano e assieme si avviarono al centro della pista. Erano concentrati e attenti, si guardavano e sorridevano. Stavano bene insieme e si scambiavano apprezzamenti.

    «Sei bellissima, leggera nel cambio passo» si complimentava Francesco.

    Letizia ascoltava, sorrideva, fingeva modestia e glissava. Guardava il ragazzo e contemporaneamente volteggiava leggera come una piuma in un prato verde all’aria aperta e libera. Erano affiatati come due parti di un corpo unico, era piacevole stare assieme. Francesco ballava a contatto con la giovane, respirava il suo profumo fresco, la sua gioia, il suo sorriso. Era molto attratto da lei, il suo cuore batteva forte. Provava per lei tante sensazioni: simpatia, amore, dolcezza, piacere, attrazione. Ora sentiva caldo, sudava, era arrossito e il cuore e le tempie pulsavano sempre più forte. Provava piacere e allo stesso tempo molto imbarazzo. Avrebbe voluto celare quanto gli stava accadendo, temeva che lei si accorgesse del suo disagio e, per mascherarlo, continuò a sorriderle.

    A Letizia, che contraccambiava sorriso e gioia, non era sfuggito il rossore delle guance di lui e quasi inavvertitamente capì che era eccitato. Pur attenta e vigile agli sguardi delle altre coppie, si lasciò coinvolgere anche lei, ricordava i racconti delle amiche più mature che scherzavano sul sesso. Esse ridevano per i dettagli piccanti, si divertivano a descrivere i momenti di eccitazione e gli imbarazzi che provavano, ma quanta curiosa fantasia e piacere procurava loro il discorrere di quegli argomenti!

    Ora era lei a essere coinvolta direttamente, non era più solo l’ascoltatrice di un racconto piccante. Provava gioia, curiosità, amore. Capiva che il suo cuore si apriva e reagiva positivamente a questa esperienza.

    Nessuno si era accorto di loro. Finita la musica, ritornarono ai rispettivi tavoli tra i lazzi e i frizzi degli amici.

    Dopo quel nuovo incontro si sentivano più attratti l’uno dall’altra, erano fra gli amici ma avevano la testa altrove. Letizia pensava e ripensava a quel piacere che l’aveva presa mentre ballava tra le braccia di Francesco, si sentiva rilassata, provava gratitudine per il giovane.

    La sua testolina rimuginava ogni cosa, era svagata e contenta per ciò che aveva provato. Era un suo segreto che non poteva rivelare ad alcuno.

    Ballarono assieme altre volte senza fare coppia fissa, volevano stare vicini, ridere, volteggiare, godersi la festa. Non parlavano ma partecipavano intensamente. Si erano ripromessi di rivedersi e parlarsi, era un impegno. Ma sarebbero riusciti a incontrarsi?

    La serata volse al termine e, in gruppo o da soli, dopo i saluti di rito, tutti tornarono alle rispettive case.

    Letizia andò a letto presto, si avvolse nelle lenzuola e abbracciò il cuscino, cercando di lenire la stanchezza della serata, mentre il cuore e la mente la riportavano alle ore appena trascorse e ripensava a quella nuova esperienza vissuta. Già amava quel ragazzo!

    Tempo dopo, Letizia incontrò la sua amica e fecero un tratto di strada assieme. Grazia le raccontava della festa a cui entrambe avevano partecipato, dei nuovi amici che aveva conosciuto, delle risate fatte assieme. Poi le confessò che l’aveva vista con quel ragazzo che aveva conosciuto mesi prima, ma non le era sembrata entusiasta dato che aveva ballato anche con altri ragazzi.

    Letizia in cuor suo era felice che la sua amica non si fosse accorta che tra lei e Francesco era nato qualcosa; era tentata di renderla partecipe della sua esperienza, ma il buonsenso prevalse preferì ascoltare che confidarsi.

    Per distrarsi pensò a una nuova opportunità di incontro: poteva essere una domenica oppure la prossima festa, che purtroppo era lontana. Non si poteva escludere nemmeno la possibilità di un incontro casuale.

    Anche Francesco, seppur impegnato, pensava a lei. Sapeva che ci sarebbe stato un nuovo incontro, lei lo avrebbe avvisato, ma non sapeva quando. L’aveva cercata, ma non sapeva dove abitasse, quindi aspettava che qualcosa si muovesse.

    Un pomeriggio inoltrato il giovane usciva dalla farmacia, dove aveva acquistato delle medicine per la madre.

    Fatti pochi passi, incontrò un gruppo di ragazze che in senso contrario si avviavano per una strada laterale. Fra loro c’era anche Letizia. Entrambi si videro, lei arrossì leggermente, lui incontrò il suo sguardo e rallentò il passo. Non alzò la mano, ma con gli occhi accennò un breve saluto, lei ricambiò e tirò dritto. Sentiva lo sguardo di lui su di sé.

    Le amiche fecero commenti su quel bel ragazzo, una di loro conosceva la sua famiglia e ne informò le altre.

    Essa stessa, a suo dire, avrebbe voluto conoscerlo, perché il giovane sembrava schivo e dedito a continui impegni, la scuola e il lavoro. Sembrava una persona a modo e riservata.

    Letizia assentì e continuò a incalzare l’amica per saperne di più. La ragazza raccontò che Francesco aveva una sorella e un fratello più piccolo. Il padre era costantemente nei campi perché avevano tanta terra, bestiame, vigneti e tanto altro. Si sapeva ben poco di loro, perché erano una famiglia riservata e molto laboriosa. Letizia non chiese altro, non voleva suscitare la curiosità delle amiche.

    Dopo quell’episodio Letizia e Francesco non si erano più visti. Non volevano comunicare per tramite di amici, ma ciò aumentava il desiderio di incontrarsi.

    Un pomeriggio Letizia decise di fare un giro con la bicicletta del padre, accompagnata da un’amica. La loro meta sarebbe stata una spiaggia vicina. Frequentare la spiaggia da soli sarebbe stato imprudente, si andava al mare per incontrare i pescatori e acquistare ciò che le loro reti avevano raccolto.

    Sotto qualche centimetro d’acqua vicino al bagnasciuga si trovavano i murici che gli antichi abitanti usavano per produrre la porpora, si coglievano grosse arselle oggi completamente scomparse, c’erano molte alghe trascinate a riva dalla risacca e tronchi d’albero spinti dal vento. A volte comparivano bottiglie con qualche messaggio. Poco più all’interno crescevano i vimini con cui si confezionavano cestini. I ragazzi sceglievano le infiorescenze esterne molto simili a un sigaro cubano.

    Al rientro a casa, la ragazza pensò proprio a quel posto come teatro di un breve incontro, il luogo sembrava poco frequentato, c’era la lunga distesa di sabbia, le dune, i pini marittimi all’interno, sarebbe stato un ottimo punto di ritrovo. Sì, sembrava davvero una buona idea!

    Una domenica, all’uscita dalla messa, sulla piazza della chiesa i ragazzi si incontravano, scambiavano saluti, proponevano nuovi incontri e, poiché la giornata era splendida e assolata, la gente si fermava nel piazzale a conversare prima di avviarsi verso la propria casa.

    I due giovani si rividero da lontano e si avvicinarono con i loro rispettivi gruppi di amici, fino a ritrovarsi quasi a contatto di gomito. La mano di Letizia passò qualcosa nella mano di Francesco, il tutto durò una frazione di secondo, nessuno si era accorto dello scambio. Tornarono fra i loro amici.

    Francesco era sorpreso e incuriosito, divertito stringeva fra le dita quel piccolo foglietto di carta. Era ansioso di leggerlo.

    Si avviò verso casa, andò nel fienile, vi si adagiò, poi senza fretta tolse dalla tasca quel minuscolo involucro, lo aprì al rallentatore, vi passò la mano sopra come a stirare la carta. Con molta curiosità e sorpresa lesse il messaggio che gli sembrò misterioso, infatti conteneva solo le indicazioni del luogo, della data e dell’ora.

    Letizia era stata fedele alla promessa fatta, ti comunicherò luogo, data e ora.

    Francesco fu stupito dalla determinazione di lei. Piacevolmente sorpreso, lasciò che la carta si distendesse nella sua mano, ripiegò il braccio sinistro dietro la nuca e si appoggiò al fieno.

    Rilassandosi, pensò a quella piccola manovra da lei architettata e al suo coraggio, poi cominciò a fantasticare sulla piccola avventura che stava per iniziare.

    In quel momento non sapeva valutare quanto gli stava accadendo, era tutto inconsueto e nuovo per lui. Si soffermò ancora sull’audacia della giovane, sulla fiducia che gli stava dimostrando, sulla delicatezza dell’esperimento. Poi ancora una volta pensò a se stesso e al suo ruolo nell’incontro a venire: non poteva e non voleva deludere Letizia. Capiva che quell’incontro non sarebbe stato un gioco, ma qualcosa di più serio di una semplice amicizia. Rifletteva sulla giovane età di entrambi, ammirava la sincerità e lo slancio, ma anche l’assoluta discrezione della ragazza.

    Arrivò il giorno dell’appuntamento, entrambi si recarono alla spiaggia.

    Letizia abbandonò la sua bici vicino a quella di Francesco, poi si avviò all’incontro; lui l’aspettava seduto sulla sabbia, appena la vide si alzò e la raggiunse.

    «Ciao, ti aspettavo» disse a mo’ di saluto. Lei si avvicinò e sorrise. Cominciò a camminare lentamente. Aveva tolto gli zoccoli e calpestava la sabbia a piedi nudi, le piaceva il contatto diretto con la natura.

    Sul terreno rimanevano le sue impronte e quelle del compagno, come a segnare il territorio e lasciare traccia del loro incontro. Camminavano in silenzio, ella talvolta si voltava a guardare le orme.

    Un po’ imbarazzata disse: «Ti ringrazio per essere venuto, non ero sicura della tua presenza. Come stai? Dimmi di te.»

    Lui, continuando a camminare al suo fianco, non sapeva cosa rispondere, era un po’ confuso. Poi, quasi evitando la domanda diretta, commentò: «È un posto bellissimo, il mare è calmo, il paesaggio notevole, mi piacerebbe stendermi e addormentarmi tranquillamente.»

    Lei, continuando a camminare, ascoltò le sue parole e disse: «Sono venuta qui con delle amiche, mai con amici. Ho vissuto dei momenti di assoluta tranquillità e mi piace condividerli con te.»

    Poi, sempre sorridendo, aggiunse: «Tutto ha un altro significato qui, sarebbe un luogo ideale in cui vivere, potendo respirare sempre questi odori!»

    Francesco le si avvicinò e continuò a camminare al suo fianco. Si era preparato un discorso, ma poi decise di lasciarsi guidare dall’istinto.

    «Ti ho cercata molte volte, ma allo stesso tempo volevo mantenere la riservatezza» iniziò. «Solo per questo non ho mai chiesto di te, mi è stato sufficiente vederti, incrociarti per caso. Ora mi sento quasi in imbarazzo, ma sono felice per questo incontro. Mi sembra un sogno, ma fortunatamente non lo è, ci sono i nostri passi sulla sabbia a testimoniare il nostro passaggio. Non ho mai avuto esperienze simili, mi sembra tutto irreale. Mi chiedo: perché proprio io? Non ho fatto nulla per essere al centro dell’attenzione.»

    Letizia continuava a camminare in silenzio. Si avvicinò e la sua mano strinse a quella del ragazzo, il tenero contatto tra i due creò una sorta di corrente d’energia.

    Camminarono a lungo in silenzio, poi ripercorsero lo stesso tragitto al contrario, disegnando nuovi passi fino a che arrivarono alle loro biciclette. Il tempo a loro disposizione era scaduto, bisognava rientrare. Non si erano accorti del trascorrere del tempo.

    Arrivati presso i loro mezzi si guardarono intensamente negli occhi sorridendo.

    «È stato meraviglioso!» disse Francesco. «Pensi che sarà possibile vederci prossimamente?»

    «Fra sette giorni alla stessa ora?» propose Letizia. «Salvo cambiamenti che ci comunicheremo.»

    «D’accordo, fra sette giorni!» rispose Francesco sollevato, ricambiando il sorriso.

    Ripresero i loro mezzi e, badando di rimanere a ragguardevole distanza l’uno dall’altra, si avviarono alle rispettive magioni. Nessun familiare o amico si era accorto della loro assenza.

    I due giovani già pensavano al prossimo incontro con molta aspettativa, si sentivano coinvolti e fantasticavano, si sarebbero gettati l’uno nelle braccia dell’altra senza esitazione.

    Erano giovani e privi di esperienze, ma pieni di curiosità. Seguivano il loro istinto e il cuore. Avrebbero voluto sperimentare ciò che il corpo suggeriva loro.

    Si rividero diverse volte nello stesso posto. Parlavano della scuola, dei loro insegnanti e delle nuove amicizie, ridevano seduti sulla sabbia.

    Una volta si trovarono con i volti talmente vicini che lui l’attirò a sé e la baciò più volte. Quindi, meno timorosi, si lasciarono andare. Letizia si chinò leggermente posando il capo sulla sabbia e Francesco continuò a baciarla intensamente. Si lasciavano condurre da ciò che l’istinto suggeriva e assaporavano sensazioni del tutto nuove.

    Un formicolio devastante assalì Letizia, il corpo del ragazzo, premendo su quello di lei, la stordiva di piacere. Francesco allungò una mano sotto le sue gonne, le toccò le ginocchia e risalì con delicatezza a sfiorarle le cosce. Mosse più volte la mano avanti e indietro accarezzando le gambe della giovane e gradualmente risalì fino a toccarle il pube.

    Sebbene frastornata dal piacere, si scostò da lui e, lasciatolo, si alzò suo malgrado. Si sentiva arrossata, calda, imbarazzata. Si chinò a baciarlo, quasi a scusarsi per la delusione che gli aveva inflitto.

    Entrambi si ricomposero, lui mestamente si alzò in piedi imbarazzato. Lei, che gli stava di fronte aveva seguito i suoi gesti e le dispiaceva aver spezzato l’incanto del momento. Entrambi si sentivano storditi, accaldati e insicuri. Avevano provato sensazioni forti e piacevoli, ma la paura della prima volta li aveva fermati.

    Più tardi, distesa nel suo letto, Letizia riandava all’accaduto e si domandava perché si fosse ritirata. Riviveva nella mente e nel corpo le sensazioni provate poche ore prima, si sentiva elettrizzata dal calore della mano di Francesco… poi il risveglio improvviso e il suo brusco sottrarsi avevano prevalso la prudenza e il buonsenso di donna.

    L’estate era ormai finita e si approssimava l’autunno. I due ragazzi si incontravano, si baciavano, camminavano sul bagnasciuga fra i rami e le alghe spinte dalla risacca, si raccontavano le rispettive giornate.

    Durante uno dei loro incontri, mentre camminavano assieme, Francesco si discostò leggermente da Letizia. Aveva visto una bottiglia con il tappo, mezza sommersa dalla sabbia, e si era precipitato a prenderla. La ragazza lo raggiunse.

    Era una bottiglia di vetro bianco a collo lungo, sembrava che ci fosse qualcosa dentro.

    Quando lui la sfilò dalla sabbia, videro che c’era effettivamente qualcosa all’interno. Ripulirono il vetro con l’acqua salata e notarono sorpresi che conteneva un foglio di carta.

    Poiché il mare prospiciente era attraversato da navi e battelli, era probabile che qualcuno volesse affidare alle onde un messaggio. Rigirarono più volte il contenitore per osservare meglio ciò che vi stava dentro: la carta era asciutta. Avrebbero voluto subito estrarla e leggerla.

    Non sapevano come togliere il tappo, ma erano troppo incuriositi; decisero di rompere la bottiglia. Si allontanarono dalla battigia e cercarono un sasso con cui battere il vetro.

    Prima di colpire la bottiglia si guardarono, assentirono e via.

    Il contenitore andò in pezzi. Raccolsero le schegge, scavarono un fosso seppellirono il vetro per non ferire qualcuno, poi si impossessarono del messaggio.

    Era scritto a matita, il foglio era lungo venti centimetri e largo altrettanto, piegato in due. Forse era la pagina bianca di un quaderno, perché era quadrettato come i fogli in uso ai bambini della scuola elementare. Era leggermente ingiallito, a occhio non si poteva sapere per quanto tempo fosse rimasto in acqua e da dove fosse stato gettato.

    La calligrafia era stentata e altalenante come se chi aveva scritto quel messaggio avesse fretta di affidarlo alle onde, la scrittura era leggermente sbiadita.

    Per Livia. Sai che non sono capace di fare tanti discorsi, sai che ti voglio bene. Sento che senza di te non potrei vivere. Marco.

    I due ragazzi, dopo avere letto e riletto il messaggio, si guardarono negli occhi. Erano commossi, attoniti, sorpresi. Sembrava che il messaggio parlasse anche a loro. Si guardavano e, increduli, si rituffavano in quel pezzo di carta.

    Fu Letizia la prima a dare voce ai loro pensieri.

    «Francesco, non ho parole! Chissà da quanto tempo è in mare… È un messaggio meraviglioso, parla al cuore. Cosa ne pensi?»

    Lui attese un attimo prima di rispondere, poi disse: «Doveva essere proprio innamorato, c’è tanta passione, tanto ardore! Forse anche lui era giovane come noi, anche se non possiamo saperlo con certezza.»

    «Mi piacerebbe rispondere, è così commovente! Cosa possiamo fare?» riprese Letizia avvicinandoglisi.

    «Possiamo affidare alle onde un messaggio di risposta. Cosa ne dici?» propose Francesco.

    «Mi sembra un’ottima idea, proviamo!»

    Sedettero sulla sabbia e iniziarono ad abbozzare una risposta. Erano felicemente coinvolti, pensavano solo alla comunicazione che avrebbero trasmesso. Concordarono la seguente risposta:

    Ti scrivo questa lettera, se ti raggiungerà firmala in basso a destra. Ciao, amore. Livia.

    Recuperarono una bottiglia e un tappo, vi inserirono il foglio, poi Francesco la prese, si avvicinò al bagnasciuga, fece un lungo lancio e la bottiglia cadde in acqua.

    Dato che c’era un leggero vento che soffiava verso il mare, la bottiglia scomparve subito.

    «Sono sicuro che qualcuno riceverà il messaggio. Siamo quasi al centro del Mediterraneo, le onde e il vento porteranno la bottiglia su qualche costa lontana e qualcuno la troverà» disse Francesco stringendo la mano a Letizia.

    Si volse verso di lei e la baciò brevemente, lei lo accolse fra le braccia e ripresero a camminare lungo il bagnasciuga.

    Si diressero verso il loro punto preferito della spiaggia e si sedettero appoggiando entrambi le spalle al pino marittimo.

    Parlarono e risero a lungo, serenamente. I loro visi erano vicini, quasi a contatto; lui le posò la mano sulla guancia e la baciò teneramente, lei si sporse verso di lui e ricambiò.

    Erano coinvolti e appassionati, il piacere li prendeva, entrambi ansimavano. Letizia sentiva il cuore e le tempie pulsare forte, sembrava esplodere per la foga. La mano di Francesco si insinuò tra i suoi seni, li toccava e li stringeva dolcemente, prima l’uno poi l’altro. Accarezzò i capezzoli che si erano fatti duri, lei si contorceva dal piacere. Lo attirò su di sé, gli sollevò il camicione e si distese meglio sotto di lui. Con le mani gli esplorò il petto, poi lo baciò. Scendendo verso il basso, le mani di Letizia incontrarono un ostacolo e si fermarono. Francesco slacciò la cintura e lasciò che lei continuasse. Le dita esploravano timidamente il ventre di lui, senza fretta, apparentemente incerte. Finalmente raggiunsero il membro del ragazzo e si fermarono nuovamente. Nel frattempo, Francesco aveva infilato le mani sotto le gonne lunghe di lei, le toccava le gambe, poi le riportava verso l’alto e riprendeva l’esplorazione, fino a toccarla nell’intimità. Ansimando forte, emisero un urlo soffocato.

    Era la fine.

    Rimasero stesi, immobili, in silenzio, per diversi minuti. Aspettavano che i loro corpi si rilassassero. Si guardarono e si baciarono, soddisfatti e sorridenti.

    Poi tornarono ad appoggiarsi all’albero e lasciarono che lo sguardo vagasse lontano.

    Dopo aver provato emozioni così forti, arrivò il momento di tornare a casa.

    Si videro altre volte nello stesso luogo mentre l’estate finiva, nonostante entrambi avessero molti impegni.

    Quando finalmente arrivava il momento convenuto, i due ragazzi si sedevano, si baciavano e subito parlavano di tante cose vissute con amici e dei loro propositi e progetti di vita. Non facevano caso al tempo loro concesso, come fosse stato una fonte inesauribile.

    Durante uno di quegli incontri, Letizia raccontò: «Ci sarà la prossima festa patronale, alcune amiche mi hanno invitata a fare la figurante su un carro. Ci sto pensando, cosa ne dici?»

    «Mi sembra una cosa buona stare con le amiche in costume. Potrai cantare, ballare, mostrarti e divertirti. Se me lo proponessero, farei anch’io il figurante, non è solo una festa ma un rito di partecipazione collettiva, è l’occasione per rafforzare e consolidare nuove amicizie» rispose subito Francesco.

    «E tu potrai vedere nuove ragazze, immagino…» commentò lei, sorniona. Gli si avvicinò, gli prese il mento tra le dita, glielo strinse e lo baciò.

    «Ti pare che sia disposta a lasciare ad altre il mio amore?» disse quando lo ebbe lasciato. Poi gli pizzicò il braccio e gli sorrise.

    Francesco ridendo disse: «Chi è la più bella del reame? Letizia, naturalmente!»

    «Anche la più bella può essere conquistata dal principe!»

    «E se il principe è vecchio e grasso, chi lo vorrà?» continuò lo scherzo la ragazza.

    «E se invece fosse giovane, bello e ricco cosa farà la bella Letizia?»

    Entrambi si guardarono negli occhi, risero di cuore e si baciarono ancora.

    Era quello il momento che aspettavano con ansia. Letizia sorrise a Francesco, si adagiò sul suo grembo e gli prese le braccia posizionandosele attorno al corpo affinché lui la stringesse. Francesco,

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