Gli uomini amano poco - Amore, coppia, dipendenza
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Anteprima del libro
Gli uomini amano poco - Amore, coppia, dipendenza - Enrico Maria Secci
d'amore
«Gli uomini amano poco»
Dopo due anni di amore disperato, Lara crollò. Non era bastato assecondare Andrea in tutti i suoi desideri, dimagrire affamata, piegarsi a richieste sessuali sempre più umilianti, né avere imparato a vestirsi e truccarsi come pensava piacesse a lui. Nonostante gli sforzi di Lara, conquistare l’amore di Andrea era ormai evidentemente impossibile. I conflitti rimanevano all’ordine del giorno, proprio come all’inizio della storia. Dopo ogni discussione lui si chiudeva in un mutismo assoluto o spariva per giorni senza rispondere al cellulare. In quei momenti Lara toccava il fondo, sentiva la sua vita sbriciolarsi in una totale mancanza di senso e si aggrappava disperatamente a parenti ed amici che da un certo punto in avanti avevano cominciato a compatirla, facendola sentire sempre più sbagliata.
Aveva conosciuto Andrea su Internet, tramite un’amicizia condivisa su Facebook. Dopo qualche giorno di chat si erano incontrati in un bar del centro. Inizialmente Andrea le era sembrato strano, non certo il genere di uomo che popolava i suoi sogni.
«Sembrava un po’ più vecchio della sua età e balbettava un po’. E poi era un tipo timido. Ma data la situazione … anch’io mi sentivo spaesata e ho pensato gli servisse tempo per aprirsi e farsi conoscere.»
Alla fine di quel primo incontro Andrea l’aveva travolta con un bacio romantico che per incanto lo aveva trasformato agli occhi di Lara nel grande amore che cercava.
Il secondo appuntamento fu ancora più emozionante. Nella cornice di un ristorante di lusso, Andrea aveva dato il meglio di sé regalandole una rosa e, dopo cena, l’aveva invitata a casa sua dove, con qualche imbarazzo, avevano consumato un rapporto sessuale. A Lara non era piaciuto ma aveva taciuto sulla prestazione tutt’altro che esaltante. In fondo era la prima volta e forse l’emozione dell’innamoramento li aveva traditi.
«Mi ero sentita come al primo rapporto. Un’adolescente. Da tanto non provavo sensazioni così confuse … alla fine era stato bello secondo me, era come sentirsi ancora vergini.»
Subito dopo fu una escalation di sms affettuosi e di telefonate intervallate da brevi incontri che Lara viveva con pathos crescente. Presto le sue giornate cominciarono a ruotare intorno all’attesa di un messaggio o di una telefonata di Andrea. Ma nel giro di settimane le comunicazioni diventavano sempre più telegrafiche e neutrali. Lara le interpretava comunque con speranza, come i segni di una nobile e matura prudenza da parte di Andrea. Forse si sentiva talmente coinvolto da essere spaventato dal loro amore e voleva fare in modo che il loro rapporto crescesse pian piano, come nelle storie vere
che lei aveva sempre sognato.
Il primo litigio, dopo due settimane dall’inizio della relazione, la devastò. Per via di un ritardo al ristorante, Andrea l’aveva piantata al tavolo da sola e aveva evitato di parlarle per tre giorni. Ad ogni telefonata rifiutata, ad ogni sms senza risposta il dolore di Lara raggiungeva dimensioni imponderabili. Trascorse giornate intere a piangere, il desiderio e la rabbia divennero un tutt’uno nelle notti insonni. Quando rincontrò Andrea per un chiarimento, fu certa di amarlo più di se stessa. E glielo disse. Seguì un’altra accesa discussione. Lui affermò di volerle bene, ma che fosse troppo presto per impegnarsi e lei ingoiò il rospo. A quel punto era sicura che Andrea avesse soltanto paura di impegnarsi e raccolse la sfida di conquistarlo.
Gli appuntamenti successivi si svolsero all’insegna dell’erotismo, con una Lara trasformata in bambola sexy e un Andrea sempre più arido e freddo. Il fatto che lui le mandasse sms piccanti e dettagliati su come avrebbe voluto si vestisse la eccitava e compensava la sua insicurezza.
«Almeno sapevo come fare, come essere per piacergli. Ho comprato un intero guardaroba per quelle serate.»
All’apice dell’intesa, un pomeriggio, dopo aver fatto l’amore lei accennò al desiderio di fare un viaggio insieme. Lui la punì con un silenzio più prolungato. Sparì per una settimana.
Gli attacchi di panico rapirono Lara quattro mesi dopo l’inizio del rapporto. Prima di allora non aveva mai accusato sintomi psicologici, non sapeva cosa fossero l’ansia e la depressione.
Al pronto soccorso la sedarono e la dimisero con la raccomandazione di riposare e di assumere al bisogno gocce ansiolitiche. Andrea la raggiunse il giorno successivo alla seconda crisi di panico occorsa dopo un loro incontro a pranzo. Sembrava preoccupato. Le portò un libro di poesie, un quotidiano e un croissant per la colazione. Per Lara fu come rinascere.
Poi di nuovo il sesso, gli sms asfittici, la rabbia, gli attacchi di panico, l’amore disperato. La spirale della dipendenza si chiuse su Lara come una condanna e solo quando Andrea sparì per qualche mese senza preavviso e senza apparente motivo, lei decise di chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta.
Lara aveva subìto la mutazione di Andrea da Principe Azzurro a buco nero, da Amante Assoluto a entità astratta, da Poeta a Sfinge avida e indecifrabile. Vi si era adattata nella convinzione di aver trovato l’uomo giusto
e si colpevolizzava per aver rovinato tutto, anche se non sapeva come, né sarebbe stata in grado di immaginare un’evoluzione diversa della storia.
Comoda ma composta sulla poltroncina dello studio, alla sua prima seduta di psicoterapia, Lara indossava un paltò grigio scuro che evidenziava una magrezza innaturale e interpretava alla perfezione il tono del suo umore. Chiese il permesso di tenere il cellulare sulla scrivania e cominciò a raccontare di Andrea in un flusso inarrestabile, un romanzo già narrato cento, mille volte ad amici, parenti, medici e psichiatri. Alla fine del resoconto prese fiato, come dopo una lunga apnea e concluse:
«Dottore, sono qui per capire perché Andrea si comporti così.»
Non le importava delle gocce ansiolitiche che ormai scadenzavano la sua giornata, del panico che la obbligava a casa, della depressione che corrodeva il suo tempo e che le toglieva l’appetito e il sonno. Come accade sempre nella dipendenza affettiva, Lara viveva la sua vita in funzione dell’amore mancato, dell’amore idealizzato, dell’amore deludente.
«In questo caso, non posso aiutarla.», dissi. La psicoterapia non è un processo che si possa svolgere per interposta persona, né un consultorio per terzi patologici
. Se avesse voluto davvero superare la crisi e interrompere i sintomi Lara avrebbe dovuto lavorare su di sé in prima persona e ritrovare il baricentro emotivo, al momento completamente spostato su Andrea e le sue ambiguità. Raccolsi una reazione sconcertata, molto vicina al pianto. Lara nascose istantaneamente le mani nel paltò e tacque volgendo nervosamente lo sguardo altrove.
«Ha detto che Andrea sin dall’inizio è sembrato incerto, quasi recalcitrante a proseguire la relazione. Come si spiega che questa relazione sembri un inseguimento, un gioco su cui lui abbassa la posta in gioco mentre lei punta sempre di più?»
Lara rispose seccata:
«Pensavo che Andrea fosse diverso, ma lui mi ha illusa, Dottore. Anche se una parte matura di me pensa che lui abbia solo paura di un rapporto veramente completo. E poi, alla fine io voglio crederci in questo rapporto, anche se lo so, ormai ne sono certa …»
Prese fiato tuffandosi in una lunga pausa e aggiunse con le lacrime agli occhi: «Gli uomini amano poco.»
La dipendenza affettiva
Non esiste vento favorevole per le barche alla deriva.
(Seneca)
Si può dipendere dall’amore come si dipende dall’alcol e dalla cocaina. Uomini e donne possono sviluppare una dipendenza relazionale nello stesso modo disperato e autodistruttivo in cui altri dipendono dal gioco d’azzardo, dal lavoro o dal cibo. Il mal d’amore può assumere svariate forme e si insinua gradualmente, sino a minare l’equilibrio psicologico di chi lo patisce, mentre la relazione in cui si è originato diventa un labirinto intricato. Proprio come accade negli altri tipi di addiction, la dipendenza affettiva diventa totalizzante e i suoi sintomi si diffondono dalla sfera privata dell’individuo alla sua vita sociale e lavorativa, compromettendo le attività quotidiane.
Miller (2007) ha definito la dipendenza affettiva come una condizione relazionale negativa
, un disturbo caratterizzato da un’assenza cronica di reciprocità all’interno della coppia. Questo disturbo determina sintomi psicologici e psicosomatici come depressione, ansia, panico, alterazioni del sonno e dell’alimentazione, emicranie e disturbi a carico del sistema digerente
Negli anni ’80 Robin Norwood, col bestseller Donne che amano troppo
ha portato alla ribalta internazionale il dramma delle dipendenza affettive, aprendo la strada allo studio di un problema largamente diffuso ma mimetizzato tra le sue conseguenze psichiatriche. A lungo i problemi di relazione sono stati trattati come effetti collaterali
di più note e riconoscibili psicopatologie. Si riteneva, per esempio, che i pazienti fossero dipendenti perché depressi. Non depressi in quanto imprigionati in una relazione malata
.
Il successo di Norwood ha ampliato il punto di vista della psicologia e della psicoterapia sull’amore e ha dato forma e voce a un disturbo relazionale che ancora oggi non ha un nome univoco e condiviso all’interno della comunità scientifica. Si parla di mal d’amore
, di love addictions e di dipendenze relazionali per indicare un unico disturbo caratterizzato dalla progressiva perdita del controllo delle emozioni, da aspetti impulsivi, compulsivi ed ossessivi che possono degenerare sul piano psichiatrico in sindromi ansioso-depressive. Una descrizione così clinica può spaventare e suggerire l’idea che questo tipo di dipendenza sia un fatto raro, ma casi come quello di Lara e i molti altri raccontati in questo libro sono in realtà molto frequenti.
Che la relazione di coppia possa trasformarsi in una dipendenza può stupire gli idealisti o indignare i cinici dell’amore, ma è un’evidenza ampiamente documentata dalla psicologia moderna e comunque ben nota da secoli. Scrittori e artisti di ogni luogo e di ogni epoca hanno saputo rappresentare la sofferenza amorosa e le sue conseguenze distruttive nelle loro opere e spesso con la propria biografia. La mitologia greca è ricca di amori tragici e impossibili: la ninfa Eco pazza d’amore per Narciso innamorato di se stesso, Calipso inutilmente dedita ad Ulisse, Dafne che per sfuggire alla bramosia di Apollo prega il padre, dio fluviale e della Terra, di trasformarla in albero. Intere correnti letterarie, il romanticismo e il decadentismo per esempio, hanno raccontato all’umanità in modo inequivocabile quanto innamorarsi ed amare possano mutare in ossessione e dipendenza. Goehte suggestionò mezza Europa con il romanzo I dolori del giovane Werther
(1774), che narra del suicidio del protagonista per amore dell’ambigua Lotte legata a un altro uomo. L’epidemia di suicidi amorosi
seguita al successo del libro fu tale che molti Paesi misero al bando l’opera. Anche la cinematografia offre infinite testimonianze del mal d’amore, precedendo di almeno un decennio psicologi e psicoterapeuti. Uno dei film più toccanti sul tema è senza dubbio Adele H.
di François Truffaut (1975), che, ispirandosi ai diari postumi della figlia del poeta Victor Hugo, ricostruisce la drammatica spirale della dipendenza affettiva spinta agli estremi della follia di Adele per un ufficiale inglese che la rifiuta nonostante i suoi convulsi tentativi di conquistarne l’amore.
Con la psicoanalisi e la diffusione delle psicoterapie il problema della dipendenza affettiva è stato affrontato in modo sistematico grazie all’osservazione diretta e alla terapia di casi reali. Inizialmente la psicologia ha trattato il mal d’amore come un problema individuale, cercando soprattutto nella storia evolutiva dei soggetti dipendenti tracce di traumi emozionali subiti nell’infanzia nel rapporto con i genitori o con altri membri significativi della famiglia d’origine. L’analisi e la terapia della dipendenza amorosa si sono concentrate spesso più sul passato che sul presente, sull’individuo anziché sulla relazione. Questo approccio ha indotto in molti a ritenere che chi vive una dipendenza affettiva abbia un problema intrinseco come un deficit nella struttura della personalità. Ma un’ipotesi simile può spiegare soltanto una minoranza di casi, quelli in cui la persona ha effettivamente un background di esperienze familiari traumatiche e di figure genitoriali inadeguate. Sono invece numerosi, probabilmente in maggioranza, gli individui che pur partendo da un passato effettivamente doloroso sviluppano in età adulta relazioni equilibrate e soddisfacenti. Queste persone dimostrano che il passato è passato e, in quanto tale, non è necessariamente e rigidamente fondativo del presente. Il colpo più duro all’ipotesi del trauma originario
proviene dallo studio dei tanti casi di persone che capitolano nella dipendenza affettiva nonostante provengano da famiglie normali
e non hanno avuto sostanziali difficoltà di natura relazionale o affettiva sino all’esordio della relazione amorosa patologica. Ciò porta a ritenere che la dipendenza amorosa non sia, in una logica causale, il frutto di difficoltà passate ma una sindrome