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Mondo Reverso
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E-book234 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Attraverso gli occhi di una giornalista, un uomo racconta la sua vita. Walter non è il suo nome reale, ma sono reali i fatti e i personaggi intorno ai quali gravita il suo essere, incrociando per caso personaggi di peso internazionale, scoprendo verità nascoste.

Da Gheddafi a Putin, dal giudice Falcone a papa Francesco, dal Mossad alla CIA, dalla STASI all’OLP, Walter mostra come ogni essere umano sia indissolubilmente collegato all’altro, parte di un immenso disegno che si sviluppa in tutte le dimensioni all’ordine di qualcuno che gioca con gli equilibri naturali della Terra e degli uomini.

Walter racconta di preoccupanti meccanismi economico-finanziari, degli attentati terroristici che si susseguono nel mondo, del razzismo religioso e delle varie “esportazioni di democrazia” da parte dell’Occidente. Il risultato finale è una netta presa di coscienza dell’esistenza di uno spaventoso “grande fratello” che gradualmente rende gli esseri umani schiavi consenzienti.

Ma una via di fuga, forse, ancora c’è. Walter decide di raccontare ciò che ha vissuto e di fornire a ciascuno di noi i pezzi mancanti per costruire la “vera verità” che manca al mondo.

E se fosse vero?

LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2016
ISBN9791220009775
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    Anteprima del libro

    Mondo Reverso - Walter Streva

    Catullo

    0

    E se fosse vero?

    Quando ho incontrato Walter per la prima volta aveva già tutti i capelli bianchi, ma proprio tutti, bianchissimi, lisci e lucenti, e si facevano notare, perché scendevano sulla nuca con un taglio a scalare. Sulla veranda coperta di un bar di Alcamo, in un pomeriggio assolato di maggio, una leggera brezza soffiava dal mare e l’odore di rose nell’aria si mischiava a quello del caffè espresso e del gelato. Walter mi disse che aveva letto i miei scritti, che comparivano regolarmente in una rivista mensile di attualità, e che li aveva trovati interessanti. Ma fu più per il mio unico romanzo pubblicato una decina di anni addietro che aveva deciso di rivolgersi a me per scrivere la sua storia, e poi aveva pensato che una donna potesse penetrare meglio alcuni tratti troppo crudi della sua vita, cogliendone anche la parte più nascosta. Non so se in effetti io ci sia mai riuscita.

    Mentre parlava lo osservavo cercando di scoprire di più su di lui. Walter era un uomo sicuro di sé, alto circa un metro e ottanta, spalle larghe, colori autunnali, il viso dai tratti retti e regolari, occhi castani che guardavano dritto senza mai nascondersi, con sicurezza, distraendosi di tanto in tanto sui movimenti delle persone vicine ma senza fretta, con nonchalance. Le dita magre non avevano bisogno di tener nulla tra le mani, non si tradivano, raramente accompagnavano le parole. E doveva essere un uomo dotato di grande self control se la cameriera, facendo inavvertitamente cadere il bicchiere con il drink, non lo prese in pieno: una frazione di secondo prima e con moltissima calma, Walter si era già spostato, anticipando ed evitando ciò che sarebbe potuto accadere.

    Non so come descrivere più esattamente Walter, ma la sua espressione è sempre stata… neutrale. Rimanemmo a parlare a lungo. La straordinarietà interiore di quell’uomo cozzava nettamente con una certa anonimia esteriore. Era indecifrabile. Mi disse che aveva tante cose da raccontare e da diffondere, avvenimenti che non erano mai stati sviscerati, retroscena che pochi sapevano riguardo a situazioni, fatti e persone per lo più note, e dei quali era a conoscenza per via delle molteplici cose che aveva fatto nella vita. Voleva che tutti sapessero, ora. Non sarebbero stati tutti aneddoti eclatanti: mi avrebbe raccontato la storia di un uomo qualsiasi che aveva incrociato accadimenti più o meno straordinari e personaggi più o meno chiave nella storia del mondo. Mi domandò, dunque, se ero pronta ad ascoltarlo, perché sarei venuta a conoscenza anche di fatti delicati. Dato che non gli credetti fino in fondo, risposi immediatamente senza pensarci troppo. Dissi di sì senza indugiare. Per me era lavoro, poco importava se quanto mi avrebbe raccontato sarebbe corrisposto a realtà o no. Il nostro primo incontro durò circa tre ore – poco, rispetto a quelli che seguirono. Al termine, Walter mi accompagnò all’auto aprendomi lo sportello, così come continuò a fare ogni volta che ci incontrammo per le nostre interviste; un gesto puntuale che mi rivelava una reale attenzione alle sfumature e ai dettagli.

    Ho incontrato Walter parecchie volte e in luoghi sempre diversi. Ogni volta scorgevo in lui un particolare in più, e man mano che andavamo avanti con il racconto della sua vita, mi forniva particolari e date che non potevano essere coincidenze o frutto di fantasia. Pensavo che ero stata davvero fortunata ad avere questa cosa tra le mani.

    Oggi penso che è incredibile come siano pulite e curate le mani di Walter nonostante tutto quello che nella loro vita hanno rischiato, visto, toccato, afferrato, con tutto ciò che hanno fatto, nel bene e nel male, accarezzando continuamente il confine tra reale e irreale, buono e cattivo. Ho conosciuto Walter da piccolo, da ragazzo, da adulto. Ho conosciuto il Walter arrabbiato, deluso, commosso e coraggioso. Ho conosciuto la sua parte più pulita, ma ho dovuto vedere anche le macchie che nel tempo sono comparse, come accade nella vita di tutti, anche a chi non ci avrebbe mai pensato.

    Quando si è giovani è tutto più facile. Le categorie a cui fare riferimento sono giusto/sbagliato, e un ragazzino può collocare fatti e azioni in una delle due categorie in modo semplice, e allora la scelta diventa quasi immediata, facile, appunto. Walter era cresciuto molto presto e presto aveva constatato che non era così semplice capire la vita e poi, da quando erano nati i suoi due figli, i pensieri erano aumentati. Aveva cercato di insegnare loro a essere obiettivi, a farsi le proprie idee, ma era preoccupato per il loro futuro in una società che non gli piaceva più e della quale aveva visto i risvolti più fetidi.

    Dato che Walter mi disse che avrei capito tutto solo alla fine del suo racconto e che in quel momento non poteva rispondere alla mia domanda sul perché avesse deciso di raccontare la sua storia, andavo costruendo pian piano la mia idea dei fatti e immaginai che, a un certo punto, si fosse chiesto cosa avrebbe potuto lasciare ai suoi figli come eredità buona di questo mondo, come avrebbe potuto contribuire a dare loro un’esistenza migliore. Forse aveva sentito l’esigenza di dire certe verità in suo possesso nella speranza che potessero essere come torce in eventuali percorsi bui e accidentati della loro vita.

    Nelle pagine che seguono imparerete anche voi a conoscere Walter, ma soprattutto apprenderete cose che non avreste ipotizzato, perché non si può vivere pensando che gli stessi governi che promulgano leggi per proteggerci e salvaguardarci poi, di contro, ci danneggino a vantaggio del loro potere, a volte scatenando persino crisi economiche e sociali. Un esempio tra tanti, limitatamente all’Italia, è ciò che accade con il fenomeno dell’antimafia, la quale si va delineando sempre più come una vera e propria élite che usufruisce di benefici sociali e statali, spesso per interessi esclusivamente personali, con il beneplacito di tutti, di chi non comprende e di chi invece conosce benissimo i fatti.

    Quanti aderenti alle campagne di raccolte fondi internazionali sanno che, di quanto versano, ciò che arriva ai paesi poveri è solo una minima parte? E quanti hanno notizia delle potentissime lobby farmaceutiche e associative internazionali, detentrici di prodotti che sono vitali per i paesi del Terzo Mondo, ma che non hanno la minima intenzione di liberalizzarne i brevetti? Coloro che governano professano sempre verità, bontà, disponibilità… pensate sia vero? Tutto finto.

    Chi sono i buoni? Chi i cattivi? Si può fare una divisione? Esistono davvero dei supereroi o siamo tutti un po’ sporchi?

    Walter mi parlò di corruzione, dei continui compromessi che scandiscono la politica estera dei paesi nel mondo, di intrighi internazionali, di insabbiamenti di notizie, di azioni di intelligence poco chiare. E mi parlò del giudice Falcone, inserendolo infine in un contesto molto più ampio di quello che il mondo conosce, perché davvero siamo tutti interconnessi. Come percorrendo passo passo la misteriosa strada della vita, ogni pezzo andava a incastrarsi a un altro, e mi accorgevo quanto anche i pezzi più piccoli del mosaico fossero fondamentali alla riuscita del quadro finale. Ogni evento si concatenava, alcuni personaggi riaffioravano in momenti diversi della vita di Walter ma sempre con una funzione logica che, a posteriori, si apriva chiara alla vista.

    Se non avete paura di ribaltare le cose in cui credete, leggete fino alla fine. Walter non è il suo nome reale, è il nome che ho scelto per parlare di lui, ma sono reali i fatti e i personaggi intorno ai quali ha gravitato il suo essere. Una vita in cui hanno trovato posto mistero, giustizia, bene, male, coraggio, l’essere mercenario e l’essere altruista: una continua contraddizione in un’incessante successione di dubbi e verità. Walter è ognuno di noi, figlio, padre, lavoratore, il vicino di casa, un amico come tanti, una persona qualsiasi che a volte si è trovata, nel corso della sua vita, tra persone non qualsiasi, ma che ha scelto comunque di rimanere nessuno, di restare nell’ombra e ora dall’ombra parlare. Il perché, lo capirete leggendo.

    Questo scritto è il frutto di un anno di incontri con Walter, ma non raccoglie i dettagli della sua vita, ne definisce solo i tratti salienti funzionali ad alcune verità che tutti dovrebbero sapere. Alcune cose ho preferito non inserirle, altre mi è stato esplicitamente richiesto di non scriverle. Con il tempo tutto sarà approfondito, ma in questo momento l’urgenza è quella di dire la verità sui tratti principali di fatti che il mondo intero conosce, la verità per ciò che Walter ha vissuto da vicino e che può testimoniare in prima persona. Chissà, forse un giorno si riuscirà a unire più persone e ogni più piccola testimonianza sarà un mattone nella costruzione dell’unica verità degli ultimi settant’anni di storia del mondo. Utopia? Forse, ma bisogna sempre sperare e lottare per la verità.

    Alla fine di questa lettura potrete farvi una vostra idea, potrete decidere se credere a Walter o, semplicemente, rimanere con la domanda:

    E se fosse vero?

    La prima vita

    I due pugni stretti dietro la schiena, un monello si rivolse al Rabbi Chmouel sulla piazza di un villaggio russo e gli disse, con un tono di insolente bravata:

    In una delle mie mani tengo un uccellino vivo che ho catturato. Qual è? Se indovina, apro la mia mano e l’uccello volerà via libero. Se sbaglia, stringo la mano e l’uccello verrà schiacciato. Lei sarà responsabile della sua morte. Come risponde la vostra sacrosanta Torah a un problema simile?

    Il vecchio talmudista disse:

    La nostra Torah risponde che la terribile scelta della vita e della morte è nelle tue mani.

    Episodio yiddish, Talmud

    1

    L’infanzia

    Il padre di Walter era un uomo buono e tranquillo, dal quale il figlio aveva ereditato proprio la costanza, la calma e la fiducia. Si chiamava Giuseppe, ma tutti lo chiamavano Pippo. La mamma era casalinga, devota al marito e ai tre figli. Walter me la descrive come una donna dalla bontà eccessiva, al di là di qualsiasi previsione, una donna che lo aveva spinto, fin da piccolo, a compiere sempre il bene nei momenti in cui si era trovato davanti a un bivio. La sorella di Walter era la più piccola dei tre, forse anche la più viziata e la più coccolata. Il fratello, più piccolo di lui, all’età di tredici anni si era trasferito a Roma per seguire una vocazione sacerdotale che poi non continuò. Walter, dunque, non aveva condiviso né l’infanzia né la giovinezza con suo fratello, e forse fu anche per questo che si affezionò molto a Hasan, il quale lo portò in una nuova dimensione, facendogli conoscere prospettive che il mondo occidentale non vede, che lo prese sotto la sua protezione, che per lui avrebbe dato la vita e che fu per Walter un fratello maggiore.

    Pippo era un funzionario della Mercedes, ma non aveva la patente: la prese dopo i trent’anni; aveva un autista che lo veniva a prendere, a lasciare e accompagnava i bambini a scuola. Walter ebbe un’infanzia da privilegiato, viveva nell’agio, ma ancora non conosceva tutto il resto, non poteva fare paragoni, non sapeva cosa ci fosse oltre.

    Negli anni ’70 Pippo, insieme ad altri soci, possedeva a Palermo l’unico autosalone con un parco vetture di grossa cilindrata e auto di prestigio. Tra i clienti vi erano grandi professionisti, imprenditori, manager, ma anche personaggi danarosi della malavita palermitana e non. Seppur molto piccolo, Walter capiva che alcuni di loro erano uomini un po’ ambigui, tuttavia ne era attratto. E fu proprio Gaetano Badalamenti soprannominato Don Tano, capo della cosca mafiosa di Cinisi, a far recuperare a Pippo una Ferrari che due manigoldi gli avevano sottratto con una truffa. Una volta, infatti, nell’autosalone arrivò una coppia che diede a Pippo un acconto cash per l’acquisto di una Ferrari pagando con assegni la parte più cospicua. Il padre di Walter non era stupido, era venerdì pomeriggio e le banche erano già chiuse per controllare la copertura dei titoli di credito, però quelle persone si presentavano bene e si volle fidare. Il lunedì seppe dalla banca che gli assegni non erano coperti. Dopo un paio di giorni nell’autosalone capitò Gaetano Badalamenti, per fare acquisti, e in quell’occasione il padre di Walter raccontò l’accaduto. A distanza di una settimana la Ferrari fu segnalata a Napoli, alcune persone la imbarcarono sul piroscafo per la Sicilia e infine la Ferrari fu recuperata a Palermo.

    Nella vita di ognuno a volte accadono cose strane, e a volte solo da adulto riesci a chiudere il cerchio di episodi magari mai più ricordati se non proprio nel momento in cui il cerchio sta per chiudersi. Quando Tommaso Buscetta cominciò a collaborare, e più esattamente quando Giovanni Falcone parlò con Buscetta, alla memoria di Walter riaffiorò un ricordo della sua infanzia.

    Un Natale, quando nella villa del nipote di Don Masino, a Partanna Mondello, si aspettava lo zio d’America per festeggiare. Certo, verrebbe da pensare che il padre di Walter in qualche modo avesse a che fare con la malavita palermitana. In realtà, la gente che aveva i soldoni pretendeva il massimo del mercato quando comprava qualcosa, ecco dunque che le famiglie mafiose frequentavano le migliori boutique, i migliori parrucchieri, i migliori ristoranti e i migliori saloni dove potevano trovare il top per quanto riguardava le automobili, l’arredamento, la cura della persona ecc. E poi Pippo adorava Giovanni Falcone, ne era innamorato fino al punto da copiargli baffi e barba. Il padre di Walter era semplicemente amico del nipote di Tommaso Buscetta: giocavano a carte e trascorrevano insieme le vacanze.

    Mentre gli tornava a memoria quell’evento, Walter si accorgeva di non aver mai dimenticato gli odori, le sensazioni, le musiche di quella sera. Aveva sei anni e, nel cuore, una grande gioia. Sentiva crescere nel petto l’entusiasmo per la visita dello zio d’America ed era contento nel vedere tutti felici mentre si preparavano e allestivano la tavola in attesa che qualcuno urlasse finalmente Ca’ è! Arrivò!. Walter era seduto a un tavolo e giocava insieme ad altri bambini, quando dall’arco che separava il salone dall’ingresso vide arrivare un uomo molto alto, con un fisico imponente, una chioma scura molto curata, un portamento che incuteva profondo rispetto. Indossava una giacca e una camicia chiara con un foulard e aveva un seguito di persone: era meglio di Zorro, pensò Walter, e sembrava andasse incontro proprio a lui. Così Masino Buscetta toccò il viso di Walter. A tia picciriddo, disse, e senza sapere perché, si sentì onorato di quel gesto di attenzione. Walter ricordava il bel clima di festa, la tavola imbandita per Natale, l’emozione dell’attesa, quel personaggio che ancora non arrivava, e poi abbracci e baci e risa. E poi basta. Dello zio d’America non ricordava più nulla.

    Quando frequentava la scuola elementare, Walter abitava al settimo piano di un palazzo in via Malaspina. Dall’appartamento si poteva vedere il cortile della caserma dell’esercito Generale Eugenio De Maria che si trovava di fronte. La mattina Walter doveva prepararsi e correre a scuola, quindi non poteva seguire l’alzabandiera, ma la sera, quando c’era l’ammainabandiera, andava puntuale nella camera da letto dei genitori, tirava su la serranda e si metteva sull’attenti. Aveva circa nove anni, e ogni sera anche lui partecipava all’ammainabandiera: era già dotato di un profondo rispetto per le istituzioni e di un grande senso di giustizia.

    Tanto amore quanto poi tanta delusione.

    2

    L’adolescenza

    Come molti ragazzini, anche Walter un tempo aveva pensato di poter cambiare il mondo, ma forse ci aveva creduto più di altri, e ci aveva creduto così tanto da improntare tutta la sua vita a questo, anche se lo faceva spontaneamente, senza rifletterci troppo. Era come se Walter crescesse con il seme della pace dentro, faceva parte di lui e con lui si sviluppava. C’erano stati poi momenti, nella sua vita, in cui improvvisamente non era più riuscito a distinguere se fosse dalla parte del giusto o dalla parte sbagliata, dei buoni o dei cattivi, dei ragionevoli o dei folli. Non perché qualcosa gli avesse fatto perdere l’orientamento, ma perché capiva che, nel mondo, c’era qualcuno che era addirittura capace di spostare i poli, di confondere la gente, di amalgamarla indifferentemente e manipolarla, di trasformare la realtà in altro.

    Walter era stato un ragazzino come altri, col privilegio di crescere in una famiglia unita, con genitori che gli avevano trasmesso sicurezza, valori sani e la fiducia in se stesso. Inoltre era nato in Sicilia, a Palermo, a metà degli anni ’60, era a contatto con varie culture e stava trascorrendo la sua adolescenza a Catania. Tutto ciò gli avrebbe conferito apertura mentale, coraggio, intraprendenza ed empatia.

    Un sabato di aprile a Palermo, quando aveva circa sedici anni, Walter prese la bicicletta e si mise a pedalare così forte che sentiva solo il rumore del vento nelle orecchie, e i capelli lisci, lunghi, non gli davano più fastidio sul volto. Rasmi gli aveva affidato un borsone con il compito di recapitarlo in centro, in uno dei quartieri più famosi di Palermo. Si erano visti dietro il teatro Politeama. Rasmi gli aveva raccomandato di non fermarsi e di assicurarsi che quella borsa in tessuto di color verde militare arrivasse nelle mani di chi gli aveva indicato. Walter non ci pensò tanto: mise il borsone a tracolla sulle spalle e saltò in bici, serio e pieno di coraggio. Si sentiva forte, e bravo, e sapeva che avrebbe portato a termine quel compito. Nella sua galoppante fantasia, nutrita di figure eroiche, era convinto che in quel borsone ci fossero armi, sicuramente pistole, bombe, coltelli… si diceva tra sé e sé, mentre già con l’immaginazione costruiva grandi storie. Non aprì la borsa perché gli era stato detto di non aprirla – il senso del dovere di Walter era forte sin da piccolo e la sua curiosità limitata dalla responsabilità che gli veniva data. E poi, ciò che gli interessava veramente

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