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Geriatikiller
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E-book362 pagine7 ore

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Info su questo ebook

In una tranquilla e operosa città del centro nord italiano un usuraio e un ragazzino vengono uccisi.
Tra litigiose forze di polizia, improbabili killer e malavitosi stavaganti quanto letali, l’indagine si dipana tra sorrisi e singhiozzi, fino a un finale che vi lascerà quantomeno perplessi.
Morale? Ridere della morte è difficile, ma aiuta a vivere.



 
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2020
ISBN9788835811329
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    Anteprima del libro

    Geriatikiller - Luciano Balzotti

    Luciano Balzotti

    Geriatikiller

    Ad Anna Vincenza

    per una serena vecchiaia

    CAPITOLO UNO

    Il killer

    Per indicare le masse che dalla campagna si spostavano nel capoluogo si usava il termine inurbamento, quando era la città ad avere un’eccessiva crescita territoriale si usava conurbazione. I due termini descrivevano un mostro che prima divorava i cittadini dei dintorni e poi i territori limitrofi, in ogni modo, senza vocabolario a portata di mano entrambe le parole sembravano malattie mentali.

    Una di queste città del centro nord italiano, nella prima metà del ventunesimo secolo, aveva superato la cifra dei centomila abitanti e galoppava verso numeri più alti, era facile immaginare il posto: fiume che tagliava la città, numerosi campanili, clima mite, montagne sullo sfondo e ramificazioni nei quattro punti cardinali. Gli abitanti erano tranquilli e di una laboriosità invidiabile, poco o nulla avevano risentito delle recenti crisi finanziarie mondiali e la criminalità era modesta.

    Eppure nelle vie di quella città un killer era nella fase di preparazione. Fase che è solo lo studio degli orari e delle abitudini della vittima, per arrivare alla scelta del metodo e del posto migliore per l’esecuzione. Era il momento degli appostamenti snervanti, con piccoli travestimenti fantasiosi, atti solo a mescolarsi tra la gente senza essere visti. Cosa per lui molto facile, era sì un bell’uomo, ma non eccessivamente alto o muscoloso, passava facilmente inosservato. Si rasava a zero i capelli e poteva cambiare aspetto in un attimo con l’uso di alcune parrucche. Raramente arrivava anche a usare baffi e barba posticci o lenti a contatto colorate.

    Il sicario era un professionista serio, non di quelli abituati a usare sempre lo stesso metodo. Ricorreva al veleno come al coltello, secondo le necessità, aveva ucciso nei modi più disparati. Ovviamente la prima scelta era la pistola, con il silenziatore e a pochi passi dalla vittima. Bastava anche un solo colpo, non ci si sporcava, non si faceva rumore e si spariva prima che qualcuno si rendesse conto di cosa era successo. In fondo il suo mestiere gli piaceva, era creativo e il lavoro non mancava.

    Ma come si diventa assassini di professione?

    Di solito gravitando nelle zone della malavita e specializzandosi nel compito. Per il nostro killer era stato leggermente diverso, era un pescatore di una ventina di anni che una sera si trovò a bere con un giovane coetaneo. Il giovane era colluso con la peggiore feccia della malavita italica, una di quelle organizzazioni che, insieme alla pizza e al mandolino, sono usate per caratterizzare il bel paese. Il pescatore espresse tutta la sua voglia di cambiare vita.

    — Farei qualsiasi cosa pur di non continuare a pescare.

    — Qualsiasi?

    — Qualsiasi.

    Sapendo di quale famiglia faceva parte il suo coetaneo, era sottintesa anche tutta la gamma dei reati esistenti. Così era cominciata la sua attività, un sodalizio tra due giovani che ancora continuava dopo un decennio, uno trovava il lavoro e l’altro lo eseguiva. Il bello era che da quella sera non si erano più visti di persona. Internet era stata una manna, ormai non si doveva nemmeno conoscere il datore di lavoro e i soldi arrivavano in banca, senza nemmeno doverli toccare.

    Ah, la tecnologia.

    Sì, quel tipo di lavoro poneva qualche problemuccio di ordine morale, ma il ragionamento del nostro uomo era semplice: se una persona ne spinge un’altra a pagare per ammazzarla, qualcosa di grave deve pur averla combinata.

    Agli inizi la maggior parte degli ordini arrivava dalla criminalità organizzata, varie rese di conti o sgarbi tra delinquenti. A volte le vittime erano solo poveri cristi che tentavano di ribellarsi.

    Doveva farsi scrupoli?

    Cari ragazzi non lo avete capito come va il mondo? No? Allora la vostra morte servirà come eterno monito agli altri: fatevi i cazzi vostri, non ribellatevi e vivrete più a lungo.

    Non lavorava solo per i malavitosi, la fama si era estesa e non rifiutava nulla. Adesso buona parte dei lavori erano dovuti a questioni finanziarie, ma aveva anche felicemente risolto vari problemi di coppia, eliminando a seconda dei casi: il cornuto, l’amante o il traditore. In tutte le possibili combinazioni dei sessi, una volta era stato lo stesso per tutti e tre i protagonisti. Aveva una sua deontologia professionale: non impartiva dolore superfluo e non uccideva bambini. In cuor suo non si definiva malvagio, amava la vita e la gioventù. Almeno fino ai sedici anni.

    Quel giorno stava seguendo una donna avvenente, in apparenza di poco sopra la trentina. Una bionda da sballo che sarebbe stato un peccato uccidere, ma il lavoro è il lavoro. Che il contratto fosse commissionato dal pluricornuto marito della bionda non c’erano dubbi. Come si può pensare che una donna del genere sposi un uomo più vecchio di quasi trent’anni solo per amore? Se di amore si tratta, riguarda quello per i quattrini. Era difficile anche credere che il marito avesse pensato il contrario. Se nella vita hai ottenuto un certo successo, mettendo insieme un considerevole patrimonio, non puoi essere tanto idiota.

    Ti sei sposato la moglie giovane? Lei vent’anni tu quasi cinquanta? Ma non ti è venuto il dubbio che quando lei ne avrebbe avuti quaranta tu saresti stato inadeguato?

    Forse a indispettire il mandante era il fatto che lei non avesse aspettato i quarant’anni prima di riempirlo di corna, come un cesto di lumache. La simpatia del nostro killer andava comunque tutta alla futura vittima, avere un mucchio di soldi ti permette di toglierti tutti i pruriti con alcune donne, ma non ti autorizza di impedirlo a loro quando ne abbiano voglia, i matrimoni di questo tipo sono solo una presa per i fondelli. Educazione dei figli, fedeltà, salute e malattia, finché morte non vi separi sono tutte scemenze.

    Tranne l’ultima.

    Il marito si stava comportando da stronzo, invece di divorziare per manifesta infedeltà della moglie, preferiva farla ammazzare. Non ci sarebbero stati dubbi sull’omicidio, l’onore sarebbe stato salvo e la fedifraga giustamente punita. Si era organizzato anche per farla franca, quello sì che era un uomo vecchio stampo!

    Per il killer quel tipo di stampo era specifico per fare modelli in letame. Valeva la massima che recitava: Tutti quelli con i soldi sono stronzi.

    Questo era un concetto che l’assassino a pagamento dava per certo, anche se in verità conosceva parecchia gente povera con lo stesso difetto. Se non in forma peggiore.

    "L’insieme S contiene tutte le R ma l’insieme S non è costituito solo dalle R".

    Così era sicuramente meglio, pensò il killer. Però una definizione del genere faceva contenti solo i matematici, gente che avendo poco da fare si divertiva in modo bislacco.

    Però rimanevano dei dubbi e ci ragionò sopra un momento.

    Se uno nasce in una famiglia di nababbi, non è detto che sia una carogna per nascita, nasciamo tutti uguali. È il denaro ad avere con sé un virus maligno, ti s’insinua dentro e ti prende a poco a poco. Quindi, chi nasce ricco diventa stronzo prima della pubertà, chi invece si arricchisce in tarda età lo diventa velocemente e in forma acuta. Forse per una virulenza dovuta alla vecchiaia.

    Interruppe il pensiero filosofico che gli sembrò arrivato allo stesso livello dell’argomento trattato.

    Il facoltoso industriale era all’estero, un alibi formidabile, e la sua prosperosa moglie si stava dando alla pazza gioia. In effetti era veramente esagerata, dopo tre giorni di pedinamenti il nostro assassino prezzolato non era riuscito a beccarla mai da sola. Non aveva ricevuto particolari istruzioni per il lavoro, non interessava né il dove né il come, solo che la signora morisse. Puro amore coniugale. Non doveva simulare una rapina o un finto suicidio, solo ammazzarla. Il marito guardava al sodo, forse è così che si fanno i soldi. Il sicario stava meditando di ucciderla appena uscita dalla sua villa o da uno di quei due alberghetti anonimi, nei quali si recava con un esemplare di maschio che non avrebbe sfigurato dentro uno zoo, nella gabbia dei gorilla. In effetti, era il nerboruto primate a dargli qualche problema, se continuavano così sarebbe stato costretto ad ammazzare anche lui. Avrebbe voluto evitarlo ma, porca miseria, erano sempre appiccicati.

    E dagliela una tregua, no. Sarà pure robusto ma così lo ammazzi. E poi il killer sarei io.

    Non poteva eseguire il lavoro da vicino, c’era il pericolo delle telecamere, ormai in città erano dappertutto. Sarebbe stato meglio appostarsi su qualche terrazzo, aspettarla nei posti che frequentava abitualmente e spararle con un fucile di precisione. Una cosa pulita, tranne che per il marciapiede.

    Sì, avrebbe fatto così. Vicino a uno dei due alberghi, dove i due piccioncini amavano passare un paio di ore dopo pranzo, c’era una palazzina che sembrava adatta; avrebbe fatto un sopralluogo. Oppure poteva optare per il furgone parcheggiato, lo aveva usato spesso; ne aveva uno modificato nel quale mettersi comodo e sparare dal retro, attraverso una piccola fessura, per poi mettersi alla guida e andarsene indisturbato. Bastava farlo da una certa distanza e prima che qualcuno capisse cosa era accaduto, lui era già lontano. Però questo metodo era difficile in centro città, vallo a trovare un parcheggio libero.

    Assurdo, era diventato più difficile trovare parcheggio che uccidere. Che mondo.

    Appena fatto il lavoro, se ne sarebbe tornato a prendere la sua roba nell’appartamento affittato per pochi giorni, avrebbe salutato l’anziana proprietaria e sarebbe sparito.

    Aveva preferito una casa all’albergo, meno storie e meno controlli. Ormai chi aveva un appartamento libero in una qualsiasi città, anche non turistica, lo affittava a settimana se non a weekend, facendoci un buon guadagno. Purtroppo chi lo faceva doveva appoggiarsi a qualche piattaforma internet e dividere gli introiti con lei, oltre a pagare le tasse, basse ma pur sempre rognose. Il killer era solito cercare un buco vuoto e prenotare per telefono all’ultimo momento, arrivato sul posto ingolosiva il proprietario dell’appartamento dicendogli che, se voleva, poteva fare a meno di registrare l’affitto ed evadere le tasse, condendo il tutto con un discorso sul governo vampiro che vessava i suoi sudditi. Aveva fatto il discorsetto alla signora mentre lei stessa teneva il documento del killer nelle mani per la registrazione. La vecchia lo aveva sbirciato e poi glielo aveva restituito con un sorriso.

    — Io questo governo nemmeno l’ho votato — aveva detto l’arcigna signora.

    Benissimo, non aveva nemmeno fatto una fotocopia. Se ne sarebbe andato senza essere mai arrivato.

    La vecchia era un’allampanata signora di oltre settant’anni, così aveva confessato al sicario, anche se a lui era sembrato ne avesse molti di meno. Forse a una certa età le donne si atteggiano in modo contrario che in gioventù, affermando di avere più anni della realtà. L’arzilla era proprietaria di un’intera palazzina a due livelli con un appartamento per piano, in quello a terra abitava lei, quello superiore era libero. La costruzione era in periferia, ma questo non costituiva un problema. Il killer aveva affittato l’appartamento dicendo che si sarebbe fermato quattro o cinque giorni, di essere in viaggio di piacere, che sarebbe uscito molto presto e forse rientrato tardi.

    — Basta che non faccia troppo rumore, la scala è esterna e a me non disturberà.

    Aveva detto la signora, dopo aver intascato l’affitto in anticipo e senza lontanamente accennare a uno sconto per la mancata registrazione.

    Era la donna ideale per il killer, una che si sarebbe sicuramente fatta i fatti propri. In ogni modo studiò la serratura della porta d’ingresso e dopo una visita a un ferramenta cambiò il cilindro in meno di cinque minuti. Adesso si poteva entrare in casa solo con la nuova chiave, avrebbe rimesso tutto a posto prima di andarsene. Non poteva rischiare che la vecchia signora facesse un giro per l’appartamento in sua assenza, avrebbe trovato i suoi ferri da lavoro. Lui quando era in ricognizione girava sempre disarmato, poteva essere un errore e perdere un’occasione propizia, ma era anche un modo di fare: niente improvvisazioni, si colpisce solo quando si è certi. Prima di arrivare in città era passato a fare alcune compere da un suo fornitore di quelle parti, quindi nell’appartamento c’era un piccolo arsenale, sia armi da fuoco e varie alternative altrettanto letali. Se la signora avesse avuto il prurito di andare a ficcanasare sarebbe stato un guaio… un momento, ma quella non è proprio la signora?

    E sì, è proprio lei.

    Il sicario avrebbe potuto avvicinarsi e salutarla, magari andare a prendere un caffè, fare una banalissima conversazione. Poi si ricordò di avere una parrucca, mentre la signora l’aveva visto calvo, forse non l’aveva nemmeno riconosciuto.

    Si girò deciso ad attraversare la strada, non fece nemmeno due passi quando un taxi lo prese in pieno, spezzandogli la colonna vertebrale in più punti. Se non fosse bastato, dopo un’elegante piroetta, cadendo si fracassò il cranio contro il bordo del marciapiede.

    Vuoi che un killer esperto lasci una possibilità alla vita?

    CAPITOLO DUE

    Mariangela Acabala

    Mariangela era sconvolta, il suo inquilino era stato travolto da un taxi. Si avvicinò per sincerarsi di non essersi sbagliata, l’affittuario era calvo mentre quest’uomo sfoggiava una folta capigliatura, solo che la parrucca era volata via nell’impatto e il suo cranio era ridiventato calvo. E aperto.

    Il pover’uomo sembrava un essere demoniaco ancora non completamente scaturito dalla strada, la faccia dava l’impressione di essere ancora fusa nel marmo del marciapiede, una parte sul lato orizzontale, l’altra su quello verticale. La bocca contorta in un modo orripilante, sembrava sogghignare malignamente. Il corpo era scombinato, la posizione delle gambe avrebbe provocato l’invidia di qualunque ballerina del Bolshoi. Il tutto provocò una serie di urla tra la gente in strada, accorrevano tutti per poi scappare disgustati, senza nemmeno cercare di portare soccorso, tanto l’esito fatale dell’investimento era più che certo. Il tassista, come se non facesse già schifo la scena, pensò bene di vomitare appena sceso dal mezzo. Mariangela non gli domandò se lo avesse fatto per il disgusto o per le rogne che avrebbe subito la sua licenza, lei girò i tacchi e si allontanò, piena di altre domande.

    Mariangela Acabala, vedova Morini, era una signora abbastanza avanti con l’età, in realtà neanche troppo. Dopotutto aveva solo settantadue anni, molti politici erano assai più vecchi di lei. Era parecchio alta per la sua generazione, quasi un metro e ottanta, magra ma tonica. In vita sua non aveva mai fatto uso del trucco, unico suo vezzo i capelli di un grigio naturale venato ancora di nero, raccolti di solito in una lunga treccia dietro la nuca. Vestiva sempre con abiti comodi e sobriamente colorati, raramente usava la gonna. L’aspetto finale era quello di una signora anziana, in ottima salute, sobria, seria e poco socievole. In fondo, era quello che sembrava. Era vedova da tanto tempo, diciamo da sempre, il suo povero marito era morto dopo soli tre anni di matrimonio. Lei non si era risposata, non le era mai capitata l’occasione e nemmeno l’aveva cercata. Era stata per venti anni una professoressa di matematica delle scuole medie, poi in un’età lontana dalla pensione, aveva deciso di non poterne più di quei piccoli diavoli deficienti e si era licenziata. Aveva un piccolo gruzzolo di soldi ed era proprietaria di una palazzina di due piani; da brava professoressa di matematica si era fatta due conti: avrebbe vissuto fino a ottanta anni senza avere grossi problemi. Se ne avesse avuto bisogno avrebbe venduto uno dei due appartamenti di sua proprietà.

    Non era donna di grosse pretese, dopo la morte del marito si era dedicata anima e corpo al suo lavoro, fino a quando da un giorno all’altro aveva detto basta. Si era dilettata con il giardinaggio, anche con successo, fino a che le sue rose erano misteriosamente appassite. Adesso il suo giardino era un insieme di piante da fiore comprate e piantate ogni primavera. Aveva frequentato la parrocchia fino a una decina di anni prima, poi erano cominciati i funerali. Non aveva mai dimenticato l’omelia fatta dal prete a quello di suo marito, quando le toccò ascoltare quelle di alcune sue amiche più anziane o decedute anzitempo, le vennero dei dubbi. Le sembrò che le prediche si differenziassero solo per il nome del defunto. Oh sì, ogni prete aveva il suo stile, il suo modo di far partecipe la gente al dolore, ma in fondo dicevano sempre le stesse cose. Mariangela s’immaginò il suo funerale, il pensiero di cosa avrebbe detto il prete le diede fastidio.

    L’oscuro disegno di Dio, la casa del Padre, il corpo e la cenere, colui che resuscita i morti…

    Va bene, ho capito, è inutile che lo ripeti.

    Smise di andare in chiesa.

    Era una donna metodica, la sua giornata tipo iniziava molto presto, verso le sei del mattino, un caffè e il riordino di casa. Non è che ci fosse molto da riordinare, ma lei aveva fantasia e la cosa le prendeva fino alle dieci della mattina, poi usciva e andava al bar a fare colazione, mai allo stesso bar per due settimane di seguito. Se ne aveva voglia, prendeva la macchina o l’autobus e andava anche piuttosto lontano da casa, si metteva seduta a un tavolino sfogliando il giornale, se ci riusciva attaccava bottone con il barista o con qualche avventore, cercando solamente di far passare il tempo fino all’ora di pranzo. Sulla strada del ritorno si fermava in uno dei tanti supermercati nel quale fare la spesa, o anche solo per vedere i prezzi senza comprare nulla. Verso l’una era a casa per mangiare, non era un’amante della cucina e quindi la cosa le occupava poco tempo. Dopo il pranzo c’era stato un periodo nel quale si era messa davanti alla televisione a vedere quei noiosi polpettoni pomeridiani, ma dopo averne visti sei o sette, aveva capito che valeva lo stesso discorso delle prediche ai funerali, quindi si era trovata con un buco nel suo tempo. Non era una donna stupida, dopotutto era stata una professoressa, s’interessò ai computer e dopo un paio di settimane viaggiava nel web come un’adolescente. Fino alle cinque del pomeriggio la trovò un’attività divertente, scoprì che la realtà dei fatti e le opinioni della gente non erano sempre quelle raccontate nei telegiornali. Comunque non si fece travolgere dalla moda e riuscì a non trasferire la propria vita nel web. Alle cinque del pomeriggio, se il tempo lo permetteva, spegneva il computer e usciva per andare a fare una passeggiata, magari in un paesino vicino, cenava da quelle parti e tornava a casa per mettersi davanti a un buon libro.

    I rapporti sociali erano ridotti al lumicino: il vicinato, un paio di vecchi colleghi e suo nipote. Carlo, il figlio di sua sorella era la luce dei suoi occhi, i figli di lui anche di più. Si poteva dire che fosse più figlio a lei che a sua madre. Carlo era un poliziotto e la veniva a trovare almeno una sera a settimana, per cenare con lei insieme ai bambini. Peccato che portasse anche Linda, sua moglie. La signora so tutto io non le stava per nulla simpatica. Ma se non si può pretendere di scegliere la moglie al proprio figlio, figuriamoci al nipote.

    Era ovvio che una vita del genere avrebbe portato parecchie persone a tagliarsi le vene, ma a lei stava bene così. Non permetteva a nessuno di intromettersi, non aveva nemmeno cercato di risposarsi, non era una brutta donna e stava anche bene come patrimonio, un buon partito per intenderci, ma anche se rimasta vedova a meno di trenta anni aveva deciso che con l’amore e il sesso poteva bastare. Si era domandata se non avesse qualcosa di sbagliato, dopotutto almeno il sesso dovrebbe essere un’esigenza fisica. Su internet aveva provato a vedere alcuni siti porno, non capendo cosa ci trovasse di irresistibile la gente. Lei non provava nulla e si tornava al discorso delle telenovelas e delle omelie, anche i video porno erano noiosi, anzi, gli argomenti e le combinazioni possibili erano ancora meno.

    Si era ritrovata a superare la cinquantina senza nemmeno accorgersi del tempo che passava; un giorno un ginocchio aveva cominciato a fare le bizze, così aveva iniziato a frequentare una palestra tre volte la settimana, per fare un po’ di movimento fisico. Da allora era come se avesse smesso di invecchiare, la maggior parte di chi non la conosceva le dava meno di sessanta anni. Comunque neanche le persone della palestra avevano intaccato la vita solitaria di Mariangela, una o due cene collettive l’anno e niente più.

    Una donna così non avrebbe mai immaginato che un qualsiasi evento potesse sconvolgerle la vita, queste cose succedevano alle ventenni, giovani scattanti e con due misure di reggiseno oltre la media. Almeno nei film. Un’antipatica e filiforme vecchiaccia come Mariangela pensava che nulla ormai potesse toccarla.

    Ma era inevitabile che a quell’età, la vita, in qualcosa l’avesse già toccata.

    Il datore di lavoro che non aveva eseguito la manutenzione del macchinario che aveva straziato il corpo di suo marito, l’aveva toccata anche parecchio. Il delinquentello che a soli dodici anni l’aveva fatta impazzire a scuola, lo avrebbe toccato lei. Il ragazzo che l’aveva scippata trascinandola per alcuni metri lo sognava ancora ogni tanto, forse solo per rammentarne la faccia. Chi le aveva avvelenato le rose in giardino e l’aveva fatta incazzare come una bufala, anche se non lo aveva mai dato a vedere, un po’ l’aveva turbata. La prosperosa signora che in palestra la chiamava Olivia, come la donna di Braccio di Ferro, non gli stava mica simpatica. Il marito della sua vicina, eterno adolescente in calore, che provava a portarla a letto da almeno trent’anni non le faceva tenerezza, nemmeno adesso che era all’età giusta per appendere le mutande al chiodo e ancora insisteva. Ecco, queste e altre mille cose erano state ignorate e sepolte nella vita monotona di Mariangela, lei pensava che nulla le avrebbe mai tirate fuori, ne era sicura.

    Mentre se ne tornava a casa in autobus, dopo la passeggiata in centro funestata dalla morte dell’inquilino, Mariangela pensava a cosa avrebbe dovuto fare. Suo nipote Carlo le aveva consigliato di non affittare l’appartamento a degli sconosciuti, di soldi non ne aveva nemmeno bisogno, ma lei lo faceva anche di nascosto, per stizza. Avrebbe voluto che la famiglia del nipote fosse andata a vivere nella sua palazzina, ma quella strega della moglie non aveva voluto, quindi ora lei la casa l’affittava a chi voleva. Oh!

    Sì, ma avrebbe dovuto registrare l’uomo, adesso come avrebbe fatto? Poteva dire che era arrivato quella mattina e regolarizzare tutto? No, non aveva i documenti e non aveva fatto nemmeno una fotocopia. Cavolo, non sapeva nemmeno come si chiamasse. Luigi Comencini? Come il regista? No, era Lorenzini o Torracini? Forse non era nemmeno Luigi. Doveva fare una figura meschina con Carlo, gli avrebbe dovuto telefonare e spiegare la situazione.

    Sì, avrebbe fatto veramente una figura meschina.

    Stava pensando a questo quando un ragazzino, con qualche pelo di baffi, salì sull’autobus con la sigaretta accesa. Mariangela non voleva farlo, ma la professoressa dentro di lei uscì fuori.

    — Ragazzino, spegni quella sigaretta.

    Nello stile di un’arcigna professoressa di matematica.

    — Fatti i cazzi tuoi o te la spengo in faccia — fu la risposta.

    A Mariangela sembrò di essere tornata indietro di trent’anni, la stessa voce, lo stesso tono e la stessa faccia.

    Possibile?

    No, non poteva essere Giorgio Ferri, il discolo che le aveva fatto decidere di smettere d’insegnare. E non poteva nemmeno esserne il figlio, perché quel fetente stava in galera, a diciannove anni aveva ammazzato due persone durante una rapina.

    Davanti alla sfacciata esibizione di violenza non replicò e nessuno venne in suo aiuto. Quando dopo poche fermate il teppista scese, una signora le disse che il piccolo bastardo faceva così tutti i giorni e che era già venuto alle mani con un povero vecchietto, riempiendolo di pugni.

    Sta a vedere che aveva ragione Cesare Lombroso. Tutti i violenti hanno le stesse caratteristiche fisiche!

    Lo sapeva che non era così, ma il futuro di quel ragazzino era già scritto nella sua faccia, Lombroso o no.

    Arrivata a casa, il teppista era già uscito dai suoi pensieri, aveva intenzione di vedere se l’ospite aveva lasciato un qualche documento nell’appartamento, lo avrebbe usato per registrarlo, meglio un paio di giorni di ritardo che niente. Poi, non vedendolo tornare a casa, avrebbe fatto le dovute telefonate, cadendo dalle nuvole alla notizia della sua morte. Prese la chiave di riserva dell’appartamento, salì le scale esterne e tentò di infilarla nella toppa senza riuscirci. Ricontrollò la chiave, non poteva essersi sbagliata, era quella giusta, anzi era l’unica oltre quella del suo appartamento. Lei era una donna pratica che si faceva tutti i lavori domestici da sola, studiò meglio la serratura e scoprì che era nuova.

    Perché l’ospite aveva cambiato la serratura? Sembrava tanto una brava persona, forse aveva qualcosa da nascondere?

    Ma no, era lei che non era sembrata una brava persona e il pover’uomo aveva solo preso precauzioni. Anche a ragione, di fatti lei stava per entrargli in casa di nascosto.

    Mariangela, cosa diavolo pensi? Primo quello è morto e secondo questa è casa tua.

    In quel momento un solo dubbio attanagliò la sua mente.

    Ci arriverà fin quassù la prolunga per il trapano?

    CAPITOLO TRE

    15 giorni dopo

    Il commissariato era un edificio di due piani degli anni sessanta, la data di costruzione si intuiva guardando la brutta rampa per disabili, aggiunta quando si era diventati coscienti delle barriere architettoniche. Per superare quei quattro scalini all’ingresso sarebbe bastato un piccolo impianto montascale, invece si era scelto uno scivolo di una lunghezza esagerata, con tanto di curva a gomito e ringhiera, ovviamente arrugginita.

    L’edificio, decrepito all’esterno, diventava commovente all’interno. Una volta, tanto tempo prima, doveva aver avuto anche una mano di colore sulle pareti, adesso era di un grigetto fumo, tempestato di parti più chiare dove delle toppe di gesso coprivano le varie crepe o lavori fatti nel tempo. I poliziotti però non si lamentavano, pur essendo in periferia, era ben collegato con i mezzi pubblici e facile da raggiungere in macchina. I termosifoni funzionavano bene, come i condizionatori. Le stanze erano parecchie e occupate da non più di tre scrivanie, si stava meglio di molti altri posti.

    Quella mattina però non c’era verso di essere contenti, il Commissario Capo, da tutti chiamato Commissario e basta o Grande Capo, era nel pieno di una crisi isterica. Sapendo che l’isteria causa momentanea cecità, perdita di conoscenza e altri sintomi, era sbagliato definire così le classiche sfuriate del Commissario, poi questi attacchi nevrotici prendevano il nome dalla parola utero in greco, e questo ne definiva il carattere prettamente femminile. Il Commissario ci vedeva ancora bene, non stava per svenire e si chiamava Elvezio Morelli, quindi non era una donna. Eppure le sue sfuriate erano note a tutti come crisi isteriche. Una patologia ormai incurabile, con attacchi sempre più frequenti.

    Isteria perniciosa.

    Il volto del Commissario, negli ultimi minuti, era cambiato di colore passando in rassegna alcune varietà di ciliegie, partito dal rosso brillante della Mora di Cazzano era

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