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Esuli in patria
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E-book192 pagine2 ore

Esuli in patria

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La realtà distopica descritta da Rocco D. Di Marco in Esuli in patria è una chiara esposizione di una situazione che parossisticamente e paradossalmente potrebbe prendere vita. Distante dai nostri giorni, descrive una situazione completamente degenerata, nella quale un Potere occulto e tentacolare si appropria dell’esistenza altrui, contribuendo a svuotare le menti e a soffocarne i gesti.
Il teatro dell’azione vede protagonista Roma, testimonianza di un fasto antico, una città oramai completamente svuotata da tutto ciò che l’ha resa da sempre caput mundi.
Opere artistiche di inestimabile valore sono un lontano ricordo, giacciono inermi in magazzini, in ampi possedimenti di proprietà
di malviventi efferati. Il progetto è quello di ricavarne il massimo del guadagno e abbattere completamente tutto ciò che ha reso grande il Paese italiano.
Cultura, Storia, Filosofia, Arte: non esiste più nulla.
Ma un ex poliziotto, Marco, sostenuto da una squadra di valenti giovani e dall’autorità massima del Presidente della Repubblica,
entrerà nelle maglie di questa organizzazione pericolosa, non senza affrontare enormi rischi.

Sono nato e vissuto a Roma, città dove ho studiato fino alla laurea in Ingegneria meccanica e dove attualmente lavoro e vivo insieme alla mia compagna e a Sofia, di quattro anni. Amo leggere e la lettura soddisfa due mie esigenze: quella di evasione attraverso i romanzi e quella di conoscenza attraverso saggi, riviste, testi tecnici su diversi argomenti di attualità, scienza, storia. Inoltre amo viaggiare, fare sport, andare al cinema e al teatro. La volontà di scrivere è nata nel 2014, dopo un’esperienza negativa, e dall’abbozzare le prime storie sono passato all’idea di un romanzo che ha poi visto la sua conclusione circa due anni fa.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2023
ISBN9788830683204
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    Esuli in patria - Rocco D. Di Marco

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    Rocco D. Di Marco

    Esuli in patria

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7675-6

    I edizione maggio 2023

    Finito di stampare nel mese di maggio 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Esuli in patria

    "Il corrotto non può provocare rovina sul corruttore

    senza restare sepolto dalle stesse macerie"

    L.S.

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo i

    Nonostante la sua eternità, Roma non era più caput mundi, capitale del mondo, come lo era stata all’apice del suo antico splendore, ma era divenuta un mercato archeologico clandestino a cielo aperto, con antichi reperti di ogni genere, trafugati, depredati spesso in modo quasi del tutto indisturbato: statue, busti, sculture, fregi, crateri, dipinti, tele, gioielli e perfino bacini di fontane. L’ultimo sacco che Roma aveva subito era stato quasi a metà del ventunesimo secolo. Il lento offuscamento di quel grande e antico splendore avviato dall’uomo nei secoli passati si era dunque tramutato in una rapida e imminente notte perenne…

    Tutto questo Marco lo aveva previsto ben vent’anni prima, quando da giovane agente di polizia, speranzoso di una solida democrazia e motivato da un suo senso di giustizia sociale, provava un forte allarmismo davanti alla preoccupante situazione nazionale dovuta alla corruzione profonda e capillare e all’impunità diffusa e del tutto fuori controllo. Adesso non era più un’agente del corpo della polizia di Stato, peraltro da poco sfacciatamente soppresso e riaccorpato insieme ad altri per formare un’unica struttura di ordine pubblico notevolmente ridotta in forze. Di fatto l’intera Nazione era nelle mani di un esiguo gruppo di potenti, la cui natura risultava torbida; ipoteticamente potevano essere politici, banchieri, funzionari, professionisti, criminali, tutto era ancora indefinito. Quella fragile e precaria democrazia di inizio secolo si era mantenuta ma era fragilissima come il sottile guscio di un uovo che sta per creparsi e il cui interno contiene la vivida e florida sostanza che rappresenta il caos e che sta per erompere. Il gruppo di potenti, deus ex machina della gestione economica e politico-sociale dell’intera Nazione, aveva condotto l’Italia, consapevolmente o meno, ad un profondo e diffuso degrado intellettuale e sociale e questo per due convergenti interessi, quelli di sempre: il denaro e il potere. Tutto il caos delle molteplici provenienze politiche ed istituzionali legate soprattutto ad una spartizione di profitto o interesse personale non faceva che confondere e disorientare le persone. La difesa dei diritti era un impulso ormai assopito per la maggior parte della popolazione ma come per miracolo sopravviveva l’ufficialità della Repubblica e la facciata sgangherata dei partiti politici democraticamente eletti da poco meno del 30 per cento degli aventi diritto al voto. La società italiana ne usciva moribonda e l’essenza della Civiltà era rappresentata dall’integrità e l’onesta di un numero imprecisato di persone, tra loro isolate ma miracolosamente presenti. Tra di essi si annoveravano politici, magistrati, funzionari, ex poliziotti, giornalisti, sacerdoti, cittadini comuni e il Presidente della Repubblica, quest’ultimo vero unico faro rimasto per chi ancora aveva la forza e la speranza di resistere e credere ancora in quello che una volta era lo Stato di Diritto.

    Quell’ex poliziotto, vent’anni più tardi, non aveva abbandonato la speranza, peraltro costantemente alimentata dall’esempio e dalle parole di un uomo delle Istituzioni, come il Presidente, che una volta di più quella sera destava la sua attenzione. Tenendo accesa la

    tv

    , tra un boccone e l’altro di un cibo precotto, il giovane fissava lo schermo in attesa, e pendeva dalle sue labbra perché il Presidente era in procinto di pronunciare un importante discorso, e si percepiva la tensione nell’aria dall’altra parte dello schermo.

    In quell’attesa c’era il tempo di rimuginare sul recente passato.

    Da quando quel Potere aveva deciso di accorpare e ridurre drasticamente le forze di ordine pubblico con il preciso intento di indebolire la forza difensiva dello Stato e colpire le sue basi per smantellarlo, il Presidente di risposta aveva preso ad arruolare i pochi volontari fedeli che, prima del 2028, facevano parte delle forze dell’ordine. Questi ex ormai erano confluiti nella sua scorta e non superavano in totale le trenta persone, a lui devote e fedeli, si sarebbero di sicuro immolate per la sua difesa, perché tutte consapevoli del ruolo di rappresentanza che egli rivestiva: non solo ricopriva il massimo incarico istituzionale ma la sua figura era l’unica in grado di poter rappresentare l’integrità morale e lo spirito di lotta di chi ancora intendeva difendere lo Stato, di chi ancora continuava a non capacitarsi di quella decadenza e a lottare contro una corruzione oceanica, una corruzione di sistema.

    Il contenuto del discorso proveniente dalle casse della

    tv

    ridestò Marco perché, come al solito, era incentrato su quella lotta e su tutte le iniziative concrete per metterla in atto. L’ultima era quella di creare un corpo speciale per la difesa e il recupero dei reperti archeologici, il cosiddetto

    c.s.d.r.

    , che ormai venivano razziati nei più svariati luoghi d’Italia, dai depositi dei musei ai palazzi d’epoca, dalle ville ai siti archeologici. Ascoltando quelle parole, Marco si chiedeva per l’ennesima volta come si fosse giunti ad una tale situazione, come il popolo italiano avesse potuto concedere tanto, fino ad accettare con ottusa convinzione di smantellare tutte le forze dell’ordine fino ad allora istituite con il pretesto ridicolo di ridurre le spese e i costi dello Stato. Forse l’abuso quotidiano di futilità, distrazioni e intrattenimenti, falsi bisogni e false notizie, informazioni infondate, unita a ritmi lavorativi e quotidiani che concedevano poco tempo per soffermarsi sui propri pensieri, costituivano una miscela potente e velenosa in grado di intorpidire e confondere le mente della stragrande maggioranza delle persone e soprattutto in grado di tenerle divise. Questa miscela letale era probabilmente frutto di una combinazione accidentale di fattori che dosati nella giusta misura e in presenza di un giudizio critico molto scarso delle persone funzionava nel modo ottimale ed oltre le migliori intenzioni e previsioni del Potere. Il giovane Marco non si capacitava come mai non avesse subìto un tale contagio di rincoglionimento e perché, contro di lui, nonostante tutto, questa modalità di conquista della vita e delle menti non l’avesse ancora minimamente intaccato. Ma forse una possibile risposta ce l’aveva, risuonava nella sua testa come voce della coscienza perché gli era stata suggerita, come una specie di rivelazione, dalle parole pronunciate dal Presidente in un altro lungo discorso, in occasione di un tentativo estremo di persuadere il popolo italiano a non cedere alla svendita del proprio Paese: "Chi ama la giustizia non può disprezzare la bellezza svendendola, chi ama veramente la bellezza a sua volta non può rinunciare all’ordine, all’armonia alla legalità e dunque alla giustizia, sono strettamente concatenate perché senza di esse ne viene meno. Chi ama la bellezza non può desistere nel contrastare la corruzione perché ciò che ne deriva distrugge tutto ciò che è bello". Marco era un amante del bello ed era un convinto sostenitore del valore della logica, del pensiero critico e ciò gli era bastato per essere del tutto impermeabile alla fluida insinuante ondata di corruzione che aveva travolto la Nazione come uno Tsunami che in lontananza nasconde tutto il suo potenziale distruttivo e che lentamente avanza innocuo, silenzioso ed inesorabile. A volte rimaneva comunque schiacciato da un peso enorme di ingiustizia ed impotenza e la frustrazione, la rabbia e la delusione si mescolavano formandogli un nodo alla gola che pian piano riusciva poi a sciogliere con la possibilità dell’azione ricordando lo spirito di sacrificio e le gesta di chi si era già sacrificato in passato per rendere libero e giusto questo Paese.

    Lo chiamavano Potere.

    Tutti coloro che resistevano in quella lotta avevano battezzato quel gruppo di persone che muovevano le fila della Nazione con quel nome generico, anonimo e minaccioso. C’era un forte sospetto, a volte quasi una certezza, di essere pedinati, intercettati o addirittura spiati da un fitto sistema di telecamere e nano-spie altamente tecnologico diffuso in città, come nei vecchi regimi totalitari o senza andare troppo lontano come in tempi più recenti, in piena Democrazia, quando il Presidente Pertini per evitare le cimici era costretto a parlare di argomenti delicati e confidenziali nei remoti locali della lavanderia del Quirinale o quando il pool antimafia di Palermo, per lo stesso motivo, era costretto a confidarsi in ascensore. In quel momento la situazione era ben peggiore, infatti grazie al progresso tecnologico anche i posti più insoliti non risultavano sicuri. Incombeva dunque un’aria pesante, una tensione costante capace a volte di togliere il respiro. Questo nuvolone sulle teste dei cittadini non si era formato da un momento all’altro ma negli ultimi tempi si era infittito enormemente in un cambiamento simile a quello di un cielo azzurro grigiastro ricoperto da sprazzi di innocue e soffici nuvole che in poco tempo addensandosi lo tingono di grosse chiazze nere svelando la minaccia di lividi nuvoloni carichi di una pioggia imminente. Per questi motivi, da qualche settimana Marco soleva incontrarsi con il suo amico ed ex collega Luigi nei posti più improbabili, ignorati e trascurati della Capitale. L’ultima idea era quella di darsi appuntamento nei vecchi e amati cinema del centro o della periferia capitolina, una volta assiduamente frequentati ed ora abbandonati alla polvere e al tempo visto che nessuno si era preso la briga di convertirli in qualcos’altro. Quella sera si era optato per l’ex cinema Barberini, situato sull’omonima piazza dove ormai da anni la statua trafugata del tritone era stata sostituita da uno squallido obelisco in vetroresina. Dopo diversi anni di vita come multisala, il Barberini si era riconvertito in una monosala fino al suo definitivo abbandono, l’anno precedente, battezzato da tutti come "l’anno più buio", quello del crepuscolo culturale. Il 2030 aveva segnato il tempo della chiusura della gran parte delle sale cinematografiche ma anche di tutti quei luoghi riconducibili ad espressioni artistiche o a luoghi di partecipazione, come teatri, biblioteche, centri o associazioni culturali.

    Anche dove sovrabbondavano i centri commerciali e le gelaterie, l’anno del tracollo definitivo della cultura, era stato dettato non dalla volontà di un singolo uomo o gruppo di uomini, cioè il Potere come in un regime totalitario, ma da un malessere talmente profondo e diffuso da condurre le persone ad un naturale e totale disinteresse verso ogni forma d’arte, di incontro o partecipazione. La maggior parte dei cittadini, quando non era comodamente adagiata all’interno dell’abitacolo della propria automobile o all’interno di un centro commerciale, se ne stava rintanata a casa alle prese con l’alto progresso tecnologico a portata di mano, un bombardamento continuo di informazioni spesso futili ed enfatizzate ma una vera garanzia di incomunicabilità e di passività. Al pari dei tossici, ognuno sembrava vivere risucchiato in un mondo isolato e preconfezionato, un mondo da fiction, piacevole e attrattivo e in grado di rendere le singole persone intimamente indifferenti e distaccate dalla tragedia della realtà.

    I pensieri e le opinioni erano molto spesso riciclate, l’originalità di un concetto era una rarità e scaturiva spesso dall’esperienza di qualcun altro. Ma quando un concetto originale, critico e vero emergeva, questo, sebbene illuminante per alcuni, poteva essere fastidioso o ignorato dalla maggior parte poiché il torpore mentale in cui si era ovattati faceva semplicemente comodo. Dunque, dopo i precedenti due appuntamenti presso le ex sale Madison e Giulio Cesare, questo al Barberini era il terzo incontro clandestino tra i due amici. Si prospettava la solita nottata dedita a piani e strategie sul come sbarcare il lunario nella settimana seguente e come

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