Catechismo di San Bellarmino: Composto dal Ven. Cardinale Roberto Bellarmino - Con approvazione ecclesiastica
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Info su questo ebook
Si tratta di un compendio con approvazione ecclesiastica, quindi di una selezione dei più importanti temi della fede cattolica.
Il libro è ricco di numerosi spunti che possono essere molto utili per tutti coloro che desiderano approfondire le realtà della dottrina cristiana.
Quest’opera, pur essendo un compendio del Catechismo grande di San Roberto Bellarmino, contiene i temi principali della fede cattolica sui quali ciascuno di noi è invitato a riflettere e meditare.
Roberto Bellarmino è riconosciuto come teologo della Chiesa cattolica. Durante la sua vita scrisse molte opere spirituali tra le quali il Catechismo grande, il cui compendio venne composto successivamente. Divenne cardinale ed è venerato come santo e successivamente proclamato dottore della Chiesa.
Roberto Bellarmino faceva parte dell’ordine dei Gesuiti e questo libro venne pubblicato per specifica richiesta di Papa Clemente VIII, che invitò sacerdoti, vescovi e quanti operavano nella diffusione della dottrina cattolica ad adottarlo nelle chiese e nelle parrocchie di tutto il mondo.
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Anteprima del libro
Catechismo di San Bellarmino - San Roberto Bellarmino
dominio
Titolo
San Roberto Bellarmino
Compendio al
Catechismo grande della dottrina cristiana
Composto dal ven. cardinale Roberto Bellarmino
Richiamato in pratica da mons. Luigi Reggianini, Modena,
Per gli eredi Soliani, [1838].
Con approvazione ecclesiastica
Libera nos a malo
Note editoriali e di copyright
La carità copre la moltitudine dei peccati (San Paolo Apostolo)
Titolo: Compendio del Catechismo grande della dottrina cristiana
Autore: San Roberto Bellarmino
Edizione stampata: Lulu Enterprise America
Edizione e-book: Streetlib self publishing
Copertina: Ega web design
Immagini: pixabay.com
© Copyright 2016 - Opera di Pubblico Dominio
Premessa
Quest’opera è un compendio del Catechismo grande di San Roberto Bellarmino, (Montepulciano, 4 ottobre 1542 – Roma, 17 settembre 1621) il quale è riconosciuto come teologo della Chiesa cattolica. Durante la sua vita scrisse molte opere spirituali tra le quali il Catechismo grande, il cui compendio venne composto successivamente. Divenne cardinale ed è venerato come santo e successivamente proclamato dottore della Chiesa.
Roberto Bellarmino faceva parte dell’ordine dei Gesuiti e questo libro venne pubblicato per specifica richiesta di Papa Clemente VIII, che invitò sacerdoti, vescovi e quanti operavano nella diffusione della dottrina cattolica ad adottarlo nelle chiese e nelle parrocchie di tutto il mondo.
Per concludere questa breve premessa, vorremmo proporre quanto detto su San Bellarmino da Papa Ratzinger in occasione di un’udienza Generale nel 2011: Negli scritti di quest'uomo di governo si avverte in modo molto chiaro, pur nella riservatezza dietro la quale cela i suoi sentimenti, il primato che egli assegna agli insegnamenti di Cristo. San Bellarmino offre così un modello di preghiera, anima di ogni attività: una preghiera che ascolta la Parola del Signore, che è appagata nel contemplarne la grandezza, che non si ripiega su se stessa, ma è lieta di abbandonarsi a Dio. Un segno distintivo della spiritualità del Bellarmino è la percezione viva e personale dell’immensa bontà di Dio, per cui il nostro Santo si sentiva veramente figlio amato da Dio ed era fonte di grande gioia il raccogliersi, con serenità e semplicità, in preghiera, in contemplazione di Dio. Egli scrive:
Se hai saggezza, comprendi che sei creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine, questo il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Perciò stima vero bene per te ciò che ti conduce al tuo fine, vero male ciò che te lo fa mancare. Avvenimenti prosperi o avversi, ricchezze e povertà, salute e malattia, onori e oltraggi, vita e morte, il sapiente non deve né cercarli, né fuggirli per se stesso. Ma sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di Dio e alla tua felicità eterna, sono cattivi e da fuggire se la ostacolano" (Benedetto XVI Pont. Max. - Udienza Generale 23 febbraio 2011).
LA FEDE
Ho sempre giudicato, ottimi uditori, essere sommamente necessario perseverare nella Chiesa, nella quale si trova la fede vera ed ortodossa, il vero culto di Dio, la vera remissione dei peccati, il vero pegno della salvezza ed eredità eterna. Penso però, che sia necessario stare nella Chiesa in questo tempo soprattutto, quando per ogni dove un brulichio di eresie e di sette va stendendo su tutta la terra una tenebra così densa e così tetra, che sembrano essere vicini quei tempi, di cui Gesù Cristo dice nel Vangelo: «Usciranno fuori de' falsi profeti e sedurranno molti, e per essere sovrabbondata l'iniquità, si raffredderà la carità in molti» (Mt. 24, 24): e ancora, «Quando verrà il Figliolo dell’uomo, credete voi, che troverà fede sopra la terra?» (Lc. 18, 8).
Osservate bene la faccia della terra. Quanti atei, quanti pagani, quanti giudei vi si trovano! Quante regioni, quanti regni, quante province sono passate da Cristo al Maomettanismo! Lo scisma e l'eresia dei Greci, dei Giacobiti, dei Nestoriani non ha forse strappato via quasi tutto l'Oriente? La peste Ariana, la Sabellica, la Luterana, in gran parte anche quella dei Greci non ha forse infettato totalmente il settentrione? L'Africa tutta, dove una volta c'erano tante sedi di arcivescovi e vescovi, non è essa occupata parte dai Mauri, seguaci di Maometto; parte dagli Etiopi, cristiani solo di nome, e già da tempo separati dalla vera Chiesa? Che diremo dell'Occidente? Citi potrà contare le sette dei Confessionisti, degli Anabattisti, dei Calvinisti? Non è vero, che nello spazio di 50 anni sono sorte ai nostri giorni quasi tante eresie, quante dal tempo degli Apostoli per interi 1500 anni? Inoltre l'avarizia, la superbia, la lussuria, l'ambizione, gl'inganni, le frodi, le menzogne, tutti i vizi, tutte le scelleraggini, tutte le azioni più vergognose hanno invaso il cuore e la mente dei mortali a segno tale, che ci sarebbe pericolo «da fare, che siano ingannati - se è possibile - gli eletti stessi» (Mt. 24, 24), e che comincino a dire: «ma c'è Dio in mezzo a noi?». Siamo o non siamo eredità e beni del Signore?
Quantunque ciò sia vero, resta l'asserzione di Nostro Signore Gesù Cristo: «Chi persevererà fino alla fine si salverà» (Mt. 10, 22). Resta il detto di S. Cipriano: «Chiunque sia e quale che egli sia, non è cristiano, chi non è nella Chiesa di Cristo» (Cypr. l. 4, epist: 2, et lib. de unitate Eccles.). E in un altro luogo: «Chiunque si separa dalla Chiesa e si unisce ad una adultera, si separa dalle promesse fatte alla Chiesa, e non appartiene ai tesori di Cristo. Chi abbandona la Chiesa di Cristo, è d'altri, è profano, è nemico. Non può aver per padre Dio, chi non ha per madre la Chiesa». Se non poté salvarsi chi si trovò fuori dell'arca di Noè; così non si salverà chi sarà stato fuori della Chiesa della pace. Dunque fuori della Chiesa di Cristo non si trova né salvezza, né remissione dei peccati. Oggi ci minaccia un gravissimo pericolo da parte di certi atrocissimi assassini delle anime. Nulla è oggidì più facile per gl'incauti, che l'allontanarsi dalla rocca della Chiesa, e incappare nei lacci e nelle reti della infedeltà.
Ho pensato perciò, che nei discorsi di quest'anno non avrei potuto trattare di altro con maggior frutto, che di alcuni argomenti, coi quali si dimostra ad evidenza che la religione, abbracciata da noi per beneficio di Dio, deve a ragione da tutti quanti hanno giudizio essere anteposta a tutte le sette e superstizioni dei Giudei e dei pagani: che anzi essa sola è quella, dalla quale Dio è onorato con pietà e santità: che essa altresì guida i suoi adoratori al vero porto della eterna felicità. Questa disputa verserà quasi tutta nella prova della fede: ma daremo qualche cosa alla morale. Divideremo i nostri discorsi in due parti, nella prima spiegheremo l'argomento, che abbiamo già detto: nella seconda (1) esporremo, per la edificazione dei costumi il primo pensiero della epistola, che si sarà letta nella messa cantata.
Ci sono due cose che principalmente ci muovano a credere, e sono: il lume interno della fede, e certi argomenti esterni. Gli argomenti, di cui intendiamo trattare sono in tutto dodici, cioè: la verità della religione cristiana, l'efficacia, l'antichità, l'ampiezza, la saldezza, il lume profetico, la gloria dei miracoli, la bontà della vita, la testimonianza e l'approvazione dei nemici, i costumi della Chiesa antica, e i costumi degli eretici antichi. S. Agostino, uomo santissimo, e dottissimo, indica questi argomenti, non proprio tutti, ma alcuni di essi, nel libro che scrisse già contro la lettera di Manicheo, che chiamano «del fondamento». L'effetto, che produssero in lui tali argomenti, uditelo dalle seguenti sue parole: «Molte sono le ragioni, che mi tengono strettissimamente nel grembo della Chiesa Cattolica. Mi tiene il consentimento dei popoli e delle genti. Mi tiene l'autorità, cominciata coi miracoli, nutrita con la speranza, cresciuta con la carità, confermata dalla antichità. Mi tiene la successione, dei sacerdoti fino dalla sede di Pietro apostolo» (Aug. contro epist. fund. cap. 4). Così parla quel grand'uomo, che non era fornito meno di lume divino, che di acutissimo e sodissimo giudizio; e che assai meglio di tutti poteva giudicare della differenza che c'è ha la sono dottrina della Chiesa e gl'insani principi degli eretici. Degli argomenti esterni parleremo in altro tempo, Oggi, secondo che ce lo permetterà il tempo, ragioneremo soltanto del lume della fede. Diremo, quanto esso sia eccellente, e quanto necessario dono di Dio, e con quanta sollecita cura si deve conservare.
A me pare, che il lume della fede sia altrettanto necessario per credere i dogmi, che ci vengono proposti dalla Chiesa cattolica, quanto il lume naturale della intelligenza per conoscere i primi principi. Tutti gli uomini sono forniti di un certo lume naturale, con il quale intendono senza fatica e senza argomenti, che i primi principi sono veri. Così non c'è nessuno, che domandi ragioni od argomenti, quando gli si propongono tali principi, per esempio: che si deve seguire il bene e fuggire il male: che tre è più che due, che tre più due fa cinque. Parimente tutti i cristiani, rischiarati da un cotanto lume divino e soprannaturale, ammettono che sono verissimi e certissimi i primi principi della nostra fede, ancorché difficilissimi e trascendenti la ragione. Quale è la ragione, per cui non è possibile insegnare ai bruti una verità? Prendi un animale, un cavallo per esempio, o un nibbio. Provati, se sei capace di persuaderli di qualche verità. Non ci riuscirai, anche se vi adoperassi tutta la dialettica e tutta la retorica. Mancano del lume naturale della intelligenza. Allo stesso modo tutte le nostre prediche, e non solo le prediche, ma tutti i nostri prodigiosi miracoli non sono sufficienti a persuadere i pagani e gli eretici della nostra fede, se non viene Dio stesso come maestro, e illumini la loro mente con questo divino lume.
I Pelagiani, sprezzatori della divina grazia c superbissimi lodatori delle loro forze, non esitavano di affermare, che noi non abbiamo poi tanto bisogno di cotesto lume, e che la fede non si chiama nella S. Scrittura dono di Dio per altra ragione, se non perché per grazia e dono di Dio avviene, che abbiamo le SS. Scritture e la predicazione del Vangelo. Ma ben altro ci dimostrò Gesù Cristo, ben altro insegnarono gli apostoli, ben altro attesta la pratica esperienza. Che cosa non videro ed udirono quelli che videro ed udirono Cristo stesso in persona, cioè il Verbo e la Sapienza del Padre, a predicare e a far miracoli? Ciò nonostante S. Giovanni lasciò scritto di essi: «E avendo egli fatto sì grandi miracoli sotto i loro occhi, non credevano in lui». (Gv 12, 37), Che più sapiente della Sapienza? Che più eloquente del Verbo? Che più santo di chi poteva dire: «Chi di voi mi convincerà di peccato?» (Gv 8, 46). Che più meraviglioso di colui che con una parola, con un comando richiamava alla vita i morti da quattro giorni? Eppure, benché avesse fatto così grandi miracoli, e fosse egli tanto grande e tale, non credevano in lui. Giustamente Gesù diceva di loro: «Chiunque ha udito e imparato dal Padre, viene a me» (Gv. 6, 45). «Sono tra voi alcuni, i quali non credono: ma per questo vi ho detto, che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio» (Gv 6, 65). L'apostolo Paolo prima della conversione certo aveva udito. Se non altri, almeno Santo Stefano pieno di Spirito Santo, che predicava in tal modo che nessuno poteva «resistere alla sapienza ed allo Spirito, che par1ava in lui» (At 6, 10): e l'aveva visto fare miracoli e prodigi grandissimi in mezzo al popolo, e ciò nondimeno perseguitava la nostra fede con tanto odio, che un tempo «spirando minacce e strage contro i discepoli del Signore» (At 9, 1), domandò al principe dei sacerdoti «lettere per Damasco alle sinagoghe; affine di menar legati a Gerusalemme, quanti avesse trovati di quella professione, uomini e donne» (At 9, 1). Ma dopo che «una luce del cielo gli folgoreggiò d'intorno» (At 9, 3), che gli accecò gli occhi, egli illuminò la mente, d'un tratto fu tutto cambiato. Ed egli che prima perseguitava il nome di Cristo, lo portò in tutta la terra innanzi ai re e ai principi. Egli che dapprima con tutte le forze si sforzava di devastare la Chiesa, poscia lavorò più di tutti nell'edificare le chiese stesse. Egli, che diceva essere stolte e ridicole le cose, che si dicevano dai cristiani, di poi egli solo chiamò la sola Chiesa «colonna e appoggio della verità». (1 Tm. 3, 15) Quale fu la causa di sì grande e meraviglioso cambiamento? Chi persuase Paolo in un istante, di ciò, che non avevano potuto persuaderlo, né le parole, né i miracoli? Sicuramente non altro, che l’unzione dello Spirito Santo. L'unzione gliel’insegnò. Ebbe a interno maestro e testimonio quello, di cui diceva S. Giovanni: «Chi crede nel Figliuolo di Dio, ha in sé la testimonianza di Dio» (Gv 5, 10). Avrete letto quello che dice Sant'Agostino di questa testimonianza. Dice così: «Deh possa io, o Signore, ascoltare e capire in che modo al principio facesti il cielo e la terra. Scrisse questo Mosè, scrisse e se ne andò: passò di qui a te (o Signore): e certo non è ora dinanzi a me. Se fosse qui, lo afferrerei, lo pregherei e lo scongiurerei per te, che mi manifestasse queste cose, e porgerei le orecchie del mio corpo ai suoni che uscissero dalla sua bocca. Ma se parlasse in Ebraico invano colpirebbe il mio senso, e la mia mente non potrebbe afferrar nulla. Se però parlasse in latino, saprei quello che dice. Ma come saprei, se dice il vero? E sapessi anche questo, lo saprei forse da lui? Nell'interno, proprio dentro nella stanza della mente, la verità non ebrea, né greca, né latina, né straniera, e senza gli organi della bocca e della lingua, e senza il suono delle sillabe, mi direbbe: Dice il vero. Ed io senz’altro pieno di certezza direi francamente: Dice la verità» (Confess. Libro II, c. 3). Questo, uditori, è il lume della fede, cioè una testimonianza di Dio, con la quale dentro della stanza del cuore ci si dice: Così è, non esitare: E’ dimostrazione delle cose che non si vedono» (Eb 11, 1), e con essa naturalmente si crede ciò che non si vede: o piuttosto, come scrive S. Agostino, con essa «certissimamente si vede, che ancora non si vede, ciò che si crede» (Aug. ep. 85, ad Constant.).
Ora aggiungete questa dimostrazione, questo lume, questa testimonianza interna di Dio a quelle dimostrazioni e testimonianze esterne, di cui discorreremo negli altri discorsi che seguiranno. Esse faranno così manifesto ed evidente, che sono credibili e da anteporsi a tutte le dottrine delle sette e delle eresie, le cose che c'insegna la Chiesa Cattolica, che non ci sarà nessuno, che non erompa nel grido: «Le tue parole sono oltre modo degne di fede» (Ps. 92, 7).
Se così è, penso, che non ci dobbiamo affaticare più a lungo per esortarvi a conservare con ogni cautela questo esimio dono di Dio, questo celeste e divino lume: specialmente in questo tempo, nel quale vediamo, che così facilmente in tanti va spento da quel vento, che spira da Aquilone. E' una amara infelicità essere separato dal Signore con fare getto della carità: ma è molto maggiore e più amara la infelicità del naufragare intorno alla fede.
Che cos'è la fede? E' il