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Apparizioni Mariane: Il Grande Imbroglio - Indagine laica sui criteri con cui la Chiesa approva una presunta manifestazione celeste
Apparizioni Mariane: Il Grande Imbroglio - Indagine laica sui criteri con cui la Chiesa approva una presunta manifestazione celeste
Apparizioni Mariane: Il Grande Imbroglio - Indagine laica sui criteri con cui la Chiesa approva una presunta manifestazione celeste
E-book352 pagine4 ore

Apparizioni Mariane: Il Grande Imbroglio - Indagine laica sui criteri con cui la Chiesa approva una presunta manifestazione celeste

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Info su questo ebook

Perché esistono apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa e altre no?
Nel libro verranno affrontati i seguenti argomenti:
  • Il culto della madonna «Santa madre di Dio» è un’invenzione della Chiesa
  • I criteri fumosi (e spesso disattesi) dei riconoscimenti.
  • Il “lavoro di veggente”: un ottimo sistema per affrontare la crisi.
Si tratta sempre di bufale o in alcuni casi accadde “qualcosa” di cui la Chiesa si appropria solo in seguito?

Ogni giorno (o quasi) giunge notizia che nel tal paesino è spuntato un nuovo veggente, la madonna ha fatto la sua comparsa e la macchina dei pellegrinaggi si è messa in movimento. Si rende dunque necessario capire qualcosa in più su di un fenomeno in aumento, anche perché le varie “Signore di Luce”, dai nomi diversi, ma sempre riconducibili alla Virgo cattolica, hanno quasi sempre partorito profezie sulla «fine del tempi», minacciando lo scatenamento dell’ira di Dio.

Perché esistono apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa, altre che non ricevono l’imprimatur clericale e alcune sulle quali la Santa Sede non si pronuncia chiaramente, pur autorizzando il culto della relativa madonna?

Attraverso un’indagine sulle più celebri presunte manifestazioni celesti, L’augurio è che questo libro venga letto non solo da atei, agnostici, laici in generale, ma soprattutto dai credenti, che al termine avranno acquisito alcuni strumenti per fornire, se lo vorranno, quel «consenso informato» di cui sopra.
LinguaItaliano
EditoreOne Books
Data di uscita4 ago 2021
ISBN9788899912017
Apparizioni Mariane: Il Grande Imbroglio - Indagine laica sui criteri con cui la Chiesa approva una presunta manifestazione celeste

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    Anteprima del libro

    Apparizioni Mariane - Laura Fezia

    1

    Si fa presto a dire Ave Maria…

    Con il termine cattolici si intendono coloro che sono stati battezzati. Fino a una quarantina di anni fa, la cerimonia avveniva a due-tre giorni dalla nascita e nelle maternità in cui il personale sanitario era formato prevalentemente da suore (presenti anche negli ospedali pubblici), la puerpera non otteneva la dimissione se prima non aveva ottemperato a questa formalità; se si rifiutava, era tenuta a rilasciare una dichiarazione, controfirmata dal marito¹⁴, nella quale affermava di essere stata informata sui pericoli che il neonato correva a causa della sua scellerata scelta. Oggi i battesimi vengono celebrati anche a distanza di alcuni mesi dal lieto evento, ma sempre su individui inconsapevoli: per fortuna, esiste la possibilità, una volta raggiunta la maggiore età, di ricorrere allo sbattezzo, che l’autorità ecclesiastica, a termini di Legge, non può esimersi dal concedere¹⁵.

    L’informazione sulla quantità di pecorelle appartenenti al gregge del Signore, è ricavata dai registri parrocchiali di santaromanachiesa, la quale baldanzosamente esibisce numeri ciclopici (le cifre sono controverse, si passa da un 65 a un 98%), ma non tiene conto – perché tutto sommato non le interessa – che in quella imponente massa di nomi solo un’esigua minoranza si dichiara praticante per convinzione¹⁶. Ciò dipende soprattutto dal fatto che qui da noi il battesimo è una specie di atto dovuto, una tradizione che viene ripetuta automaticamente, che non si può evitare: mi è addirittura capitato di incontrare anime candide persuase che un pupo non venga iscritto all’anagrafe se la Curia non conferma che ha ricevuto il sacramento! Alla luce di ciò, se c’è qualcosa che i cosiddetti cattolici non conoscono, questa è proprio la loro religione e tale condizione di beata ignoranza riguarda tutti, indifferenti e osservanti: i primi, perché dopo l’infanzia non hanno mai più messo piede in chiesa, se si eccettuano coloro che, simili a pecoroni, si sono sposati con rito religioso per motivi che con il credo non c’entrano affatto; i secondi, perché del Nuovo Testamento conoscono solo ciò che propinano il catechismo e la liturgia, oltre i quali quasi nessuno si prende mai la briga di andare¹⁷. Sono certi, per esempio, che nei vangeli si parli della resurrezione e dell’ascensione di Cristo, che il battesimo ancora oggi replicato sia stato istituito da Gesù, che sia stato lui in persona a fondare l’attuale Chiesa conferendone il mandato a Pietro, che nei testi di Marco, Matteo, Luca e Giovanni siano presenti il culto dei Santi e della Madonna. E l’elenco potrebbe continuare. Come accade ancora oggi, «chi muore tace e chi vive si dà pace», dunque i molteplici autori dei quattro vangeli (i tre sinottici, più quello detto «di Giovanni»), i cui nomi nascondono una pluralità di mani, ebbero agio di riferire qualsiasi facezia senza che il protagonista delle loro fantasiose storie avesse la possibilità di eccepire; la stessa operazione fu portata avanti e addirittura esasperata negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di San Paolo.

    Tutti i casi sopracitati, infatti, sono colossali falsi facilmente dimostrabili, ma mi limiterò – perché è ciò che riguarda l’argomento di questo libro – a esaminare il culto mariano.

    Iniziamo col dire che Gesù di Nazareth non conosceva il cristianesimo, né ebbe mai alcuna intenzione di fondare una religione: era un ebreo, benché rivoluzionario, e come tale viveva, si comportava e credeva. Il vero inventore del cristianesimo fu Paolo (precedentemente Saulo) di Tarso, ebreo pure lui, nato in Cilicia tra il 5 e il 10 d.C. da una famiglia di farisei ellenizzati, che non conobbe mai direttamente l’uomo crocifisso sul Golgota se non attraverso la solita voce proveniente dall’alto, comodissima per giustificare qualsiasi assurdità si intenda divulgare o realizzare in seguito: fu infatti protagonista del celebre episodio che lo vide stramazzare da cavallo sulla via di Damasco, dove si stava recando per ordine del sommo sacerdote con l’incarico di ristabilire l’ordine turbato da coloro che riconoscevano in Gesù il Messia di Israele e dove, una volta disarcionato da una specie di fulmine a ciel sereno, udì Cristo in persona domandargli: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Prima di quell’evento, infatti, che non ebbe testimoni e ci viene raccontato da lui stesso, come tutto ciò che sappiamo della sua figura, dava la caccia a coloro che identificavano il Messia annunciato dalle Scritture (che di divino non aveva alcunché) con quel sobillatore condannato a morte dai romani. Inizialmente, quindi, non si trattò di cristiani (che ancora non esistevano), contro pagani, bensì di una faida interna al mondo giudaico, che occorreva unificare per ragioni politiche ed economiche, certamente non spirituali.

    A Paolo, sorvolando su tutti i danni che provocò, si deve comunque riconoscere una straordinaria virtù: fu l’inventore del marketing. Dopo essersi convertito (ossia dopo aver mutato idea e atteggiamento sul giudaismo), si rivolse dapprima al mondo ebraico nel tentativo di renderlo più morbido nei confronti dei cosiddetti gentili, ma ebbe poca fortuna: non si demoralizzò e cambiò cliente, indirizzando la propria predicazione quasi esclusivamente ai pagani¹⁸, dimostrando grande acume psicologico, tanto che il successo gli arrise. Se infatti gli ebrei possedevano già, in qualche modo, un loro messaggio di salvezza, rappresentato dalle Scritture e dalla legge mosaica che profetizzavano l’avvento di un Messia¹⁹, nel Pantheon romano esisteva un vuoto che Paolo, ispirandosi anche a Platone, pensò di colmare: raccontando ai romani e ai greci la storiella della morte e – soprattutto! – della resurrezione del figlio di Dio fatto Uomo, fornì loro gli strumenti per alleviare una delle paure più radicate, li rassicurò promettendo un aldilà luminoso a patto che si comportassero secondo i dettami di quella fede e che, sempre facendo i bravi bambini, dal regno delle ombre si poteva vittoriosamente tornare. Il nuovo corso attecchì soprattutto (anche se non solo) nella parte più disgraziata della popolazione, tra i poveri, gli schiavi, i diseredati, che finalmente trovarono una giustificazione alla loro sofferenza, anzi, furono abilmente indotti a considerarla una scorciatoia per il paradiso. Poiché, dopo la morte del Maestro, esisteva molta confusione tra le varie comunità che a lui si ispiravano, ognuna delle quali se le cantava e se la suonava in modo diverso, basandosi soprattutto su tradizioni orali che qualcuno aveva iniziato a mettere nero su bianco, Paolo, per sancire il successo della propria campagna di tesseramento, si preoccupò di stabilire quali vangeli²⁰ dovessero essere ritenuti autentici e quali no, mise in bocca a Gesù alcune parole che il poveretto non si era mai nemmeno lontanamente sognato di pronunciare e dichiarò unica e vera la propria predicazione, tuonando nella Lettera ai Galati: «Se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto [cioè il suo!] sia anatema» e continuando su questa linea: «Il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo: infatti non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,8-9; 11-12). Poteva solo più aggiungere: E scusate se è poco!. Nella stessa lettera, accennò a Pietro, che se ne andava predicando per i fatti suoi, forse anche con più cognizione di causa, dal momento che, al contrario di lui, era stato diretto testimone e protagonista dei fatti che raccontava: il rischio di una maggior credibilità era forte! Così, non potendo dare tout court del bugiardo al più titolato collega, per tacitare le malelingue non gli restò che tagliare la testa al toro, dividendo i compiti: «A me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – perché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani». Si chiama spartizione del mercato, differenziazione del target. A questo punto devo dare una brutta notizia ai credenti, rivelando uno dei tanti particolari sui quali sono stati male informati: Pietro e Paolo non solo non furono mai amici, ma, anzi, furono acerrimi nemici, l’un contro l’altro armato, separati da diverse concezioni del messaggio di Cristo, che il primo voleva mantenere incontaminato, riservandolo al mondo ebraico e il secondo adattare alla propria operazione di marketing, tesa ad allargare il parterre; i due si incontrarono un’ultima volta ad Antiochia, litigarono di brutto e non si rividero più. Solo in seguito, papa Leone Magno, alla ricerca di sempre nuovi elementi per cristianizzare l’Urbe e oscurare le precedenti figure pagane, accomunò Paolo a Pietro definendoli «i nuovi gemelli di Roma», per sostituire Romolo e Remo, mentre ancora oggi la Chiesa celebra in una botta sola, il 29 giugno, la festa dei Santi Pietro e Paolo Apostoli, sorvolando sui dettagli e non si sa con quanto eventuale gradimento degli interessati!

    Intorno al IV e V secolo, infatti, per la comunità cristiana ormai diventata Chiesa grazie a Paolo e, soprattutto, a quattro concili ecumenici, da Nicea a Calcedonia, passando per Costantinopoli ed Efeso, iniziò a nascere l’esigenza di una più capillare penetrazione nel territorio, dove il suo programma, pur attecchendo, non era riuscito a scalzare le antiche tradizioni pagane, che gli sopravvivevano tranquillamente accanto con i loro simboli e le loro figure di riferimento. La Storia ci racconta che nel 313 Costantino il Grande concesse libertà di culto ai cristiani, ma ciò è un altro dei tanti falsi storici avallati da santaromanachiesa: egli concesse libertà di culto a tutte le religioni dell’impero, ma poiché le numerose comunità che si ispiravano alla figura del Nazareno continuavano a litigare pretendendo di possedere la Verità e sbandierando ognuna i propri vangeli, nel 325 convocò il Concilio di Nicea, imponendo ai contendenti di mettersi d’accordo su una versione che fosse unica e definitiva²¹. Il papa, comunque, che contava sulla pia Elena²² per ottenere un’esclusiva dal suo potente figliolo e invece si ritrovò a dover fare i conti con altri culti, non la prese molto bene: così, da Roma, partì l’ordine di una martellante campagna per eliminare fisicamente, laddove possibile, ogni più piccola traccia del nemico.

    Fu sui resti dei templi pagani, abbattuti dal furore iconoclasta di altrettanti lugubri personaggi, che sorse la maggior parte delle antiche chiese attualmente esistenti: nella maggior parte di esse si venera ancora oggi l’immagine di una fanciulla dai tratti mediorientali, con un bambino in braccio, che rievoca chiaramente Iside con Horus ed è ben lontana dall’iconografia mariana alla quale, lentamente, i fedeli vennero abituati per stemperare il pericoloso ricordo di tutte le altre figure femminili divine, abilmente sostituite, nell’immaginario popolare, con la Madonna cristiana.

    Nei vangeli, in realtà, Maria non risplende di luce propria, viene sempre nominata in relazione a Gesù e solo in rarissime occasioni prende direttamente la parola: all’annunciazione, durante la visita a Elisabetta, quando va a cercare il rampollo discolo al Tempio, alle nozze di Cana. Per il resto, è una figura di sfondo, oggetto del rispetto dovuto a una madre, ma niente di più; neppure suo figlio, che era ebreo, non dimentichiamolo mai, indusse qualcuno a venerarlo, poiché la legge di Mosè, che egli osservava, imponeva chiaramente: «Non avrai altro dio all’infuori di me». Mai, dunque, si sarebbe sognato di obbligare i seguaci ad adorare sua madre, anzi, quando una donna osò rivolgerglisi dicendo: «Beato il seno che ti portò e le mammelle che ti allattarono!», Gesù ribatté seccamente: «Beati piuttosto quelli che odono la Parola di Dio e l’osservano» (Luca, 27-28). D’altra parte, tutte le figure femminili presenti nel Nuovo Testamento ricoprono il ruolo di comparse, poiché la Chiesa cristiana manifestò la propria misoginia fin dagli albori, in sintonia con la cultura ebraica dalla quale derivava.

    La faccenda, però, era ben diversa nel mondo pagano, dove la Dea Madre, o Grande Madre, o, semplicemente, «la Dea», occupava un posto di rilevo, riflesso ancestrale di una tradizione che apparteneva all’alba della Creazione.

    Una delle domande che più avevano generato imbarazzo in mammà, all’epoca in cui non avevo ancora compreso come su certi argomenti fosse più opportuno il silenzio, era stata: «Ma chi è la moglie di Dio?». Non potendo proprio più farne a meno, infatti, pressata dalla mia curiosità, con mille, caute perifrasi, la poveretta, sudando, mi aveva spiegato il mistero della vita; la sua esposizione era stata talmente fumosa che ci avevo capito poco o niente, ma tra le cose chiare c’era quella che per concepire occorrevano un uomo e una donna: «Sposati!», aveva anche perentoriamente aggiunto la pia donna. E allora, la domanda era sorta spontanea: perché durante la messa, a catechismo, dai vari loschi personaggi che frequentavano casa, sentivo parlare solo di un dio maschio che aveva creato tutto? Non mancava forse qualcosa, nel racconto? Perché a scuola avevo imparato che, per esempio, gli egizi, i greci, i romani, avevano dèi e dee che procreavano a raffica tra di loro e con gli umani? Ovviamente, all’epoca ebbi solo qualche biascicata risposta, dove venivano citati il solito dogma che impediva ogni ulteriore insistenza e le abominevoli religioni pagane, dunque, appena ne ebbi la possibilità, iniziai a cercare qualcosa di più convincente e i miei sforzi vennero premiati: scoprii che tra i reperti archeologici del Paleolitico e del Neolitico esisteva la testimonianza di una stagione dell’umanità in cui gli individui erano direttamente connessi con l’Universo; il ricordo di questo periodo, nel quale il principio femminile e quello maschile avevano contribuito entrambi, con pari dignità, alla Creazione, sopravviveva solo più nella memoria sottile degli uomini primitivi, che lo avevano inconsciamente trasformato in alcune figure extra-ordinarie da venerare e cui ricorrere per placare le loro ancestrali paure. Continuando a cercare, leggere, informarmi²³, saltò anche fuori ciò che era accaduto nel prosieguo delle Storia: ogni teogonia, di ogni popolo della Terra, raccontava una genealogia divina in cui le protagoniste femminili abbondavano, solo quelle ebraiche, cristiane e islamiche ne erano prive, solo in esse c’era un dio maschio che faceva tutto da solo, riservando alla donna un ruolo successivo e subalterno, a volte salvifico e consolatorio, a volte all’origine di tutti i mali, in qualche caso che alternava i due aspetti. Nelle altre tradizioni, invece, si parlava di due energie chiamate con nomi diversi, ma che rappresentavano sempre dichiaratamente un principio maschile e uno femminile, complementari, intimamente uniti a formare un tutto unico: dalla loro interazione paritetica veniva ordinato il Caos e generata l’umanità, inizialmente sempre «discendente dagli dèi». Intorno alle rappresentazioni del divino rozzamente riprodotte dagli uomini primitivi, lentamente si formarono le religioni (termine che uso per comodità)²⁴ e dall’immagine del principio femminile prese forma la figura della Dea Madre, cui in seguito le varie tradizioni spirituali diedero appellativi differenti e alla quale attribuirono le qualità tipicamente muliebri della fecondità, dell’accoglienza, della consolazione, dell’intermediazione, di ponte tra ciò che sta in basso e ciò che sta in alto.

    Quando la Chiesa, come abbiamo già visto, nel IV e V secolo si diede da fare con ferocia per cancellare i miti pagani e sovrascrivergli propri, si trovò in serio imbarazzo allorché si imbatté nella Dea e particolarmente in Iside: non aveva, tra proprie scartoffie canoniche, alcunché di altrettanto sacro da proporre in alternativa. Fu così che durante il concilio di Efeso, ossia nel 431, a più di quattro secoli dai fatti accaduti in Palestina, dopo che il già citato concilio di Nicea aveva messo al sicuro alcuni importanti capisaldi, Maria venne proclamata d’ufficio «madre di Dio»; per riuscirci, i padri della Chiesa andarono a rispolverare un episodio dei vangeli di Matteo e di Luca (Mt 1,18-25; Lc 1,26-38)²⁵, i cui autori certamente conoscevano il mito della vergine egizia e – addomesticandolo opportunamente, cancellando il fallo di Osiride e sostituendolo con lo Spirito Santo – lo avevano riportato pari pari nei loro fantasiosi scritti. A proposito di vangeli, infatti, ecco qualche informazione storica, per dissipare un po’ di tutta quella confusione che la Chiesa ha favorito: nessuno degli evangelisti ufficiali conobbe Gesù, nessuno di essi assistette direttamente ai fatti che poi si prese la briga di narrare con dovizia di particolari. Ma non basta. Ho già accennato che i quattro testi principali del Nuovo Testamento furono compilati da più mani. I nomi con i quali sono conosciuti (in ordine cronologico: Marco, Luca, Matteo e Giovanni) non corrispondono a singole persone fisiche, ma a scuole di pensiero: i tre sinottici furono stilati negli anni quasi immediatamente successivi al 70, dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell’esercito del futuro imperatore Tito, mentre l’ultimo risale alla fine del I secolo. Insomma: appartengono tutti a un periodo posteriore rispetto a quello in cui Paolo di Tarso scagliava anatemi contro coloro che non accoglievano il suo canone (la Lettera ai Galati è datata tra il 54 e il 57), quando già nel mondo cristiano il solerte inventore del marketing cercava di fondare una religione alla faccia delle intenzioni del suo presunto ispiratore. Tutta l’operazione raggiunse il suo compimento negli Atti degli Apostoli, che la tradizione cattolica attribuisce a Luca, stretto collaboratore di Paolo, il quale, oltre a fare il Madonnaro (come ho già detto, ci sono un po’ ovunque ritratti di Maria a lui attribuiti), tra l’80 e il 90 si premurò di correggere, aggiungere, interpretare, inventare, per corroborare e documentare ciò di cui il suo mentore era andato ciarlando.

    Tornando all’argomento che ci riguarda, Maria, dopo il concilio di Efeso, acquistò quell’aura divina che in precedenza non aveva, divenne oggetto di venerazione e poté essere tranquillamente sovrascritta a tutte le rappresentazioni della Dea. Per giungere a formalizzare il dogma dell’Immacolata Concezione avrebbero dovuto trascorrere 1423 anni (Pio IX, 1854) e ulteriori 96 prima che venisse ufficializzata la sua assunzione al cielo (Pio XII, 1950). Ma intanto il culto della Madonna iniziò a conquistare i fedeli, orfani di una madre celeste: ed era tutto ciò che la Chiesa desiderava.

    Quanto alle apparizioni mariane, quando ebbero inizio?

    La prima di cui si ha notizia precede il concilio di Efeso e può essere ascritta a quella grande operazione di marketing che la Chiesa stava preparando: risale infatti al 352²⁶ e ne fu beneficiario papa Liberio, che in seguito si procurò anche la complicità di una coppia di patrizi romani; la Vergine, in quell’occasione, avrebbe chiesto la costruzione di una cappella in suo onore, che, secondo la leggenda, sorse prontamente nel luogo dove attualmente si trova la basilica di Santa Maria Maggiore. La storia proseguì ancora sulla stessa musica per lungo tempo, dal V al X secolo, poi giunse e passò l’anno Mille senza che le catastrofiche previsioni di Bernardo da Turingia di realizzassero; nel 1054, Leone IX, pontefice della Chiesa cristiana d’Occidente, e il patriarca della Chiesa cristiana d’Oriente Michele I Cerulario, litigarono per le solite questioni di potere travestite da istanze spirituali, si scomunicarono a vicenda e diedero origine al Grande Scisma, dopo il quale la Chiesa di Roma aggiunse alla definizione di cristiana il termine «cattolica»²⁷. Le apparizioni mariane continuarono, ma ebbero quasi sempre come beneficiari personaggi quanto meno sospetti, papi, prelati, eremiti, futuri Santi, pie donne, nobili signori immanicati con le alte sfere ecclesiastiche e quasi tutte queste Madonne, guarda caso, ordinarono la costruzione di luoghi di culto; due tra i casi più celebri sono rappresentati dal santuario di Montevergine, in provincia di Avellino (l’apparizione avvenne tra 1118 e il 1124 a San Guglielmo da Vercelli) e da quello di Collemaggio, nei pressi de L’Aquila (Celestino V, però, nel 1288, non ebbe una vera e propria apparizione: la Madonna lo visitò in sogno). Ma al culto mariano mancava ancora qualcosa, un gadget prêt-à-porter, così nel 1214 (ma c’è chi afferma fosse il 1206) Domenico di Guzmán²⁸ ebbe una brillante idea per prendere due piccioni con una fava: fornire ai fedeli un oggetto da portare sempre in tasca e cristianizzare un’altra usanza pagana. Mentre studiava i numeri buoni per meglio massacrare gli albigesi e combattere l’eresia, la Madonna gli apparve e gli consegnò il rosario, una corona di grani già usata da buddisti e induisti per recitare i mantra fin dai tempi in cui Cristo non era ancora nato²⁹. Ma non basta: qualcuno afferma che il futuro Santo trovò anche il modo per adattare una preghiera risalente all’Antico Egitto³⁰, nella quale veniva invocata una vergine «Santa Madre di Dio», che diventò, nel tempo, l’Ave Maria. Di lì in avanti, attraverso numerose modifiche, aggiunte, limature, che durarono tre secoli, finalmente tra il 1514 e il 1568 la Chiesa partorì una versione univoca e ufficiale sia dell’invocazione, sia della più nota pratica devozionale mariana. Nel 1571, inoltre, dopo la battaglia di Lepanto, in ringraziamento per vittoria della Lega Santa contro gli infedeli, papa Pio V aggiunse al rosario la recita delle litanie dette

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