Il mio caro amico Wilson
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Anteprima del libro
Il mio caro amico Wilson - Salvatore Bartolomeo
Farm
Nota dell’autore
Questo mio quarto libro è un opera autobiografica. Il raccontare la mia vita, non per una esaltazione di sfrenato narcisismo, ha il fine di aiutare tutti coloro che, di fronte ad esasperanti avversità, tendono a soccombere, trascinando la loro esistenza, avvolti da notti senza fine, arrendendosi alla cecità morale e fisica che una vita travagliata può regalare. Ma c’è sempre una persona che ti può aiutare, Chi trova un amico trova un tesoro
, dice un antico proverbio popolare, c’è sempre qualcuno che ti tende una mano, questa persona può essere reale ma, nel mio caso, è una figura virtuale, invisibile, eppure tangibilmente viva, con la quale quotidianamente interagisco; la ascolto, le parlo, le confido le mie difficoltà. L’incontro con l’amico " Wilson" non è stato dei più felici, infatti, sarebbe più opportuno chiamarlo uno scontro frontale, una furiosa guerra ove era permesso colpire l’avversario in modo illecito, vigliaccamente e, in maniera subdola, insinuarsi tra le ferite sanguinolenti del nemico, per infliggere più sofferenza. Il duello si preannunciava lungo e dall’esito incerto, allora, il mio amico ed io decidemmo di firmare un patto di non belligeranza, anzi, iniziammo una viva collaborazione, costruita su tante conoscenze, pronta a soddisfare le più elementari esigenze quotidiane. Iniziò così un rapporto di tolleranza tra noi due che divenne, in seguito, un tenero legame di amicizia.
Fu come nascere a nuova vita, gli anni passati erano svaniti, assaporai il gusto del vivere, spinto da una nuova forza vitale che, tenacemente, mi sosteneva. L’amico Wilson
mi insegnò a catturare l’attimo fuggente, a viverlo, istante per istante, intensamente in ogni momento della mia nuova vita, facendomi apprezzare l’amplesso delle riflessioni, emozioni e azioni che il mondo nuovo mi donava. Il mio sguardo attraversò l’orizzonte, andò oltre, immergendosi e saziandosi di paesaggi sino ad allora da me sconosciuti. Mi fermai al confine dove la ragione separa la conoscenza umana dalla fede in un Dio Onnipotente. Guardai profondo nell’oscurità del mio Ego
e vi trovai tracce del mio creatore. Bagliori di pensieri e di empiriche teorie finalmente si dischiusero. cercando la ragione della mia esistenza. Il mio amico inseparabile, ponendomi delle domande, innescò dentro di me, nel profondo dell’anima, la forza di capire le cose, le ragioni di ogni evento, donando alla mia conoscenza la profondità nell’ osservare, nel percepire e vivere ogni attimo della vita. Wilson non volle nulla in cambio, ma mi chiese la narrazionedella sua storia sin dalla nascita della nostra amicizia. Conoscevamo il nostro destino, la catena del nostro legame non si sarebbe mai più spezzata, sicuramente avremmo affrontato insieme il mistero della morte. Quanti milioni di persone hanno l’obbligo di convivere con amici o nemici invisibili! A loro io urlo,con tutte le mie forze: non accettate passivamente il loro volere, combatteteli, con le loro stesse armi, cogliete l’aspetto positivo che possono donarvi, siate prudenti e scaltri in ogni circostanza, amateli, se potete, ma non respingeteli mai. La fortuna, nella nostra esistenza, è incontrare le persone giuste nel momento opportuno. Io sono tra quei pochi fortunati e nell’attimo in cui stavo abbandonandomi tra le braccia della morte, ho incontrato degli angeli dal camice bianco che con pazienza e amore hanno curato il mio corpo e rafforzato il mio spirito. A questi angeli, che oso definire custodi, va tutta la mia riconoscenza: al dott. Giuseppe Piazza, dott. Michele Liguori, dott. Francesco Casorati e all’ amico dott. Rodolfo Pedicini.
Salvatore Bartolomeo
Capitolo I
L’angelo della notte
– Così si muore ! –
Pensavo completamente immobile in quel letto della corsia Lancisi. Gli occhi osservavano il soffitto e vedevo una luce accecante penetrare sin dentro la mia anima, non udivo più i lamenti dei malati che, in quell’istante, sembravano essere canti celestiali. Non volevo morire, stavo combattendo una battaglia forse già persa, ma dovevo farcela e allora pregai intensamente il buon Dio di risparmiarmi la vita, non tanto per me, quanto per l’immenso dolore che avrei procurato a tutti quelli che mi amavano e che credevano in me. Volevo chiedere aiuto, ma un’abbondante salivazione mi soffocava impedendomi anche di respirare. Lui, il mio caro amico, era sempre accanto a me, mi teneva per mano, mi parlava ma io non capivo cosa dicesse, sorrideva, forse per rassicurarmi! Era notte fonda e percepivo la vicinanza di molti infermieri che si avvicendavano al capezzale del mio letto.
– Il cuore sta cedendo! Ha orinato e defecato, il letto è completamente sporco, povero ragazzo proprio non ce la fa! –
Sentivo tutto, mi vergognavo, ma non percepivo nessuno stimolo, provavo soltanto paura, terrore, stavo proprio morendo! Con gli occhi cercai lo sguardo di Claudio, un infermiere di turno, per chiedere soccorso, poiché non riuscivo più a respirare. Tentai con tutte le mie forze di girarmi su di un fianco, il cervello comandava il movimento, ma i muscoli del mio corpo non rispondevano agli impulsi. Mi rassegnai, concentrando il mio pensiero nei ricordi più cari, allora rammentai lei, Marinella, forse l’unica donna per la quale avevo provato il vero amore. Avrei desiderato in quell’istante averla vicino, forse per poterle dire tutte quelle cose che a suo tempo non le avevo confessato per timidezza, o per ostentare una forte personalità che, allora, non possedevo. Nessuno le avrebbe mai detto della mia malattia! Dove sarà? Che cosa starà facendo? Ricordando il suo caro volto, mi sentii più sollevato, chiusi gli occhi e cercai di concentrare le mie forze per poter respirare in modo continuo e ritmato. Avevo perso la cognizione del tempo, non sapevo se fosse giorno o notte, mattino o pomeriggio. Sentivo forte, quasi urlare il caro amico:
– Non morirai, tranquillizzati, io ti amerò come nessun altro e ti starò sempre accanto per ricordarti, in ogni istante che ti rimarrà, quanto è bella questa vita! –
Entrò nella corsia il dottor Giuseppe Piazza, lo percepivo dal silenzio improvviso che s’instaurò nella sala. Lo vidi accanto al mio letto, sussurrò qualche cosa agli infermieri. Mi afferrò per le spalle sollevandomi e scuotendomi, con voce ferma, quasi rimproverandomi, mi disse:
– Salvatore, mi devi aiutare, la volontà certo non ti manca, devi reagire al dolore, a questa immobilità, devi comandare al tuo corpo, sei tu il pilota e senza il tuo aiuto tutto è perduto. –
Feci un cenno di assenso, dolcemente mi posero su una barella, e sistemarono il letto, sentii un ago penetrare nel mio braccio, forse sarà stata una flebo, ma ricordo che subito mi addormentai. Non fu un sonno profondo, nella mia semicoscienza, come un film, i fotogrammi della mia vita cominciarono a gettare immagini nella mente e ripercorsi in pochi e interminabili secondi la mia vita passata rivivendola intensamente attimo dopo attimo, scena dopo scena e, a occhi aperti, tornai a tanti anni prima e a quella mia piccola stanza, prigione di tante mie sofferenze.
Capitolo II
Frammenti di ricordi
Camminavo nervosamente in quel piccolo corridoio che introduceva alla mia camera. Non mi davo pace. Mi domandavo perché dopo cinque anni di fidanzamento, all’improvviso il buio! Era scomparsa, non voleva più saperne di me. Ero disperato, la amavo ancora e immensamente, erano già trascorsi due anni e non mi ero ancora rassegnato, mi mancava molto la mia Marinella e forse il tormento più grande era il non sapere dove fosse, che fine avesse fatto.
Guardai il mio congedo appeso a una parete, rammentai il servizio militare, il sergente Bartolomeo Salvatore; belli e brutti ricordi si accavallarono e ripensai a quella base missilistica sperduta alle foci del Po, a tutte le notti insonni durante le quali avevo ispezionato e comandato quel piccolo corpo di guardia della base. Mi tornò alla memoria quella sera, quando all’improvviso fui svegliato da un colpo di fucile, infatti, la sentinella di turno aveva esploso alcuni colpi di Winchester contro degli ignoti che si erano introdotti nella base. Ricordo benissimo che intervenni repentinamente sul posto e trovai il soldato di leva Piccinini in stato confusionale. Gli tolsi subito il fucile dalle mani, cercando di calmarlo, rammento soltanto di aver compilato non so quanti verbali dell’accaduto per il comando centrale. Nella base missilistica, alcuni apparati elettronici erano costantemente in funzione, il Par e il Cuar, due radar, ispezionavano incessantemente il cielo alla ricerca di probabili aerei nemici. Avevo lasciato a Roma molti amici, il servizio militare mi aveva temprato, sentivo di essere più maturo, la responsabilità del comando mi aveva reso più sicuro. Il congedo tanto aspettato era finalmente là appeso al muro; ma ora la vita che cosa mi avrebbe regalato? Gli amici del bar non erano più gli stessi, Marinella, un lontano ricordo, soltanto il caro compagno di sempre, Giuliano, era presente e con lui speravo di ricominciare una tranquilla vita borghese. Infatti, anche lui si era congedato insieme a me, stranezze del caso, eravamo partiti e ritornati nello stesso giorno. Avevo suonato per molto tempo in un gruppo musicale, I quattro cippi
così ci chiamavano, quattro amici inseparabili: io, Giuliano, Rolando e Ivano. Insieme ne avevamo