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La più bella realtà
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E-book61 pagine50 minuti

La più bella realtà

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Info su questo ebook

Marta è una ragazza che ha perso una delle sue sorelle, Chiara, cui era legatissima, in un incidente stradale del quale si ritiene responsabile. Divorata dal senso di colpa, si allontana dai suoi affetti più cari, cambiando città, per sottrarsi ai ricordi. L’incontro con Chantal, coetanea trasgressiva e innamorata della vita notturna, con la quale condividerà un appartamento, non le sarà d’aiuto. Frequentando con lei una discoteca e assumendo dell’ecstasy per sfuggire ai suoi fantasmi, nel giro di un anno, finisce per tre volte all’ospedale. Solo grazie al sostegno di Melania, la sua sorella maggiore, e all’appoggio incondizionato dei genitori, riuscirà a risalire la china tornando a vivere. Capirà di aver sprecato tempo per circondarsi di amicizie distruttive rinnegando la sua famiglia d’origine, causandole involontariamente del dolore. Capirà che solo operando un cambiamento radicale potrà riprendere in mano i suoi sogni. L’affetto per la sua famiglia d’origine e l’imminenza della nascita della nipotina Chiara, figlia primogenita di Melania, convinceranno Marta a liberarsi definitivamente dai sensi di col.pa e dalle scelte sbagliate, per riappropriarsi della sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mar 2020
ISBN9788831663298
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    Anteprima del libro

    La più bella realtà - IMMA PONTECORVO

    Prefazione

    «La luce proveniente dall’esterno era come un faro nelle tenebre: accecante.»

    Prendo spunto da questo stralcio di luce, incipit del racconto di Imma Pontecorvo, La più bella realtà, per ascoltare questa storia con il cuore.

    Ascoltare storie con il cuore è, infatti, il mio lavoro, da venticinque anni, in una comu­nità di recupero per tossicodipendenti. Un tempo, una vita, i miei, trascorsi a lasciarmi as­sorbire da storie scassate dalla dipendenza, a raccogliere i cocci di esistenze consumate, bruciate, affondate dalle sostanze e provando a ricucire lembi di relazioni, di ricordi, di fu­turo, inventando nuove possibilità.

    Chiudo gli occhi e le orecchie dinanzi a questo scenario che prende vita nelle parole del­l’autrice e, per un attimo, mi sento travolgere dal vortice delle tante, troppe volte in cui, nell’avvicinarmi alle ferite e alle dipendenze altrui, mi sono sentito impotente, stanco, dubbioso.

    E sebbene sia trascorso tanto tempo, ancora oggi mi lascio invadere da questo turbinio di sensazioni, sorrido di me e mi dico, forte dell’esperienza della mia professionalità: Ascolta questa storia con il tuo cuore.

    In fondo è ciò che faccio: ascoltare. E come in un gioco di dissolvenze, di volti e racconti, narro una trama, in questo percorso di parole che diventa una bussola per orientarmi nel mondo complesso, intricato e doloroso delle tossicodipendenze.

    Lo diciamo subito: questo di Imma Pontecorvo è un racconto che non vuole spiegare o elaborare una tesi sulle cause, sulla cura o sul recupero dalle droghe. Anch’io, dopo venti­cinque anni di esperienza nel settore, avrei difficoltà a scrivere un libro esauriente in tutti i suoi aspetti.

    Questo è un racconto che narra eventi tragici e dolorosi facendoli vivere al lettore come qualcosa che potrebbe accadere a tutti.

    Più che un manuale è un diario, scritto da una prospettiva ben precisa: quella di un’ani­ma che sente che la vita e la sua spensieratezza possono crollare da un momento all’altro e che dalle macerie di un cuore rotto si può soltanto scappare o crescere.

    Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle, sentire gli odori delle cose, catturarne l’anima. Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo. (A. Merini)

    Meglio di me la Merini descrive l’ottica di chi sa guardare l’universo del dolore da una finestra che attrae e impaurisce perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore (A. Merini)

    Seguo allora, da compagno di viaggio, questo filo di trama che traccia una mappa narrando di ragnatele vischiose e di notti che imprigionano i sogni, ma soprattutto sturano quel tappo di profonda sofferenza che molti si portano dietro come lava incandescente, che chiede di esplodere per liberare il veleno accumulato fin nelle viscere.

    Il dolore ti può fare o santo o bastardo: così mi disse un ragazzo in comunità, al ter­mine di un colloquio nel corso del quale aveva potuto eruttare la sua sofferenza e rico­noscere che sulle montagne russe del dolore aveva preferito scappare, proprio come afferma Marta, la protagonista di questa storia: «Avevo preferito nascondermi nel mio gu­scio e lasciarmi schiacciare dagli eventi, senza permettere a nessuno di avvicinarsi.»

    Si scappa, a volte semplicemente per noia, dal dolore, dagli altri, dalla fatica di vivere normalmente. E il mondo, persino quello degli affetti, così diventa duro, oscuro, pericolo­so, inquietante e, se non prendiamo coscienza della nostra fragilità, mai potremo affronta­re il percorso per essere liberi.

    «Camminando vidi mio padre con le spalle incurvate. Mio padre è sempre stato un uomo tutto d’un pezzo e vederlo andare così, in quel modo palesemente fragile, come in­difeso…»

    Solo partendo dalla fragilità, la libertà diventa una sfida possibile, che non cerca colpe­voli o vittime, traditi o traditori, ma solo il coraggio di rompere le acque e scoprire che una cosa piccola piccola è così fragile e ha il sapore della vita.

    Ma come lo si raggiunge questo risultato? Vi racconto una storia vera, dalla voce del suo reale protagonista che arriva da quel luogo difficile e complesso, fatto di sofferenza e speranza, che è la comunità terapeutica Fanelli: la storia di Carmine.

    "Incatenato alle sbarre delle mie fragilità, mi sono illuso di poter andare contro tutto e tutti avendo la presunzione di decidere sempre cosa fosse meglio per me. La mia è stata una

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