Le malattie dell'amore
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Info su questo ebook
Massimo Vincis (Cagliari 1968), sottufficiale dell’Esercito, vive e lavora a Cagliari. Durante un corso di scrittura espressiva scopre la passione che lo porterà a scrivere la storia di Anna in “Le malattie dell’amore”, sua prima pubblicazione.
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Anteprima del libro
Le malattie dell'amore - Massimo Vincis
Massimo Vincis
Le malattie dell’amore
AmicoLibro
Massimo Vincis
Le malattie dell’amore
Proprietà letteraria riservata
l’opera è frutto dell’ingegno dell’autore
© 2020 AmicoLibro
Vico II S. Barbara, 4
09012 Capoterra (CA)
www.amicolibro.eu
info@amicolibro.eu
Prima Edizione
settembre 2020
PREFAZIONE
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
L’amore è la carta vetrata che spiana le asperità dell’intelligenza e addolcisce la razionalità dell’intelletto.
Paramhansa Yogananda
PREFAZIONE
Raccontare l’Amore e i suoi infiniti risvolti può essere un’esperienza catartica e liberatoria, soprattutto quando per compierla si è disposti ad andare oltre le apparenze e immergersi negli abissi profondi, alla ricerca del diamante perfetto che ciascuno custodisce e che brilla nel buio.
Le malattie dell’amore narra di un viaggio interiore, quello di Anna che solo grazie a una dolorosa esperienza diventa lucida, consapevole e infine libera, di essere se stessa e non quella che gli altri si aspettano che sia.
È un racconto in cui si percepiscono gli abbracci, la ricomposizione, la perdita ma anche la fine della mancanza di qualcuno e la chiusura di cerchi sospesi. Perché spesso occorre una vita per imparare a viverla, la vita!
Anna è donna di oggi, creatura senza tempo definito, spirito che agogna pace e aspira alla luce.
Anna è dimensione terrena e groviglio di contraddizioni, è caleidoscopio di specchi nei quali ri-scoprirsi e comprendere di essere tassello di un mosaico in eterno divenire.
Anna sono io, sei tu, è chiunque sia disposto a cercare il senso del proprio passaggio su questa terra e a non smettere di provare meraviglia dinnanzi alle innumerevoli porte che il destino sa spalancare.
Come per ogni cosa, se vogliamo crederci, troveremmo i motivi per farla, così è la Vita, se ci lasciamo incantare da essa, viverla varrà il viaggio compiuto.
Elisabetta Frau
CAPITOLO 1
Non era mai stato così violento Hans, o forse sì, ma non ricordo.
Solo che ora sento le botte diverse, più forti. Più dolore.
Schiaffi e pugni più forti e… parole. Quelle, che a differenza degli abusi fisici, lasciano un livido diverso che rimane per molto, moltissimo tempo.
Quel giorno, però, il dolore, la sofferenza, al culmine, hanno acceso una luce. Prima fioca, poi pian piano sempre più luminosa.
I ricordi non svaniranno, lo so. Sono pesanti e sono forti come le botte, e durante la notte diventano incubi.
Hans ora non c’è più ed io sono viva. Sono Anna.
Ho ancora le sue parole nelle orecchie, dentro la testa, ripetitive, ossessionanti, sempre accusatorie: Dove vai? Perché quel vestito? Perché quella collana? Perché quel trucco?
Avrei potuto dare qualsiasi risposta, ma a lui, in realtà non interessava che impegno avessi preso e dove dovessi andare. Lo scopo di quell’interrogatorio era creare dentro di me tormento e angoscia.
Quello in realtà era il mio travestimento, quello che mi permetteva di vivere insieme alle altre persone, semplicemente camminando per strada. Mi sentivo una persona, una delle tante.
Rispondevo ingenuamente: Così, ogni tanto mi piace farlo
.
Ma a lui non piaceva affatto e allora giù botte. Mi passava la mano in faccia per levare quel velo leggero di trucco che insieme alle lacrime facevano diventare il mio viso una tristissima maschera.
Ho sofferto, ho resistito, ho pensato che sarei morta.
Poi invece scatta qualcosa. La parte recondita del cervello, forse quella più antica, riprende a funzionare. L’istinto si rimette in moto. La voglia di vivere ha il sopravvento su tutto il resto.
Così, all’improvviso ti rendi conto che sei coraggiosa.
Una notte sono uscita di casa, ho fatto chiamare la Polizia da un bar e ho aspettato, lì, sotto la pioggia, nascosta tra gli alberi del giardino.
Lo osservavo dalla finestra. Lui guardava la TV davanti a un ventilatore. Era una piovosa, calda e umida sera d’estate. Quelle in cui ti manca l’aria, nonostante la pioggia leggermente più fresca. Ma per me era la più bella, leggera e solare giornata che avessi mai vissuto.
Poi arrivò la Polizia e lo portò via.
Il tempo passa, ma capita ancora di svegliarmi all’improvviso la notte e rimanere seduta sul letto con gli occhi sbarrati nel buio, spettatrice inconsapevole di un film surreale.
È incredibile come i ricordi, con il trascorrere dei giorni, anziché scomparire diventino man mano più nitidi e vanno sempre più indietro nel tempo.
Un film di abusi, violenze che, per il breve periodo in cui si sono consumati, sembra quasi incredibile.
Quando esci dall’inferno, non è come tanti credono. Forse, penso, all’inferno loro non ci sono mai stati. È come aver vissuto nello spazio per tanto tempo o aver passato tanti anni in prigione. Oppure quando scali una montagna come l’Everest e a tappe prefissate, devi fermarti per acclimatarti e abituarti al livello di ossigeno che pian piano si riduce.
Questo succede quando varchi l’antro dell’inferno, per poi rientrare nel mondo normale. Devi riabituarti con cautela a tutte le cose che ritenevi normali, il contorno che ti permetteva di sentirti al sicuro, a casa.
Mi capita spesso di immaginare una fantomatica conversazione, magari con un’altrettanto immaginaria amica del cuore. Quei dialoghi a cuore aperto dove si svelano segreti, timori, speranze. E parlare di uno di quegli amori che, nati con entusiasmo tra i banchi di scuola, si portano avanti tra le mille difficoltà che la vita ti mette davanti e poi, dopo anni, così come era nato, pian piano l’entusiasmo si spegne e l’amore con lui.
Avevo pure immaginato, in una squallida ricerca di un’apparente normalità, un triste evento, capitato in gioventù, che l’aveva cambiato facendolo diventare manesco.
E che magari lì era iniziata la fine.
Tutto questo avrei voluto dire. E invece no! La realtà era completamente diversa.
Una storia, non posso dire neanche d’amore. Un incontro tra due individui, tra quarantenni, più o meno felici e più o meno infelici, probabilmente attratti dalla paura di stare soli. Non esiste neanche quel cambiamento, nessun triste fatto. Perché lui era sempre stato così.
A pensarci bene, non c’è neanche tanta differenza tra la realtà e la fantasia. È come chiedere a un plotone d’esecuzione posto davanti a te, di non usare i fucili ma di spararti con le pistole.
In sostanza la questione è la stessa.
Sin dai primi giorni, ogni futile motivo poteva scatenare la scenata che puntualmente si concludeva con pugni, schiaffi, calci, mentre venivo trascinata presa per i capelli.
E quasi ogni notte, rannicchiata nel buio del mio angolo di letto, pensavo che lui non poteva essere stato con altre donne prima di me e che non avesse mai avuto un’altra relazione, perché il mio cervello si rifiutava di pensare che qualsiasi altra donna potesse aver mai passato tutto questo.
In quei pochissimi momenti di finta serenità che il mostro esibiva davanti agli amici durante le sporadiche visite in casa, riuscivo addirittura a dimenticare l’inferno e i pensieri che mi venivano in mente, in quei frangenti, erano preceduti da un mantra:
A modo suo tiene a me.
A modo suo si fa amare.
A modo suo mi ama.
Poi però gli ospiti andavano via, le luci del palcoscenico si spegnevano e cancellavo all’istante quell’improvviso, esaltante ma immotivato ottimismo, e realizzavo che non esiste nessun a modo suo.
L’amore o qualsiasi altro nobile sentimento a lui collegato può essere esternato, può essere dichiarato in mille modi, in mille sfumature. Ma mai, nessun a modo suo può giustificare brutalità, prepotenza, violenza. Allora cambia nome e diventa un’altra terribile entità.
Non provo disprezzo o vergogna per me stessa e per quanto ho sopportato. Mi capita di guardarmi allo specchio, fissare in modo ipnotico gli occhi della persona che vedo riflessa, come se fosse un’altra donna. E lì a voce alta le porgo delle domande:
Perché hai passato tutto questo?
Perché non sei scappata?
Perché non hai preso un’altra strada quando il cuore, la testa ti dicevano di farlo?
Non è semplice rispondere a se stessi. È molto meglio quando qualcun altro, forse un estraneo, ti fa questo tipo di domande, a cui devono fare eco le risposte più intime, quelle che scavano nel profondo.
Quelle che scavano nelle paure, nelle angosce, nella sofferenza ma anche nei desideri, nella speranza, nei sogni.
È vero quando si dice che l’essere