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Caligola...una storia
Caligola...una storia
Caligola...una storia
E-book303 pagine6 ore

Caligola...una storia

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Info su questo ebook

La storia di Caligola, personaggio strano? pazzo? genio?

Non possiamo decifrarne appieno la figura con quello che conosciamo, filtrato dal giudizio di altre persone e dagli anni.

Lasciamo che sia lui stesso che ce la sveli, attraverso il racconto della sua vita narrato in prima persona, senza scuse, senza fronzoli...

Da questo racconto l'archeologa Silvana Breghi troverà lo spunto per una nuova, fantastica scoperta.

La copertina è un foglio da disegno, da sempre stimolo per lasciare nuovi tratti, nuovi ricordi. Come vedete non è finita, quasi un non finito Michelangiolesco, ma soprattutto, perché nella metà vuota, è possibile inserire il mio viso, il tuo viso, il vostro viso...

Per indicare come in ognuno di noi sia presente un Caligola, pardon, un Caius...con quella forma di pazzia, di stramberia, di genialità che è presente in ognuno di noi...

Con quella genialità che ha permesso a lui di concepire le navi, che ha fatto fare a Leonardo tutto quello che ha fatto e a Gaudì di concepire costruzioni incredibili...

Volete aggiungere anche il vostro nome e la vostra storia, il vostro viso?

Lo spazio vuoto vi attende...
LinguaItaliano
Data di uscita15 set 2020
ISBN9788831692564
Caligola...una storia

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    Anteprima del libro

    Caligola...una storia - Massimo Bartilomo

    a.C.

    Caligola

    C.Caesar natus est pridie Kal, sep.

    Patre suo et C. Fonteio Capitone conss.

    Ubi natus sit, incertum diversitas tradentium facit

    Svetonio, Vita dei Cesari

    ...il colpo era arrivato inaspettato...all'improvviso...

    In un mattino, come tanti, come tutti gli altri che si erano susseguiti da quando era morto Tiberio e io ero diventato il nuovo imperatore di Roma, per volere dei romani e della dea che adoravo.

    Ma, soprattutto, letale...

    Con stupore misto a rabbia per essermi fatto cogliere alla sprovvista, abbassai lo sguardo al torace, da dove usciva, incredibilmente, la punta feroce e crudele di un gladio, spruzzando di sangue la bianca tunica di cotone che avevo appena indossato, quella con i fregi porpora, quella che preferivo.

    Il sangue scorreva in buffi rivoli e si mischiava ai fregi della veste, rovinandone la perfetta simmetria, peccato, non sarebbe più tornata pulita.

    Strano, mi ricordo di aver pensato, incredibilmente non fa male!

    Mi sarei aspettato di provare dolore o qualche sensazione spiacevole, ed invece nulla!

    Non avevo sentito arrivare nessuno alle mie spalle, ma ora riconobbi immediatamente il portatore dell'arma che mi aveva appena trapassato.

    Cornelio Sabino!

    Il capo dei pretoriani, un'anima malvagia da quando era venuto al mondo, ed infatti appena nato aveva preso l'anima della madre.

    Un personaggio crudele, sospettato di essere un sicario prezzolato, un picchiatore al servizio del miglior offerente, un delatore di professione.

    Non mi sarei mai immaginato che dovesse essere proprio lui il mio carnefice, che avesse il coraggio di farlo.

    Il suo alito mefitico era facilmente riconoscibile fra molti ma non era da solo.

    Non lo avevo mai sopportato, ritenendolo anche un corrotto ed un codardo, un tipico prodotto dell'impero di Tiberio, uno dei tanti cresciuti sotto la sua ala protettrice, e che aveva prosperato sotto il suo comando.

    Ma non pensavo che, nella sua vigliaccheria, arrivasse a tanto, i miei nemici dovevano averlo pagato più che bene per compiere un tale atto!

    Avrei dovuto cacciarlo anni prima!

    Già, avrei dovuto proprio farlo, ed in realtà ci avevo anche pensato, ma non avevo voluto inimicarmi la guardia pretoriana da subito.

    Appena eletto imperatore avrei dovuto liberarmi di tutta la schiera di personaggi che erano stati nominati da Tiberio o da sua madre, tutta gentaglia cresciuta nell'ombra, ma erano tanti, ed infiltrati in ogni dove.

    E non lo avevo fatto, ed ora pagavo il mio errore.

    Fondamentalmente Cornelio era sempre stato un vigliacco, uno che se la prendeva con i più deboli e traeva piacere a farlo e mai avrebbe osato compiere un tale atto in solitudine, aveva sempre bisogno di qualcuno per supportare le sue malefatte, per spalleggiarlo ove ci fossero stati problemi.

    Insieme a lui, infatti, erano entrati nella mia camera anche altri sicari della sua schiatta, sempre membri di quella guardia pretoriana, quelli che avrebbe dovuto essere al servizio dell'imperatore, e che ora, stavano colpendo e trucidando anche mia moglie e mia figlia.

    Quelli che dopo di me avrebbero servito un altro imperatore, buffo, non credete?

    Vigliacchi!

    Anche con la mia famiglia se la prendevano, e mentre i loro fragili corpi cadevano lentamente per terra, privi di vita, sentii più vicino il viso di Cornelio che mi sussurrava nelle orecchie.

    Questa volta le tue guardie germaniche non ti hanno potuto salvare vero? O grande imperatore?

    Esclamò rigirando il gladio e spingendolo dentro il mio corpo fino all'elsa, per provocare più danno possibile, con un ultimo colpo letale.

    Già, le mie guardie germaniche, la mia guardia del corpo personale, quella che avevo scelto con cura.

    Un corpo esperto di professionisti che erano così lontani dalle proprie case, lontani da ogni inganni e che non parlavano una parola di latino e che formavano un cerchio chiuso di persone e quindi fedeli solo a me...era quella la speranza!

    Delle guardie del corpo che avevo scelto di persona, in Germania, una ad una, affinché mi fossero totalmente devote... chissà dove erano finite, erano sempre state perfette nei lunghi mesi del loro servizio, sempre!

    Tranne oggi.

    E mentre questi pensieri affollavano la mia mente, le sentii finalmente arrivare di corsa, con il loro passo cadenzato, pesante ma veloce, con i loro corpi massicci e la loro forza immane, sarebbero arrivate in qualche istante, ma oramai era troppo tardi.

    Almeno mi avrebbero vendicato, pensai vanamente, come se questo potesse farmi stare meglio.

    Il colpo del traditore aveva reciso la colonna vertebrale, e le gambe non mi reggevano più, ogni tanto avevano qualche fremito, come se ancora volessero compiere il loro dovere ed allontanarmi dal pericolo, ma dopo si fermavano, inutili appendici...

    Cornelio estrasse il gladio, la sola cosa che mi tenesse ancora in piedi, quasi come se fossi una tragica marionetta appesa a dei fili, ed ora stavo cadendo senza più forza, nella pozza del mio sangue che si stava lentamente allargando sotto di me.

    Le guardie germaniche entrarono proprio in quel momento, e Cornelio sentendole arrivare non badò più al mio corpo esanime consapevole di aver svolto bene il suo malefico incarico e, avvisati gli altri sicari, si girarono per affrontarle.

    Le mie guardie si guardarono attorno e valutarono immediatamente la situazione e così si lanciarono sui nostri aggressori, cercando di proteggerci o perlomeno vendicarci.

    La loro forza animalesca e la loro ferocia, uniti al senso di colpa per aver mancato il loro dovere, in breve ebbero ragione dei traditori, i quali, vista la pessima aria che tirava, scapparono lasciando dietro di loro i feriti sanguinanti che vennero in breve tempo finiti dalle guardie a me fedeli.

    Il loro capo, un gigante biondo di nome Alfred fu subito al mio fianco, si inginocchiò cercando di aiutarmi, ma vidi, dal suo sguardo disperato, che non vi erano speranze per me, come avevo già capito da solo, anche se il mio medico personale, allarmato dalle grida e dal trambusto, fece subito capolino nella stanza.

    Principe!

    Esclamò allarmato chinandosi sulla mia ferita senza badare al sangue che gli sporcava gli abiti, ma cercando di tamponare il sangue che usciva copioso dal mio corpo.

    Aurelio era stato il medico personale di mio padre e mi aveva visto nascere, per questo lo avevo scelto come medico di corte e mio medico personale non appena ero salito al potere, di lui mi potevo fidare ciecamente.

    Rialzò quasi subito lo sguardo, incrociò i miei occhi e nei suoi occhi vidi l'angoscia di chi sapeva di non poter fare nulla.

    Principe...

    Ripetette ancora, questa volta con un senso tragico nel tono della voce, impotente.

    Non ti preoccupare Aurelio, lo sapevo già...sono stato a lungo tempo con un esercito e so riconoscere le ferite quando sono mortali!

    Gli dissi cercando di confortare la sua angoscia palpabile.

    Aveva visto morire mio padre tra la sofferenza del veleno ed ora vedeva il figlio fare la stessa fine, e lui, con tutto il suo sapere, non poteva fare nulla.

    " Mia moglie e mia figlia sono morti subito almeno?

    Senza soffrire più di tanto?"

    Chiesi sapendo già la risposta, ma lo avevo fatto solamente per allontanare qualche istante da me la sua attenzione preoccupata e per permettergli di metabolizzare meglio la situazione.

    Perdonami Caio, non ho potuto fare nulla per loro!

    Disse dopo aver chiesto informazioni ad Alfred, riportando quindi la sua attenzione alla mia ferita mortale, tentando in qualche modo di fermare la mia vita che stava rapidamente sfuggendo, cercando, anche in quel momento, di inventarsi qualche cosa per potermi dare un briciolo di giovamento.

    Come aveva fatto tante volte negli anni precedenti, quando mi ero ammalato, come aveva fatto da sempre con la mia famiglia.

    "Non ti preoccupare! So quanto mi sei stato fedele in questi anni, come avevi fatto con mio padre prima di me...anche ora non puoi più fare nulla.

    Ora lasciami andare, ho da compiere un viaggio decisamente importante!

    Ti ricordi quante volte ne abbiamo parlato?

    Tu con le tue teorie filosofiche che mi enunciavi una dietro l'altra ed io ad ascoltarti silenzioso, cercando di capire quale fosse la più corretta, ragionando se fossero meglio i filosofi greci o quelli orientali, o forse quelli della magna Grecia.

    Fra qualche istante scoprirò se avevi ragione!

    Peccato che non potrò tornare indietro a raccontarti com'è e chi, tra tutti i tuoi filosofi, aveva ragione!"

    Dissi sorridendo, sforzandomi di tenere, seppure con grande fatica, gli occhi aperti e cercando di vincere il freddo torpore che mi stava attanagliando, che si espandeva lentamente nel mio corpo.

    Una specie di enorme stanchezza fisica che non avevo provato nemmeno ai tempi della mia malattia, si stava impossessando di me.

    "Non mi fa tanto male, solo come un lontano fastidio, ma niente dolore.

    Lo sapevo che sarebbe successo, che sarei morto, un giorno o l'altro, ma non me lo aspettavo così presto, proprio ora che tutto stava per mettersi al meglio, proprio ora che stavo per dare una svolta alla mia vita.

    Ma mi sono da sempre creato troppi nemici e ho destato profondi scandali nella mia vita, non trovi?

    E sicuramente ho dato qualche problema a parecchie persone che non mi vedevano troppo bene al comando di questo grande impero...

    Nonostante abbiano passato una vita con quello scontroso psicopatico e asociale di Tiberio e di sua madre...la divina Livia...che gli inferi la accolgano.

    Pensavo però di aver già pagato abbastanza nella mia vita e in quella dei miei familiari.

    Forse è proprio vero che Roma non può avere un imperatore con il nome Caius..."

    Gli dissi ricordando la vecchia profezia che risaliva a Giulio Cesare, Caius anche lui ucciso a tradimento quando meno se lo aspettava, e anche lui in un luogo che avrebbe dovuto essere sicuro.

    Ma il respiro ora diventava sempre più difficile, me ne stavo accorgendo, fra poco sarebbe arrivata la mia ora.

    "Tornerò presto a cavalcare con mio padre, Aurelio!

    Sicuramente mi starà aspettando.

    Chissà se anche ora mi dirà come stare in sella al mio cavallo, come faceva quando ero piccolo nei campi invernali in Germania, ti ricordi quante volte sono caduto? Aurelio?

    E lui era sempre là ad aiutarmi a rialzare e a montare ancora una volta sul suo cavallo, severo e dolce allo stesso tempo, per forgiare il mio fisico ed il mio animo come faceva ogni grande padre romano...e tu sempre disponibile a sanare le mie ferite."

    Ma il mio respiro si stava facendo sempre più corto, ora facevo anche fatica a connettere i pensieri uno con l'altro.

    Ora vado Aurelio...mio padre ed i miei mi stanno aspettando...stai bene...non sarà un lungo viaggio questa volta!

    Ed un ultimo respiro uscì dalla mia bocca, chiudendo così per sempre le pagine della vita di un imperatore di Roma.

    Questa potrebbe considerarsi una fine abbastanza buona, abbastanza drammatica e raccontata bene.

    Una storia che sarebbe potuta essere riportata nelle pagine degli annali della storia romana, invece che quello che hanno scritto tutti quanti su di me.

    Ma mio padre, il grande generale Germanico non avrebbe voluto che la mia storia si chiudesse così semplicemente!

    Come il grande Augusto, era un personaggio incredibile, abile, coraggioso, onesto, cultore della letteratura e di molte altre arti e mi avrebbe disapprovato sicuramente se avessi concluso la mia storia in questo modo.

    Quindi cercherò di fare meglio, o almeno ci proverò se avete la pazienza di ascoltarmi...

    Mi chiamo Gaius Iulius Caesar Augustus Germanicus, i miei genitori appartenevano a due delle più vecchie gens romane.

    Mio padre, il grande generale Germanico, era figlio di Druso e di Antonia Minore (figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto).

    Mia madre era figlia di Agrippa e di Giulia, la figlia naturale di Augusto.

    Un predestinato insomma, considerando tali natali, ma io non avevo mai desiderato nient'altro che essere il figlio amato da mio padre e da mia madre e di godermi la vita nella mia città, come ogni altro figlio di Roma e di viverla bene.

    Senza tante ambizioni grandiose, svolgendo compiti imperiali in questo o in quel paese straniero.

    La mia massima aspettativa era servire Roma ed il suo imperatore come avevano fatto mio padre ed i miei avi prima di me.

    Ma il fato non ha voluto così.

    Come ogni altro figlio di Roma, della Roma che contava, ho seguito i miei genitori in giro per il mondo, dove l'imperatore Augusto li mandava per risolvere i più diversi problemi, e quindi avevamo sempre i bagagli pronti per la partenza.

    Sono cresciuto in Germania, mentre mio padre combatteva contro i nemici di sempre, per riprendere l'onore delle legioni e le aquile che Varo aveva perso con la sua sconfitta a Teutoburgo.

    Furono anni difficili, in un luogo ostile, circondati da gente che non vedeva di buon occhio la nostra presenza in Germania, e non erano solamente i germanici, i nemici di sempre, quelli da cui dovevamo guardarci!

    Oh no! Il nemico era proprio in casa, dietro l'angolo, alle nostre spalle.

    Troppi interessi vi erano anche tra i capi locali dei romani che erano stanziati da anni in quelle lande desolate e dimenticate dal dio, persone cattive e corrotte che non ci permettevano di dormire sonni tranquilli.

    Traffici, compravendite non limpide, tasse esose estorte a nome dell'imperatore che andavano ad ingrassare i legati romani di turno, i quali saccheggiavano e vessavano le popolazioni locali, come se fossero delle sanguisughe, come se non ci fosse un domani, cercando di accaparrarsi più denaro possibile, prima di essere richiamati a Roma.

    Legati che mantenevano l'ordine con la forza e le uccisioni, suscitando così sempre nuove rivolte in quei popoli sottomessi si con la forza, ma pur sempre fieri del loro antico retaggio.

    E, soprattutto, mai domi, pronti in ogni istante alla ribellione contro Roma.

    E mio padre fu mandato in quei luoghi per riportare un po' di ordine e di correttezza, nel nome dell'impero di Augusto.

    Mio padre, la persona che, in tutto l'impero, più incarnava le virtù morali dell'imperatore.

    Altro che Tiberio, Il figlio della sua ultima moglie, Livia!

    Un sociopatico dalle scarse virtù morali anche se, ad onor del vero, era un ottimo condottiero, la sola cosa che, ad oggi, posso riconoscergli.

    E' anche vero però che nelle battaglie si sceglieva sempre le truppe migliori e gli obbiettivi meno difficili, lasciando a mio padre e agli altri generali, i compiti più pericolosi.

    E quindi noi vivevamo sempre accampati a destra e a sinistra in questo o quel forte di confine dove mio padre seguiva da sempre le sue truppe che lo adoravano anche per questo.

    Ma l'affetto dei miei genitori ed il loro amore compensarono gli enormi disagi che affrontavamo, io e i miei fratelli, ogni giorno in quei luoghi ostili.

    Fu in quelle pianure fredde e ghiacciate che mi fu affibbiato il mio soprannome, Caligola, piccola caliga, la scarpa in dotazione ai legionari romani.

    Un nome datomi dai soldati del forte in un giorno d'inverno, solo perché un luogotenente di mio padre, visto che scivolavo continuamente sul ghiaccio con le mie scarpe da cittadino quando correvo per le strade ghiacciate, mi fece fare un paio di calzari come i militari che comandava, con i chiodi nella suola per fare più presa sul terreno.

    Ero molto orgoglioso quando, con mio padre, passavo in rassegna alle sue truppe senza scivolare nemmeno una volta sotto gli occhi sorridenti di tutti, che mi avevano adottato come la loro mascotte, il loro portafortuna.

    Ma in realtà quel soprannome, che all'inizio mi piaceva, dopo la morte di mio padre, mi faceva pensare ai miei tempi preferiti, quando vivevo con loro, sereno... prima che tutto il male iniziasse!

    Ed aveva poi avuto per me sempre un senso dispregiativo, anche se col tempo mi sarei abituato, ma il mio nome era quello che mi avevano imposto i miei genitori alla nascita: Gaius Julius!

    Solo quello apprezzavo, solo con quello ho sempre desiderato di essere nominato.

    Come l'altro Cesare, di cui si aspettavano che avrei ripercorso il fulmineo successo, mai si sarebbero aspettati che ne avrei fatto la stessa fine, pugnalato a sorpresa dagli stessi romani, e non su un campo di battaglia.

    Vivevo negli accampamenti militari di mio padre, con mia madre e i miei fratelli e sorelle, e non , come i comandanti precedenti, nel lusso delle grosse capitali.

    Ma eravamo pur sempre i figli del comandante, e per questo avevamo libero accesso a tutto.

    Alle cucine, dove i cuochi militari ci riempivano di manicaretti e ci preparavano il pane caldo con l'olio nei pomeriggi invernali, e dove ci permettevano di scaldarci vicino al fuoco quando faceva molto freddo.

    Alle armerie, dove i fabbri ci costruivano sorridendo armature e gladii innocui, adatti a noi, per farci combattere le nostre battaglie.

    Alle scuderie, dove i cavalli di mio padre erano sempre a nostra disposizione per qualche cavalcata.

    In realtà gli scudieri avevano avuto ordine di darci solamente quelli più mansueti e docili per non farci del male, ma noi non potevamo saperlo.

    A noi sembravano invincibili e feroci destrieri sui quali combattevamo le nostre mille e mille battaglie contro i nemici di nostro padre e dell'Impero.

    Già, l'Impero...che cosa era per noi?

    All'inizio solo una entità sconosciuta, un qualche cosa che aleggiava nell'aria e di cui sentivamo parlare nelle notti di inverno, nei racconti attorno al fuoco, ma era pur sempre una cosa vaga...

    Sapevamo che eravamo romani, i padroni del mondo conosciuto, quelli che portavano cultura e le leggi a tutto il mondo barbaro, e quindi non ci preoccupavamo molto delle esigenze e delle aspettative dei popoli che venivano sottomessi.

    A capo di questo impero vi era un uomo formidabile, forgiato da lunghe guerre interne e da lotte per il potere, un uomo fortemente imparentato con la mia famiglia, un uomo che era già leggenda prima ancora che morisse: Augusto.

    Augusto, Giulio Cesare Ottaviano il suo vero nome, era tutto ed aveva tutto!

    Pronipote del grande Giulio Cesare, grande letterato, legislatore, condottiero, politico, il solo imperatore che guidò il regno per un periodo che per noi tutti era storia, addirittura 41 anni.

    Il suo unico problema e cruccio erano state le donne della sua vita, le mogli e la figlia, che lo fecero dannare un bel po'!

    Altro che le rivolte in qualche paese straniero.

    Augusto era morto nel 767 a.U.c.( Sta per Ab Urbe Condita, Dalla fondazione di Roma), ed io ero troppo giovane a quel tempo per ricordarmelo bene.

    Per noi era solamente un vecchio che passava ogni tanto a trovare i nipoti, quando capitava che vivessimo a Roma, in attesa di essere rispediti dall'altra parte dell'impero dallo stesso Augusto, che si fidava solo e completamente di mio padre.

    Un vecchio che vedevamo solamente con timore e che elargiva solo qualche carezza e sorriso e niente più, una figura lontana, come lontano era il suo ricordo.

    Era già avanti con gli anni quando ci veniva a trovare, molti per un romano, e l'artrosi lo affliggeva riducendone i movimenti, e poi c'era lei, l'ultima moglie, Livia, sempre al suo fianco come un falco predatore che ci guardava con occhi cattivi.

    Noi avevamo paura di lei...come tutti, con quegli occhi malvagi che ci seguivano sempre e sapevano sempre tutto di noi, ogni piccola cosa, riportata dalle sue mille e mille spie.

    Sempre in cerca di qualche cosa di negativo per screditare mio padre che odiava visibilmente!

    E avevamo paura anche di suo figlio, Tiberio, in lui tutto era cattivo, non solo gli occhi.

    Un individuo di una bruttezza incredibile e di una cattiveria uguale, lui non era mai stato amico di mio padre, non era mai stato nostro amico.

    Quando lo vedevamo arrivare, sempre per motivi sgradevoli, se potevamo, scappavamo via a nasconderci nell'orto o nella scuderia dei cavalli per non incrociare il suo sguardo maligno.

    Con i miei fratelli avevamo un gioco tutto nostro, e quando giocavamo a quel gioco chi perdeva, si trasformava magicamente in Tiberio!

    E nessuno voleva mai perdere...nessuno voleva diventare come lui!

    Nessuno voleva diventare il figlio di Livia!

    Quando avevo due anni, alla morte dell'imperatore Augusto, fummo tutti richiamati a Roma, dove, sotto gli occhi attenti di Livia, giurammo fedeltà al nuovo imperatore Tiberio.

    In realtà, quando era giunta la notizia della morte di Augusto, mio padre era stato acclamato dalle sue legioni affinché accettasse il ruolo di imperatore al posto di Tiberio che non era loro benvoluto.

    Ed anche il popolo romano avrebbe preferito di gran lunga mio padre come nuovo imperatore, molto di più di Tiberio stesso anche se quest'ultimo era stato formalmente designato dallo stesso Augusto, qualche giorno prima di morire.

    Alcune voci di palazzo, chiaramente subito fatte tacere dalla stessa Livia, narravano che, alla fine, Augusto volesse cambiare il suo testamento, nominando Germanico come suo successore, ma fu bloccato dalla stessa Livia che, chiaramente patteggiava per il figlio, voci che indicavano in lei la causa della morte.

    E Tiberio era molto geloso del potere e del rispetto che Germanico aveva tra la folla e tra i soldati e quando prestò obbedienza al nuovo imperatore vidi, perfino con gli occhi

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