L'oscillante ricerca
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Anteprima del libro
L'oscillante ricerca - Rosario Amenta
Rosario Amenta
L’OSCILLANTE RICERCA
www.altrimediaedizioni.com
facebook.com/altrimediaedizioni
@Altrimediaediz
Copertina: Enzo Epifania /Altrimedia
ph: revati me/www.sxc.hu
Titolo dell’opera:
L'oscillante ricerca
© 2009 by Rosario Amenta
ISBN: 978-88-96171-44-8
© Altrimedia Edizioni è un marchio di
Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria
www.altrimediaedizioni.com
Prima edizione digitale: 2015
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
PREFAZIONE
In qualsiasi dizionario la definizione più semplice e comune della parola Ricerca è quella di attività rivolta al ritrovamento
.
Insita in natura in ogni specie vivente è perlopiù connaturata all’istinto: la pianta tende al sole; il cucciolo appena nato, cieco e malfermo, cerca e scova la mammella da cui attingere il primo nutrimento. Per l’uomo in più ha costituito la condizione che gli ha permesso di elevarsi al di sopra del rango animale. La medicina, la scienza, le arti persino, hanno in questa volontà il loro prodromo originato in quel groviglio di cellule, filamenti nervosi e materia che è il cervello: organo fisico dove si riproduce il senso dell’esistenza umana.
Curioso per natura, quindi, l’uomo ha proteso la sua ricerca in ogni ambito, fino a porsi dinanzi alla questione primaria e definitiva: da dove scaturisce la vita? E lì ha trovato Dio. Un Dio tanto imprescindibile e onnipresente quanto intangibile. Un’idea di Dio che colmasse le sue vanità e le sue paure di specie dominante nell’esistenza conosciuta. Un Dio di cui si è eletto a prototipo.
La ricerca di un possibile connubio con una divinità è la molla che spinge Raffaele, il protagonista di questo scritto.
Conscio della sua finitezza, in quanto essere vivente fatto di carne, nervi e liquidi, una mattina decide di mettersi alla ricerca di Dio.
Novello Marcovaldo, però più smaliziato e consapevole della realtà, Raffaele affronta la ricerca scevro da qualsiasi condizionamento, armato solo della propria mente, unico congegno ove si possa rivelare l’arcano. Se c’è una risposta alla sua ricerca, Raffaele è convinto che si trovi dentro quella scatola cranica, in qualche anfratto dei suoi circuiti
, celato con cura, in attesa che possa rivelarsi al cuore.
Con coraggio e velleità non comuni Raffaele si pone domande e cerca risposte continue ai suoi dubbi. Interrogativi sulla natura stessa di un Dio. E questi vengono offerti e sottoposti anche al confronto con i falsi dei che condizionano il breve arco temporale di cui è costituita la vita dell’uomo: la fede, la scienza, il sesso, il potere, la ricchezza. Fino ad erigersi egli stesso, con l’ausilio delle più moderne tecnologie, a Dio creatore di un mondo alternativo virtuale dove, l’uomo è deprivato dei suoi istinti più bassi
e reso immortale.
Realizzerà così per certi versi un’opera monumentale che però contemplerà lo stesso come un fallimento, rapportandola alla sua intenzione di scovare un soprannaturale alla finita vita che viviamo
.
Privato dei suoi istinti, privato di quella condizione di mortalità cui naturalmente è legato, l’uomo smarrirebbe la sua vera identità nel vivente e nei bisogni che lo muovono, snaturando quel vincolo che costituisce la propria specificità e unicità. Troppo distante e incomprensibile alla natura e alla mente stessa dell’uomo, Dio è una sovrastruttura che non possederemo mai
.
Antonio Cavallaro
I
Un giorno Raffaele si alzò dal letto e disse: - Ho deciso, da oggi cercherò Dio.
Raffaele iniziò a radersi e, mentre s’insaponava le guance per poi passarvi con forza la lametta con cui avrebbe tirato dal viso quella maleodorante schiuma bianca, quei pochi peli che, nonostante la non giovanissima età, gli erano rimasti laschi, rifletté: Più facile a dirsi che a farsi una cosa del genere. Cercare Dio, e da dove inizio. Come posso fare?
Fece sangue, invece. La lametta, passata con eccessiva forza in contropelo, sulla curva del mento, gli provocò alcuni taglietti che dovette tamponare passandovi sopra parecchie volte un ferma sangue. Imprecò per il bruciore, ma per sua abitudine esagerava sempre in quelle cose.
Terminò la toilette e si vestì in fretta. Come il solito: jeans e maglietta. Uscì.
Si era alla fine di settembre, ma faceva caldo. Ormai era diventato consuetudine: da maggio a ottobre, a novembre, persino a dicembre era facile ci fossero giornate di vero e proprio caldo estivo. Il tempo è cambiato
, dicevano gli anziani e anche quelli meno anziani, e Raffaele annuiva.
Camminava svelto verso la chiesa vicino casa. Preso da quell’idea di Dio pensò che il posto migliore da dove iniziarne la ricerca fosse proprio quello, perciò aveva deciso di andarci. Ma fatte alcune decine di metri notò il bar. Il bar sotto casa sua, il bar in cui incontrava gli amici, il bar dove passava ore quando non aveva niente, proprio niente da fare e voleva trascorrere il tempo in qualche altro modo che non fosse guardare il tetto della sua stanza.
Il bar della colazione, anche. Pensò: Non si può rinunciare di buon mattino a una granita con brioche, sarebbe un peccato
.
Il barman gli servì mandorla e cioccolata dicendogli: - Raffaele come mai così presto? Non è per lavoro certo.
- No, e perché oggi devo cercare Dio.
- Ah, buona cosa questa! Buona ma difficile e poi occorre fortuna, tanta fortuna.
Raffaele lo guardò torvo e non gli rispose, gli disse solo un ciao
, e se ne andò.
Riprese a camminare verso la chiesa ma non fece che pochi passi quando intersecò diritto a lui due conoscenze.
Lui aveva i capelli lunghi, ricci, rossicci. Li portava annodati all’indietro, tenuti fermi da un nastrino di pelle. Aveva tre anellini al naso che lo rendevano grottesco. Alto e magro, indossava sempre lo stesso gilet di pelle saturo di adesivi e catenine d’ogni genere. Era seguito sempre da cani randagi.
Era un randagio anche lui.
Lei, invece, aveva i capelli corti, neri e lisci; anellini di varia grandezza e formato nelle ciglia, nel naso, nell’ombelico, fin dove si potesse arrivare a vedere. Due tatuaggi in mostra, sempre nelle zone del corpo che si potevano vedere: un gatto sul braccio destro, un serpente sull’altro. Masticava, come Raffaele ricordava faceva sempre, gomma americana, e aveva il vezzo, indolente, di non guardare mai verso chi parlava.
Per adesso era la ragazza del randagio, se così in quel loro rapporto si poteva dire, e viveva con lui, assieme ad altri simili e fino a quando qualcuno non li faceva sloggiare con la forza, in case, in costruzioni abbandonate, cadenti, buie, di periferia.
- Dove siete diretti? - Si rivolse al ragazzo, che conosceva da prima della trasformazione, perché suo compagno di scuola, Raffaele.
- Al covo - gli rispose quello.
- A quest’ora sarà chiuso di sicuro - gli disse Raffaele mentre con rapida occhiata sbirciò sulla ragazza che al solito, constatò, guardava qualunque cosa tranne loro due.
- Se è chiuso andiamo al parco. Se è chiuso il parco ci sediamo in qualche angolo di strada e… vedremo. Tu invece?
- Voglio andare in chiesa". Gli rispose, sincero, Raffaele, senza neanche tentare di sviare il discorso
- In chiesa? - si meravigliò l’amico,