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Storie dal peso leggero
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E-book120 pagine1 ora

Storie dal peso leggero

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Info su questo ebook

“(…) Che la felicità non deve mai essere un obbligo (non nasciamo tutti insegnanti di Zumba purtroppo), che a volte viene naturale come vengono naturali un sacco di cose insensate: aiutare una persona sconosciuta, offrire gratuitamente un servizio, sorridere... come può venire naturale anche un tumore o una crisi di panico. “

Una fioraia depressa, un regista geniale, un artigiano di maschere a Venezia, una protagonista d’eccezione per una storia di emigrazione… sono solo alcuni dei dodici personaggi di una sorprendente porta accanto che raccontano queste storie. 
Iperbolici e originali, sperimentano le fragilità, spesso rocambolesche, di un’umanità che nell’incontro con l’altro sa sempre riscoprirsi e reinventarsi.
Nella continua dialettica tra il male di vivere e la vitale ironia che tenta di correggerlo, nasce un “cinismo con il miele” che condisce questi 12 racconti per un caleidoscopio di emozioni.


Benedetta Marinelli, ventun anni, è nata a Campobasso, dal 2019 vive tra Petrella Tifernina e Roma dove studia lettere classiche presso l’Università “La Sapienza”. 
Ha frequentato per quattro anni la scuola di recitazione della Compagnia Stabile del Molise e vinto diversi premi letterari per i suoi racconti. Attualmente collabora con il magazine online “Fyah”.
Le sue uniche certezze sono il basilico sulla pizza e il libro sul comodino.
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2021
ISBN9788830656239
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    Storie dal peso leggero - Benedetta Marinelli

    LQmarinelli.jpg

    Benedetta Marinelli

    Storie dal peso leggero

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-4865-4

    I edizione novembre 2021

    Finito di stampare nel mese di novembre 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Storie dal peso leggero

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Alla mia famiglia,

    il luogo dove la storia di ognuno ha il suo peso leggero.

    IL NASTRO DI ARIANNA

    La pancia grigia di un asino in putrefazione fa da cielo a questa giornata.

    La mia psicologa dice che dovrei aggiornare il mio diario impegnandomi a scrivere almeno tre cose belle successe nella giornata, allora le scrivo sempre appena sveglia, così le cose brutte non fanno in tempo ad accadere e non mi tocca mentire... Forse però questo incipit è un po’ troppo truce: La pancia grigia di un asino in putrefazione fa da cielo a questa meravigliosa giornata.

    Molto meglio.

    La mia psicologa dice anche che dovrei istituire e rispettare dei riti che abbiano un significato preciso per me. Così, ogni mattina, sto molto attenta a sputare e calpestare una scritta sul marciapiede che qualche ragazzino destinato a diventare un parassita della società ha fatto: tutto torna.

    Bello schifo.

    Il mio rito vuole essere propiziatorio, affinché non si avveri mai una cosa del genere. Almeno per me. Anche solo immaginare lontanamente di essere destinata a rivivere la mia vita infinite volte mi dà la nausea, ve lo giuro, rabbrividisco... Una certezza ho nella vita, un’unica rasserenante sicurezza: la morte. Se mi togliete anche questa allora davvero dovrò inventare un modo per disintegrarmi, eliminarmi, evaporare, non lo so, un metodo alternativo per finire.

    E quindi questo è il mio rito, futuro parassita di emme, passare sulla tua inutile menzogna e andare avanti.

    Penso sempre alla morte quando cammino.

    Beh, in realtà ci penso sempre e basta, ma, EHI!, io di morte ci vivo!

    Faccio la fioraia, il mio business si fonda sulla morte altrui, i cadaveri sono il concime per i fiori che adorneranno la tomba di un altro cadavere!

    Cavolo, forse tutto torna davvero.

    Comunque, oggi ho battuto tutti i record: ho aperto il negozio alle 6:15 di mattina, manco fossi una pescivendola, apro la saracinesca della vetrina e mi staziono dietro il bancone per integrare la mia pagina di diario: "Stanotte ho fatto un sogno stupendo: avevo otto anni e mi avevano appena diagnosticato il morbillo, ricevevo ovetti Kinder e olio di palma declinato in tante forme colorate dalle zie più sconosciute, passavo le giornate avvolta nelle coperte a guardare in Tv solo quello che volevo, perennemente coccolata e allora pensavo che non avrei mai voluto uscire da quella lussuosa convalescenza...

    Poi mi sono svegliata, da sola, non ho potuto nemmeno dare la colpa alla sveglia. Come al solito è colpa mia".

    Da quando sono stata ricoverata nel reparto psichiatria faccio sempre molto caso a cosa tenta di dirmi il mio inconscio, lo considero una sorta di... cucciolo? Animale domestico? Animale strano? Una sorta di bambino, ecco! Il mio inconscio è un bambino rompiballe che piange dalla mattina alla sera e io le provo tutte ma non riesco proprio a capire il perché. Coliche? Traumi? Predisposizione genetica? Fatto sta che non posso dare la colpa a nessuno. Mentre mi cullo nel ricordo del mio gioioso morbillo, inizio a sistemare i fiori.

    Cambio l’acqua ai ranuncoli che appassiscono alla velocità della luce, spenno qualche vecchia rosa, affilo forbici e coltelli evitando di testarli sulle mie vene come l’ultima volta e decido di spostare i crisantemi in vetrina, giusto per invogliare la gente a morire.

    I crisantemi sono la base di un buon cuscino funerario, belli, resistenti e dalle mille varianti di colore, penso proprio che ne ordinerò anche di viola scuro... MA CHE DIAVOLO FANNO?!

    Due amabili signore, nei loro jeans dozzinali e i loro cardigan glitterati stanno allestendo un banchetto esattamente di fronte al mio negozio.

    E non un banchetto qualsiasi, un banchetto di FIORI di fronte al mio negozio di FIORI. Ma non è finita qui, io accetto sempre la concorrenza ma purché sia leale, questi ricettacoli di menopausa stanno vendendo azalee, i fiori più snob del mondo dopo le rose! Non ci puoi fare un mazzo, non ci puoi fare un cuscino mortuario, vivono solo nel loro vasetto e muoiono pure subito, e loro, le care signore, le stanno vendendo pure di colore rosa.

    Ma la cosa più grave è che le stanno vendendo per BENEFICENZA. Le stanno vendendo per la ricerca sul tumore. Oh sììì, mamma mamma compriamo un’azalea, così quando mi verrà un tumore ai polmoni guarirò, sìì, voglio proprio un’azalea rosa!

    Beh, sapete che vi dico? Io i malati li odio, li odio con tutto il cuore.

    Loro sono lì con le loro belle flebo, con il loro bel pallore, con le infermiere che li ricoprono di attenzioni, di affetto, di lacrime, di dolci,

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