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Una degna vita: volontà e destino
Una degna vita: volontà e destino
Una degna vita: volontà e destino
E-book341 pagine5 ore

Una degna vita: volontà e destino

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Info su questo ebook

Una degna vita: volontà e destino di Enrica Azara è un intenso romanzo sul senso vero e fondamentale di un’esistenza vissuta a pieno, che non sia, dunque, solo lo scorrere di giorni riempiti di avvenimenti, ma la consapevolezza di aggiungere tasselli importanti, anche nella quotidianità, a costruire qualcosa che valga la pena, a cominciare dai rapporti umani e familiari, fondamentali affinché le giornate possano essere ricordate come parte fondamentale di sé. Con la sua vibrante prosa, l’autrice ci emoziona e crea una lettura esortativa, affinché anche noi possiamo diventare capaci di dare un profondo significato ai nostri giorni.

Enrica Azara è nata nel 1966 ad Arzachena, in provincia di Sassari, dove risiede. Si è diplomata nel 1985 al Liceo Scientifico “Lorenzo Mossa” di Arzachena. Ha frequentato la facoltà di Scienze naturali dell’Università di Sassari. Ha pubblicato per il Gruppo Albatros Il Filo Sai anche quello che non ricordi (2021).
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830676169
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    Anteprima del libro

    Una degna vita - Enrica Azara

    Prefazione

    di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: «Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere».

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi:

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi, ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei Santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i quattro volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre, è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi, potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1

    «Nonna vado a svegliare il nonno».

    «Fermo lì, intanto buongiorno. Che ci fai in giro a quest’ora?».

    «Devo svegliare il nonno».

    «È ancora presto, non lo devi disturbare. Avresti potuto dormire un altro po’ anche tu, sei caduto dal letto?».

    «No, non sono caduto. Devo essere il primo a fare gli auguri di buon compleanno al nonno».

    «Ho capito. Ma devi aspettare. È presto. Quando il nonno uscirà dalla sua stanza, allora gli farai gli auguri. Sono stata abbastanza chiara?».

    «E se poi arriva qualcuno prima di me?».

    «Sono sicura che farai in modo di essere il primo».

    «Sì, gli faccio la guardia?».

    «Come vuoi, ma non lo devi disturbare».

    Lara scende le scale ed entra in cucina ed in quel momento arriva di corsa Alba, che quasi travolge sua madre.

    «Ma che avete tutti stamattina!».

    Anche Alba, incrociando sua madre, si è spaventata, ma il suo viso mostra, più che altro, una grande preoccupazione.

    «Hai visto Dario? Nella sua cameretta non c’è. Ho sentito un rumore, sono uscita a controllare e non lo trovo da nessuna parte».

    «Sta facendo un appostamento».

    Alba guarda sua madre perplessa:

    «Che vuol dire?».

    «Vuol dire che desidera essere il primo a fare gli auguri al nonno. Ha deciso di entrare nella sua stanza già a quest’ora, ma gli ho detto che è troppo presto e allora mi ha fatto sapere che farà la guardia davanti alla porta. Ora, dove si è nascosto non saprei, ma è sicuramente nei paraggi. Se ti chiede, rispondigli che è presto e che deve aspettare».

    Alba tira un sospiro di sollievo, suo figlio è un vulcano, e anche abbastanza imprevedibile e dal momento che ha solo sette anni sua mamma è sempre allerta, o per lo meno cerca di esserlo il più possibile.

    «Non ricordavo più la confusione che c’è sempre in questa casa».

    «Buongiorno Sandro».

    «Buongiorno anche a voi. Potrei sapere perché correte per le scale a quest’ora?».

    «Per colpa di tuo nipote».

    «Mio nipote, tuo figlio?».

    «Sì, sì, proprio lui».

    «Che cosa ha combinato l’ometto di casa questa volta?».

    «Ancora niente, ma ha deciso che deve essere il primo a fare gli auguri al nonno e mi è scappato».

    Sandro guarda la sorella e le fa un sorriso.

    «È scappato dentro casa mi auguro. E tuo marito dov’è?».

    «Lui dorme».

    «Allora adesso vai a dormire anche tu e non ci disturbare, che al mio complice ci penso io».

    Alba lo guarda, lui le fa cenno di andare e lei non se lo fa ripetere due volte e ritorna nella sua camera. Sandro chiede a sua madre dove si trovi il piccolo, lei non lo sa di preciso, ma sicuramente è vicino alla porta della camera da letto del nonno. Sandro sale le scale e cerca di capire dove si possa essere nascosto Dario ma, o è diventato invisibile, oppure si è mimetizzato proprio bene. A bassa voce lo chiama e dopo un po’ il bambino apre l’anta dell’armadio e lo osserva.

    «Che ci fai là dentro? Esci, cammina. Vieni, andiamo giù a fare colazione, intanto gli altri dormono ancora e non si alzeranno per un bel po’. Sicuramente si sveglierà prima il nonno e verrà giù in cucina».

    Il bambino ci pensa un po’ su e poi esce dal nascondiglio, anche perché inizia a mancargli l’aria ed è proprio stanco di aspettare là dentro.

    «Perché il nonno dorme tanto?».

    «Non dorme tanto, sei tu che ti sei alzato troppo presto, testone. Stasera gli altri festeggeranno il nonno mentre tu ed io saremo dei morti viventi».

    In cucina la nonna ha preparato la colazione per tutti e due che subito prendono posto ciascuno di fronte alla propria tazza e iniziano a mangiare.

    «Che hai regalato al nonno?» chiede Lara al figlio.

    «Ho acquistato un orologio da taschino, quelli che a lui piacciono tanto, così lo può aggiungere alla sua collezione. Sono sicuro che lo apprezzerà».

    Lei invece ha optato per un bastone da passeggio col pomo d’argento intarsiato, è sicura che anche questo regalo sarà apprezzato da suo padre. Nonostante tutto è facile fare un regalo al nonno perché ha il gusto del bello, dell’elegante, dell’imprevedibile. E proprio in quel momento il nonno appare sulla porta della cucina, già vestito di tutto punto; Dario come un furetto gli salta al collo e così è il primo a fargli gli auguri. Il nonno lo abbraccia forte, è sempre molto coinvolto dal bambino, che è il piccolo di casa. Anche Sandro si alza per fare gli auguri al nonno seguito poi da sua madre. E Dario ne approfitta subito per lamentarsi della nonna colpevole di non avergli permesso di entrare prima nella sua stanza.

    «Lara, potevi farlo venire» Dario la guarda con l’aria di uno che dice te l’avevo detto che potevo entrare, ma sua nonna lo ignora.

    «Babbo erano le cinque e mezza, era un po’ prestino».

    «Dario, sei caduto dal letto?» gli chiede il nonno, che in realtà è il suo bisnonno.

    «No, non sono caduto dal letto. Volevo vederti prima degli altri».

    «Va bene, ci sei riuscito».

    La giornata è iniziata, come aveva annunciato Sandro, in maniera agitata come al solito quando la famiglia si riunisce. Nella casa del bisnonno, infatti, sono arrivati tutti, Lara con suo marito, i suoi figli Sandro e appunto Alba con la sua famiglia, il fratello di Lara Goffredo con la moglie e il loro figlio con la sua famiglia. Insomma sono in tanti, la casa è piena di figli, nipoti e pronipoti da ogni parte, il nonno li guarda tutti con soddisfazione, che bella famiglia è la sua. Se non fosse per quel neo che gli arrovella il cervello sarebbe molto più felice. Sua moglie è mancata qualche anno prima, e nonostante i figli si siano prodigati in tutti i modi per fargli superare il lutto, dentro di lui è ancora fresco e presente.

    A parte questo è lì, pronto a lasciarsi festeggiare, e tutto sarà perfetto quel giorno. Lo ha giurato a sé stesso e ogni cosa dovrà essere impeccabile; festeggia novanta anni, e questo traguardo non è per tutti, soprattutto per le sue condizioni di salute, non perfette ma molto vicine all’esserlo, perciò se festa deve essere, che festa sia.

    Si trasforma in un tappo di sughero, che in balia della corrente si fa trasportare dalle onde, ovunque loro vorranno, così farà lui quel giorno, con la sua famiglia. Le donne hanno organizzato lo spuntino di mezza mattinata e il pranzo, poi la merenda del pomeriggio e infine la cena, un percorso di guerra insomma, ma sono talmente tanti che riusciranno certamente a consumare tutto, i più giovani faranno la loro parte, i grandi arrancheranno per non mandare sprecato niente. Quel giorno nessuno lavorerà più degli altri, e infatti tutti assieme si sono organizzati per la riuscita della festa dividendosi i compiti.

    Solo i piccoli sono stati esentati da queste incombenze, soprattutto Dario, che è il più pericoloso di tutti, e così sono rimasti a girare attorno al nonno che preso dall’entusiasmo fa da maestro a quella banda di scalmanati.

    Quasi tutta la giornata trascorre nella grande sala da pranzo, dove possono riunirsi tutti assieme, col televisore acceso per commentare le notizie che vengono trasmesse, ma anche i programmi di intrattenimento, e da parte di Dario anche i film, prendendosi poi piccoli rimproveri da tutti. Neanche suo zio Sandro riesce a contenerlo, tanto che ad un certo punto si arrende e comincia a fare commenti anche lui. Gli altri sono allibiti, ora gli incontenibili sono diventati due, uno più fastidioso dell’altro.

    «Ma che esagerati che siete, non stiamo facendo niente di male, vero zio?».

    «Vero, proprio niente».

    Ma gli altri non sono completamente d’accordo, solo il nonno li guarda e approva, e i due disturbatori, che se ne sono resi conto, si sentono spalleggiati e incoraggiati a dare il meglio di sé.

    Quel giorno tra il mangiare e il bere tutti stanno superando le loro normali abitudini, ma la festa del nonno merita tutto ciò, tanto più che quella sera avrebbero trascorso la notte tutti assieme nella grande casa, dove c’è posto per ognuno di loro. L’atmosfera è calda e accogliente, come quella delle grandi feste, tutti seduti attorno al grande tavolo, col nonno capotavola, godono della compagnia l’uno dell’altro e il vecchio patriarca gode della compagnia di tutti loro, figli, nuora e genero, nipoti e pronipoti, sono tutti là per lui e con lui. Che altro avrebbe potuto desiderare?

    Nel frattempo è arrivato il momento della torta, il momento più importante, soprattutto per i piccoli; le candeline, le foto con tutta la famiglia, il brindisi durante il quale anche Dario è riuscito a bere un sorso di spumante approfittando della confusione generale al momento degli auguri, salvo poi farsi scoprire da sua madre, prima che suo zio riuscisse a nascondergli il bicchiere per evitare la sgridata, che puntuale arriva.

    Carlo spegne le candeline, li osserva tutti, li studia, uno per uno, è commosso, è fiero di loro, è contento di loro. E riconosce di essere un uomo molto fortunato; che vita interessante ha vissuto e il risultato è di tutto rispetto. Non si è mai annoiato, ha lavorato tanto, ha vissuto di tutto e di più ancora. E mentre tutti continuano a festeggiare, chiacchierare e scherzare, pensa alla sua vita, oggi può fare un bilancio, tirare le somme, e lo farà. Lo fa.

    Capitolo 2

    È euforico, grembiulino bianco, cestino in vimini per la merenda e il bavaglino, pantaloncino elegante, calzettone e sandalo, sono altri tempi, veramente una vita fa, Carlo è pronto per andare all’asilo. Ai suoi tempi sono pochi i bambini che vengono mandati in quello strano posto, e lui è uno dei pochi fortunati. Forse.

    La mamma, farmacista, pensa che sia una grande occasione da non perdere, il babbo, meccanico, è assolutamente d’accordo con sua moglie, e così Carlo va a scuola. Lungo il tragitto, mano nella mano con sua madre, è orgoglioso del traguardo che ha raggiunto, guarda gli altri bambini che ricambiano il suo sguardo, sono increduli, non sanno bene cosa stia succedendo, non è molto usuale in quel periodo.

    Li guarda addirittura con aria di sfida, senza sapere che ben presto avrebbe cambiato idea.

    Arrivano a scuola, un edificio grande, bello ma serioso, forse un po’ inquietante; tutti gli vanno incontro, sua madre è molto conosciuta per via del suo lavoro, perciò non può essere diversamente. Entrano, vengono accolti, e con grande sorpresa di Carlo ci sono altri bambini come lui, qualcuno piange, qualche altro è completamente ammutolito e qualcuno è addirittura contento. Carlo ha già cambiato idea, vuole tornare a casa, ma non è più in tempo; tutti gli fanno un sacco di complimenti, tutti rassicurano sua madre che avrebbero vegliato su di lui.

    Quel giorno, per la prima volta, decide che non avrebbe deluso nessuno e così la mamma va via, tranquilla, perché sembra che Carlo abbia accettato di buon grado la nuova situazione. In realtà il bambino non sopporta le maestre, che sono suore, non sopporta neanche le assistenti e le bidelle, e peggio ancora non sopporta neanche gli altri bambini. Ma nessuno se ne rende conto, e così quando in pomeriggio suo padre e sua madre si presentano per riportarlo a casa ricevono solo elogi e complimenti per il comportamento impeccabile del figlio. Lui va subito verso i genitori e in quattro e quattr’otto è già pronto per rientrare a casa. Siccome anche a loro è mancato tanto, il babbo lo carica sulle spalle e lo portano via immediatamente. Carlo si tranquillizza, quello sforzo si può fare, andrà a scuola, si comporterà bene e poi dritti a casa per riprendere possesso dei suoi spazi, dei suoi giochi che non è costretto a condividere con nessuno, delle sue abitudini, della sua mamma.

    «La maestra ha detto che è la nostra mamma».

    «Certo, perché trascorre tutta la giornata con voi e fa quello che facciamo noi mamme a casa».

    «No mamma, non credere. Non è vero».

    «Perché no?» chiede sua madre.

    «Perché è un po’ monella secondo me».

    «Addirittura, esagerato».

    «Non mi piace».

    Ecco, l’esca è stata lanciata, ora vediamo che succede, pensa Carlo, ma in effetti lui non fa i capricci quando deve andare a scuola, anche perché una volta a casa non ci pensa minimamente alla scuola, della quale si dimentica proprio, e non se ne ricorda neanche la mattina quando si sveglia e si prepara per uscire. Tutto gli viene in mente quando imbocca la via nella quale si trova l’edificio e vede il grande cancello di ferro, allora gli viene in mente che a lui quel posto non piace proprio. Ma ormai non è più in tempo, non può fare i capricci lì davanti a tutti e così entra ripromettendosi che l’indomani non ci sarebbe ritornato per nessun motivo.

    Ma quella scena si sarebbe ripetuta per i successivi tre anni, sarebbe entrato a scuola tutte le mattine come uno studente modello, anche se ogni giorno giura che non si sarebbe più avvicinato a quel posto opprimente. E le mattine sono tutte uguali, trauma iniziale e poi rassegnazione. Meno male che ogni giorno accade qualcosa di diverso e lui viene completamente assorbito dalle nuove situazioni.

    Il refettorio è l’unico luogo piacevole della scuola, la prima portata è la sola che viene servita, la seconda pietanza gliela dà la mamma, nei tegamini d’acciaio. Lui adora la minestra di verdure, quella che quando la preparano a casa lo fa scappare di corsa dalla cucina.

    «Non mi piace».

    «Ma se a scuola la mangi sempre, me lo ha detto la maestra».

    «Perché signora Paola la sa cucinare e la fa molto buona. La tua è cattiva».

    La mamma è molto contrariata ma decide di lasciarlo perdere, visto che la mangia a scuola a casa può farne a meno, poi, del fatto che sua mamma non sappia cucinare ne avrebbero parlato al momento opportuno.

    Intanto si avvicina il Natale, all’asilo si preparano i lavoretti, lui frequenta il primo anno, perciò il lavoretto non sarebbe stato troppo complicato. La maestra ha preparato dei cartoncini con vari soggetti natalizi e ciascuno di loro deve punteggiare sulla linea tratteggiata per staccare il disegno. Carlo va a recuperare dallo scaffale il panno spesso sul quale appoggiare il foglio per iniziare il suo lavoro. È un compito che a lui piace tantissimo e così è anche veloce, e infatti è sempre il primo a finire; la maestra non è per niente soddisfatta, ma non lo può riprendere, anche perché il lavoro è ben fatto, e allora decide di consegnargli altri cartoncini mentre aspettano che tutti gli altri finiscano i loro. Ma lui è un fulmine e più lavora, più diventa veloce.

    «Sai che fai adesso? Vai ad aiutare Mario in giardino».

    «Ma io voglio punteggiare».

    «Ma hai fatto tanti lavoretti oggi, ne lasciamo qualcuno anche per domani».

    «Però non li buttare».

    L’intento della maestra è proprio quello, ma per evitare storie col bambino lo rassicura che li avrebbe sistemati nella cartellina da portare a casa alla fine dell’anno. Tranquillizzato, Carlo viene accompagnato in giardino da Mario che lo osserva e gli chiede che cosa ha combinato, lui risponde che ha finito i cartoncini e allora la maestra lo ha mandato da lui per aiutarlo. In pratica Carlo riceve come premio quello che gli altri ottengono come punizione, l’uomo lo guarda e gli chiede se veramente ha voglia di rimanere lì con lui e il bambino gli risponde di sì e così cominciano a lavorare. Mario continua a rastrellare mentre Carlo passa il tempo a cercare di acchiappare cavallette, coccinelle e farfalle, che però non tocca perché Mario gli ha raccomandato di non farlo, in quanto se tocca le ali di quegli insetti proprio belli, toglie la polverina della quale sono ricoperte e l’animaletto non riesce più a volare, e lui è molto attento, le osserva senza disturbarle. Quando i compagni hanno finito, l’assistente della maestra lo chiama per accompagnarlo in classe, lui saluta Mario:

    «Ci vediamo domani» e corre all’interno della scuola.

    Anche il momento delle canzoncine è interessante, quante ne ha imparate! Quel giorno però si prepara la recita di fine anno. E cosa sarebbe questa cosa? Lui non vuole fare l’attore.

    «Io posso andare da Mario?».

    «E perché vuoi andare da Mario?».

    «Perché io non devo fare la recita».

    La maestra sta per scattare e perdere la pazienza, ma poi ricorda di chi è figlio e ci ripensa: Carlo farà la recita e sarà il protagonista principale. Panico, perché la maestra gli fa questo, domani non torno a scuola.

    Ma l’indomani è nuovamente lì, solo davanti al cancello di ferro ricorda che aveva deciso di non ritornare, ma ormai è tardi, come al solito.

    Finalmente a giugno la scuola finisce, ma per poter rimanere a casa deve prima fare la recita, rappresentano dei contadini e ballano una coreografia con la musica, e il risultato è anche bello da vedere, tanto più che non sono ammessi errori; avevano provato tutti i giorni e chi continuava a sbagliare veniva messo in punizione e rimaneva a fare lo sfondo. Alla fine partecipano tutti e lui si è anche divertito, ed è stato il più bravo. E tutti a complimentarsi, sicuramente la maestra, perché le ha fatto fare bella figura, ma anche le altre mamme, che però a lui, naturalmente, danno fastidio e non le vuole neanche vedere. Suo babbo capisce la tensione, lo prende in braccio salutano e scappano via.

    «È un po’ timido» dice una mamma.

    Non rispondono, in effetti è un po’ timido e tante attenzioni lo mettono in soggezione e comunque quelle donne a lui non piacciono proprio, anche loro fanno parte del gruppo degli indesiderati.

    Capitolo 3

    Dal momento che sono iniziate le vacanze si va tutti nella casa al mare, è lì che Carlo vorrebbe vivere tutto l’anno, ma in inverno deve andare a scuola e perciò è più pratico abitare in paese:

    «Ma perché, anche l’anno prossimo devo andare a scuola?».

    «Sì, perché, non vuoi?».

    Certo che non vuole, possibile che non l’abbiano capito, che rabbia, di nuovo i compagni, la maestra, le mamme dei compagni.

    «Ci sarà anche Mario l’anno prossimo?».

    «Sì, penso di sì».

    Meno male, va beh, allora pure l’anno prossimo tornerà a scuola, ma poi basta.

    In vacanza le prime settimane le trascorre nei giorni infrasettimanali in spiaggia, un po’ col babbo e un po’ con la mamma, che si alternano per il lavoro, le altre due giornate le trascorre interamente in spiaggia. Lì ci sono dei bambini, infatti due famiglie vivono le vacanze in quello stesso luogo, e stranamente a lui piace giocare con quei bambini, quasi subito impara a nuotare con i suoi amichetti, ma la cosa che più li diverte è cercare i granchietti tra gli scogli e riempire i secchielli di latta per poi svuotarli a fine giornata prima di rientrare a casa.

    Anche gli adulti hanno fatto amicizia, e così capita di incontrarsi anche al di fuori della spiaggia, soprattutto quando il maestrale impedisce di rimanere nell’acqua calda, che sotto quelle raffiche diventa addirittura fredda. Si riuniscono una volta in un giardino e una volta in un altro, le giornate trascorrono tranquille, pur senza conoscersi a fondo sono dei vicini cordiali e simpatici.

    Ma le vacanze estive, come ogni anno, arrivano al termine, gli adulti si salutano e si danno appuntamento per l’anno successivo, per i piccoli è un po’ più complicato. Devono dimenticare le giornate al mare, gli amici, i giochi, ma soprattutto devono rientrare a scuola.

    Capitolo 4

    «Anche quest’anno?».

    La mamma gli risponde di sì, deve rientrare a scuola, lui è uno dei pochi fortunati che ci va, perciò si deve considerare privilegiato e deve essere contento.

    «Secondo me sono più fortunati gli altri bambini che non ci vanno, ma va bene, ti accontento anche quest’anno. Ma ricordati che l’anno prossimo non ci ritorno».

    La mamma sorride e gli risponde che intanto avrebbero pensato a questo di anno, per il prossimo decideranno a tempo debito.

    «Tu decidi con calma, ma decidi bene, perché io so già cosa devo fare» chiosa il bambino.

    «Questa è una minaccia – fa presente il babbo a sua moglie – secondo me a Carlo la scuola non piace neanche un po’».

    «Già avevo avuto questo dubbio l’anno scorso – dice lei – ma non ha mai fatto i capricci, sembrava che ci andasse volentieri».

    «Hai detto bene, sembrava».

    «Vorrà fare il meccanico come te».

    «Non scherzare proprio, lui studierà, arriverà sino alla laurea, poi se vorrà fare il meccanico affari suoi, potrà decidere come meglio crede, ma con la laurea in tasca, ed io la terrò incorniciata in officina».

    «Naturale, quale posto migliore di una officina?».

    La madre di Carlo ride, ma sulla scuola ha ancora dei dubbi. E proprio come Carlo non avrebbe voluto, ad accoglierlo, dietro il grande cancello di ferro, sempre quello, che però quell’anno è stato pitturato di verde, c’è la maestra e ci sono i suoi compagni. Gli corrono incontro per salutarlo, anche quello che lui non sopporta proprio e che vuole sedersi nel banco accanto al suo. La mamma osserva la scena e anche a lei quella confusione, quegli abbracci, danno molto fastidio, ma fa finta di niente a va via. Subito la maestra spiega loro che quest’anno non sono più i piccoli della scuola, sono quelli mezzi grandi, perché i bimbi della terza sono i grandi, ma anche loro quest’anno avranno dei compiti.

    «Maestra, ma Mario c’è?».

    «Sì, è in giardino».

    «Allora il mio compito può essere quello di aiutare Mario?».

    Nuovamente con quella storia, la maestra è abbastanza contrariata ma sa che deve comportarsi in un certo modo, o crede di doversi comportare in quel modo, e perciò, un po’ infastidita gli risponde che vedrà cosa si può fare. Carlo è contento ma intanto deve prendere i chiodini e fare un disegno con quelli sul supporto adatto, questo lavoro a lui non piace granché, preferisce punteggiare, ma in mancanza di altro avrebbe eseguito il suo compito al meglio, perché comunque adora avere i complimenti dell’insegnante, che quando osserva i lavori che il bambino porta a termine non può, suo malgrado, fare a meno di lodarlo.

    Dopo il pranzo, nel grande refettorio, vuole sapere come i bambini abbiano trascorso le vacanze estive, e come al solito Carlo monopolizza la scena, ma effettivamente ha tante cose da raccontare. I compagni lo guardano e lo ascoltano in silenzio, qualcuno ha, anche lui, molte cose da raccontare, la maggior parte no, e così ascoltano i racconti dei compagni e immaginano quelle scene, e si immedesimano nei racconti, come se fossero i loro.

    Una volta a casa viene chiesto a Carlo come sia stato il primo giorno di scuola e lui in effetti non sa cosa rispondere. Ad onore del vero non è stato malaccio, ci sono i piccoli che piangono:

    «Che sciocchi – commenta Carlo – non lo sanno che devono rimanere lì per forza?».

    Ma soprattutto hanno parlato delle loro vacanze, la mamma e il babbo si guardano, chissà cosa ha raccontato il figlio, scoprono che la maestra non ha fatto nessun commento, forse lo ha volutamente ignorato. È chiaro che oltre a non piacere a Carlo, la maestra non piace neanche a loro, ma mai lo confesserebbero al figlio.

    Il giorno dopo, dal momento che è una bella giornata, la lezione si terrà all’aperto, praticamente si gioca tutto

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