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All'ombra del vecchio tiglio
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E-book129 pagine1 ora

All'ombra del vecchio tiglio

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Info su questo ebook

Salento, terra di sole e mare, intreccio profondo di sacro e profano. È qui, nella magica terra d’Otranto che la protagonista comincia una ricerca interiore che la aiuterà a scoprire le sue vere origini. La ricerca della vera essenza traccerà un percorso fatto di emozioni lievi e delicate ma a tratti forti e sconvolgenti. A volte, una vita apparentemente perfetta, nasconde pieghe inaspettate. Filo conduttore della trama, l’attenzione agli elementi della natura e ai segnali che la stessa saprà sapientemente regalare solo a chi vorrà coglierli. Sullo sfondo della campagna salentina, un tiglio secolare accompagnerà, con la magia del suo profumo, le vicende dei personaggi.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2020
ISBN9788835871217
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    Anteprima del libro

    All'ombra del vecchio tiglio - Ornella Protopapa

    Angelo

    ​I

    La mia ricerca

    Le ginocchia erano sbucciate (come al solito, avrei scoperto in seguito) e il suo dolce visino era incorniciato da ciocche di capelli color carota che contribuivano, insieme alle innumerevoli lentiggini che campeggiavano sulle guancette paffute, a darle un aspetto da simpatica ‘birba’. Questa era Ieia, con i suoi cinque anni e un bagaglio di esperienze di vita in grado di far impallidire anche il più vissuto dei quarantenni. La conobbi così, in un caldo pomeriggio d’estate, quando ormai la vita sembrava avermi rubato ogni possibilità di tornare a sorridere.

    L’orfanotrofio pareva un luogo tranquillo; una suorina gentile era venuta ad aprire il grande cancello di ferro, ormai scrostato dal sole e dal vento. Oltrepassata la soglia, la visuale offerta mi aveva riportata, per un attimo, ai tempi lontani della mia infanzia: un grande giardino con la pavimentazione in pietra, qui e lì sparsi vasi in terracotta ricolmi di gerani colorati e, al centro, un grande albero di tiglio dal caratteristico e inebriante profumo. Si trattava di una tipica costruzione salentina in pietra leccese, un’antica casa colonica che trasudava amore e dedizione; era questo ciò che fin dal primo momento avevo assaporato osservandola. Alle finestre c’erano fiori e fuori dalla porta d’ingresso un grande zerbino intrecciato a mano dava il benvenuto agli ospiti. Più che un orfanotrofio, era in realtà una casa-famiglia dove, a costo di grandissimi sacrifici, le Suore Serve di Gesù avevano cercato di ricreare un ambiente familiare per restituire a tanti poveri bambini ciò di cui avevano più bisogno. Era proprio quello lo scopo della mia visita lì, in quel caldo pomeriggio d’estate; dopo tanto peregrinare, stavo finalmente per riscoprire il vero senso della vita.

    Sul finire dell’ultima vacanza di lusso - l’estate precedente - mi ero staccata dalla mia comitiva per concedermi qualche momento di pace. Camminando per le stradine del centro storico di Otranto, d’istinto, ero stata attirata dalla bella facciata della Cattedrale. E così, senza pensarci troppo, mi ero ritrovata tra le sue navate, per respirare quella spiritualità della quale ero digiuna da ormai troppo tempo. Lì avevo incrociato per la prima volta lo sguardo amorevole di Suor Adele, seduta tra i vecchi banchi in legno scuro, intenta a sgranare il suo Rosario. Tra noi, da subito, era stata intesa e complicità.

    La chiesa era vuota ma inevitabilmente mi ero spinta verso di lei, come alla ricerca di un porto sicuro: lei lo aveva capito e con un lieve cenno del capo mi aveva invitato a sederle accanto. Dopo un attimo di esitazione e silenzio, uno sguardo le era bastato per capire che aspettavo l’occasione giusta per parlare e, così facendo, lavare e rinfrescare i panni di un’esistenza fino ad allora troppo superficiale. La mia era spasmodica ricerca di riscatto e d’amore e quel giorno Suor Adele mi tese la mano in segno d’aiuto. Cominciammo a parlare sommessamente dei motivi che mi avevano condotta nel fascino della bella Otranto: le vacanze, la voglia di abbandonare i luoghi associati solo a lavoro e stress e il desiderio di trovare quel qualcosa in più, l’essenza, un’occasione di vera felicità. Pochi minuti trascorsi insieme e quella piccola donna, fragile solo in apparenza, aveva analizzato le pieghe più recondite della mia anima arrivando a comprendere il senso di disagio che sembrava avvolgermi. Era come se durante il racconto continuassi a chiedere inconsapevolmente scusa per quello che ero diventata.

    La mia vita, apparentemente perfetta, era ormai un vestito troppo stretto per me: per anni avevo lavorato al raggiungimento di un concetto di perfezione che ora mi appariva vuoto e insignificante. Avevo un lavoro appagante, una quotidianità piena di interessi e amicizie e una certa solidità economica ma mi sentivo spoglia dentro. Stava ad ascoltarmi con attenzione, senza lasciare neanche per un attimo i grani del suo Rosario. Nelle brevi pause del mio racconto, mi fermavo a osservarla e nei suoi occhi scorgevo un luccichio che mi incuriosiva. Suor Adele aveva in mente qualcosa e non tardò a esprimersi.

    ​II

    La rivelazione

    Dopo avermi lasciato parlare e parlare senza sosta, accennò alla missione che ognuno di noi è predestinato a compiere nel corso della sua vita terrena. Il discorso, facile a capirsi, mi interessava e non poco. Cercai di seguirla con attenzione ma forse i tempi per me non erano ancora maturi allora. Mi domandavo cosa avesse visto in me quella figlia di Dio, fragile solo in apparenza.

    Tornata a Milano, era già trascorso qualche mese quando una notte Suor Adele venne a cercarmi in sogno. I contorni apparivano nebulosi mentre la sua immagine risaltava con chiarezza e la vedevo agitarsi e fare dei cenni con le mani. Le scarne braccia sembravano muoversi in segno di saluto ma in realtà, una volta raggiunta, mi cinsero in un abbraccio vigoroso e quello per me fu un chiaro messaggio: mi stava aspettando. Anch’io, da quel giorno, avrei avuto la mia missione da compiere.

    Ormai da tanto tempo riflettevo sulla mia vita anche se spesso rinunciavo a rivedere i miei schemi perché mi sembrava impossibile riuscire ad apportarvi cambiamenti. Fin da piccola, il mio carattere si era rivelato questo e una certa rigidità di pensiero - spesso scambiata per una forte integrità - mi aveva accompagnata: stessi giochi, solito cibo, poche e sempre uguali amicizie e mille paure verso il nuovo. Vivevo tutti i cambiamento come una specie di supplizio, anche quelli in apparenza positivi. Figuriamoci come avrei potuto affrontare un cambiamento radicale come quello che mi si prospettava, capace di ribaltare completamente i canoni della mia esistenza. Suor Adele quel giorno mi aveva raccontato del suo impegno nella preghiera e della sua totale dedizione alla causa dei bambini meno fortunati. Col sostegno dei notabili del paese e di famiglie coinvolte in varie opere di volontariato era riuscita a materializzare il suo progetto: la realizzazione di una casa-famiglia destinata a bimbi di tutte le età aventi come unico comun denominatore la sofferenza. Bambini orfani, abbandonati, sfruttati, abusati.

    In quel momento il discorso mi aveva toccata ma non tanto in profondità quanto avrebbe potuto. In fondo, si trattava di una realtà che non mi apparteneva e non era facile per me comprendere. Successivamente, però, ero tornata spesso a pensare all’incontro di quel giorno, sentendo - ogni volta - il peso di ogni singola sillaba pronunciata da Suor Adele. Probabilmente, le profonde riflessioni che già interessavano la mia mente in quel periodo e i mille quesiti che mi ponevo sul vero scopo della mia vita ebbero un peso fondamentale in quella inaspettata decisione: lasciare tutto e correre a Casa Donna Petronilla dove qualcuno già mi aspettava per donarmi una nuova chance e farmi diventare una persona migliore. La Casa, lascito al Convento da parte di una nobile famiglia otrantina, sorgeva all’estrema periferia del paese, lì dove sabbia e terra si incontrano in una piacevole danza, dove ancora i contadini, coi loro artigianali cartelli Produzioni Proprie, attirano i passanti in cortili traboccanti di frutta e verdura e, in barba alle regole più rigide, vendono uova sfuse e siero di ricotta ancora caldo. Da lì in estate, soprattutto nelle ore pomeridiane, si poteva udire il canto incessante delle cicale che, mescolato al fruscìo del vento del Salento e al rumore del mare, trasmetteva un carico di sensazioni davvero impossibili da dimenticare.

    Arrivai lì il primo giorno di luglio, con il mio bagaglio fatto di pochi indumenti e tante emozioni. Il cuore mi batteva forte, avevo paura di non essere accettata o di risultare antipatica, come spesso mi succedeva con chi non mi conosceva abbastanza. Forse era colpa dei miei lineamenti un po’ duri e spigolosi che mi davano un’immagine altera e distaccata o forse della barriera che inconsapevolmente erigevo per difendermi dagli attacchi esterni.

    È strano come una persona così forte e sicura di sé in apparenza, possa rivelare - a volte - mostruose fragilità interiori. Io ero questo: una persona fragile e immatura che per la prima volta stava bussando alla porta della vita, con la forte speranza di trovare qualcuno pronto ad accoglierla e ad ascoltarla. Tante volte mi ero detta forte e sicura di me ma la realtà era ben diversa e il mio cuore non poteva continuare a ignorarlo.

    La prima persona che venne ad aprirmi mi accolse con un sorriso luminoso, spalancando quel cancello sul giardino che mi evocava – non so bene perché – un richiamo a sbiaditi ricordi d’infanzia. Eleonora, così si chiamava la giovane suora, sapeva del mio arrivo e mi disse subito: «Ti stavamo aspettando, sei il nostro angelo.» Fu il miglior benvenuto che potessi ricevere. Lasciai cadere la mia borsa e di colpo anche le mie difese; in quel preciso momento, decisi che il cambiamento doveva essere totale perché lo sentivo come un bisogno fisiologico. Così la abbracciai con trasporto e la mia stretta era sincera e piena di sentimento: le ero davvero grata per avermi accolta come manna caduta dal cielo.

    Dopo pochi secondi, dalla porta d’ingresso sbucarono tante piccole facce abbronzate. Fui subito rapita dai loro sguardi e per un attimo mi sentii sazia. Di colpo, mi resi conto che il mio digiuno d’amore era finalmente finito! Si trattava di una decina di bimbi e bimbe; il più piccolo poteva forse avere circa due anni, la più grande una decina. Mi colpirono per tanti motivi

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