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In fuga dal passato: Harmony Bianca
In fuga dal passato: Harmony Bianca
In fuga dal passato: Harmony Bianca
E-book162 pagine2 ore

In fuga dal passato: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Quando la passione per la medicina incontra le ragioni del cuore, la famiglia diventa il posto in cui sentirsi a casa

Quando la dottoressa Tasha Kincaid, sopraffatta dalla perdita di un piccolo paziente, è scappata in Africa per diventare insegnante, non si aspettava certo di rivedere Quinn Shapiro, l'uomo che tanto tempo prima le ha spezzato il cuore, né di dover collaborare con lui per salvare la piccola Abeje.
Nel momento stesso in cui incrocia lo sguardo di Tasha, Quinn ha la sensazione che il tempo si sia fermato. Ma non può lasciarsi distrarre: Abeje sta male e ha bisogno del suo aiuto. Anzi, del loro aiuto, perché Tasha è l'unica in grado di affrontare quella sfida. Mentre lavorano fianco a fianco, lei e Quinn riscoprono i propri sentimenti. Riusciranno anche a chiudere i conti con il passato?
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2019
ISBN9788858999257
In fuga dal passato: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    In fuga dal passato - Louisa Heaton

    successivo.

    1

    Non riusciva a vedere la strada davanti a sé. Troppa gente la attraversava di qua e di là, senza guardare. Pareva che nessuno facesse caso al caos che regnava lì intorno. Le donne, con i cesti appoggiati sul capo, trasportavano i loro bambini in larghi foulard di cotone legati alla schiena. I vecchi, sul ciglio della strada, erano intenti a masticare chissà cosa, come annoiati dalla vita. E infine c'erano i venditori ambulanti, che gridavano per attirare l'attenzione dei passanti sulla merce sistemata sui loro banchi.

    Le narici erano invase da mille odori diversi, tra cui spiccava quello del pesce fresco.

    Tasha Kincaid spinse il piede sull'acceleratore del fuoristrada, suonando il clacson nel disperato tentativo di farsi largo. Doveva raggiungere il prima possibile la Serendipity. La sua passeggera, adagiata sul sedile posteriore, era immobile. Troppo, per una bambina di quell'età.

    La Serendipity aveva attraccato in porto due giorni prima, e Tasha era andata con i bambini della sua classe a vederla. Una grande nave ospedale, ancorata nel canale del Mozambico in attesa di poter soccorrere gratuitamente chiunque ne avesse bisogno. Avevano persino avuto l'opportunità di salire a bordo per qualche minuto, e parlare con una delle infermiere in servizio.

    Al ritorno in aula i piccoli avevano riprodotto l'imbarcazione nei loro disegni, e lei ne aveva approfittato per fare lezione su solidarietà e volontariato.

    Era stata quella la prima volta in cui Tasha aveva iniziato a preoccuparsi per Abeje. Per quanto cercasse di non avere preferenze per nessuno dei suoi alunni – perché tutti gli orfani della sua classe erano ugualmente speciali, brillanti e curiosi – Abeje era la sua pupilla. Era diversa. Orfana dalla più tenera età dopo la morte prematura dei suoi genitori, non aveva conosciuto altra casa se non il Sunshine Children's Centre. Non aveva mai avuto una vera famiglia, ma era in gamba e intelligente. Una vera pensatrice. Una filosofa. E voleva diventare medico.

    Le somiglianze tra loro avevano colpito Tasha profondamente. Riconosceva quella luce negli occhi, quella voglia di conoscere, di imparare e di fare bene. E il suo desiderio più grande era far capire ad Abeje che avrebbe potuto diventare chiunque volesse, perché lei l'avrebbe aiutata. Se avesse inseguito la sua passione, avrebbe potuto conquistare il mondo.

    Ma il giorno della visita alla Serendipity, proprio quando Tasha si sarebbe aspettata di vedere Abeje eccitata, la ragazzina le era sembrata giù di tono come non mai. Stanca, moscia. E aveva continuato a lamentarsi per il mal di testa.

    Tutti i suoi allievi si ammalavano, era inevitabile. Quindi, quando il giorno dopo Abeje non si era presentata a scuola, Tasha aveva immaginato che si fosse presa un giorno di pausa per recuperare le forze. Sapendo che era senza genitori, aveva pensato di andare a trovarla, e così lungo la strada le aveva comprato un mazzo di fiori. Giusto per farle capire che c'era qualcuno che la pensava e si preoccupava per lei.

    Ma nel momento in cui aveva visto Abeje sdraiata a letto, tutta sudata e mezza addormentata, si era immediatamente resa conto che c'era qualcosa che non andava. Così l'aveva caricata in fretta e furia sul fuoristrada per portarla sulla nave ospedale.

    Il veicolo urtò una buca, sobbalzando. Abeje gemette. Tasha si voltò verso di lei per darle una rapida occhiata. La ragazzina era in un bagno di sudore.

    «Non siamo lontani, tesoro. Su, resta con me!»

    Aveva in mente tutte le peggiori patologie che ricordava di aver studiato nei libri all'università. Meningite. Encefalite. Magari un'infezione derivante dall'acqua...

    Si accorse di essere in prossimità del porto dall'atmosfera intorno a sé. Il caldo, l'umidità, la polvere. L'odore del pescato della mattina che veniva scaricato dalle barche in quel momento. E poi ovunque intorno a lei cesti di frutta, di carne, galline in gabbia che sbattevano le ali, agitate.

    Andò avanti, decisa, mordendosi un labbro. Mancava poco ad arrivare alla nave ospedale. Era vicina e lontana al tempo stesso. Ma l'auto era circondata da una folla immensa e stentava a proseguire.

    Sbuffando, spense il motore, si infilò le chiavi in tasca, sollevò Abeje tra le braccia e cominciò a farsi strada a piedi tra la gente.

    «Scusate... permesso! Fatemi passare.»

    All'improvviso si trovò davanti allo scafo, e corse su per la scaletta con il viso madido di sudore. Il fresco all'interno della nave le sembrò una benedizione. Si concentrò, cercando di ricordarsi da che parte doveva andare. L'ambulatorio del Pronto soccorso doveva essere lungo il corridoio principale.

    Stringendo Abeje saldamente tra le braccia, lo percorse a passo veloce, attraversando in fretta la doppia porta che immetteva nel salone.

    «Ho bisogno di aiuto!» gridò a Maria e Rob, che stavano rifacendo un letto. «Sta male! Non so perché, ma penso che sia grave. Per favore, aiutatela!» aggiunse, deponendo la ragazzina su uno dei letti vuoti.

    I due infermieri accorsero, mentre Tasha lottava contro l'impulso di fare qualcosa anche lei, per non lasciare il suo prezioso fagotto nelle mani di due estranei.

    «Cosa sta succedendo qui?»

    Una voce maschile alle sue spalle la riscosse. Autoritaria. Inglese. Il tipo di voce che induceva a girarsi e dare attenzione a chi stava parlando. Una voce che Tasha rammentava di avere già sentito, e che la riportò direttamente alla sua infanzia.

    A quel momento. Lui. Ma non poteva essere...

    Di sicuro si sbagliava. La memoria era capace di giocare brutti scherzi, e lei aveva fatto del suo meglio per dimenticarlo. Lui. La sua esistenza. Il suo aspetto. La sua voce. La stessa che tempo prima aveva ascoltato a occhi chiusi.

    Si voltò e...

    Eccolo lì, l'uomo che una volta le aveva spezzato il cuore.

    La bocca secca per la polvere che aveva ingoiato lungo la strada, lo guardò incredula. Un rivolo di sudore le imperlava la fronte.

    Come poteva essere lui? Proprio lì, in quel luogo dimenticato da Dio?

    Erano ragazzini quando si erano conosciuti. Lei tredici anni appena. Lui tre di più. Avrebbe potuto essere semplicemente una cotta adolescenziale, senza impegno, ma Tasha ricordava fin troppo bene il dolore e l'umiliazione che aveva provato.

    «Quinn

    Il medico la squadrò da capo a piedi, corrugando la fronte. Chiaramente si stava chiedendo come facesse a conoscere il suo nome. Ma poi la sua attenzione ritornò su Abeje. «Mi dica che sintomi ha la bambina e quando ha cominciato a star male.»

    Tasha sbatté le palpebre, ancora incredula. Impossibile che lui fosse lì. Di tutti i posti del mondo, proprio su quella nave!

    Come un automa, senza riuscire a smettere di fissarlo, relazionò i sintomi di Abeje in tono piatto.

    Quella situazione era semplicemente assurda, pensò. La scatola in cui lo aveva rinchiuso fino a quel momento, insieme a tutto ciò che provava per lui, si stava riaprendo, lasciandole sul cuore una scia di cicatrici.

    La ragazza alta e bionda che aveva appena fatto capolino nell'ambulatorio aveva qualcosa di stranamente familiare, ma Quinn non aveva tempo adesso di capire perché. Era convinto di conoscere la maggior parte degli inglesi che stavano a Ntembe, ma evidentemente si era sbagliato.

    Che fosse una nuova arrivata? Aveva i capelli ricci e biondi, occhi azzurri profondi e un sacco di lentiggini sul naso. Deliziosa.

    Non poteva pensare a lei ora, però. Non era lei la persona da soccorrere, ma la ragazzina che giaceva incosciente sul letto, di cui non sapeva nemmeno il nome.

    Quinn si infilò lo stetoscopio nelle orecchie e cominciò a visitarla. Doveva avere circa sei anni e sembrava leggermente sottopeso. Aveva quaranta di febbre, era sudata e aveva i brividi. Tutti sintomi di una semplice influenza.

    «Ha vomitato?» chiese, pensando che potesse trattarsi di malaria.

    La bionda scosse il capo. Sembrava terrorizzata. «Non lo so.»

    «C'è qualcosa della sua storia famigliare che dovrei sapere?»

    Di nuovo la giovane scosse la testa. «Non lo so.»

    «Le avete dato qualcosa?»

    Gli occhi azzurri si riempirono di lacrime. «Mi dispiace, ma non so nemmeno questo. Sono solo la sua insegnante.»

    Quinn le auscultò il cuore. Sembrava a posto, anche se i battiti erano un po' accelerati. E il torace era libero. Le controllò gli occhi e il palmo delle mani. Il pallore e la possibile anemia gli confermarono che potesse proprio trattarsi di malaria.

    «Okay, mettiamole una flebo e facciamo un prelievo di sangue per avere conferma della diagnosi. Credo che dovremo somministrarle degli antimalarici.»

    «Pensa che abbia la malaria?» chiese la bionda con voce rotta.

    «Pare di sì. Gli esami del sangue ce lo confermeranno. Lei è la sua maestra?»

    La donna si strinse tra le braccia. Sembrava spaventata, nervosa. «Sì.»

    «Qualche altro bambino è malato?»

    La giovane scosse la testa. «Non penso, ma non ne sono certa. Non lo so.»

    C'erano un sacco di cose che non sapeva. Ma Quinn non ce l'aveva con lei. Non era la prima volta che in Pronto soccorso arrivava un paziente di cui nessuno sapeva niente.

    «Posso sedermi accanto a lei?»

    «Ha preso le compresse anti-malariche prima di venire qui?» le chiese.

    La bionda annuì.

    «Va bene, allora può restare.»

    I suoi occhi avevano qualcosa di familiare. Azzurri come l'oceano e altrettanto profondi, con ciglia folte e scure. Dove li aveva visti prima? Le porse la mano, determinato a scoprirlo. «Dottor Quinn Shapiro.»

    «Tasha Kincaid» rispose lei, esitando a stringergliela. Sembrava quasi che stesse toccando un serpente velenoso pronto a morderla.

    Tasha Kincaid. Il nome non gli diceva niente. Che si fosse sbagliato? In fondo chissà quante bionde con gli occhi azzurri aveva visto in vita sua...

    Però lei sembra conoscermi...

    «Piacere.»

    La ragazza lo guardò in modo strano, con aria interrogativa, sorpresa. «Piacere mio.»

    Era davvero un piacere incontrarlo? Proprio lui, Quinn Shapiro, a bordo della Serendipity? Tra tutte le navi ospedale nel mondo, possibile che fosse proprio lì? In Africa? Nemmeno a farlo apposta...

    Tasha non voleva pensare a quello che le aveva fatto. A ciò che le aveva detto. A come l'aveva fatta sentire. Piccola. Senza importanza. Disgustosa. Le ci erano voluti anni per seppellire tutto dentro di sé e recuperare un po' di autostima. Perché a quel tempo era stata in un'età fragile, vulnerabile. Ma alla fine ci era riuscita, adottando lo stratagemma di fingere che non fosse mai successo niente.

    Seduta al capezzale di Abeje, ora addormentata, Tasha le strinse una mano tra le proprie. Era bollente. Il suo piccolo corpo stava combattendo una battaglia dall'esito ancora incerto. I risultati degli esami del sangue avevano confermato la diagnosi di malaria.

    «Non osare lasciarmi» le sussurrò all'orecchio, come se bastassero quelle parole a infondere un po' di spirito combattivo nella piccola. «Mi senti? Devi lottare. Devi farcela!»

    «Come sta?»

    La voce di Quinn alle sue spalle la fece scattare in piedi, il cuore che le galoppava nel petto, le guance arrossate. Si voltò a guardarlo, resistendo alla tentazione di inveirgli in faccia. Di umiliarlo. Di metterlo in imbarazzo, proprio come aveva fatto lui con lei tanti anni prima.

    «Dorme» mormorò.

    «Ottimo. Ha bisogno di riposo.»

    Sì, e anch'io, pensò Tasha. Ma in quel momento non poteva permettersi di cedere alla stanchezza e alla paura. Il suo corpo stava di nuovo rispondendo in modo inconsulto alla presenza di Quinn Shapiro, come se si fosse completamente dimenticato della sua decisione di non essere mai più attratta da lui.

    Chi l'avrebbe mai detto che il corpo umano potesse essere così traditore? A quanto pareva,

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