Pensieri dalla nebbia
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Info su questo ebook
Improvvisamente il veicolo si ferma, e così anche il tempo. Il motore è andato, e ci siete soltanto voi con le mani sul volante. Per qualche motivo sapete che l’orologio non supererà mai le 05:00; il telefono non ha campo, siete incastrati lì senza nessuno che possa soccorrevi, probabilmente in eterno. Scendete dalla macchina e vi guardate attorno, ma tutto quello che vedete è il bianco nulla. Volgete lo sguardo alla vettura, poi alla strada, poi a qualcosa che non trovate. Probabilmente l’ansia sta corrodendo il vostro stomaco, poiché spera che una forma di vita senziente si materializzi dalla nebbia, ma allo stesso tempo il cuore si accartoccia e prega che non ci sia alcun essere vivo nel raggio di chilometri, dato che la paura gorgogliante in fondo alle viscere potrebbe causarvi facilmente un infarto. “Forse, se insistessi, la macchina potrebbe ripartire”. “Forse, se camminassi qualche metro più avanti, troverei una stazione di servizio e potrei chiamare un carro attrezzi”. “Forse, se aspettassi, qualcuno verrebbe a salvarmi”. Quante possibilità.
Siete voi, l’automobile, e i vostri contrastanti pensieri generati da una condizione atmosferica.
Chiamatela nebbia, se volete. Io lo chiamo dubbio».
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Anteprima del libro
Pensieri dalla nebbia - Valerio D'Elia
Ringraziamenti
Introduzione dell'autore
Pensieri dalla nebbia
si propone di trattare l’origine, lo sviluppo, e la risoluzione della condizione mentale del dubbio, particolarmente applicato alle relazioni di coppia, attraverso la raccolta di dieci brevi narrazioni. I testi seguono lo stile di un flusso di coscienza prosato
, e tentano di affrontare l’argomento secondo una visione puramente soggettiva.
La mia intenzione è creare un’opera dallo stampo prettamente emotivo, ragion per cui logica ordinaria, eventi, e personaggi risultano piuttosto astratti e messi in secondo piano rispetto a pensieri ed emozioni: l’attenzione viene difatti focalizzata sul messaggio.
Ogni racconto è dotato di un titolo e un sottotitolo numerato. Il titolo rappresenta il nome proprio del racconto mentre il sottotitolo, accompagnato dal numero, indica quale stadio del dubbio stiamo affrontando.
I racconti sono autoconclusivi, e per questo relativamente sconnessi tra di loro. L’unico, vero filo conduttore è rappresentato da un ordine numerato che indica lo stadio del dubbio di riferimento, come detto sopra. Benché ogni storia indichi una specifica tappa del percorso verso la risoluzione, ciò non vuol dire che non possa essere decontestualizzata e commentata singolarmente. La parola autoconclusivi
è usata con una certa riserva, in quanto i finali risultano volutamente aperti. Questo perché ho voluto seguire una precisa filosofia dell’interpretazione, ben esplicabile con una metafora:
La scrittura può essere invero paragonata all’acqua che scorre nelle giunture delle mattonelle; le parole fanno da margine e linea guida, ma è il pensiero a decidere dove fluire e quale percorso imboccare.
L’obiettivo principale di quest’opera, senza mettere da parte l’intrattenimento, è quello di generare lo stesso dubbio affrontato e di stimolare pensiero critico ed obiezioni nel lettore, poiché è attraverso la capacità di astrazione che si può evolvere l’interiorità e costruire gli strumenti necessari per cambiare prospettiva.
Concludo con un’osservazione: il dubbio è proprio della vita, e decisamente non confinabile alla socialità. Il mio consiglio allora è quello di lasciar fluire i vostri pensieri tra quelle giunture, riguardandovi dal costruire delle dighe che condannano l’interpretazione ad essere una mera attività dal senso unidirezionale.
A Denise, che sciolse le catene ai demoni interiori per farmi danzare con loro.
Ne ero terrorizzato, allora lei afferrò la mia mano.
Mi insegnò i passi, il ritmo, il galateo. Infine li liberò.
E fu il ballo più bello della mia vita.
"Mi basta essere afflitto da un conflitto interiore,
che mi tiene per ore a pensare al modo migliore di vivere"
Il Conflitto – Michele Salvemini (in arte Caparezza)
La pioggia e l'ombrello
1 - Dubbio
Ricordate la prima volta che avete visto la neve? Io sì.
Avevo circa dieci anni, e i miei mi portarono in Basilicata solo per vederla: programmarono la gita in una giornata e partimmo all’alba. Era la prima volta che i polmoni assaggiavano l’aria di montagna e fui colpito dalla sua purezza, con l’annesso mal di testa d’alta quota. Durante il tragitto per la vetta, nella mia capacità di meraviglia infantile, non potevo fare a meno di rimanere a bocca aperta guardando le decine e decine di greggi di pecore, mucche ed altri animali da pascolo, elementi quasi totalmente assenti nella mia realtà marittima pugliese. Dopo interminabili ore di viaggio giungemmo infine nei pressi di uno sperduto, bellissimo, semplice ristorante tra le vette. Scesi dalla macchina accompagnato dal suggestivo rumore emesso dal manto bianco sotto gli stivali, e subito creai una palla. La prima palla di neve della mia vita, che si schiantò sull’erba poco lontano.
Loro erano lì, a guardare il proprio figlio sorridere con ingenua sincerità, con quella felicità che si accontenta di poco.
Presi poi lo slittino rosso e giallo dal portabagagli e mi diressi incautamente sulla prima collinetta bianca che vidi. Montai sul rozzo veicolo ed iniziai un’euforica discesa ad una velocità inaspettata.
Pochi secondi dopo, mentre scivolavo inesorabilmente verso un tratto di neve assente che formava una buca, mi resi conto di aver perso il controllo dello slittino.
Non andò molto bene. Feci un capitombolo rotolando a più riprese, e persi gli occhiali nella morbida coltre. Il ghiaccio penetrò facilmente nel giubbotto e nei pantaloni.
È stato proprio in quel momento, mentre ero a pancia in su e il sole di mezzogiorno trafiggeva gli occhi nudi senza lenti, che iniziai a sentire una specie di filastrocca.