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E-book470 pagine6 ore

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ROMANZO (339 pagine) - FANTASCIENZA - Alla fine del ventunesimo secolo la Rivoluzione Francese viene studiata riprendendone gli eventi tramite una cinepresa temporale. E forse ha ancora il potere di cambiare qualcosa.

Era chiamato "Gatto di Schrödinger" ed era, alla fine, una telecamera puntata sulla storia. Per usarlo occorrevano conoscenze tecniche, abilità cinematografica, e conoscenza del periodo storico che si voleva riprendere: e Massenzio, studente italiano nella Parigi del 2089, sembra essere il candidato ideale. Ma mentre vive, letteralmente in presa diretta, gli ultimi giorni del grande artefice della Rivoluzione francese, Robespierre, i giorni in cui i grandi ideali vengono spezzati dalle forze di marea del dissidio interno, della lotta per il potere, dagli interessi personali, Massenzio non può smettere di chiedersi chi sia il misterioso mecenate che gli ha messo a disposizione risorse tanto preziose, e quali siano in realtà i suoi scopi.

Franco Ricciardiello, nato a Vercelli nel 1961, scrive e pubblica fantascienza dal 1981. Ha pubblicato due romanzi su "Urania", "Ai margini del caos", vincitore del premio Urania nel 1998 uscito anche in Francia da Flammarion, e "Radio aliena Hasselblad", nel 2002. Suoi racconti sono stati inclusi nelle antologie bestseller Millelire di Stampa Alternativa. Negli anni ottanta ha collaborato e diretto la fanzine "The Dark Side". Più recentemente ha scritto anche gialli, vincendo nel 2002 il premio di narrativa poliziesca Orme Gialle e nel 2005 il premio Gran Giallo Città di Cattolica. Nel 2007 col romanzo "Autunno Antimonio" ha vinto il premio Delitto d'Autore.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2016
ISBN9788865309117
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    Anteprima del libro

    Termidoro - Franco Ricciardiello

    a cura di Silvio Sosio

    Franco Ricciardiello

    Termidoro

    Romanzo

    Prima edizione ottobre 2016

    ISBN 9788865309117

    © 2016 Franco Ricciardiello

    Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0

    Font Fauna One by Eduardo Tunni, SIL Open Font Licence 1.1

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Indice

    Il libro

    L'autore

    Termidoro

    1.1

    2.1

    1.2

    2.2

    1.3

    2.3

    1.4

    2.4

    1.5

    2.5

    1.6

    2.6

    1.7

    2.7

    1.8

    2.8

    1.9

    2.9

    1.10

    2.10

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

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    Il libro

    Alla fine del ventunesimo secolo la Rivoluzione Francese viene studiata riprendendone gli eventi tramite una cinepresa temporale. E forse ha ancora il potere di cambiare qualcosa.

    Era chiamato Gatto di Schrödinger ed era, alla fine, una telecamera puntata sulla storia. Per usarlo occorrevano conoscenze tecniche, abilità cinematografica, e conoscenza del periodo storico che si voleva riprendere: e Massenzio, studente italiano nella Parigi del 2089, sembra essere il candidato ideale. Ma mentre vive, letteralmente in presa diretta, gli ultimi giorni del grande artefice della Rivoluzione francese, Robespierre, i giorni in cui i grandi ideali vengono spezzati dalle forze di marea del dissidio interno, della lotta per il potere, dagli interessi personali, Massenzio non può smettere di chiedersi chi sia il misterioso mecenate che gli ha messo a disposizione risorse tanto preziose, e quali siano in realtà i suoi scopi.

    L'autore

    Franco Ricciardiello, nato a Vercelli nel 1961, scrive e pubblica fantascienza dal 1981. Ha pubblicato due romanzi su UraniaAi margini del caos, vincitore del premio Urania nel 1998 uscito anche in Francia da Flammarion, e Radio aliena Hasselblad, nel 2002. Suoi racconti sono stati inclusi nelle antologie bestseller Millelire di Stampa Alternativa. Negli anni ottanta ha collaborato e diretto la fanzine The Dark Side. Più recentemente ha scritto anche gialli, vincendo nel 2002 il premio di narrativa poliziesca Orme Gialle e nel 2005 il premio Gran Giallo Città di Cattolica. Nel 2007 col romanzo Autunno Antimonio ha vinto il premio Delitto d'Autore.

    Dello stesso autore

    Franco Ricciardiello, Fronte interno Robotica.it ISBN: 9788865307373 Franco Ricciardiello, La scala d'oro Robotica.it ISBN: 9788865308509

    1.1

    E che dire della sconsolante morte del marinaio Vakulinčuk? E perché questa frase continua a girare nella testa di Massenzio Manns come il ritornello di una canzone di Dalit Devi? I suoi passi battono un tempo di 4/4 per le strade del XIII, oggi è il primo giorno di Parigi finalmente libera dal traffico privato. 18 novembre 2088, mancano poco più di sei mesi al trecentesimo anniversario della Rivoluzione, ogni spazio libero della città è occupato dalle facce degli aspiranti Protagonisti, che qua in rue de Tolbiac sono alte come i frontali dei palazzi.

    L’autunno apre con brevi colpi di vento le falde del carlango blu petrolio di Massenzio, e gli ricorda che deve ancora votare le condizioni atmosferiche per la settimana prossima. Come è strano vedere queste strade senza il consueto traffico di automobili private. Un grosso tram snodato di un lucido colore lavanda percorre silenzioso il centro della carreggiata, preceduto dal sottile bip-bip del segnale acustico. I Protagonisti fanno l’occhiolino dagli oled sulle sue fiancate; sullo sfondo il trambusto dei primi passi della Rivoluzione, trecento anni fa.

    18 novembre 2088, Parigi è riconsegnata nelle mani dei flâneurs e Massenzio Manns è felice anche se ha solo venti anni.

    E che dire della sconsolante morte del marinaio Vakulinčuk?

    Massenzio solleva il braccio sinistro e passa le dita nella parte interna della manica del carlango. Il menu appare sul tessuto, lui sfoglia rapidamente gli indici e vota: 12° C – Tempo di Tormenta – Senza precipitazioni, poi controlla l’andamento delle scelte: solo 35% di preferenze per il cielo coperto, se continua così la settimana prossima sarà di nuovo sereno. Tanto peggio: i francesi non riescono a apprezzare l’incanto di Parigi nel clima rigido.

    Un lampo abbagliante negli occhi, Massenzio ha attraversato senza accorgersi uno schermo molecolare, ma perché fluttua così basso? Alza la testa verso l’immenso rettangolo che inizia all’altezza del suo naso e termina dieci metri più in alto, in corrispondenza delle mansarde di rue de Domrémy. Una bellissima gazzella di spalle si volta di tre quarti per osservarlo quaggiù ai suoi piedi, anche se lei esiste solo dal girofianchi in su, sorride appena e gli strizza l’occhio. Tra sei mesi potrebbe essere vestita da cameriera, con cuffia di cotone e una di quelle larghe gonne che coprono fino alla caviglia, in punta di piedi dietro gli artiglieri che pigiano la polvere da sparo nei cannoni puntati contro la Bastiglia.

    Beata lei.

    Beata lei? Davvero Massenzio la pensa così? L’atteggiamento degli studenti universitari verso I Protagonisti si potrebbe definire scetticismo disinvolto, ma è convinto che molti fra i suoi compagni di studi stiano partecipando alle selezioni senza dire nulla.

    Altro colpo di vento, una vibrazione gli solletica l’avambraccio sinistro, il volto di Hervé Harouard si materializza sulla manica del suo carlango. Massenzio tocca con un dito il colletto dell’abito.

    – Max, dove sei? – la voce di Harouard lo raggiunge, il suo ritratto muove le labbra sul tessuto della manica. – Grandi novità. Ho bisogno di mostrarti una cosa. Diciamo che è un regalo.

    – Un regalo? Per me? Quando mai mi hai regalato qualcosa?

    – Un regalo per te, per me e per molti altri. In questo momento mi trovo a Bercy, tu dove sei?

    – Dall’altra parte, sulla Rive gauche. Si tratta di una cosa urgente?

    – Prevedo che ti inginocchierai davanti a me e mi bacerai la mano. Sappi che non sono un fanatico dell’amor cortese.

    Un altro tram supera silenzioso e bellissimo l’angolo di strada dove cammina Massenzio. Chissà se prima o poi rimuoveranno tutti i marciapiedi di Parigi, ora che senza il traffico privato hanno perduto la loro funzione?

    – Ho lezione fra trenta minuti, – sospira Massenzio.

    Non ha nessuna voglia che Harouard gli proponga qualche distrazione acida, manca solo un mese all’esame di Cinematica dei fatti economici.

    – Allora dammene venticinque, di minuti: sempre ammesso che poi ti ricordi ancora di avere una lezione, dopo il mio regalo.

    Massenzio sospira. – Aspetta, abilito il navigatore.

    Sente la vibrazione al gomito destro. Bene, almeno per raggiungere Harouard deve attraversare l’Università. Non c’è nulla a Parigi che lo attragga come l’Università Paris-XIII. Il gomitolo di strade di pietra del quartiere si allarga improvvisamente in vista della Senna, davanti ai suoi occhi rimangono quattro alte torri di vetro con profilo a L, agli angoli di una vera e propria foresta di conifere in miniatura. La vecchia Bibliothéque de France. Le sommità degli abeti quasi centenari si affacciano di parecchi metri sopra il piano stradale, ma immergono le radici un piano più sotto, sul fondo di una depressione rettangolare diventata un bosco attraversato da sentieri. Massenzio si affaccia dalla terrazza intorno al perimetro della foresta, all’ombra di una delle torri. Il suo gomito vibra gentilmente per invitarlo a girare intorno, invece lui scende con la piattaforma a levitazione fino al livello del bosco, e si incammina fra i tronchi giganteschi.

    Qui sotto non ci sono schermi molecolari, naturalmente: è il mondo delle conifere, con il suo pungente odore verde nel cuore di Parigi. Coppiette di studenti stanno fornicando a pochi passi dai sentieri battuti, su letti di aghi di pino, coricati su mantelli distesi con cura nel sottobosco. C’è persino una palafitta sospesa come una casa giocattolo tra due tronchi centenari, di notte diventa una piccola brasserie affollata di studenti che sembrano non avere bisogno di concentrazione per gli esami del giorno dopo.

    All’uscita dal parco, il gomito di Massenzio vibra di nuovo per convincerlo a attraversare il ponte pedonale verso l’altra riva della Senna. Un nastro trasportatore scavalca il breve percorso a arco sospeso sopra il fiume, ma come al solito Massenzio cammina con i suoi piedi. Un vero flâneur d’altri tempi. Su un lato e sull’altro il passaggio è fiancheggiato dalle immagini di parigini di trecento anni fa che trascinano cannoni verso la Bastiglia. Per fortuna manca il sonoro, altrimenti sarebbe come trovarsi direttamente all’interno di una battaglia. Ogni pochi passi compare davanti ai suoi occhi il volto sorridente di uno dei candidati Protagonisti, Massenzio non ha mai imparato i loro nomi. Entro pochi mesi saranno comunque sulla bocca di tutti. Le selezioni inizieranno con l’equinozio di primavera e termineranno il solstizio d’estate, e dopo due settimane trenta Protagonisti, quindici ragazzi e quindici gazzelle, si troveranno a affrontare ogni giorno per un intero anno le disavventure di Parigi nel 1789.

    Cosa dire, se non E che dire della sconsolante morte del marinaio Vakulinčuk?

    Massenzio è sicuro che sarebbe possibile, con il software adatto, fare muovere qualche ipotetico futuro Protagonista non per le strade di Parigi nel 1789, ma sulla scalinata di Odessa insieme alla popolazione che scende a festeggiare i marinai insorti, oppure nei fantastici palazzi cartaginesi di Cabiria o sul veliero a fianco di Nosferatu il vampiro, o ancora per esempio sotto il rogo di Rouen per assistere alla passione in bianco e nero di Giovanna d’Arco.

    I Protagonisti del grande Cinema del secolo scorso. Questo è il protagonismo che gli interesserebbe davvero, non una sottospecie di reality per ragazzini vestiti con culottes e cuffiette di trine. Muoversi sul ponte del Principe Potaëmkin, nel bianco e nero contrastato di Ejženstein, ammucchiare i proiettili sul telo dietro i cannoni da marina, pronti per lo scontro con la squadra navale dell’Ammiraglio che arriva a stroncare la rivoluzione in un bagno di sangue.

    Massenzio raggiunge la Rive droite proprio al centro dei giardini di Bercy, nel momento esatto in cui Hervé Harouard arriva a passo disinvolto nel suo trench color sabbia, i capelli spettinati dal vento. Si abbracciano come se non si fossero visti l’ultima volta appena tre giorni prima nella mensa universitaria.

    Harouard osserva per un secondo il volto di tre Protagonisti che sorridono con fantastici denti bianchi dalla superficie curva di una panchina sagomata, prima di appoggiare le chiappe sulle loro belle facce.

    – Quando questa cosa avrà inizio, non sarà mai troppo presto, – commenta.

    Alla Paris-XIII è di moda esibire un certo scetticismo pubblico verso I Protagonisti.

    Massenzio lo osserva con le mani in tasca, una folata di aria fredda scende lungo la scalinata che porta al quai. Ma la settimana prossima vinceranno i buonisti del bel tempo, ne è convinto.

    – Ho lezione tra undici minuti, – dice. – Tu non vieni?

    – Impaziente. Irrequieto. Irreprensibile. Sai chi ho riconosciuto oggi su una di queste réclame? La Giovanna-d’Arco-del-Corno-d’Africa, quell’eritrea del tuo corso di Cinematica sociale che ha interpretato Jenny dei pirati nell’Opera da tre soldi.

    Massenzio alza un sopracciglio. Ha capito a chi si riferisce, la gazzella è l’erede di qualche dinastia Afar o Issa che in un intero anno di corso di studi non ha mai sorriso una volta. A parte il colore, i suoi lineamenti sembrano davvero quelli della statua della pulzella vicino al giardino delle Tuileries.

    Si stringe nelle spalle.

    – Non siamo certo immuni dalle tentazioni, – commenta. – Anzi, sono convinto che troppi all’Università dicono di aborrire I Protagonisti semplicemente perché non sono stati ammessi alle selezioni.

    Harouard lo osserva con un sorriso enigmatico, dal basso in alto; una striscia di sole slavato si affaccia dal cielo e lo costringe a socchiudere le palpebre.

    – Tu compreso, Manns?

    Massenzio schiarisce la gola. – Come dici?

    – Massenzio Manns, anche tu ti sei candidato alle selezioni per I Protagonisti?

    Massenzio incrocia le braccia, ma non può nascondere il rossore al collo e alle guance. – Ascolta: adesso devo tornare a lezione, non voglio perdermi l’inizio.

    L’amico apre le braccia e solleva le mani in un gesto di resa.

    – Non volevo offenderti, Manns, sei permaloso, – poi vedendo che Massenzio gira sui tacchi per tornare sull’altra riva del fiume, infila la mano in tasca e ne estrae un oggetto. – Era solo un prologo per introdurre la sorpresa del mio regalo.

    Irritato, Massenzio lo guarda allungare la mano verso di lui. Sul palmo tiene un astuccio quadrangolare lungo circa 20 cm, potrebbe contenere una di quelle inutili penne a sfera che colleziona sua madre; anzi, nel guardarlo è proprio convinto che il regalo di Harouard sia una fottuta stilografica.

    Non è quello che pensi tu, – Hervé Harouard previene la sua irritazione. – Siediti qui con me, lontano da occhi indiscreti, e controlla.

    Massenzio si volta verso le quattro torri dell’Università sull’altra riva della Senna. Perché deve sempre esserci qualcuno che tenta di deconcentrarlo? La ragione per cui è venuto a studiare qui a Parigi è la volontà di allontanarsi dalle distrazioni di casa, e invece ci ricasca sempre. È il suo destino? E che dire della sconsolante morte del marinaio Vakulinčuk?

    Gli scappa da ridere.

    L’astuccio che Harouard gli consegna con precauzione è leggermente freddo al tatto; ha una sezione quadrata delle dimensioni di un mignolo, e non assomiglia a nulla che Massenzio abbia mai tenuto in mano fino a questo momento. Non ha idea di cosa si tratti, e non gli è di aiuto la scritta in ideogrammi in cinese semplificato che appare sulla custodia: Dàxuéshì Xīhăi, che come tutti sanno è l’azionista di maggioranza della Paris-XIII.

    Harouard ostenta indifferenza, ma Massenzio crede di percepire un’attesa per la sua reazione.

    L’astuccio contiene uno stilo sagomato. Per una frazione di secondo gli ricorda davvero una penna a sfera, anzi forse è più simile a un arnese da enoteca; nella sezione più spessa, al centro, contiene una sfera argentata con una finestrella trasparente delle dimensioni di un’unghia, e la parte inferiore è dotata di rilievi sottili e resistenti come le ali di una freccetta, di quelle da tirare contro una sagoma di sughero.

    L’attenzione di Massenzio è attirata dall’apertura al centro della sfera, avvicina l’oggetto agli occhi per vedere meglio all’interno e…

    – Oh mio dio, – balbetta quando di rende conto di cosa tiene in mano. Sente un brivido gelido alla base del collo e poi giù lungo le braccia. Il suo sguardo cade come in un vortice nel buco nero probabilistico all’interno della sferetta. – Oh mio dio.

    Harouard riprende dalle sue mani l’oggetto, che all’improvviso sembra scottare.

    – Sei il solito attore di cinematografo, Manns, – lo rimprovera bonariamente, ma non si può dire che nemmeno lui sia completamente disinvolto con lo stilo in mano.

    – Quello è un gatto di Schrödinger! – trova la forza di dire Massenzio mentre Harouard lo rimette nell’astuccio. – Dove diavolo hai preso un gattino? E cosa hai intenzione di…

    – Oh, non sarò io a usarlo. Come potrei? Tra noi due, l’esperto di cinema non sono certo io.

    – Aspetta. Fermo un momento, – senza neppure accorgersene, Massenzio ha davvero dimenticato l’inizio della lezione. – Ora devi spiegarmi come ti sei procurato quel… Cosa ci fai con un gattino in tasca?

    Harouard piega la testa all’indietro sull’orlo superiore della panchina, quasi a contatto con la superficie alle sue spalle su cui si avvicendano le immagini dell’89: fantasmi di parigini vissuti e morti da tre secoli, riesumati dal pozzo senza fine del tempo. Grazie a una serie di gatti di Schrödinger come questo.

    – Una cosa alla volta, Manns. Ormai la tua lezione è perduta, di conseguenza non hai più fretta. Ti prego di rispondere alla mia domanda: hai partecipato alle selezioni per I Protagonisti?

    – Sì! Cioè, volevo dire no. Ma che importanza può avere?

    – In effetti, ho immaginato che come migliaia di altri avessi tentato anche tu la fortuna. Andiamo, Manns: non sono certo qui per giudicarti. Sei uno dei più brillanti allievi della scuola di cinematografia, come potresti resistere al richiamo della più grande produzione video della storia?

    – Un momento, se mi sono candidato è solo perché è un’occasione irripetibile di entrare…

    – Di entrare nella produzione di un reality, certo. Lo sappiamo che quello che ti interessa non è la recitazione, ma il meccanismo della finzione.

    – Il meccanismo drammatico, l’elemento estetico, l’immagine in movimento: di certo non questo puerile divismo personale.

    – La pensiamo in maniera uguale. E per fortuna non siamo i soli, Manns; – Harouard estrae di nuovo l’astuccio del gatto di Schrödinger dalla tasca per posarlo sulla panchina, fra lui e Massenzio.

    Ovviamente questo non scatena nessun fenomeno fisico, altrimenti come avrebbe potuto Harouard portarlo fino a qui chiuso in tasca? Tuttavia, a Massenzio sembra che la superficie oled della panchina si incurvi intorno al gattino come lo spazio vicina a una singolarità.

    – Massenzio Manns, io ti offro la possibilità di utilizzare questo, – dice Harouard con gravità, e con un tono di voce più basso. La sua espressione non è minimamente contraffatta, non dimostra né più né meno dei suoi 22 anni di età.

    – Cosa… – la voce di Massenzio esce troppo stridula. – Cosa significa? – domanda.

    L’altro si rilassa, già presagisce la vittoria. – Facciamo due passi mentre parliamo, vuoi?

    Massenzio si guarda intorno.

    – E dove andiamo?

    Harouard indica con un dito l’Università dall’altra parte della Senna. – Nel dipartimento di cinematica c’è un tunnel probabilistico, – dice, e Massenzio trattiene il fiato. – Seguimi: andiamo a sparare questo gattino dritto nel culo della Rivoluzione.

    * * *

    Un tempo, anche solo cento anni fa, sarebbe stato possibile riconoscere la provenienza di chiunque dal cognome. La stessa origine semantica del nome di famiglia, quando non derivava dalle qualità estetiche o morali dei progenitori, indicava signoria feudale o luogo di provenienza. Si poteva riconoscere se il proprietario veniva dal Roussillon, dalla Lorena o dal Cotentin; oppure, nel caso dell’italiano Massenzio Manns, dal Monferrato, dal Levante ligure o dal Gargano. Il cognome Harouard era portato nell’Ile de France e nel Morbihan, mentre la sua variante Harouart nell’Oise. L’origine semantica è la stessa dell’inglese Harvard.

    Ma nel 2088 tutto è confuso, rimescolato, amalgamato e scisso. Hervé Harouard è nato a Lione, ma sua madre dalla quale ha ereditato il cognome è del Midi, e forse soltanto il padre di lei veniva davvero dalla Bretagna. Il nonno di Massenzio invece è un argentino di nascita che scelse di tornare in Italia ai primi del millennio insieme alla moglie, la cui famiglia era originaria del Piemonte; il cognome Manns passò alla figlia e da lei a Massenzio.

    Tutto è confuso nell’onomastica del mondo nuovo del 2088; l’Europa è piena di cognomi di origine magrebina o slava, mentre molti nomi di famiglia si sono estinti insieme a chi li portava. La responsabilità è della diminuzione della natalità, a causa dell’indefinito allungamento della vita media. Hervé e Massenzio e i loro compagni di studi hanno tra i 20 e i 25 anni, ma i loro genitori sono decisamente più anziani: intorno ai 65 anni. La curva della consistenza media per classe di età è un’iperbole che inizia in basso a sinistra del grafico cartesiano, e si innalza lentamente ma con costanza fino ai 67 anni, l’età portata dalla maggior parte dei cittadini europei. L’aspettativa di vita è enormemente superiore a quella del millennio che precede: malgrado la differenza di 40 anni fra lui e la madre, Massenzio sa che sono ancora in circolazione tre generazioni di suoi progenitori, anche se ha perso le tracce della maggior parte di loro.

    Negli edifici dell’università Paris-XIII, tuttavia, è difficile incontrare qualcuno che abbia più di 50 anni, professori compresi. Si tratta di una professione poco ambita, quindi riservata ai più giovani. Massenzio e Hervé salutano qualche compagno di corso che si sposta da un’aula all’altra, poi prendono un ascensore a levitazione per il dodicesimo piano. A quest’ora la torre è pressoché deserta, le aule sono tutte ai piani bassi e i dipartimenti sono chiusi, come pure le biblioteche dove i più diligenti possono tenere tra le mani un vero libro di cellulosa in lingua francese invece che leggerlo in franchinois sull’oled. Il panorama sulla città attraverso i vetri climatizzatori ha il suo fascino: il sole è quasi tramontato e dalla Senna si alza una bruma dai riflessi azzurri che deforma in maniera surreale l’aspetto di Parigi.

    Massenzio sa che quassù al 12° c’è un laboratorio che contiene un tunnel probabilistico. Non l’hai mai visto in funzione, ma gli studenti di filmica ogni tanto salgono a fare pratica di cineripresa. Tutta l’esperienza di Massenzio con i gatti di Schrödinger risale all’anno di frequenza all’università di Torino, prima che accedesse allo scambio culturale con la Paris-XIII: un premio ottenuto grazie al fatto di non avere compiuto neppure un errore durante la conduzione di almeno venti gattini. Da allora, e sono passati più di dieci mesi, non ha ancora avuto l’occasione di ricollegarsi: alla Paris-XIII la teoria cinematografica è considerata prevalente rispetto alla pratica dell’immagine filmata, che viene rimandata agli ultimi anni di corso.

    Ma qualcosa di quella sperimentazione è rimasto dentro Massenzio. La magia dell’oscurità assoluta, quando la presa neurale fonde la tua coscienza con il meccanismo. La distanza dal mondo. Il cervello non più collegato agli stimoli sensoriali esterni, bensì alle sollecitazioni inviate direttamente al sistema nervoso centrale. Lo sfarfallare dell’immagine mentre il gattino percorre a inconcepibile velocità il tunnel probabilistico, il momento nauseante del quantum leap, l’immagine del passato diventato presente che esce dalla nebbia. E poi il mondo schizofrenico, il mondo dei morti: uomini e donne ridotti in polvere da cento, duecento, duemila anni, che si muovono e vivono intorno a te, ignari della tua presenza. Puoi sentire il tepore dei loro corpi, il suono delle parole tradotte dal software, puoi assistere ai drammi della loro vita. Per i morti tu sei soltanto una mosca confusa tra milioni di altre. Come potrebbero immaginare che non si tratta di un insetto ma di un pozzo quantistico che risucchia fotoni e li trasmette sotto forma di informazione nel futuro, nel loro futuro?

    In un certo senso, da allora una parte di Massenzio vive sempre nei brevi momenti collegato al gattino: minuti di vita intorno alla cattedrale di Wittemberg, il lungo pomeriggio di Tenochtitlán, la cerimonia del tè presso il segretario di uno shōgun, la scabrosa infibulazione di una bambina Dogon. Ogni frammento di esperienza è impresso nella memoria: la differenza di proprietà della luce, una piega nel tessuto di un kimono, le mutilazioni nella carne causate da qualche guerra di mille anni fa. Per questo oggi che Hervé gli ha mostrato un gatto di Schrödinger e fatto capire che potrebbe essere lui a usarlo, gli è così facile dimenticare la lezione e ogni altra cosa.

    – Non credo si possa accedere, – dice Massenzio davanti al laboratorio chiuso, ma il suo amico avvicina il palmo della mano aperta al quadrato di vetro al centro della porta, e questa scivola di lato rientrando nella parete.

    – Che senso avrebbe proteggere il tunnel probabilistico, visto che i gattini non sono custoditi qui, ma nella cassaforte del rettorato? – dice Harouard.

    Il laboratorio è differente da quello dell’università di Torino cui Massenzio è abituato, e al tempo stesso perfettamente riconoscibile. La poltroncina del cineoperatore, che qui a Parigi chiamano pilota, è sistemata a una estremità del lungo tubo che attraversa longitudinalmente l’ambiente, evidenziato da un colore quasi fosforescente perché qui il protagonista è lui, il Tunnel. Chi ha progettato il laboratorio ha ritenuto necessario che gli studenti visualizzassero il tunnel probabilistico sotto forma di questo condotto del diametro di nove centimetri, sospeso al centro della stanza all’altezza del ginocchio di Massenzio.

    Il caricatore del gattino è ovviamente accanto alla poltroncina.

    – Aspetta un momento, – dice Massenzio. – Dove stiamo andando?

    Harouard sfoggia il suo sorriso più sibillino, come se si aspettasse questa domanda.

    – Sei stato estratto a sorte tra tutti I Protagonisti frustrati perché si materializzino i tuoi desideri, – risponde, invitandolo con un gesto circolare del braccio a sedere sulla poltroncina. – Stai per entrare nel mondo di Robespierre.

    – Smettila di dire cazzate. Dove hai preso quel gattino?

    Harouard estrae dalla tasca del soprabito la custodia con gli ideogrammi dàxué-shì-xī-hăi, la apre e contempla il congegno di metallo, come se il segreto del viaggio quantistico nel tempo fosse contenuto nella sua superficie colore dell’argento.

    – Non sai approfittare delle occasioni, – dice con voce assorta. – Allora dovrai superare un test preliminare. Dimmi, Manns, credi che io abbia partecipato alle selezioni per I Protagonisti?

    Improvvisamente Massenzio arrossisce. Comincia a irritarsi per questa insistenza a indagare nelle proprie motivazioni.

    – Non posso saperlo, – risponde asciutto. – Se ti interessa la verità, credo che qui alla Paris-XIII siano centinaia quelli che hanno inviato il curriculum, ma non lo ammetterebbero mai.

    – E per quale motivo, secondo te?

    Massenzio si stringe nelle spalle. – Snobismo? Necessità di distinguersi dalla massa?

    – Esatto, amico mio. Qui alla Paris-XIII siamo tutti gente istruita, pensiamo tutti che per trovare la propria individualità occorra differenziarsi dal gregge. Io Hervé Harouard, io Massenzio Manns sono una unità senziente. Non apprendiamo forse l’originalità? Qual è il significato semantico della parola Protagonisti, se non soggetti che prendono nelle proprie mani il destino proprio e degli altri?

    – E cosa c’è di male? – replica a voce bassa Massenzio.

    – Di male? Non c’è niente di male, in effetti. Tranne forse il fatto che il protagonismo è un’altra forma di assuefazione, di originalità obbligatoria.

    L’attenzione di Massenzio non riesce a spostarsi dal gattino di Schrödinger. Harouard estrae il congegno dalla custodia e apre con uno scatto l’otturatore del dispositivo di lancio del tunnel.

    – Torniamo alla mia domanda di prima. Credi che io abbia inviato il curriculum per I Protagonisti?

    – No, – sospira Massenzio, – non credo.

    – Indovinato. E sai questo cos’è? – l’allusione di Harouard è senza dubbio al gattino, che adesso inserisce nel caricatore del dispositivo di lancio.

    – Uno di quelli utilizzati per le riprese dei Protagonisti?

    Harouard alza un sopracciglio. – Devo constatare che non sei ancora irrimediabilmente perduto. Non è soltanto un gattino, però. Questo, Massenzio Manns, è un antidoto.

    – Un antidoto?

    – Nel modo più assoluto. Pensa alle potenzialità del mezzo: un occhio sul passato, e noi lo usiamo per un gioco di roleplay in cui adolescenti con mania di protagonismo vengono schiaffati faccia a faccia con Marat e Danton. Pensi che imparino qualcosa dalla lezione? Credo che a voi studenti del corso di cinema insegnino la fusione tra Storia e Cinematografia, ma il risultato deve per forza essere I Protagonisti?

    Il coperchio trasparente del caricatore si chiude con uno scatto. Il gattino di Schrödinger, con la sua singolarità chiusa nel cuore nero, è pronto per il lancio.

    – Noi abbiamo preparato un antidoto.

    – Noi?

    – Un antidoto contro questo spettacolo. Vogliamo mostrare le cose come erano davvero.

    – Le cose erano davvero come nei Protagonisti, – si lascia sfuggire Massenzio. – La mistificazione interviene solo dopo, nel reality.

    – Risposta sbagliata. I veri protagonisti della Rivoluzione non sono una trentina di adolescenti imbranati che vogliono mettersi alla prova con avvenimenti più grandi di loro.

    Massenzio siede sulla poltrona, la superficie si gonfia per un secondo poi si assesta per adattarsi anatomicamente. Sente il cuore accelerare in maniera appena percettibile.

    Di nuovo il viaggio con il gattino di Schrödinger. Il buio, la dissolvenza. La fusione. Storia e Cinema. Come è forte la tentazione.

    – I protagonisti veri sono Lafayette e Luigi XVI, – prosegue Harouard mentre il software di lancio carica rapidamente le coordinate contenute nel gattino. – E Marat, Danton, l’abate Sieyès, e Saint-Just. E Robespierre, soprattutto Robespierre. L’antidoto consiste nel mostrare le cose come sono, Massenzio.

    Massenzio si sente ipnotizzato dalle parole di Hervé, ha perduto la volontà di porsi domande di fronte alla possibilità di pilotare di nuovo un gattino. Solleva il braccio sinistro e avvicina l’interno della manica del carlango al dispositivo di lancio, in modo da sintonizzarsi con il software. Sente un prurito frizzante dietro l’orecchio, poi la sua vista comincia a appannarsi, come se i suoi occhi fossero uno schermo oled. La visione sfarfalla, si fa imprecisa, un velo si sovrappone tra lui e il laboratorio, sembra che qualcosa appaia dallo sfondo della realtà.

    – Che cosa vuoi da me? – riesce ancora a domandare.

    – Noi vogliamo mostrare la cose come sono, Manns. Questo è il primo di dieci gattini già programmati con coordinate a distanza di poche ore, tra il 28 e il 30 luglio 1794. Vogliamo insegnare al mondo come erano davvero le cose durante la Rivoluzione, non la sua versione edulcorata per far giocare i bambini. Il software di riconoscimento è già inserito, è quello utilizzato per riprendere l’ambientazione dei Protagonisti. Hai l’opportunità di filmare gli ultimi giorni di vita di Maximilien Robespierre. Sarà il nostro film sul Termidoro, l’antidoto ai Protagonisti.

    Massenzio non lo ascolta più. Deglutisce, e con il palmo della mano destra sfiora la superficie del dispositivo di lancio. Il gattino di Schrödinger scatta a femtovelocità nel tunnel probabilistico, e il suo cuore nero scompare da questo universo prima di raggiungere l’estremità opposta, in fondo al laboratorio.

    Massenzio avverte uno strappo, si sente attraversato dall’ondata di nausea del quantum leap, poi una visione intelligibile si condensa davanti ai suoi occhi come quasi emergesse dalle nebbie. Come di consueto, si trova sospeso in alto, a qualche metro dalla superficie della terra, più o meno all’altezza del primo piano degli edifici. Si trova sopra una via urbana, la struttura è quella del XVI o XVII secolo, c’è gente che cammina sotto di lui. Massenzio muove davanti a sé il braccio teso nel laboratorio, la mano piegata a angolo retto con il polso in avanti, poi con il movimento delle dita abbassa il punto di ripresa verso il piano della carreggiata. Qualcosa di molto simile a una mosca scende verso il piano di rue Saint-Honoré, ma Parigi nel XVIII secolo è piena di mosche.

    366, Rue Saint-Honoré, dice l’indice del software, Abitazione di Maximilien Robespierre. La guida è scritta in franchinois, con un movimento del mignolo Massenzio cambia in cinese semplificato, trova che gli ideogrammi siano di lettura molto più immediata quando è necessario prendere decisioni estremamente rapide.

    Una rotazione del polso lo conduce dentro il portone del 366, una finestra dell’edificio in fondo al cortile è evidenziata. Massenzio controlla l’ora, sono le 06:00, le sei del mattino del 28 luglio 1794. Questa davanti a lui è la camera di pensione dove Maximilien de Robespierre si è appena svegliato con una decisione fondamentale per la storia della Rivoluzione.

    2.1

    La mattina dell’ottavo giorno del mese di Termidoro, nell’anno II della Rivoluzione, Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre si sveglia con il fermo proposito di recarsi, per la prima volta da due mesi a questa parte, alla seduta della Convenzione nazionale.

    Alle sei del mattino il sole è già alto su Parigi, l’aria è soffocante come sotto il coperchio di una casseruola. Il vecchio calendario cristiano, dichiarato decaduto nell’ottobre del 1793, oggi riporterebbe la data del 28 luglio: piena estate sulla Francia settentrionale, sereno tendente al torrido. Qualcosa di inesorabile bolle in pentola. I miasmi e il calore di rue Saint-Honoré entrano a ondate di vibrazione dalla finestra socchiusa, insieme ai consueti rumori del mattino: i cerchioni di ferro delle ruote contro l’acciottolato, le grida dei venditori ambulanti di maioliche, il brusio basso delle suppliche dei mendicanti, ancora numerosi malgrado anni di interventi assistenziali della Repubblica.

    Robespierre si alza senza fatica dal materasso, si sente leggero nonostante gli angoscianti impegni della giornata. Éleonoire Duplay ha già depositato una brocca d’acqua fresca fuori dalla porta della stanza; Maximilien ne versa il contenuto nel catino smaltato per le abluzioni del mattino, un rito che considera fondamentale per la riuscita dei propositi quotidiani. Slaccia la camicia da notte e rimane a torso nudo nella sottile corrente d’aria tra la finestra e la porta socchiusa delle scale, che piacere. Si rinfresca con cura e incipria con attenzione la parrucca, la medesima che possedeva quando è giunto da Arras a Versailles cinque anni prima, sconosciuto avvocatuccio di provincia eletto agli Stati generali del regno di Francia. Rigira la parrucca sulla punta del dito e sospira di delusione: è in condizioni miserrime, infeltrita e arruffata, i capelli spezzati e consumati. Come quasi ogni giorno, si ripromette di mettere da parte quanto necessario per acquistarne una nuova. Non si illude che il suo aspetto gli conferisca qualche influenza supplementare sui deputati della Convenzione, ma nutre la convinzione che ci si aspetti da lui un rigore estremo a partire dal rapporto con se stesso, e che la sua immagine esteriore sia uno specchio virtuoso dell’immagine della Repubblica.

    La parola specchio lo costringe a alzare gli occhi sulla lastra di vetro argentato nella cornice colorata sulla parete, alle spalle del piatto da barba. Françoise Duplay,

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