Bésame mucho
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Narrativa - racconto lungo (31 pagine) - Un racconto ispirato alla canzone Bésame Mucho, ma anche alla sua autrice e compositrice: la pianista messicana Consuelo Velázquez.
Guadalajara, Messico, primi Anni Trenta del Novecento. Consuelo è una sedicenne con un grande talento quale pianista. Una dote innata, certo, ma che è anche il frutto di un quasi decennale percorso di studi e sacrifici per la musica. Alla sua adolescenza, manca però una vera e propria esperienza con i maschi della sua età. L’incontro con Antonio, un giovane intellettuale di estrazione popolare, impegnato con passione nell’esperienza della Quarta Internazionale, la porterà a conoscere una forma di amore e di desiderio. Di un bacio, almeno. Quello che non ha ancora mai dato o ricevuto.
Attraverso questo racconto di fantasia, Franco Ricciardiello omaggia Consuelo Velázquez Torres, straordinaria compositrice (ma non solo), e insieme ci riporta sagacemente in un contesto storico, sociale e umano ricco di spunti d’interesse.
Franco Ricciardiello, nato a Vercelli nel 1961, scrive e pubblica fantascienza dal 1980. Ha pubblicato due romanzi su Urania, Ai margini del caos, vincitore del premio Urania nel 1998 uscito anche in Francia da Flammarion, e Radio aliena Hasselblad, nel 2002. Suoi racconti sono stati inclusi nelle antologie bestseller Millelire di Stampa Alternativa. Negli anni ottanta ha collaborato e diretto la fanzine The Dark Side, in seguito con Intercom e Carmillaonline. Oggi scrive recensioni librarie per PulpLibri, è tra i fondatori del sito Solarpunk Italia e editor della collana Atlantis di Delos Digital.
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Anteprima del libro
Bésame mucho - Franco Ricciardiello
1. Díadelosmuertos
Appena l’oscurità precipitò su Guadalajara, come un preparato chimico in una provetta, Consuelo e le sue quattro sorelle coprirono il capo con il velo ricamato e seguirono la madre alla fermata del tranvía. Portavano candele, frutta, scodelle di riso e fagioli: offerte per i parenti morti di incidente, ai quali si rende visita il primo giorno delle celebrazioni, il 28 di ottobre. Il tranvía si fermò all’entrata del cimitero, dove c’era già una folla di cittadini con i vestiti migliori.
Era il desolato autunno del ’32. La famiglia Velázquez Torres era arrivata a Guadalajara quel giorno stesso in treno. Le carrozze passeggeri sembravano seguire il nastro di fumo che la locomotiva tracciava nell’aria trasparente delle montagne, anziché le rotaie. Tornavano per la prima volta nella città dove avevano vissuto per oltre un decennio, e dalla quale erano emigrate nella capitale federale a causa della morte prematura del padre.
Dopo il tramonto, migliaia di persone si aggiravano tra le tombe ricoperte di fiori. L’aria della notte era viola per le fiamme dei ceri. La famiglia non aveva defunti morti per accidente, ma mamma aveva insistito per cominciare a entrare nello spirito del día de los muertos. Quasi subito si alzò un vento freddo che spinse le ombre a danzare sulle croci, sui volti gialli dei devoti, sugli alberi scheletrici. Portò anche una musica lontana; prima di gelare, le donne lasciarono le offerte su tombe che sembravano abbandonate e tornarono nella casa della sorella della madre, che le ospitava per le festività dei santi e dei morti.
Il giorno successivo assistettero dal balcone di casa a una processione di maschere in strada. Da bambina, Consuelo era terrorizzata dai teschi di cartapesta del día de los muertos, dai sombreri decorati con scheletri ghignanti, dalle lampade di carta intagliate con bocche e denti e occhi a forma di croce che ciondolavano oscenamente come teste decapitate, dai penitenti delle confraternite con un cappuccio bianco a cono che lasciava scoperti solo gli occhi iniettati di sangue, dentro orbite ritagliate con le forbici.
– Consuelito, come va la scuola di musica? Ti diplomi? – si informò la zia mentre mangiavano tutte insieme huesitos de santos all’anice, sedute composte a tavola, nella luce fioca di una lampadina elettrica da poche candele. Anche zia era