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All'aurora nelle splendide città
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E-book369 pagine5 ore

All'aurora nelle splendide città

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Fantascienza - racconti (302 pagine) - Il futuro sostenibile nelle città italiane


La civiltà del futuro sarà sempre più caratterizzata dalla vita urbana. Già oggi le città ospitano metà della popolazione mondiale, e nell’affrontare il passaggio all’era post-industriale dovranno garantire un’elevata qualità della vita, ottimizzando al massimo le risorse per raggiungere la sostenibilità ambientale.

È il momento giusto perché la letteratura entri nel dibattito sulla città del futuro.

Dodici scrittori e scrittrici raccontano il futuro delle città in Italia. In nessun altro paese al mondo la storia della civiltà moderna è tanto strettamente legata alle città, che sono state culla della libertà di pensiero, di sviluppo economico, libertà, tradizione e innovazione, ricchezza attraverso la diversità. Ecco dunque dieci racconti per immaginare come si evolveranno nel ventunesimo secolo comunità urbane che hanno più di mille anni, dove si è formata una delle civiltà più splendide del mondo. Sarà un nuovo rinascimento o il viale del tramonto? Un secolo di ferro o l’ombelico del mondo nuovo? Arte, sostenibilità, trasporti, architettura, scienza, democrazia, utopia in dieci città italiane del futuro prossimo: Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia.


Franco Ricciardiello, nato a Vercelli nel 1961, scrive e pubblica fantascienza dal 1981. Ha pubblicato due romanzi su UraniaAi margini del caos, vincitore del premio Urania nel 1998 uscito anche in Francia da Flammarion, e Radio aliena Hasselblad, nel 2002. Suoi racconti sono stati inclusi nelle antologie bestseller Millelire di Stampa Alternativa. Negli anni ottanta ha collaborato e diretto la fanzine The Dark Side. Più recentemente ha scritto anche gialli, vincendo nel 2002 il premio di narrativa poliziesca Orme Gialle e nel 2005 il premio Gran Giallo Città di Cattolica. Nel 2007 col romanzo Autunno Antimonio ha vinto il premio Delitto d'Autore.

LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2022
ISBN9788825422184
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    Anteprima del libro

    All'aurora nelle splendide città - Franco Ricciardiello

    Introduzione

    Franco Ricciardiello

    Ogni previsione possibile indica che la civiltà del futuro sarà sempre più caratterizzata dalla vita urbana. Già oggi le città ospitano metà della popolazione mondiale, e nell’affrontare il passaggio all’era post-industriale, post-capitalista, post-fossile, dovranno garantire un’elevata qualità della vita, ottimizzando al massimo le risorse per raggiungere la totale sostenibilità ambientale. L’immaginario della science fiction, con il suo secolare bagaglio di utopie, è nella posizione migliore per scrutare la città del futuro, e in questo il solarpunk è la sua punta di diamante.

    La possibile organizzazione dello spazio fisico della civiltà del solarpunk sarà dominata da centri urbani, città satellite di agglomerati minori ma pur sempre urbani […] disposti lungo una piccola rete di vie di transito.¹

    Da sempre, dall’alba della civiltà, la città rappresenta il luogo privilegiato dell’utopia. Non solo la città ideale, quella che sovrani virtuosi sognavano di costruire sulle loro terre mentre scrivevano poemi edificanti, ma il centro abitato realmente esistente: la capitale dell’impero, la città-stato, la sede della signoria, il comune medioevale, spazio dell’urbanistica monumentale, dell’arte, del pensiero, della politica. La gloria della città antica – Babilonia, Roma, Costantinopoli – non è distante dalla fortuna delle città idealizzate dal pensiero – la Sparta di Licurgo, l’Atene di Pericle, la Baghdad delle Mille e una notte. Di conseguenza, anche il cammino dell’utopia è lastricato di città: realmente edificate, come Urbino, Sabbioneta, Arc-et-Senans; solo progettate, come la Sforzinda di Filarete o il piano di James Oglethorpe per Savannah; leggendarie, come Xanadu, El Dorado, Agartha, Śambhala, Shangri-La, Ciudad Vagare; immaginate dal pensiero, come la Città del Sole di Tommaso Campanella, la Città delle Donne di Christine de Pizan, la Nuova Atlantide di Francis Bacon. Il Novecento poi, con la forza micidiale del capitalismo fossile, ha moltiplicato la fondazione di città ideali: Brasilia, Chandigarh, Auroville, Nowa Huta, Abuja, le città-giardino inglesi di Letchwork e Welwyn.

    Non c’è stata epoca storica in cui la vita urbana non sia stata al centro della speculazione utopica; cultura di massa, aumento della scolarizzazione e editoria tascabile – oltre ai movimenti politici socialisti – hanno messo all’ordine del giorno il concetto di utopia.

    Naturalmente, buona parte della responsabilità è della letteratura. Una solida tradizione utopica è sempre rimasta viva in quasi tutte le narrative mondiali – e ciò è vero sino alla fine del XX secolo, perché a partire dal nuovo millennio la distopia opera, per la prima volta da quando è nata, in un contesto socioculturale senza importanti utopie, contraddistinto dall’assenza di alternative all’esistente, e dalla presenza di una chiusura ideologica globale che impedisce di immaginarle e desiderarle.²

    La città non è l’unico nessun-luogo immaginato per le società ideali; anzi, fino dagli albori le utopie urbane si contrappongono a quelle rurali; tra queste ultime, ricordiamo per esempio l’Arcadia rinascimentale, le utopie pirata di Peter Lamborn Wilson, l’Icaria di Étienne Cabet, il monte Pénglái, Mezzoramia, Libertalia in Madagascar.

    Esistono per la verità differenze non secondarie tra utopie rurali e cittadine, che Fredric Jameson ha analizzato³ utilizzando il quadrato semiotico di Greimas; la scelta tra una o l’altra conduce a conclusioni anche molto diverse:

    Immagine

    ⁴⁵⁶⁷

    Alcuni racconti della presente antologia appartengono senz’altro alla categoria utopia urbana, intesa in senso ampio; e questo in virtù del fatto che l’aggettivo sostenibile esclude il racconto distopico, che negli ultimi vent’anni vampirizzato l’immaginario fantascientifico, instaurando un monopolio sul futuro.

    La distopia perde la sua capacità di infliggere qualsiasi danno, e acquista una motivazione ludica, che le permette non solo di essere metabolizzata nel flusso sociale, senza straniamento né lacerazione, ma addirittura offerta al capitalismo per essere prima oggettivata e poi commercializzata, come merce che i soggetti possono semplicemente consumare.

    Occorre dire che molti autori che si sono cimentati con l’utopia hanno preferito un’ambientazione più vasta, un intero Stato dove città, campagna e paesaggio si compenetrano in armonia: l’isola di Thomas More, Ecotopia di Ernest Callenbach, Anarres di Ursula K. Le Guin, la trilogia di Marte di Kim Stanley Robinson. Tuttavia, nel momento di pensare a una raccolta di racconti di autrici e autori italiani ambientati nel nostro paese, mi sono reso conto che non avrei potuto prescindere da uno scenario urbano. In nessun altro paese al mondo infatti la storia della civiltà moderna è tanto strettamente legata alle città, che sono state culla della libertà di pensiero, di sviluppo economico, libertà, tradizione e innovazione, ricchezza attraverso la diversità.

    Questa antologia raccoglie quindi dieci racconti ambientati in altrettante città del nostro paese, che tentano di dare una risposta alla domanda Come saranno le città italiane del futuro? Fioriranno o entreranno in una crisi irreversibile? Si trasformeranno? Come si evolveranno nel ventunesimo secolo le città italiane, comunità urbane che hanno più di mille anni, dove si è formata una delle civiltà più splendide del mondo? Sarà un nuovo rinascimento o il viale del tramonto? Un secolo di ferro o l’ombelico del mondo nuovo?

    I racconti qui compresi non vogliono essere anticipazioni esatte, anche perché scopo della letteratura non è prevedere ciò che verrà, ma raccontare tendenze, mettere in guardia, osservare il domani per raccontare l’oggi. Il lettore non troverà anticipazioni su come si vivrà in Italia nel futuro prossimo, ma idee per una via possibile verso una sostenibilità ambientale che è ormai l’unica maniera per salvare il nostro pianeta da una catastrofe climatica irreversibile.

    È il momento giusto perché la letteratura entri nel dibattito sulla città del futuro.

    Le città di questa antologia sono:

    Bologna, raccontata da Daniele Brolli

    Cagliari, raccontata da Marco Melis

    Firenze, raccontata da Serena Maria Barbacetto

    Genova, raccontata da Irene Drago

    Milano, raccontata dal Commando Jugendstil

    Napoli, raccontata da Franco Ricciardiello

    Palermo, raccontata da Giacomo Cacciatore

    Roma, raccontata da Giulia Abbate

    Torino, raccontata da Silvia Treves

    Venezia, raccontata da Stefano Carducci e Alessandro Fambrini.


    ¹. Eric Hunting, Design e estetica postindustriale, Future Fiction, 2021. Hunting sottolinea che la nuova architettura (sempre più modulare o costruita con tecniche robotiche, come la stampa 3D su larga scala) e la vecchia architettura adattata coesisteranno in egual misura, con raffinati materiali alternativi e sostenibili. La maggior parte delle progettazioni originarie dei prodotti sarà open source. Nella fase transitoria, una sorta di crepa nella civiltà industriale, si assisterà all’occupazione e riconversione dei centri commerciali, all’abbandono dei grattacieli, all’espandersi di orti sui tetti e nei cortili. La nuova cultura postindustriale inizierà a emergere in questo periodo intermedio.

    ². Francisco Martorell Campos, Contra la distopía, La Caja Books, Valencia 2021, p. 197; citazione tradotta da Franco Ricciardiello.

    ³. Fredric Jameson, Archaeologies of the Future, Verso publ, London 2005, p. 181.

    ⁴. Lo Sprawl è un’invenzione letteraria di William Gibson, che usò questo vocabolo (il cui significato è crescita disordinata) nella trilogia di romanzi che iniziarono il movimento cyberpunk.

    ⁵. Dal vocabolario Treccani: Fondazionalismo – In filosofia, ogni orientamento volto a realizzare un progetto di fondazione. L’uso del termine si è diffuso soprattutto in connessione con gli sviluppi antimetafisici o relativistici di varie correnti della filosofia contemporanea, che mettono radicalmente in discussione la legittimità di tale progetto (e che si autoqualificano, quindi, come antifondazionaliste).

    ⁶. Dall’enciclopedia Treccani: ogni dottrina o corrente filosofica per la quale la conoscenza consiste nella ricerca di essenze intese come realtà ultime.

    ⁷. Jameson in The desire called Utopia spiega così il concetto di tematizzazione, che qui utilizza nel senso datogli dal filosofo decostruzionista belga Pal de Man: Thematization means assigning a stable figuration or symbolic expression to a system in motion; it suggests a dogmatism of the signifier for which meanings are fixed and stable, and are assigned definitive content; Tematizzazione significa assegnare una figurazione stabile o un’espressione simbolica a un sistema in movimento; suggerisce un dogmatismo del significante per il quale i significati sono fissi e stabili, e hanno un contenuto definitivo.

    ⁸. Ricardo Sánchez, La perversión distópica, Coencuentros.

    Cependant c’est la veille. Recevons tous les influx de vigueur et de tendresse réelle. Et à l’aurore, armés d’une ardente patience, nous entrerons aux splendides villes.

    Comunque è la vigilia. Riceviamo tutti gli influssi del vigore e della vera tenerezza. E all’aurora, armati di ardente pazienza, entreremo nelle splendide città.

    Arthur Rimbaud, Une saison à l’Enfer, poema in prosa, 1873

    La città cangiante

    Daniele Brolli

    You will not be able to stay home, brother

    You will not be able to plug in, turn on and cop out

    You will not be able to lose yourself on skag

    And skip out for beer during commercials, because

    The revolution will not be televised

    Gil Scott Heron

    – Dimmi, cosa vedono i tuoi occhi?

    – Un lago rossastro che ondeggia al vento. – Alva ha una pausa di incertezza. – A essere sinceri è appena una brezza, non capisco come può…

    – Non senti un suono?

    – Un fruscio… è imponente. Direi di balene che si strofinano tra loro.

    – Ma non capisci cosa sia, giusto?

    – Dovrei?– Alva, il piccolo scimmiotto emancipato, ha un’espressione smarrita. Sa che Cornelia non lo prenderebbe mai in giro, però il suo modo di scherzare gli mette insicurezza. Il retaggio di centinaia di anni di discriminazioni.

    – Usa il tuo silkpad e riprendi la scena… Poi guarda la registrazione ingrandita e rallentata.

    Cornelia si comporta bruscamente, non è un’empatica e non si preoccupa degli imbarazzi del suo timido compagno di viaggio; ma Alva preferisce così, quelli che interagiscono con gli emancipati per mestiere lo irritano. Però odia le formule retoriche con cui lei lo mette davanti a ciò che non sa, quasi che non possedere la cultura degli umani fosse sinonimo di scarsa intelligenza. Poi pensa alla parola paranoia, forse la migliore per definire i propri sospetti.

    Lo scimmiotto registra la scena, poi la osserva, allarga in dettaglio scoprendo la vera natura dei giganteschi filamenti cilindrici. – Sono centinaia di torri, ma oscillano come esseri viventi.

    – Infatti lo sono. Non esiste niente di simile in nessun altro posto al mondo.

    – Avrei dovuto saperlo?

    – No, non avresti. Ogni città ha sviluppato un suo programma per sopravvivere al collasso metropolitano e al cambiamento climatico. Alcune come Milano non ce l’hanno fatta, altre come Venezia hanno trovato una soluzione. Bologna è una di quelle che ci sono riuscite. L’ha fatto recuperando il passato.

    Sono in cima a una delle colline verdi che sovrastano la città, Cornelia fa cenno che è ora di scendere: – Volevo che avessi una visione d’insieme prima che prendessimo servizio.

    Lo scimmiotto annuisce. Risalgono sul levitante e si dirigono a valle.

    Davanti a loro ci sono due emancipati, una maialina vietnamita e un basset hound che ruota continuamente la testa da una parte e dall’altra. Fuori il canale lambisce la costruzione con un lieve sciabordio. Cornelia ha già completato le procedure di riconoscimento.

    – Un solo innocente per il responso?– la maialina osserva scettica Alva.

    – È all’oscuro di tutto, come previsto.

    – Lo sento… – e poi, in realtà rivolto alla scimmia: – potete rilassarvi.

    Nel tono del basset hound c’è una sfumatura di sarcasmo aristocratico.

    – Accompagnatrice, potete salire nelle vostre stanze – taglia corto la maialina. – Saremo noi a mettere Alva al corrente dei suoi compiti.

    L’ascensore scivola verso l’alto come se si arrampicasse all’esterno della torre con zampe minuscole. Alva è stanco, un po’ provato dal viaggio da Rende. Essere stato scelto per un compito che non conosce lo mette a disagio. Adesso sa di dover dare un parere su una controversia e che la sua valutazione sarà determinante.

    Mentre stanno per entrare nelle stanze si ferma: – Ho paura di non essere all’altezza. Non voglio sbagliare.

    – Non c’è un parere sbagliato e uno giusto. Lascia perdere i sensi di colpa, sei qui proprio perché non ti appartengono. Sei un innocente.

    – Spero sia una questione che non provochi dolore a nessuno. – Per un attimo rimpiange di non essere un semplice macaco.

    – Speriamo.

    Si ritirano nelle loro stanze.

    All’ingresso di Alva la parete esterna si trasforma in una finestra dai contorni instabili. Si vede Bologna dal centro, le sue torri e in basso i canali pieni di piccole barche in movimento. Il panorama è molto diverso da quello del suo paese, non ci sono alberi né casette a ovulo su palafitte. Mangia una banana, susine, anacardi e pistacchi che trova in una fruttiera sul tavolino. Mentre tramonta si accovaccia su una seggiola ergonomica. Il dondolio lo tranquillizza. Solo allora si chiede come mai all’interno della torre non si avverta l’oscillazione, ma finisce per addormentarsi.

    Riapre gli occhi in piena notte, assetato. Ha un soprassalto: c’è una figura luminescente seduta a fianco. Controlla istintivamente il tavolino alla ricerca di pulsanti temendo di aver acceso per errore l’IA di accoglienza.

    – Non volevo svegliarti. Non gridare, ti prego, non devono sapere che sono qui. La mia presenza non è prevista e soprattutto non sarebbe approvata.

    – Non grido, non sono quel tipo di scimmia.

    – Scusa, spero di non averti offeso.

    – No. Non sei un’IA e nemmeno un empatico. Come hai fatto a entrare?

    – Ero già dentro. Non ti hanno raccontato nulla?

    Alva allunga una mano per toccare l’interlocutore ma lo attraversa. Le dita si muovono al suo interno disegnando scie sfavillanti.

    – Era logico che cercassero un individuo privo di pregiudizio… – Ha tutto di un essere umano senza esserlo; ne conserva le forme con i contorni perfettamente levigati, quasi metallici, la vecchia rappresentazione di un androide robotico. Il volto è una maschera inespressiva. Gira la testa verso l’esterno. – Ti piace la città?

    Alva fa un cenno affermativo con la testa. Poi sbuccia un mucchietto di pistacchi e inizia a sgranocchiarli. Sente l’ansia che cresce.

    – Te ne parlo perché domattina tu non creda che sia stato un sogno. Però, se lo penserai non cambierà la sostanza delle cose. Sono qui per chiederti un favore o forse solo per farti riflettere.

    – Vuoi convincermi di qualcosa?

    – La risposta arriva alla fine, ed è una sola. Prima devo parlarti di Bologna, capisco che nessuno lo ha fatto. È il motivo alle origini della tua venuta, niente di turistico.

    Fuori le torri oscillano brillando nel buio, il rosa salmone delle facciate circolari sembra staccarsi per illuminare la notte. Alva immagina il rumore sordo e mastodontico di movimento, una sorta di canto sopito e a suo modo armonico.

    – La rivoluzione di oltre mezzo secolo fa è arrivata a salvare un pianeta sull’orlo dell’abisso. È stato difficile smantellare le multinazionali, gli interessi privati e la macchina burocratica che proteggeva la connivenza tra stati e aziende. Il capitalismo globale aveva infestato ogni nazione ma soprattutto si era affermata l’idea che i consumi fossero più importanti dell’ecosistema…

    – Stai parlando dell’epoca precedente all’integrazione degli animali. Sono cose da corso di apprendimento per neo-emancipati.

    – Hai ragione, era solo una premessa noiosa. Ho più bisogno io di parlarne che tu di ascoltare… Come sono i pistacchi?

    – Li preferisco salati, croccanti. Questi sono al naturale.

    – A volte mi manca la sensazione del cibo. Anche se posso ricrearla, so che non è reale.

    – Reale? – Alva cerca per la prima volta il volto del visitatore: ha occhi malinconici. Gli ricorda un uomo. Non riesce a leggere la sua età, come se la sostanza incorporea di cui è fatto lo rendesse impenetrabile.

    – Eravamo troppi per un pianeta così piccolo. Andare da altre parti nell’universo è sempre stato un progetto a lunga scadenza e non risolutivo per la maggioranza che restava. La rivolta ebbe inizio con la crisi del cacao e si estese ovunque. Immagino tu sappia anche questo…

    All’esterno si scatena un temporale di fine estate, i fulmini si scaricano sulla punta delle torri distribuendo energia sulla superficie. Alva salta giù dalla seggiola e si avvicina alla vetrata. Le torri continuano a muoversi spruzzando pioggia tutto attorno in scrosci luminosi, argini telescopici si alzano lungo i canali e ne allargano la portata. Le derivazioni verso i torcitoi automatici della seta si illuminano e pulsano come l’apparato circolatorio di un gigante rianimato.

    – Parlami di questa città, per favore…

    – Ti prego – sussurra l’uomo. – Ho tanta paura.

    Alva si gira spaventato dal tono lancinante, in tempo per vedere la figura dissolversi. Solo in quell’attimo si accorge del silenzio nella stanza mentre la voce continua dentro la sua testa. Parla e il macaco non è in grado di capire. Si accovaccia per concentrarsi ma non riesce ad afferrare le parole: anche se sono familiari risultano incomprensibili.

    La morsa del panico gli sale dal petto alla gola. Un grido strozzato, poi lo abbandona.

    La rivolta del cacao ebbe inizio nelle piantagioni di criollo del Venezuela e, come sempre in eventi del genere, per un motivo scatenante fortuito. Alcuni raccoglitori si erano appropriati di campioni di cioccolato italiano e svizzero conservati in una cella frigorifera dell’Hacienda di El Carcal, e l’avevano assaggiato. Il sapore non apparteneva al loro orizzonte gustativo.

    Pezzi delle tavolette e cioccolatini avevano cominciato a circolare nelle famiglie, conservati al fresco e consumati gelosamente. Quando il cioccolato era terminato, nelle menti dei lavoratori aveva preso forma un pensiero per loro inaccessibile fino a poco tempo prima. Attraverso il gusto del cioccolato la differenza tra mangiare e assaporare per piacere provocò in loro una rabbia scomposta. Non sapevano spiegarsi le proprie motivazioni se non con l’idea confusa che qualcosa gli fosse stato negato. Ci sarebbero voluti anni per dare un aspetto politico a quella ribellione istintiva.

    Il cacao veniva fatto crescere all’ombra delle palme, la pianta non amava la luce diretta, e tutto era organizzato secondo una raccolta a rotazione. La mattina del 5 aprile 2049, i lavoratori disertarono quella del platano. Si erano dati appuntamento al porto di Carúpano, dove salpavano le navi cariche di fave di cacao per le lavorazioni del cioccolato. Durante gli scontri che seguirono affondarono il cargo container Artemide diretto a Genova.

    Da quel giorno il mondo iniziò a cambiare direzione: la lotta si trasferì dalle zone rurali alle città. All’inizio nessuno sapeva definire compiutamente le ragioni di questa ribellione spontanea. Ci fu chi espose vecchie teorie marxiste sullo sfruttamento delle classi lavoratrici, ma non bastavano a giustificare il desiderio di distruzione totale che tra i propri bersagli, oltre ai simboli del potere, aveva soprattutto mezzi di locomozione a motore, sia a combustione che nella nuova costosa versione a idrogeno, e qualsiasi tipo di macchinario.

    Poi dalla foresta pluviale del Congo era uscito Linneus, un primate senziente vagamente lemuride. Nessuno aveva potuto fermare la marea di animali che l’aveva seguito nella sua marcia verso Parigi. Procedevano silenziosi e pacifici, raccogliendo sempre più seguaci. Il Guardian aveva titolato – Se gli alberi potessero camminare, seguirebbero Linneus.

    Cornelia scende nella hall leggermente in ritardo, aspettandosi di trovarci Alva.

    Il macaco non c’è. Ci trova la maialina e il basset hound, insieme a un uomo calvo con piccoli occhiali rettangolari che emana odore di caminetto. La piccola suina precede qualsiasi domanda: – È inutile che si guardi attorno. È sparito.

    – Come può essere sparito?

    – Il sistema di ricevimento e partenze registra la sua uscita questa mattina alle quattro e sedici. Ma non sappiamo altro. In mancanza del consenso alla registrazione visiva, non siamo autorizzati alle riprese.

    – Non sarà difficile trovarlo.

    – Al contrario, qui non esiste nessun apparato di sorveglianza.

    La testa del basset hound ruota a sinistra, puntando il muso verso l’alto come su un giunto cardanico: – Abbiamo fatto venire un empatico, il signor Ludovico Mainardi. Cornelia, per poter restringere le ricerche dovrà raccontarci molte cose del giovane macaco.

    – Alva è un puro.

    – Si metta comoda.

    Cornelia pensa che anche nella città perfetta c’è qualcosa che non si incastra. Sono sulla buona strada, certo, ma gli antichi retaggi di umani e animali non possono essere spariti in trent’anni di post-evoluzione: la diffidenza, la propensione al giudizio, il desiderio di potere e l’egocentrismo non possono svanire in così breve tempo. Educare è più difficile che estirpare. I buoni propositi non sempre vengono raggiunti nel modo migliore. Rabbrividendo, ricorda un vecchio libro sulla Rivoluzione culturale cinese e sui metodi di rimozione radicale del dissenso, le atrocità e i massacri che si celavano dietro la volontà di eliminare dalla nazione la vecchia mentalità feudale. – Come mi rendo utile? – conclude.

    – Grazie per la sua disponibilità. Possiamo fare due passi insieme nella città vecchia?– Mainardi ha un piccolo tic che gli fa tirare indietro gli angoli delle labbra. Sembra che sorrida. Si aggiusta la giacca grigia e, dando per scontato la risposta, la precede.

    Mentre camminano sotto i portici inoltrandosi per vie strette e sghimbesce intrecciate con i canali colmi di acqua piovana su cui si affacciano botteghe artigianali, Mainardi le fa alcune domande che richiedono lunghe risposte. L’empatico non la ascolta, la soppesa: attraverso le parole di Cornelia entra di soppiatto dentro di lei. Cornelia avverte la fastidiosa sensazione di qualcuno intento a frugare nella sua mente. Il piccolo centro, in cui le torri cangianti sono ancora rade, mescolate a quelle storiche, si apre nella piazza e lei cerca istintivamente una via di fuga; sa che non esiste. È comparso il sole e i cincillà si sono radunati a mangiare l’erba che cresce nelle fessure tra le pietre. Sono immobili, intenti nella masticazione, così assorti che sembrano impegnati in un convegno. Lei li osserva incuriosita dalle loro conversazioni, ma bisbigliano, non vogliono essere ascoltati. E nel frattempo, pur continuando a parlare, si estrania dalla conversazione con Mainardi.

    La storia di Alva è legata in ampia parte a quella di Linneus. Quando intorno al lemuride si erano raccolti anche gli insetti, la processione era diventata una gigantesca nube brulicante, un serpentone ronzante lungo chilometri e largo centinaia di metri con un interno completamente invisibile. Ma dato che la rivolta stava crescendo, le nazioni avevano altro di cui preoccuparsi.

    La prima città a cadere fu Tokyo: era la più impreparata alla disubbidienza. A Buenos Aires e San Paolo scoppiò l’inferno, saccheggi e omicidi si trasformarono in massacri. Poi in rapida successione fu la volta di Singapore, New York, Londra, Barcellona… Quando Linneus entrò a Parigi, la città era già stata abbandonata, le strade piene di macerie e le fiamme che ancora divoravano i palazzi. Il serpentone si fermò allo Champ-de-Mars dischiudendosi in varie direzioni. Gli animali arboricoli presero dimora nella torre Eiffel e successe un fatto che suscitò dubbi sulla natura pacifica della processione. Un leone affamato assaltò un reporter della CNN per poi sbranarlo insieme alla compagna e ai suoi piccoli.

    – Devi essere più veloce del leone, del leopardo e del ghepardo. Sentire l’aquila e il falco quando sibilano in picchiata e dove striscia il serpente. Capire se l’orso e l’elefante sono arrabbiati e se il lupo può fare a meno del branco – disse in tono enigmatico Linneus. Alle domande dei giornalisti che lo accusavano di aver alterato l'ecosistema con la sua marcia collettiva rispondeva con lo sguardo perso verso il cielo. – Se non mi capite siete già morti. Siamo venuti qui per dimostrare cosa significa alterare un equilibrio costruito in milioni di anni. Il vostro comportamento ha fatto sempre vittime tra gli animali, è ora di ribaltare la situazione.

    Linneus predicava giornalmente. Spiegò che il tempo e le generazioni modellano il pianeta. E la maggior parte degli animali accettavano di vivere molto meno degli esseri umani proprio perché ignoravano cosa fosse la morte. Non provavano angoscia per una fine naturale o per la possibilità di diventare cibo, ma essere uccisi dopo una vita in cattività e subire maltrattamenti era insostenibile. L’erbivoro non giudicava il carnivoro ma in entrambi i casi non volevano essere allevati per il macello o addestrati ed esposti per il piacere della razza dominante. Linneus e il suo seguito parlavano di etica e per sua bocca rivendicavano un’intelligenza che non si manifesta allo stesso modo di quella umana.

    A causa della sua espressione assente e delle dichiarazioni indirizzate verso il vuoto, prese corpo l’ipotesi che Linneus fosse cieco, eppure non sembrava mai in difficoltà negli spostamenti. Ai margini del Champ-de-Mars erano sorti accampamenti di simpatizzanti umani e alcuni di loro gli regalarono dei droni. Nei giorni più luminosi d’estate era possibile vedere il primate giocare con la sua flotta di droni, che aveva ingioiellato incollandoci sopra pezzi di vetro colorato e perline. Con l’aiuto di scimpanzé e macachi, li faceva sciamare attorno alla torre Eiffel, creando giochi di luce e di riflessi. Alcuni dei suoi interlocutori umani commentarono che non era coerente con la filosofia pauperistica del suo gruppo, ma lui rispose: – L’idea di fare delle scelte vi ha portato dove siete adesso, mentre io sono qui, ora. Qui e ora.

    Poi accettò di incontrare la delegazione di rivoltosi umani che arrivava direttamente dal Venezuela; quindici persone che facevano parte dei primi moti nel porto di Carúpano. Malgrado il mondo fosse spaccato dagli scioperi e dall’impatto emotivo della marcia di Linneus, le grandi industrie multinazionali continuavano la loro produzione e accumulavano beni invenduti in magazzini protetti da guardie armate, in silos per riserve alimentari e in sotterranei refrigerati. Avevano cercato in ogni modo di infiltrare i loro scienziati tra la gente di Linneus per capire come si stesse sviluppando l’intelligenza animale ma ovviamente era stato impossibile. I rivoltosi e il popolo di Linneus trovarono un accordo. – Mi state uccidendo – disse lui mentre stringeva loro la mano – poco importa, sono il tarassaco nella sua infruttescenza. – Lui sgranocchiò le fave di cacao che gli avevano portato in dono insieme al cioccolato solidale prodotto dai raccoglitori. Si dimostrava colto, enigmatico, però conosceva la sua storia, pochi il tarassaco, ed era impossibile dire da dove derivasse il sapere che esibiva. – La rivoluzione è un moto infinito.

    Esercito e polizia attraversarono una Parigi priva di vita e circondarono l’insediamento degli animali durante la presenza dei ribelli. Non ci furono scontri preliminari o motivi scatenanti d’altro tipo: le forze dell’ordine spararono proiettili di gomma ad altezza uomo e caricarono con scudi e manganelli. I più fortunati riuscirono a rifugiarsi sulla torre Eiffel ma parte dei simpatizzanti umani di Linneus, della delegazione di rivoltosi e molti animali rimasero a terra feriti in buona parte mortalmente, visto che nessuno avrebbe prestato loro delle cure.

    I sopravvissuti si rifugiarono sulla torre per tre giorni, senza acqua né cibo. Li favorì una notte di pioggia in cui raccolsero acqua nei recipienti che riuscirono a recuperare, e gli uccelli procurarono un po’ di cibo per tutti, ma la resistenza avrebbe presto ceduto all’assedio delle truppe alla base della torre.

    Neppure i seguaci della prima ora sapevano che Linneus avesse dei figli mescolati al suo seguito. Ma le sue affermazioni non pretendevano di essere vere, e quando li presentò come tali, tutti appartenenti all’ordine dei primati ma di diverse specie, in pochi considerarono la rivelazione un’informazione degna di nota. Comunque se quelli erano veramente i suoi figli, Linneus era il nonno di Alva. Aristide, figlio di Linneus e padre di Alva, aveva una memoria eidetica con cui descriveva tutti i fatti salienti della propria vita. Perciò Alva sapeva quanto era accaduto quel giorno, lo conservava tra i ricordi lontani verso cui non aveva mai mostrato grande interesse.

    Ora però gli torna in mente l’immagine della fine di Linneus, come descritta da Aristide.

    L’avevano visto sporgersi aggrappato vicino alla sommità, tenendosi alla struttura con i piedi e una mano, nell’altra reggeva un microfono collegato agli altoparlanti della torre. Era

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