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Cronache nere (Vol. II)
Cronache nere (Vol. II)
Cronache nere (Vol. II)
E-book248 pagine3 ore

Cronache nere (Vol. II)

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"L’enfasi eccessiva": È una sera umida e nebbiosa a Lavagna. Un gruppo di avventori esce da un’osteria e guarda distrattamente la donna bionda accasciata sulla panchina di una piazza, nel centro storico del paese. Di certo un’ubriaca, pensano. Quando si allontanano, una figura nell’ombra si avvicina alla donna. Il maresciallo dei Carabinieri Nusca, attirato dalle urla di un passante, trova la donna ormai senza vita. Il medico legale ritiene che si tratti di morte naturale: la donna, l’inglese Rose Moulton, che tempo prima ha subito un trapianto di cuore, ha avuto un arresto cardiaco legato alla sua condizione. Ma Riccò, un disincantato giornalista televisivo, ha dei buoni motivi per dubitare che la soluzione del caso sia così semplice e non ha alcuna intenzione di smettere di indagare. Riesce a recuperare un video di una telecamera che gli fornisce un dettaglio rivelatore. Ma la soluzione si trova su una nave maledetta, affondata tanti anni prima…

"Dalidà": Un giorno qualsiasi, su un treno locale che trasporta in città centinaia di pendolari. Persone che si incontrano ogni mattina, con una geografia immutabile di gesti e parole. Il treno si ferma in una delle stazioni disseminate nella tratta La Spezia-Genova. I passeggeri pensano a un guasto; in realtà, una mano sconosciuta ha tolto la vita al giudice Strogato, il cui corpo è stato trovato all’interno della toilette. L’autopsia stabilirà che l'uomo è morto per avvelenamento. Gli inquirenti puntano il dito verso il caffettiere anarchico, ma lui si proclama innocente. Ancora una volta, il giornalista Riccò corre a ritroso nel tempo alla ricerca del colpevole. Per svelare il mistero occorre tornare con la memoria in un albergo di Chiavari, alla fine degli anni Sessanta.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2023
ISBN9791280100429
Cronache nere (Vol. II)

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    Cronache nere (Vol. II) - Aldo Boraschi

    Cronache_nere_Vol.II_-_ebook_A_-_2500-q80.jpgCronache_nere_Vol.II_-_ebook_B_-_2500-q80.jpg

    L'AUTORE

    È nato nel 1964 ed è giornalista, scrittore e blogger. Ha lavorato per oltre vent’anni in redazioni giornalistiche di emittenti televisive, settimanali e quotidiani. Ha pubblicato: Donne Altrimenti Amate (2012), Al limite del buio (2012), L’enfasi eccessiva (2013), Dalidà (2014), Il Funambolo e altre vite (2016), La parte sbagliata del tappeto (2016), Storie da osteria (2017), Onorarono (2019). Ha curato La congiura del Conte Gian Luigi Fieschi (2015). Con la casa editrice I Libri di Emil ha pubblicato L’arte della solitudine (2019). Ha tradotto dall’inglese l’opera della scrittrice libanese Joumana Haddad Humanus – Il terzo sesso (2017). Del 2019 è La Donna Francese (Panesi Edizioni), del 2020 Il tempo che faceva (AltreVoci Edizioni) e del 2021 la nuova edizione de La voce del geco (AltreVoci Edizioni).

    L'ENFASI ECCESSIVA

    È una sera umida e nebbiosa a Lavagna. Un gruppo di avventori esce da un’osteria e guarda distrattamente la donna bionda accasciata sulla panchina di una piazza, nel centro storico del paese. Di certo un’ubriaca, pensano. Quando si allontanano, una figura nell’ombra si avvicina alla donna. Il maresciallo dei Carabinieri Nusca, attirato dalle urla di un passante, trova la donna ormai senza vita. Il medico legale ritiene che si tratti di morte naturale: la donna, l’inglese Rose Moulton, che tempo prima ha subito un trapianto di cuore, ha avuto un arresto cardiaco legato alla sua condizione. Ma Riccò, un disincantato giornalista televisivo, ha dei buoni motivi per dubitare che la soluzione del caso sia così semplice e non ha alcuna intenzione di smettere di indagare. Riesce a recuperare un video di una telecamera che gli fornisce un dettaglio rivelatore. Ma la soluzione si trova su una nave maledetta, affondata tanti anni prima…

    DALIDÀ

    Un giorno qualsiasi, su un treno locale che trasporta in città centinaia di pendolari. Persone che si incontrano ogni mattina, con una geografia immutabile di gesti e parole. Il treno si ferma in una delle stazioni disseminate nella tratta La Spezia-Genova. I passeggeri pensano a un guasto; in realtà, una mano sconosciuta ha tolto la vita al giudice Strogato il cui corpo è stato trovato all’interno della toilette. L’autopsia stabilirà che l'uomo è morto per avvelenamento. Gli inquirenti puntano il dito verso il caffettiere anarchico, ma lui si proclama innocente. Ancora una volta, il giornalista Riccò corre a ritroso nel tempo alla ricerca del colpevole. Per svelare il mistero occorre tornare con la memoria in un albergo di Chiavari, alla fine degli anni Sessanta.

    AltreOmbre

    Aldo Boraschi

    Cronache Nere

    Volume II

    Lato A

    L’ENFASI ECCESSIVA

    Lato B

    DALIDÀ

    Proprietà letteraria riservata

    ©2022 AltreVoci Edizioni srls

    ISBN: 9791280100429

    Prima edizione digitale: febbraio 2023

    Realizzazione grafica: Creativita Agency

    Immagine copertina: © ariadnas – Adobe Stock

    I fatti e i personaggi riportati in questi romanzi sono frutto della fantasia dell’autore. Pertanto ogni somiglianza a persone reali e ogni riferimento a fatti accaduti sono da ritenersi puramente casuali.

    L'enfasi eccessiva

    Lato A

    Domenica 5 maggio, Lavagna, via xx Settembre, già piazza del Brunzin

    Ore 20:16. La nebbia, scesa all’improvviso in quella parte di Riviera, copre ogni cosa, come una grigia soffocante minaccia. La luce è scomparsa dal cielo e i lampioni fendono debolmente la foschia con lame di luce arancione. La chiamano caligo: un muro bianco che si alza dal mare e copre tutto.

    Una donna avanza con passo incerto dal carruggio che viene dal mare. Sembra che si sia persa in mezzo a quelle pareti spesse e bianche. I suoi capelli biondi sono raccolti a metà nuca con una pinza. Le scarpe sono senza tacco, comode – adatte per chi è avvezzo a camminare. Non porta calze: la nebbia improvvisa l’ha presa in contropiede. Quello sleale freddo tardo primaverile – il calendario mostra spavaldamente la data del 5 maggio – l’ha colta impreparata, soprattutto all’altezza delle caviglie e dei polpacci.

    «Niente calze, siamo quasi in estate», dice fra sé e sé la donna all’atto della vestizione mattutina. Invece, già il primo pomeriggio, un’insulsa pioggerellina sembra ungere tutto il paese. Troppo poco per tornare in albergo e prendere l’ombrello, ma sufficiente per formare piccole e infingarde pozzanghere nelle quali, camminando velocemente per il freddo o alla fine, il piede incauto finirà – con tanto di scarpe senza calze. La donna sembra aver appuntamento con qualcuno. Si guarda attorno, con lo sguardo smarrito del turista fai-da-te in una casbah di Tunisi. Per tutto il pomeriggio ha misurato il lungomare a colpi di tallone, nell’intento di far passare quelle ore disastrosamente vuote. Il tempo passa lento, scandito dall’orologio elettrico piazzato di fronte al bancone del Bar del Porto, all’interno del quale ha consumato, in quantità industriali, tazze di tè Darjeeling.

    Ore 20:32. La donna bionda cammina, ma i suoi passi non sono più in sintonia con i suoi piedi, come se ogni passo fosse un problema da risolvere – e anche uno di quelli grossi. Una sferzata di tramontana la fa tremare anche – ma non solo – di freddo; quelle folate vengono giù, acuminate, da Santa Giulia e giocano a far mulinare le cartacce nel sestiere del Borgo. La donna bionda si appoggia sulla panchina di fronte all’antica pescheria di Tuccio.

    Quando le terga vengono a contatto con la panchina di legno, emette un sospiro di sollievo: «Ohhhhhhhhhhh».

    Nonostante la serata ventilata di brezza frizzante, la donna si fa aria sfruttando i palmi delle mani – tozze e trascurate, peraltro. Porta al collo una sottile catenina d’oro, appesantita da un cammeo raffigurante un uomo che indossa una divisa militare. La sagoma nera di una persona si staglia contro la superficie bianca della nebbia. È lì per farsi notare. Per avvertire. Una minaccia così visibile.

    Così immobile.

    Ore 21:01. Quella persona, quella minaccia, invero, è tanto che aspetta. Pensa che magari la donna dell’appuntamento possa arrivare prima del previsto. Ma la storia non va per quel verso.

    Così si ferma al bar di Alfio, in via Roma, e trangugia un cappuccino e un tramezzino. Guarda anche sotto una cupola di plastica piazzata sul bancone, dove stanno in fila pochi stantii panini, come cupi pensionati oramai estromessi dalla vita. Ma desiste. Ordina una birra e un’altra ancora. Infine, naturalmente, cerca la via della toilette.

    «La prima porta a destra», dice Alfio. «Ecco la chiave», aggiunge.

    Poi finalmente la donna che sta aspettando appare tra le quattro pareti bianche che la nebbia ha costruito. Allora esce in fretta dal bar e si piazza all’angolo di via Nuova Italia, seguendo i movimenti caracollanti della bionda. Per un attimo, ha come l’impressione di sentire l’eco farfugliata di un dialogo tra ubriachi. Intorno, però, c’è solo il lontano brusio del mare.

    Sente che non può aspettare più a lungo. È tempo. Con un gesto distratto si accarezza i lunghi capelli castani. Poi esce, nella nebbia.

    Ore 21.04. Dall’osteria La Lampara escono frotte di avventori.

    «Toh, guarda, la nebbia…», dicono all’unisono con un marcato accento lombardo. Guardano di sfuggita la bionda abbandonata e boccheggiante sulla panchina.

    «Toh, guarda, un’ubriaca…», aggiunge qualcuno, guardando il resto della comitiva con l’aria complice di chi conosce la vita. Nessuno si accorge dell’altra presenza all’angolo della strada: la nebbia non permette al fuoco ottico di andare al di là di una decina di metri.

    «Forse… si sente male», azzarda una donna facente parte del gruppo di turisti enogastronomici, con lo sguardo fisso alla panchina.

    «Sembra solo sbronza», tronca il discorso un uomo con un imbarazzante riporto in testa. «Vieni via, non andiamo a cercarci noie», aggiunge indirizzando la donna (Sua moglie? Sua sorella? La sua amante?) dalla parte opposta alla panchina – verso via Roma, quindi.

    Ore 21:12. La persona nascosta nelle pieghe della nebbia ha potuto osservare il gruppo di avventori che escono gaudenti dall’osteria La Lampara, il gatto che si avvicina curioso alla panchina, i lampi bluastri che escono dalle finestre chiuse, le cartacce che si rincorrono spinte dalla tramontana. Da quella posizione strategica può anche vedere tutto il tragitto del carruggio che dal centro del paese arriva sino al mare. Avrebbe potuto vedere anche il beccheggiare delle barche, giù al porto. Ma quella sera c’è nebbia, nebbia fitta. Riesce, però, a sentire il vocio sommesso che esce da un androne nella piazza del Comune. Mentalmente, pensa che quel brusio possa appartenere a un paio di uomini che discutono in una strana lingua (dialetto sardo o forse l’idioma rumeno). C’è una leggera brezza, ora; ma non è freddo. Dietro l’angolo, la persona aspira una boccata di fumo – un puntino rosso che brilla nella nebbia, effimero come una lucciola. Guarda per un attimo il cilindretto incandescente e pensa che è meglio non lasciare tracce dietro di sé.

    «Devo smettere di fumare, ché oltretutto è anche un brutto vizio. E fa pure male alla pelle…», chiosa.

    Ore 21:54. I movimenti della donna bionda si fanno sempre più lenti e inutili. Porta le mani alla bocca e al collo. È alla ricerca di una vitale dose di ossigeno. Ma oramai è tardi. Perché, è inutile girarci intorno, lei ha pensato tante volte a come potesse essere il momento del trapasso. Espiri, inspiri. Espiri, inspiri. Espiri. Espiri. Poi a un certo punto – e quello è il punto – riesci solo a buttare fuori quantità decrescenti di ossigeno, ma la compensazione non avviene. Il cuore non riesce più a espletare la sua funzione benefica. Il muscolo rallenta. Poi si ferma. Stop.

    Più o meno quello che sta accadendo ora, pensa la donna. Su questa stupida panchina verde in mezzo alla nebbia, a migliaia di chilometri di distanza da dove sono nata e cresciuta. Tutto per ’sto stupido appuntamento, aggiunge.

    Ma ora il punto è un altro.

    Non c’è più spazio per le recriminazioni, l’ossigeno stenta ad arrivare al cervello, la vista si annebbia, i movimenti si fanno impossibili. Poi arriverà anche l’oblio, l’euforia pre-mortem (così aveva letto in qualche libro). Poi il buio definitivo. Il momento, quel momento sta arrivando.

    E allora, sarà doloroso? Oppure sarà un sollievo? Si vedrà, poi, quella luce accecante che spunta dal tunnel? Domande che non avranno più risposte in questo mondo.

    C’è solo il tempo per un dubbio: C’era proprio bisogno dell’ausilio non richiesto di queste due mani che mi stringono il collo, per fare quest’ultimo viaggio?

    Ore 22:05. Il maresciallo dei Carabinieri, Giovanni Maria Nusca, sfrutta una delle rare serate libere per far visita ai compaesani sardi nel locale messo a disposizione dall’amministrazione comunale in piazza della Libertà. Quella sera si è attardato a disquisire con l’amico Cossu (di professione fornaio) sull’importanza delle parole. Quando ha inizio il momento tra luce e buio, che è chiamato crepuscolo? Quante parole si possono usare – se veramente esistono – per descrivere l’imbrunire? Fino a che punto è possibile notare quando la luce diventa tanto debole da capire che ci stiamo trovando in quello strano momento di transizione? Le ombre che si allungano sul marciapiede potevano essere un segnale certo? Non erano riusciti, Nusca e Cossu, a trovare un punto di accordo. Il crepuscolo, quella sera, rimane un mistero insoluto.

    All’uscita del circolo culturale, il maresciallo si trova avvolto nella nebbia. L’umidità si posa, sotto forma di sottili filamenti di acqua, contro la superficie delle finestre. Nella piazza tutto è immobile. A rompere l’atmosfera da presepe ci pensa il passo veloce di una persona – di quella persona, si saprà in un secondo tempo – che si dirige verso la via Aurelia.

    Un piccolo trotto: totoc, totoc, totoc…

    Il militare sente chiaramente lo scalpiccìo delle suole sul selciato. La sagoma è confusa, quasi immateriale – impalpabile. Poi un grido sottile taglia in due la notte. Un sibilo che arriva dal Brunzin. Un paio di falcate e il militare arriva nella piazzetta che custodisce la Torre del Borgo (c’è anche un magnifico presepe per Natale).

    Là, sulla panchina di fronte a Tuccio, c’è una donna riversa, forse addormentata.

    Sembra ubriaca…, pensa in un primo momento il sottufficiale dell’Arma.

    Di fianco c’è un uomo che sembra una statuina del presepe, quella con tutte e due le braccia alzate con gesto di meraviglia. Da quel punto di vista la scena appare come un dipinto di un pittore surrealista. La sola differenza è che un sottile rivolo di sangue esce dalla bocca della donna…

    Capitolo uno

    La notizia del ritrovamento del corpo della donna al Brunzin arrivò nella redazione di Teletua come un fulmine a ciel sereno. E proprio il lunedì, per giunta. Il giorno deputato, da che mondo è mondo, all’appuntamento settimanale per antonomasia: il Fantacalcio. In tutte le redazioni che si rispettano, il lunedì era il giorno dei punteggi racimolati nella domenica sportiva e il venerdì quello per lo studio delle formazioni da mettere in campo per il fine settimana. Al Fantacalcio partecipavano redattori, tecnici e impiegati di sesso maschile dell’ufficio amministrazione. A onor del vero, a inizio stagione, faceva parte del gruppo anche il maresciallo Nusca. Poi, stufo di sborsare ogni lunedì venti euro, mollò il gioco.

    Perché il fatto era che per Nusca e per il giornalista Fabio Riccò, la campagna acquisti si risolveva nell’accaparramento – a prezzi esorbitanti – dei giocatori del Cagliari (Nusca) e Genoa (Riccò). Visti i deludenti risultati delle compagini in oggetto, il gioco per i due si risolveva nel mero sborsare i venti euro ogni santo lunedì. Quei soldi andavano, a cadenza quasi settimanale, nelle tasche di Carlo Repetto, tecnico radiovisivo e tiepido tifoso dell’Inter, nonché fine intenditore dell’arte pedatoria. Per il Repetto, tutto sommato, quel gruzzoletto rappresentava un buon extra, visti i magri compensi derivanti dalle casse dell’amministrazione di Teletua, piccola emittente privata le cui antenne irradiavano da Caperana e su tutto il Golfo del Tigullio ligure. Si può tranquillamente affermare che Repetto viveva di Fantacalcio e di riparazioni di elettrodomestici presso la rivendita dello zio a Chiavari.

    Quel lunedì, l’appuntamento con il Fantacalcio delle 10:30 saltò. Dopo un breve briefing all’interno della redazione, fu deciso di riunirsi dopo l’edizione serale del notiziario, intorno alle 20. Nello stesso importante briefing venne deciso che l’onere di fare la lista delle pizze e della conseguente telefonata alla pizzeria da asporto A modo mio era di Carlo Repetto – che peraltro era il più interessato allo svolgersi dell’appuntamento del lunedì con il Fantacalcio.

    Fabio passò la mano, spiegando ai colleghi di avere un appuntamento improrogabile. Certo, comunque, del risultato negativo al Fantacalcio, lasciò la banconota da venti euro nelle mani – o nelle saccocce – di Carlo Repetto.

    La riunione di redazione ufficiale – solitamente fissata per le 13 – fu anticipata di due ore. Due collaboratori e Fabio Riccò discutevano sulla scaletta del notiziario serale, unica edizione giornaliera. Più scostato, il tecnico Carlo Repetto vagliava i particolari audiovisivi del materiale da montare.

    «Beh, penso che non possano esserci dubbi sull’apertura del notiziario», Fabio procedeva sicuro.

    «Apriamo con la morte della donna al Brunzin.»

    «Dalle notizie a mia disposizione, sembra che si sia trattato di una morte naturale.»

    Gigi Sanguineti era un reporter di razza. Per anni aveva collaborato con l’emittente principale di Genova, poi il trasferimento del padre, militare dell’Aeronautica, nella caserma di Caperana, aveva dirottato il suo fiuto nella piccola emittente Teletua. Gigi era un giornalista dentro. Sostava senza interruzione davanti al Tribunale di Chiavari, oppure di fianco alla caserma dei Carabinieri o agli uffici della Polizia di Stato. Da qualche tempo aveva avuto un’intuizione: due ore al giorno stazionava davanti al pronto soccorso dell’ospedale di Lavagna. Era lì che attingeva le notizie migliori per la pagina di cronaca nera del Tigullio.

    A onor del vero, l’idea non era sua. Fu uno dei più grandi giornalisti di tutti i tempi, William Russell, che mise in atto questo escamotage per beccarsi le notizie fresche degli scontri che avvenivano a Londra tra irlandesi e inglesi all’inizio del secolo scorso. Non per niente, Russell era il giornalista di riferimento di Sanguineti. Imitando il più illustre collega, Gigi sorbiva una quantità industriale di caffè con i barellieri del pronto soccorso: gli occhi perennemente in movimento erano il pegno da pagare per questo esercizio pratico di giornalismo. Nessuno lo aveva mai visto sostare in redazione per più di venti minuti.

    Il giornalista si vede sulla strada, non in redazione, usava dire a chi provava a trattenerlo davanti al computer. A Gigi piaceva il raschio duro e appassionato della penna sulla carta. D’altro canto, non si aveva nemmeno notizia di articoli mirabolanti a firma di Sanguineti. Spesso era lo stesso Fabio che gli rimetteva a posto i traballanti congiuntivi, l’inesistente punteggiatura, gli elementari errori di battitura.

    «Certo, Gigi. Ma non scordiamoci il tentativo di strangolamento. Non sarà stata la causa di morte, ma è un fattore da prendere in considerazione», Fabio parlò con

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