Elèttra
Di Eurìpde
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Anteprima del libro
Elèttra - Eurìpde
ELÈTTRA
Εὐριπίδης, Ηλέκτρα
Originally published in Greek
ISBN 978-88-674-4213-3
Collana: AD ALTIORA
© 2014 KITABU S.r.l.s.
Via Cesare Cesariano 7 - 20154 Milano
Ti ringraziamo per aver scelto di leggere un libro Kitabu.
Ti auguriamo una buona lettura.
Progetto e realizzazione grafica: Rino Ruscio
ELÈTTRA
PERSONAGGI:
AUTURGO (contadino miceneo)
ELÈTTRA (figlia di Agamennone e Clitennestra, sorella di Oreste)
ORESTE (figlia di Agamennone e Clitennestra, fratello di Elèttra)
CLITEMNÈSTRA (madre di Elèttra ed Oreste)
DIÒSCURI (Castore e Polluce, figli di Zeus)
PÍLADE (fedele amico di Oreste)
UN VECCHIO
UN MESSAGGERO
CORO DI FANCIULLE
AMBIENTAZIONE:
Campagna, sui confini dell'Argólide. La modestissima casa di Auturgo, contadino miceneo. Vicino scorre l'ìnaco, Sono le ultime ore della notte.
(Esce dalla casupola Auturgo)
AUTURGO:
O d'Argo antica terra, e voi, dell'ìnaco
acque fluenti, onde partí con mille
navi, recando guerra al suol di Troia,
Agamènnone re! Qui, spento Príamo
dell'ilíaco suol signore, e l'inclita
città presa di Dàrdano, tornò
di nuovo ad Argo, e molte sovra i culmini
dei templi consacrò spoglie di barbari.
La fortuna colà dunque gli arrise;
e in patria, invece, perí, per la frode
di Clitemnèstra, e per la man d'Egisto,
di Tieste figliuolo. Egli morí,
l'antico scettro abbandonò di Tàntalo,
e regna Egisto in questa terra, e sposa
tiene con sé la sposa del defunto,
di Tíndaro la figlia. Allor che il Sire
a Troia navigò, lasciò due figli,
Oreste, il maschio, ed il femmineo fiore
d'Elèttra. Oreste, mentre già piombava
su lui la man d'Egisto, per ucciderlo,
l'aio antico del padre lo rapí,
a Strofio lo recò, per allevarlo,
nella terra di Fòcide. Restò
nella casa paterna Elèttra; e quando
giunse per lei l'adolescenza florida,
quanti eran primi nella terra d'Ellade,
la richiesero sposa. Egisto, invece,
per timore che un figlio essa ad alcuno
di quei possenti generar potesse,
vendicatore dell'Atríde, a niuno
mai la concesse, e la trattenne in casa.
Pure, da timor grande, anche cosí,
egli era invaso, che ad alcun di furto
potesse figli generare; e morte
darle decise: la salvò la madre,
sebben crudele, dalle man' d'Egisto:
ch'ella un pretesto per lo sposo ucciso
aveva pure; ma odïosa rendersi
temea, se i figli trucidasse. E allora,
Egisto tese questa trama: il figlio
d'Agamènnone, ch'ito era fuggiasco
da questa terra, molto oro promise,
chi l'uccidesse; e diede Elèttra in moglie
a me, che nacqui, niuno può contenderlo,
da padri micenèi, di stirpe illustri,
ma di sostanze poveretti; e allora
la nobiltà va in fumo. Affin che fosse
poco il timor, la diede a un uom da poco.
Ché, se sposata un uom d'alto lignaggio
l'avesse, certo ridestato avrebbe
lo scempio, ora sopito, d'Agamènnone,
la vendetta colpito avrebbe Egisto.
Ma quest'uomo non mai, può dirlo Cípride,
macchiò d'Elèttra il letto: ella è ancor pura.
Ebbi la figlia di Signori grandi;
ma mi vergognerei s'io l'oltraggiassi,
ché degno io non ne sono. E per Oreste
piango, per lui che dicon mio cognato
se mai, tornando, le infelici nozze
della sorella, o misero, vedrà.
E chi stolto mi giudica, perché
una fanciulla ho in casa, e non la tocco,
sappia che falso è il metro ond'ei misura
la mia saggezza, e che lo stolto è lui.
(Esce dalla casa Elèttra. Indossa povere vesti e porta sulla testa una brocca per attingere acqua)
ELÈTTRA:
O negra notte, o de le stelle d'oro
nutrice, all'ombra tua questa che siede
brocca sul capo a me, debbo alle fonti
fluvïali recare. A ciò ridotta
la miseria non m'ha: bensí mostrare
bramo agli Dei quanto m'offende Egisto,
lanciare nell'immenso ètere l'ùlulo
io voglio al padre mio: ché la Tindàride
maledetta, mia madre, via da casa
per compiacer lo sposo, mi scacciò.
Or ch'altri figli a Egisto ha procreati,
stima che siam di troppo Oreste ed io.
AUTURGO:
Ecco, per me travagli e peni, o misera,
tu cresciuta fra gli agi: io ben ti dissi
che tu te ne astenessi; eppur lo fai.
ELÈTTRA:
Al par dei Numi, amico mio, ti stimo
ché mi trovo fra i mali, e non m'offendi.
è gran sorte fra gli uomini, un tal medico
quale tu sei per me, trovar dei mali.
Ed io, sebbene tu chiesto non l'hai,
per quanto posso, alleggerir ti devo
delle fatiche, sí che men ti pesino,
partecipare i tuoi travagli. Assai
tu lavori pei campi: spetta a me
la cura della casa: a chi lavora,
piace, tornando, trovar tutto in ordine.
AUTURGO:
Se poi t'aggrada, va': tanto, la fonte
lungi non è da questa casa. Ai campi
i bovi io spingo alla prim'alba, e il seme
gitto nei solchi: ché per quanto i Numi
in sommo della bocca abbia, un poltrone
che non lavori, non guadagna il pane.
(Si allontanano. Quasi subito entrano Oreste e Pílade)
ORESTE:
Pílade, te fra tutti quanti gli uomini
io stimo fido e caro ospite mio.
Solo tu, fra gli amici, a questo Oreste
riguardo avesti, in tal condizïone
qual è la mia: ché m'aggravò d'orrendi
soprusi Egisto: egli, e con lui la madre
mia maledetta, al padre mio die' morte.
Pel responso del Nume, al suolo d'Argo
giungo, e niuno lo sa, per dar ricambio
di morte a chi m'uccise il padre. Andato
son questa notte alla sua tomba, e lagrime
versai su la sua tomba, e la primizia
d'un ricciolo gli offersi, e d'un agnello
sgozzato, il sangue su la fiamma effusi;
ed ai signori ch'hanno qui l'impero
restai nascosto. Entro le mura il piede
inoltrare non vo': sosto ai confini,
a una duplice mèta avendo l'occhio:
potere, ove qualcun mi scorga, súbito
passare in altra terra; e far ricerca
di mia sorella, ch'ora vive,