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Elèttra
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Elèttra
E-book170 pagine1 ora

Elèttra

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Info su questo ebook

Il testo in italiano tradotto da Ettore Romagnoli e la versione originale in greco della tragedia di Euripide nella quale viene rappresentata la vendetta dei fratelli Oreste ed Elettra nei confronti di Egisto, colpevole dell'assassinio del loro padre Agamannone, e di Clitennestra, amante di Egisto e madre di Oreste ed Elettra. I due omicidi avverranno tramite l'inganno, quindi in modo vergognoso, tanto da scatenare le ire dei Dioscuri, Castore e Polluce.
LinguaItaliano
EditoreKitabu
Data di uscita30 ott 2013
ISBN9788867442133
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    Elèttra - Eurìpde

    ELÈTTRA

    Εὐριπίδης, Ηλέκτρα

    Originally published in Greek

    ISBN 978-88-674-4213-3

    Collana: AD ALTIORA

    © 2014 KITABU S.r.l.s.

    Via Cesare Cesariano 7 - 20154 Milano

    Ti ringraziamo per aver scelto di leggere un libro Kitabu.

    Ti auguriamo una buona lettura.

    Progetto e realizzazione grafica: Rino Ruscio

    ELÈTTRA

    PERSONAGGI:

    AUTURGO (contadino miceneo)

    ELÈTTRA (figlia di Agamennone e Clitennestra, sorella di Oreste)

    ORESTE (figlia di Agamennone e Clitennestra, fratello di Elèttra)

    CLITEMNÈSTRA (madre di Elèttra ed Oreste)

    DIÒSCURI (Castore e Polluce, figli di Zeus)

    PÍLADE (fedele amico di Oreste)

    UN VECCHIO

    UN MESSAGGERO

    CORO DI FANCIULLE

    AMBIENTAZIONE:

    Campagna, sui confini dell'Argólide. La modestissima casa di Auturgo, contadino miceneo. Vicino scorre l'ìnaco, Sono le ultime ore della notte.

    (Esce dalla casupola Auturgo)

    AUTURGO:

    O d'Argo antica terra, e voi, dell'ìnaco

    acque fluenti, onde partí con mille

    navi, recando guerra al suol di Troia,

    Agamènnone re! Qui, spento Príamo

    dell'ilíaco suol signore, e l'inclita

    città presa di Dàrdano, tornò

    di nuovo ad Argo, e molte sovra i culmini

    dei templi consacrò spoglie di barbari.

    La fortuna colà dunque gli arrise;

    e in patria, invece, perí, per la frode

    di Clitemnèstra, e per la man d'Egisto,

    di Tieste figliuolo. Egli morí,

    l'antico scettro abbandonò di Tàntalo,

    e regna Egisto in questa terra, e sposa

    tiene con sé la sposa del defunto,

    di Tíndaro la figlia. Allor che il Sire

    a Troia navigò, lasciò due figli,

    Oreste, il maschio, ed il femmineo fiore

    d'Elèttra. Oreste, mentre già piombava

    su lui la man d'Egisto, per ucciderlo,

    l'aio antico del padre lo rapí,

    a Strofio lo recò, per allevarlo,

    nella terra di Fòcide. Restò

    nella casa paterna Elèttra; e quando

    giunse per lei l'adolescenza florida,

    quanti eran primi nella terra d'Ellade,

    la richiesero sposa. Egisto, invece,

    per timore che un figlio essa ad alcuno

    di quei possenti generar potesse,

    vendicatore dell'Atríde, a niuno

    mai la concesse, e la trattenne in casa.

    Pure, da timor grande, anche cosí,

    egli era invaso, che ad alcun di furto

    potesse figli generare; e morte

    darle decise: la salvò la madre,

    sebben crudele, dalle man' d'Egisto:

    ch'ella un pretesto per lo sposo ucciso

    aveva pure; ma odïosa rendersi

    temea, se i figli trucidasse. E allora,

    Egisto tese questa trama: il figlio

    d'Agamènnone, ch'ito era fuggiasco

    da questa terra, molto oro promise,

    chi l'uccidesse; e diede Elèttra in moglie

    a me, che nacqui, niuno può contenderlo,

    da padri micenèi, di stirpe illustri,

    ma di sostanze poveretti; e allora

    la nobiltà va in fumo. Affin che fosse

    poco il timor, la diede a un uom da poco.

    Ché, se sposata un uom d'alto lignaggio

    l'avesse, certo ridestato avrebbe

    lo scempio, ora sopito, d'Agamènnone,

    la vendetta colpito avrebbe Egisto.

    Ma quest'uomo non mai, può dirlo Cípride,

    macchiò d'Elèttra il letto: ella è ancor pura.

    Ebbi la figlia di Signori grandi;

    ma mi vergognerei s'io l'oltraggiassi,

    ché degno io non ne sono. E per Oreste

    piango, per lui che dicon mio cognato

    se mai, tornando, le infelici nozze

    della sorella, o misero, vedrà.

    E chi stolto mi giudica, perché

    una fanciulla ho in casa, e non la tocco,

    sappia che falso è il metro ond'ei misura

    la mia saggezza, e che lo stolto è lui.

    (Esce dalla casa Elèttra. Indossa povere vesti e porta sulla testa una brocca per attingere acqua)

    ELÈTTRA:

    O negra notte, o de le stelle d'oro

    nutrice, all'ombra tua questa che siede

    brocca sul capo a me, debbo alle fonti

    fluvïali recare. A ciò ridotta

    la miseria non m'ha: bensí mostrare

    bramo agli Dei quanto m'offende Egisto,

    lanciare nell'immenso ètere l'ùlulo

    io voglio al padre mio: ché la Tindàride

    maledetta, mia madre, via da casa

    per compiacer lo sposo, mi scacciò.

    Or ch'altri figli a Egisto ha procreati,

    stima che siam di troppo Oreste ed io.

    AUTURGO:

    Ecco, per me travagli e peni, o misera,

    tu cresciuta fra gli agi: io ben ti dissi

    che tu te ne astenessi; eppur lo fai.

    ELÈTTRA:

    Al par dei Numi, amico mio, ti stimo

    ché mi trovo fra i mali, e non m'offendi.

    è gran sorte fra gli uomini, un tal medico

    quale tu sei per me, trovar dei mali.

    Ed io, sebbene tu chiesto non l'hai,

    per quanto posso, alleggerir ti devo

    delle fatiche, sí che men ti pesino,

    partecipare i tuoi travagli. Assai

    tu lavori pei campi: spetta a me

    la cura della casa: a chi lavora,

    piace, tornando, trovar tutto in ordine.

    AUTURGO:

    Se poi t'aggrada, va': tanto, la fonte

    lungi non è da questa casa. Ai campi

    i bovi io spingo alla prim'alba, e il seme

    gitto nei solchi: ché per quanto i Numi

    in sommo della bocca abbia, un poltrone

    che non lavori, non guadagna il pane.

    (Si allontanano. Quasi subito entrano Oreste e Pílade)

    ORESTE:

    Pílade, te fra tutti quanti gli uomini

    io stimo fido e caro ospite mio.

    Solo tu, fra gli amici, a questo Oreste

    riguardo avesti, in tal condizïone

    qual è la mia: ché m'aggravò d'orrendi

    soprusi Egisto: egli, e con lui la madre

    mia maledetta, al padre mio die' morte.

    Pel responso del Nume, al suolo d'Argo

    giungo, e niuno lo sa, per dar ricambio

    di morte a chi m'uccise il padre. Andato

    son questa notte alla sua tomba, e lagrime

    versai su la sua tomba, e la primizia

    d'un ricciolo gli offersi, e d'un agnello

    sgozzato, il sangue su la fiamma effusi;

    ed ai signori ch'hanno qui l'impero

    restai nascosto. Entro le mura il piede

    inoltrare non vo': sosto ai confini,

    a una duplice mèta avendo l'occhio:

    potere, ove qualcun mi scorga, súbito

    passare in altra terra; e far ricerca

    di mia sorella, ch'ora vive,

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