Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Mistral
Mistral
Mistral
E-book315 pagine4 ore

Mistral

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La vita non è stata buona con Celeste. Drammi e tragedie si sono succeduti nella sua giovinezza e lei vorrebbe solo trovare un angolo di pace. Per questo motivo, lascia l'Italia per trasferirsi in Francia, in quella che era la casa della sua famiglia: una magione circondata da campi, poco distante dal mare. Un luogo perfetto nel quale rigenerarsi. Ma la tranquillità tanto agognata è solo apparente: oscuri segreti si annidano in un'ala della Tenuta. Nei corridoi bui, vecchi e scricchiolanti, strani volti osservano Celeste da fotografie polverose appese alle pareti. Volti che la chiamano a sè, che sembrano dirle qualcosa... E le finestre, chiuse da anni, ecco che improvvisamente paiono aprirsi, le tende muoversi. E dei passi, al di là della porta, offuscano la tenue luce proiettata dalla luna. Qualcuno vive ancora nell'ala proibita. Qualcuno che si nasconde e la cui esistenza viene negata dagli altri abitanti della casa... E, mentre la rassicurante presenza della nonna sfuma sempre di più, Celeste si troverà a fare i conti con un passato sempre più pressante, con frasi sussurrate che celano misteri, con un libro che potrebbe rivelarle una verità (spiacevole?) e con una profezia incalzante come il vento di Mistral che soffia, tenue e implacabile, facendo sbandare la sua intera esistenza. Magistralmente descritto da Laura Clerici in questa novella noir con punte di vera poesia, il paesaggio circostante è orchestrato quasi fosse una storia a sè, nella quale i profumi e i colori prendono vita e trascinano il lettore sul palcoscenico del romanzo, rendendolo protagonista. Tutto questo, mentre il flamenco incalza con i suoi ritmi frenetici e cadenzati, mentre la Festa del Paese si spalanca sull'abrivado. Mentre Celeste, impaurita eppure impavida, avanza sempre di più verso la scoperta del Segreto svelato da un'antica profezia. Non senza dolore...
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2017
ISBN9781517720995
Mistral

Correlato a Mistral

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Mistral

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Mistral - Laura Clerici

    Copyright © 2015 Tutti I diritti riservati. A norma della legge sul diritto d'autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

    Progetto grafico in copertina a cura di Le Muse

    L’AUTRICE:

    Nata a Pavia, Laura Clerici si è diplomata al liceo linguistico; da allora ha lavorato nel settore del Turismo. Gestisce da anni una propria agenzia di viaggi. Ama la letteratura, la musica, le arti in genere, adora gli animali, la natura e ovviamente i viaggi. Canta nel coro della chiesa da quando aveva otto anni.

    Acque – torbidi segreti (2014, Butterfly Edizioni) è stato il suo romanzo d'esordio.

    LAURA CLERICI

    Mistral

    Copyright © 2015 Tutti I diritti riservati. A norma della legge sul diritto d'autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

    Progetto grafico in copertina a cura di Le Muse

    Ancora a mio marito Luigi,

    perché è stato il mio primo lettore,

    il mio primo critico,

    il mio primo sostenitore.

    E non smette mai di essere tutto questo, e molto di più...

    Ancora a mio cugino Giuliano,

    perché in un sogno nuotavamo insieme.

    Ai miei genitori,

    perché mi hanno messa al mondo..

    "Voglio rubare di te ogni scialle d'affetto e di vita,

    cucirlo ai tuoi capelli e alle mie dita di oggi, prima che il tempo s'accorga

    della pazienza degli angeli e delle rose rimaste a guardare."

    (Mango – Di quanto stupore)

    "Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,

    sentire gli odori delle cose, catturarne l'anima.

    Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.

    Perché lì c'è verità, lì c'è dolcezza, lì c'è sensibilità. Lì, c'è ancora amore."

    (Alda Merini)

    "Io e te vento nel vento,

    io e te nodo nell'anima, stesso desiderio di morire e poi rivivere."

    (Lucio Battisti)

    "... Gocce solitarie in penombra.

    Non me ne voglia il vento

    se, a volte, non seguo le sue distanze,

    ma preferisco costruire muri sui fianchi del cielo."

    (Mango – Nel malamente mondo non ti trovo)

    PROLOGO

    La leggenda narra che Sara, giovane serva dalla pelle colore dell’ebano, giunse nel sud della Francia a bordo di una barca priva di remi e di vele.  

    Erano con lei Maria Jacobi, sorella di Maria di Nazareth e madre dell'apostolo Giacomo, Maria Salomè, madre dell'evangelista Giovanni, e Maria Maddalena.

    Fuggirono di notte e giunsero in questa terra bagnata dalle acque del mare e dagli acquitrini stagnanti, battuta dal vento costante, denso dell'odore del sale.

    Terra di grande calura, di fatica, di sangue.

    Scappavano dalle persecuzioni che in Palestina non     lasciavano tregua al popolo seguace di Gesù il Nazareno,

    divino profeta che insegnò l'Amore per il prossimo e il perdono verso il nemico.

    Gli uomini non furono in grado di comprendere la Sua Parola.

    Le Sante fondarono una chiesa nel borgo e la dedicarono a Notre Dame de la Mer, Nostra Signora del Mare, ricavandola da quella fortezza che aveva da sempre riparato gli abitanti del paese e il loro bestiame dalle incursioni dei pirati saraceni.

    Utilizzavano un pozzo scavato all'interno per attingere l'acqua potabile e miracolosa.

    Con il tempo, Sara divenne la protettrice degli abitanti del borgo, ne curava  i mali fisici e donava sollievo a quelli morali. La chiamavano Sara la kali, la Nera.

    Sara voleva portare in questo sperduto angolo dell'allora conosciuto mondo un poco di quel calore che caratterizzava la sua terra, la luce del fuoco, il colore del cielo al tramonto, il sangue dei martiri.

    Sara cominciò così a coltivare rose, e lo faceva  nel piccolo giardino adiacente alla chiesa; crescevano maestose, abbagliavano con un colore rosso vivo ed allietavano con il loro profumo armonioso e persistente;

    le loro radici venivano interrate nelle notti di maestrale, perché il vento che soffia dal nord dona fortezza e tenacia, lui stesso è simbolo di vittoria e di regalità.

    Ed ugualmente nelle notti di maestrale venivano estirpate, e raccolte in mazzi dal profumo incantevole.

    E fu per volere della Santa, che desiderava una discendenza innumerevole per il suo amato popolo che la aveva accolta, che fu proclamata la Profezia:

    "La femmina che concepirà un figlio in queste terre in una notte di maestrale, consegnerà al mondo un essere dal Talento speciale; lui solo si renderà conto di possedere un dono particolare e lui solo potrà decidere il momento opportuno per metterlo a disposizione del prossimo, o di se stesso, oppure ancora potrà seppellirlo nella polvere della storia,

    e lasciarne per sempre all'oscuro i posteri."

    (Le Rose della Santa – leggende di Francia – sec.  IV D.C)

    PARTE PRIMA

    1.

    INSIDIOSA, MALEDETTA GIOVENTÙ

    Celeste è il colore che si sprigiona dal cielo poco prima che un'alba luminosa lo colori di fuoco; celeste è anche la sfumatura candida che precede un impetuoso tramonto.

    Celeste, forse, è il mio colore preferito.

    Un colore che parla di acqua e di cielo, di mare e di fiume, di aria e di vento, di sussurri incomprensibili e di sguardi aperti verso il mondo, di occhi penetranti che ti trafiggono d'amore, oppure ti leggono dentro l'anima in profondità perché incapaci di vederti realmente (non possono fissarti dalle loro pupille cieche).

    Un nome che sa di malinconia, un sentimento lieve come la pioggia sottile di primavera, che può sfociare in dolore e diventare improvviso e violento acquazzone estivo...

    Celeste è la pagina di un libro che viene letto all'ombra di un pino profumato, quando la rugiada bagna i fili d'erba all'inizio del giorno o quando i raggi della luna danno il loro benvenuto alla notte...

    Celeste, il colore più tenue della tavolozza di un pittore romantico, la sfumatura che traccia sulla tela la forma delle nuvole o quella delle onde del mare.

    Celeste... sono le lenzuola candide e stropicciate che odorano di notti di amore e di corpi stretti a sconfiggere il freddo dell'anima.

    Celeste... era una bambina molto vivace, dal carattere ribelle, che portava i capelli legati in due trecce disordinate e spettinate, con una irrefrenabile voglia di vita, libertà e pazzia, una naturale follia repressa e soffocata dalla monotonia di un'esistenza a tratti troppo dura e dolorosa.

    Celeste è il colore della pace e della rinascita.

    Celeste sono io.

    2.

    Nizza, Maggio 2014

    La mia inaspettata e improvvisa ricerca della verità è partita dalla visione di un colore.

    Fino ad allora, la mia vita era stata paragonabile a una matassa piena di grovigli e di strozzature. Da quel preciso momento, invece, il tono caldo che mi attraversò la vista mi scaldò l'anima e contribuì decisamente all'appianarsi dei suoi mille tormenti. Un nodo sciolto, una fune finalmente tesa e dritta.

    Non ho mai amato i toni accesi e sgargianti, e la mia personalità forte ha cozzato da sempre con la luminosità diretta e i toni troppo decisi, sfoderando in realtà una vera contraddizione. Ma tutto il mio essere viveva da sempre in una costante lotta che mi dilaniava internamente: il mio mondo ideale è sempre stato uno splendido acquerello in bianco e nero, una fotografia ingiallita, la vecchia pagina di un libro, e tutto ciò cozzava a dismisura con il mio carattere decisamente variopinto e contrario al dilagare della monotonia.

    All'improvviso, quella rosa rossa mi aveva abbagliato con il suo tono così sprezzante e con quel profumo, talmente forte ed esagerato da sembrare quasi finto. Ancora oggi non so dire perché mi colpì così profondamente, ma dentro di me sentii fortemente che qualcosa, nella mia vita, stava cambiando.

    Ricordo che mi chiesi se mai fosse un trucco messo in atto da uno di quei venditori ambulanti spesso privi di scrupoli e disposti a tutto pur di intascare qualche soldo facile, senza simulare il minimo sforzo.

    Ma il fiore ondeggiava, spinto dalla leggera brezza che arrivava dal mare attraversando i portici della Città Vecchia. Quella rosa recisa era vera, le spine pungenti sembravano voler tagliare l'aria secca di quella mattina e i suoi petali rossi spalancavano mille occhi il cui intento era quello di sfidarmi profondamente.

    Il cielo di Nizza era persino opprimente nella sua azzurrità; alzavo lo sguardo per cercare sollievo da quel caldo insolito per il mese di maggio, ma mi trovavo ogni volta a ripararmi gli occhi con la mano, perché il cielo stesso non voleva lasciarsi guardare.

    Mi sentivo come prigioniera di un quadro naïf, primitivo nella sua semplicità ma scioccante nella definizione delle sue linee. Mi girava la testa, le tempie pulsavano e ad ogni loro spinta, se così si può dire, il sudore mi colava addosso. La sensazione di calore si tramutava in brividi di freddo quando l'aria proveniente dal mare, profumata di iodio e di particelle d'acqua, riusciva a penetrare la fitta coltre delle teste e delle soffocanti tende da sole.

    Era una sensazione decisamente strana: malessere o benessere? Sinceramente, non potevo dirlo. Non provavo dolore o sensazioni di pericolo, ma non potevo nemmeno ammettere di sentirmi bene. Semplicemente, tutta la serie di avvenimenti che aveva accompagnato l'ultimo periodo della mia vita si stava concentrando per martellarmi in testa e tormentarmi; ignoravo che presto sarebbero arrivate altre domande, e a questi quesiti sarebbero mancate le risposte; la mia mente e la mia anima sarebbero presto state vessate da altre fatiche, senza mai un solo attimo di riposo, sempre alla ricerca di quel colore, l'unico in grado di dare un senso ai miei turbamenti.

    Quel rosso che mi aveva sfinita, improvvisamente avrebbe segnato la mia rinascita.

    Le bancarelle della frutta e degli ortaggi risuonavano di voci e di grida, e i profumi si mescolavano fra di loro: sentivo odore di melone dolce e di fragole, di cipolle e di pomodori maturi.

    Ma comunque, la visione di quella rosa continuava a primeggiare sopra a tutto e, mentre girovagavo con alienata curiosità fra le bancarelle del mercato, me la sentivo addosso, come se potesse vedermi e fissarmi. Erano pensieri assurdi e ridicoli, assolutamente fuori luogo, ma forse servivano a distrarmi dalle mie preoccupazioni, incalzanti come i raggi di quel sole insopportabile.

    La mia vita stava per cambiare in modo drastico e quella rosa mi sembrò, allora, ciò che rimaneva della mia anima fragile e acerba, che non perdeva la voglia di primeggiare nella sua infinita unicità, in mezzo a tante anime stanche e rassegnate che percorrevano la vita senza stimoli che avevano scelto di seguire.

    Avevo subíto delle perdite, e ancora ne avrei subite, ma non volevo diventare una marionetta i cui fili venivano manipolati costantemente da altri.

    E quel fiore, nella sua indiscutibile voglia di farsi notare, stava spronando anche le mie emozioni sopite, riportandomi bruscamente alla vita e ai suoi mille colori.

    3.

    A CASA, SUL FIUME

    Circa vent’anni prima

    Il mio nome è Celeste, un nome che già di per sè parla di colori e di cieli lontani, di spazi aperti, di mare, di vento. Tutto questo, paradossalmente, ha condensato le emozioni della mia vita e ha riprodotto intorno a me gli elementi più violenti e significativi della natura e delle sue manifestazioni. Il nome che porto è sempre stato appropriato alla mia anima e alla mia essenza libera.

    «Vorrei che tu affrontassi la vita con passione, sempre. Vorrei che tu crescessi diversa da me» mi diceva mia madre, accarezzandomi i capelli. Io la guardavo mentre, alla luce fioca di una lampada, scorreva le righe dei libri che amava leggere e che erano i suoi compagni nei rari momenti di tranquillità.

    Mi piace raccontare di essere nata figlia di un mandriano e di avere sempre amato la rudezza della vita contadina in cui mi sono trovata catapultata non appena ho emesso il mio primo vagito nel vento umido della mia terra.

    Dopo la mia nascita, mio padre decise di ingrandire quella che era l'azienda della famiglia di mia madre, un'idea che poteva sembrare interessante e redditizia, ma che si rivelò invece la solita tessera dolorosa da incastrare con sudore e sangue nel puzzle impietoso della vita.

    Vivevamo a metà strada fra la città e il bosco, in una splendida tenuta di campagna costruita in solidi mattoni rossi, in realtà molto più ampia e spaziosa rispetto alle nostre esigenze. Molte delle sue stanze erano vuote oppure occupate solo parzialmente da legna da ardere, mobili vecchi che non servivano più, cianfrusaglie e polvere. Amavo molto di più l'esterno di quelle mura. Soprattutto, sostavo volentieri sul retro della cascina: qui, un vecchio mulino funzionava ancora e le sue pale irregolari sferzavano con forza costante l'acqua fredda e trasparente che scorreva sotto al ponticello di legno, più in fondo, e arrivava al grande fiume. Il verde del bosco era ovunque, denso dei suoi odori e dei suoi accattivanti richiami.

    Lo scorrere delle stagioni era palpabile e palese, molto più che in città, e i colori che distinguevano i mesi dell'anno si rincorrevano con impareggiabile magia, passando dal bianco al rosa, dal verde al rosso, mentre io crescevo e mi avvicinavo senza tregua all'insensibile segnalibro che nella mia vita avrebbe contraddistinto il finire della pace e l'inizio di una guerra emotiva, interiore ed esteriore.

    La mia famiglia non ha mai navigato nell'oro: la vita era scandita dal suono della pioggia che, a seconda della consistenza, riusciva a rendere più o meno fangoso il cortile interno dove i cavalli bianchi scorrazzavano e vivevano la loro monotona esistenza.

    Amavo chiamare ciascuno di loro con un nome proprio, ed ero persino in grado di riconoscerli singolarmente da lontano, quando venivano guidati nelle loro cavalcate giornaliere.

    Mi rivedo ancora oggi con chiarezza nei miei panni di bambinetta, con un vestitino bianco di pizzo ricamato e le lunghe trecce nere, mentre, seduta sul muretto al riparo dal vento forte che arrivava dal fiume e puzzava di fango, li additavo uno ad uno alla mia amica immaginaria: c'erano Barth e Ugo, Tempesta e Jolly, Walt e Rudy. E poi le femmine, Ruth ed Emma, Giada e Wendy.

    E poi c'era Rose, la mia preferita. Si chiamava così perché sulla sua fronte spiccava una macchia rossiccia, che assomigliava a una rosa sfiorita che non sarebbe appassita mai. Mi piaceva accarezzarla proprio in quel punto, e sussurrarle parole dolci quando mi sembrava offesa per quello di cui gli allevatori la accusavano: era uno scherzo della natura, non era pura come gli altri esemplari; mi sembrava persino che pensassero che lei era l'unica che avrebbe dovuto immolarsi in caso di febbri e malattie, quasi succhiando il male dagli altri capi e lasciando al sicuro il resto della mandria.

    Nessuno avrebbe mai acquistato quella cavalla, sarebbe stata sempre un peso morto per la famiglia. Rose sbuffava e mi guardava con grandi occhi sinceri, soppesando ogni parola con calma e pazienza. Era l'unica amica femmina che mi faceva compagnia, in carne ed ossa. Avrei voluto persino pettinarle la criniera, ornandogliela di perle colorate e di nastri di velluto; non ho mai avuto il coraggio di chiedere agli uomini di lasciarmela, come se fosse una bambola, a riscaldarmi nelle buie giornate di pioggia, quando guardavo fuori dalla finestra della mia minuscola camera da letto e attraverso l'acqua che scorreva sul vetro intravedevo il tetto delle stalle. Contavo gli stabbielli e sapevo che al settimo posto c'era lei. Chiudevo gli occhi e immaginavo di stringerle il collo e lasciarmi scaldare dal suo respiro calmo e rassicurante: in quei momenti mi sembrava persino di sentire il suo odore. Amicizia pura, amore incondizionato. Un bisogno reciproco di compagnia e di dedizione.

    A quei tempi, io e mio fratello Adrian frequentavamo la scuola locale, che distava mezz'ora a piedi dalla nostra abitazione. Eravamo abituati ad alzarci presto e a percorrere la strada in terra battuta da soli, mano nella mano, spesso ancora troppo intorpiditi dal caldo delle lenzuola candide che avevamo appena lasciato per poter pronunciare anche una singola parola. Un silenzio tagliente e gelido regnava tra noi. Il vento freddo del mattino ci portava il profumo dell'acqua del fiume e tormentava le nostre orecchie con i rumori del bosco, e noi ci stringevamo sempre di più nelle nostre sciarpe per ripararci dal gelo e dai versi sommessi degli animali selvatici.

    Era indubbiamente una vita dura anche per noi.

    Adoravo mio fratello. Lui ed io facevamo parte dello stesso strano mondo, lontano anni luce da quella che era l'esistenza degli altri ragazzi della nostra età.

    I compagni di scuola ci scrutavano come se provenissimo davvero da un pianeta diverso, e spesso ci evitavano perché, dicevano tra di loro ridacchiando, puzzavamo di paglia marcia e di sterco di cavallo. Io non vedevo l'ora che la campanella suonasse la fine delle lezioni, per correre a casa e buttarmi al collo di Rose. Il suo fiato caldo e i suoi occhi buoni avevano il potere di farmi dimenticare subito ogni tristezza o malinconia e di sanare ogni dubbio che incalzava la mia giovane esistenza.

    Tutto sommato, la scuola mi piaceva. Messe da parte le finte amicizie, i pettegolezzi e gli scherzi spesso di pessimo gusto, amavo il profumo dei libri, della carta ingiallita dei quaderni e delle mine delle matite.

    Mi piaceva leggere e scrivere e il mio impegno in quello che allora era il mio dovere è sempre stato costante. Sognavo una vita migliore, agiata e con meno tribolazioni: l'istruzione era un gradino fondamentale verso la quasi perfezione alla quale anelava il mio essere, già allora tanto ambizioso.

    Il tempo passava e gli anni scorrevano inesorabili. Il tempo è spesso solo una clessidra piena di spietata polvere rosa, che non si ferma mai, che mai non dà tregua, che monotona sembra sempre volerti ricordare che tutto finisce in granelli di sabbia, anche i sogni più veri e sinceri. Scorre pacifica e, nel suo turbinoso passare, ti avvicina giorno dopo giorno agli avvenimenti, ai cambiamenti, alle partenze, alle dipartite.

    Ma nessuna polvere aveva fino ad allora fatto i conti con la mia corazza fisica ed emotiva e con la mia voglia di raggiungere un'esistenza pacifica e definitivamente serena.

    4.

    UN INCONTRO

    Nizza, Maggio 2014

    Un turista grasso e sudato mi urtò inavvertitamente, facendomi sobbalzare dallo spavento e dal dolore. Il tacco della mia scarpa bianca, elegante e sinuoso, era finito nella fessura del marciapiede e ora la caviglia mi pulsava per la torsione inaspettata. Forse le mie non erano le calzature più adatte a un viaggio, o semplicemente non avevo avuto l'accortezza di evitare un luogo così maledettamente affollato.

    «Mi scusi tanto, signora» balbettò in un italiano stentato.

    La rabbia lasciò il posto a un sorriso, quando mi rivolse la parola. Capitava spesso, da sempre. Probabilmente, la mia provenienza era incisa in lettere chiare ed inequivocabili sulla mia fronte, di modo che chiunque, senza sentirmi nemmeno pronunciare una sillaba o una sola lettera dell'alfabeto, potesse intuire ovunque mi trovassi che ero italiana.

    Il sole continuava a bruciare sulla pelle e decisi di dirigermi verso il lungomare e la spiaggia. Forse finalmente lì avrei respirato un po' d'aria e il vento mi avrebbe rinfrescato ripristinandomi la ragione e l'orientamento.

    La spiaggia di Nizza era invasa dai turisti. Costumi da bagno sgargianti tappezzavano la distesa di sassi e scogli, contrastando il biancore lucente che il sole faceva risplendere intorno, prelevandolo dal mare azzurro.

    In fondo, lungo la linea dell'orizzonte, vele colorate sembravano gareggiare in un'atmosfera sfocata e priva di vento. Persino il mare era affollato: quelle barche erano troppo vicine le une alle altre.

    Sbuffai nervosamente. Troppa confusione anche in spiaggia, un caldo soffocante, colori che mi accecavano e confondevano. E la caviglia mi faceva male. Decisamente quella non era la mia giornata fortunata.

    Persino la collana che indossavo mi rendeva faticosa la respirazione e il pesante medaglione, reso rovente dal sole, mi marchiava a fuoco la pelle. Infilai il dito tra il collo e il pendente e, trattenendo il fiato, tirai forte. La collana si slacciò e quasi cadde a terra; riuscii ad afferrarla appena in tempo, prima che toccasse il marciapiede, ma strisciai la mano sull'asfalto e me ne graffiai il dorso. L'ennesimo dolore che mi portò sul punto di imprecare.

    Alzai gli occhi in direzione del mercato e lì, sotto un tendone a righe bianche e rosse, intravidi finalmente una macchia innocua e riposante sui toni del bianco, del nero, del grigio.

    Una bancarella che sembrava provenire da un mondo lontano, totalmente fuori luogo, antica come i misteri più antichi del tempo. Magica. La sua anonima tinta la rendeva pressoché invisibile agli occhi degli altri passanti, ma per me era un'attrazione impossibile da ignorare. Era la prima essenza della tranquillità, la calma primordiale prima, durante e dopo il Caos.

    Attraversai nuovamente la strada lasciandomi alle spalle il frastuono del lungomare e tornai verso la Città Vecchia, ai suoi portici e ai suoi odori. Era l'ora di pranzo e i numerosi, piccoli ristoranti cominciavano ad espandersi verso l'esterno, dove i camerieri preparavano deliziosi tavolini colorati pronti ad accogliere turisti accaldati e affamati. Il profumo del cibo mi fece brontolare lo stomaco.

    Avvicinandomi a passi lenti alla bancarella, riuscii a distinguere meglio la mercanzia esposta.

    Erano libri, volumi ingialliti e ingrigiti, pesantemente polverosi, che sembravano provenire da un viaggio nel tempo. Erano così ordinatamente appoggiati gli uni agli altri da assomigliare a una massa unica, con spigoli formati da angoli pungenti o perfettamente smussati. Non avevo mai visto tanti libri antichi tutti insieme. Mi pareva persino di sentire un profumo famigliare, di soffitte polverose o cantine buie, di carta ingiallita dallo scorrere di quel tempo, inesorabile e impietoso. Di nuovo la maledetta clessidra gonfia di quella scivolosa sabbia rosa.

    Mi immedesimai così profondamente nei miei pensieri che mi tirai da sola una botta sulla testa, per scacciare l'antipatico pensiero dei secondi, dei minuti, delle ore che passano senza mai chiederci il permesso.

    Fu allora che sentii una voce maschile, profonda e decisa. Con una nota di stupore, mi apostrofò:

    «Hai dimenticato i soldi? Puoi anche pagarmi la prossima settimana!»

    Stava ordinando dei volumi accatastati a terra, e lavorava senza sollevare gli occhi su di me. Pensai fosse sfacciato e probabilmente annoiato a morte per colpa del grigio che lo attorniava. Doveva essere questo il motivo della sua impetuosa arroganza.

    «Innanzitutto... buongiorno!» risposi. «E poi: ci conosciamo forse?»

    Alzò la testa e i suoi occhi scuri e profondi si fiondarono nei miei.

    «No, non credo.» Si alzò, sfregandosi le mani sui jeans per scacciarne via la polvere. «Sei la persona più giovane e più carina che io abbia mai visto in questo maledetto mercato».

    L'aggettivo che utilizzò per descrivere quello che era stato anche per me un incubo vissuto ad occhi aperti mi fece sorridere. Maledetto, certo... Alla mia mente salirono in un attimo tutti gli aggettivi peggiori che conoscevo, e tutti erano perfettamente calzanti al mercato della Città Vecchia e alla mia mattinata frenetica e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1