Storia di mio padre
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Anteprima del libro
Storia di mio padre - Enzo Cuccagna
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Prefazione
Un commovente gesto di amore filiale e una immensa gratitudine sono alla base della stesura del libro Storia di mio padre
. Sentimenti di riconoscenza nei confronti del genitore scomparso pochi anni fa, ma sempre vivo e presente nella memoria del figlio, per tutti i sacrifici che ha sostenuto di buon grado per il bene della famiglia, per gli insegnamenti che ha trasmesso, per i valori che ha incarnato con coerenza lungo tutta la sua esistenza.
L’autore ripercorre la vita del padre ricordandone i tanti momenti difficili e le esperienze dolorose, in primis l’emigrazione in Germania, ma anche celebrando quei momenti di semplice quotidianità nei quali il padre ha saputo comunicare tutta la ricchezza e l’unicità del suo essere.
L’amore per la natura e la terra, la ferrea volontà, la forza fisica e interiore, la lealtà e l’onestà verso il prossimo, l’originalità del pensiero, la capacità di rimanere sempre fedele a se stesso non sottostando a mode passeggere, queste ed altre sono le qualità e le virtù che l’autore apprezza e riconosce al padre e che si evincono dai tanti episodi narrati.
Dal testo traspare la consapevolezza di un figlio che ormai adulto sa ripensare con tenerezza e forza al passato, familiare e personale, e ne sa cogliere e trattenere gli insegnamenti più importanti.
Attraverso la descrizione di 50 fotografie, in realtà mai scattate, si rende omaggio non solo ad un uomo, ma ad un intero mondo ormai scomparso: la società contadina italiana del primo e secondo dopoguerra. Uomini e donne che con umiltà e abnegazione hanno lavorato duramente, dentro e fuori i confini nazionali, sopportando umiliazioni e privazioni oggi inimmaginabili. Padri e madri che in maniera lungimirante hanno compreso l’importanza dello studio e hanno fatto tutto il possibile per permettere ai propri figli di acquisire quelle conoscenze indispensabili per un futuro migliore. Una generazione che lavorando duramente ha posto le basi per lo sviluppo della società italiana. Nessuno li ha mai ringraziati o ne ha reso pubblico omaggio. Attraverso la figura del padre, lo fa l’autore con questo libro.
Premessa
Ho scritto questo libro sapendo bene che il fattore emotivo e la forza del legame con mio padre potevano in alcuni casi condizionare il mio giudizio e sbilanciare i sentimenti che sono propri del rapporto tra il padre scomparso ed un figlio che molto lo ha amato e in questo libro ne rende riconoscente ed eterna testimonianza. Ogni cosa narrata risponde però al vero assoluto, trovando proprio nella effettiva realtà descritta un suo equilibrio sostanziale generale. Il rapporto con il padre è sempre una questione complessa e difficile da interpretare, soprattutto oggi che da molte parti si parla apertamente di crisi della figura paterna e più in generale della crisi delle figure genitoriali in un tempo che rende sempre più difficili i rapporti (anche nel nucleo famigliare di base) ed aumenta le assenze
spesso bilanciandole con i prodotti di consumo. Il consumo, proprio perché impone una mercificazione sotto forma di mediazione, impoverisce anche i rapporti, li depotenzia, li derubrica e marginalizza. Il nostro tempo è un tempo malato di marginalità relazionale. L’assenza fisica di mio padre è stata bilanciata dalla sua forza d’animo e dalla sua dolcezza. Dal suo essere sempre presente anche se era lontano. Dall’esempio straordinario che ha offerto a me e mio fratello in tutta la sua vita. Dalla sua fortissima leadership e dalla sua granitica volontà.
Fino all’età di 20 anni non ho avuto neanche una foto con mio padre, tranne quella relativa al giorno della cresima e della prima comunione. Mai una foto insieme in quei tempi difficili. Di mio padre in fotografia ricordo solo quelle relative ai tempi di guerra con sopra scritte delle didascalie indimenticabili (in una che lo raffigura in mezzo ai soldati della sua sezione tra le montagne coperte di neve è scritto a matita: il viso mostra il segno del nostro sacrificio – 10.02.1945
. In un'altra in cui è ritratto con il suo cavallo Vaiano dalla stella bianca vi è scritto: un bacio caro al mio Vaiano il giorno del distacco – 4.07.45
). Altre ritraggono mio padre a cavallo, mio padre insieme alla sua sezione, mio padre in mezzo alla neve e quasi abbracciato dai ragazzi della sua sezione. Poi di mio padre ricordo le foto di quando era un povero operaio emigrato in Germania. Una in particolare mentre con una pala sta sbancando un mucchio di sabbia neanche fosse un caterpillar umano. Con indosso la canottiera di lana (che a suo parere lo preservava dai mali alla schiena di cui ha spesso sofferto), piegato nello sforzo.
A quel tempo le foto erano considerate un lusso, perlomeno nelle famiglie operaie e contadine come la nostra. Non si potevano sprecare soldi dei già pochissimi che avevamo, ma era anche un problema di atteggiamento mentale che rifiutava a priori le cose superflue. Le foto poi celebrano i momenti felici o che dovrebbero essere tali, le cose che ci attraggono secondo una precisa graduatoria di preferenze che le foto appunto sublimano. Probabilmente noi di momenti felici non ne abbiamo avuti (almeno fino ad un certo punto) perché la nostra vita è stata difficile soprattutto al suo esordio. Oggi le fotografie si sprecano. Ogni famiglia ne colleziona migliaia. Con l’avvento dei telefoni portatili dotati anche di cellula fotografica si scattano fotografie ogni istante e per qualsiasi motivo anche il più banale. Si pensa che tutto questo non costi nulla e che sia gratis. In realtà sommando tutte le foto che vengono fatte nel mondo ogni giorno e di quanto costa tutto ciò in termini di assorbimento di energia, il loro costo si potrebbe rivelare elevatissimo. Probabilmente superiore a quando le pellicole erano di celluloide e venivano sviluppate nei negozi appositi, che nelle loro vetrine celebravano la felicità di quei momenti. Chi della mia generazione non si è fermato a guardare le foto di matrimoni, cresime, anniversari, esposte nelle vetrine dei negozi di fotografia fino a quando hanno resistito alla dittatura elettronica ora imperante? Mio padre e mia madre non hanno mai avuto tempo di farci foto. Mio padre regalò a me e mio fratello una macchina fotografica di plastica di quelle essenziali da pochi marchi di valore. La riportò dalla Germania per la nostra felicità grandissima e io l’ho conservata gelosamente e intatta per mezzo secolo, ancora nella sua bella scatola di cartone come fosse nuova. Ma anche quando possedemmo finalmente una macchina fotografica, lo stesso continuammo prudentemente a non fare foto. Guardavamo (io e mio fratello) ogni tanto la macchina fotografica nella sua custodia ed eravamo felici al solo pensiero di possederla. Probabilmente non c’erano occasioni per scattare foto (festeggiamenti, momenti di evasione, vacanze). La vita della nostra famiglia è stata così. Molti pesi e pochi divertimenti (praticamente nessuno), tranne quelli semplici e a zero costo: giocare a nascondino, costruire un monopattino, giocare arcacciaveccone
alla fonte della Cannalecchia (si riempiva la vasca fino all’orlo, si gettavano dei sassi sul fondo e si faceva a gara a chi ne prendeva di più con la bocca, immergendosi completamente con la testa nell’acqua gelata – ero un campione indiscusso), fare capanne sulla Selva, una passeggiata in montagna, in giro per i boschi a trovare nidi di uccelli, costruire fionde con gli incroci dei rami e con elastici rimediati non so neanche come, a caccia di vipere, serpi e ramarri, scalare i Merletti dove il vento aveva scavato su una roccia a strapiombo sulla vallata che guarda il Gran Sasso un caccia aereo biposto. Mi mettevo ai comandi e immaginando scene di epiche battaglie volavo lontano con la fantasia. E’ per questo che scrivendo questo libro in onore di mio padre ho pensato che la cosa migliore fosse dare vita e colore e voce a tutte quelle fotografie belle o brutte mai scattate che hanno rappresentato la mia difficile infanzia e un pezzo importante della vita della mia famiglia. Ogni foto, lo dico per inciso, è un frammento di Paese, di una bella e povera Italia oramai scomparsa per sempre. Quasi un manifesto di come eravamo. Di quell’Italia che usciva dalla guerra e mordeva la vita, che usciva dalla distruzione e pulsava di voglia di costruire, che ne aveva viste di cotte e di crude e per questo aveva una umanità delicata e tenera, che poi la ricchezza ha corrotto e quasi ucciso per sempre. Pur nella durezza di quei tempi, lo stato di necessità che era condizione comune della quasi moltitudine, teneva tutti stretti ed uniti. Tutti avevano forte consapevolezza di aver bisogno dell’altro. Tutti limitavano il proprio raggio di azione in rispetto del raggio di azione dell’altro. Attraverso la storia di mio padre ho inteso anche descrivere, di riflesso, quello che accadeva nell’Italia a cavallo tra le due guerre, che si proiettava nella società del boom economico e del benessere diffuso ed eccessivo dei tempi attuali.
Comincio dalla fine
Il 2 gennaio 2012 mio padre è scomparso all’età di quasi 92 anni. Si chiamava Marco Cuccagna ed era nato il 2 aprile del 1920 in un periodo epico e terribile: la prima guerra mondiale da poco conclusa ed in Italia l’inizio del movimento fascista che sarebbe andato al potere nel 1922 e avrebbe condotto alla seconda guerra mondiale e alle sue immani tragedie. La fine della prima guerra mondiale aveva sancito la sconfitta degli imperi centrali e il mondo intero era alla ricerca di un difficile equilibrio fra le forze che avevano ancora in mano l’impero coloniale e i nuovi soggetti politici che la guerra aveva prepotentemente proposto sulla scena. La Germania incassava il duro