Sono Sionista
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Anteprima del libro
Sono Sionista - Ariel Shimona Edith Besozzi
Shalom.
CAPITOLO I
IO, EBREA, VI SPIEGO PERCHÉ STO CON ISRAELE
Il mio raccontarmi, come sionista, a voi che mi leggete inizia dicendo perché per me è imprescindibile il mio sostegno ad Israele con il diritto a vivere come Stato all’interno di confini stabili, sicuri e difendibili. Le mie analisi hanno inizio con il conflitto che è avvenuto durante l’estate 2014, quando i terroristi di Hamas hanno aggredito su larga scala lo Stato d’Israele, bombardandone le città con l’intento di fare più morti e danni possibili.
16 Av 5774 (2014, dodicesimo giorno di agosto)
Sono nata e cresciuta in una famiglia per nulla religiosa, fin da piccolissima mi è stato detto che il rapporto con D-o era qualcosa di personale e che avrei dovuto valutare io, decidere come e se credere.
I nonni paterni erano piuttosto religiosi, soprattutto il nonno, ma in una maniera molto intima e privata, non era un uomo particolarmente loquace ed è sempre stato difficile per me parlare con lui.
I nonni materni invece erano comunisti e da loro ho imparato la storia. Mio nonno era stato partigiano, catturato e deportato in Germania; mia nonna, allora bambina, ricordava con precisione il Fascismo e i bombardamenti. Mi hanno trasmesso la loro fede attraverso i loro racconti. Per questo motivo, fin da piccola, ho pensato fosse indispensabile lottare contro le cose che ritenevo ingiuste, inique. Inizialmente si trattava di reazioni piuttosto istintive che mi portavano a prendere sempre le parti dei più deboli o degli emarginati, crescendo è divenuto un impegno politico concreto che si è modulato attraverso la partecipazione alle proteste studentesche, poi all’attività sindacale, fino a divenire parte integrante della mia vita.
Non ho mai avuto paura di prendere la parola, di far valere le mie ragioni o di difendere quelli che credevo avessero bisogno di essere difesi. Mi sono mossa dentro alcune categorie rispetto alle quali credevo si potessero trovare indicazioni e risposte alla sensazione che provavo di essere immersa nelle ingiustizie e nelle iniquità.
Ho attraversato il lavoro in fabbrica con una sofferenza profonda che mi veniva soprattutto dal fatto di non poter condividere con le mie compagne di lavoro nessun pensiero, nessuna istanza. Mi sono trovata emarginata e umiliata perché frequentavo le serali, derisa perché credevo che attraverso lo studio sarei riuscita a uscire dalla fabbrica, cosa che puntualmente è accaduta. Nonostante ricevessi molta più solidarietà e stima dalle mie datrici di lavoro, ho continuato a pensare a loro come nemiche e a difendere le mie aguzzine con la mia abilità dialettica e lo studio dei contratti e delle leggi.
Proseguendo negli studi mi sono confrontata con donne sapienti, capaci di destrutturare il mio pensiero attraverso la presa di consapevolezza di essere donna. Processo non indolore, poiché chi non era abbastanza interessante per loro non veniva neppure presa in considerazione.
Lavorando e studiando mi sono trovata cooptata all’interno del sindacato rosso d’Italia, portata come un trofeo: giovane donna, ho avuto tutti i ruoli che pensavo di desiderare. Credevo sinceramente di poter fare qualcosa di positivo per le persone con cui lavoravo, lo studio delle norme, della contrattazione, dei bilanci delle aziende, la costante lettura di giornali e libri mi hanno mostrato le infinite possibilità di cambiare radicalmente l’ordine delle cose. Non sarebbe stato affatto difficile contrapporsi al capitale e far valere le ragioni del lavoro se solo si fosse creduto davvero che il lavoro è qualcosa di fondante per l’individuo.
Il lavoro, l’opera umana, è la più grande ricchezza che ognuno di noi possiede ed è ovviamente la più grande ricchezza dell’umanità tutta. Prerogativa dell’uomo nato libero e fornito di genio creativo. Il lavoro è una grande cosa perché onora chi lo fa (Talmud babilonese, Nedarim 49b).
Credevo e ancora credo fermamente che questo sia vero, solo che ho capito che proprio le organizzazioni della cosiddetta sinistra italiana (partiti, sindacati, associazioni di vario genere) non solo non lo credono, ma decisamente fanno il possibile per screditare questa idea.
Ci sono voluti alcuni anni di militanza intensa e assoluta, diverse ulcere e una quantità enorme di accesissime discussioni, ma alla fine ho capito che quelle strutture non c’entravano nulla con gli ideali di giustizia, equità, libertà collettiva e individuale cui mi rifacevo.
Non è stato semplice rinunciare alla visibilità e al potere, ma ancora meno semplice è stato ritrovarmi a fare i conti con il mio desiderio di essere politica.
Dovevo cercare altrove, più profondamente dentro di me, dentro la mia storia personale, familiare, soprattutto mi trovavo senza fede, senza D-o o, dovrei dire, senza idoli.
Nel corso di quegli anni e di quelle esperienze non ho mai scordato di essere ebrea, non ho mai scordato l’importanza di Israele per me, troppi e troppo frequenti e stupidi gli attacchi per poter