Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Ibrahim Rugova: Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia
Ibrahim Rugova: Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia
Ibrahim Rugova: Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia
E-book201 pagine2 ore

Ibrahim Rugova: Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Rugova, un vero proprio pezzo di storia dei Balcani...peccato se ne sia sempre parlato poco. Finalmente ora una biografia in lingua italiana

Quando si inizia un viaggio solitamente conosciamo il giorno, il luogo di partenza, quello di arrivo e quello di ritorno. I mezzi da prendere, gli alberghi dove alloggiare e le cose da visitare.

In questo libro invece di prendere un treno, invece di partire per quella destinazione in quel dato giorno, si viaggia tramite le testimonianze di studiosi che, come delle vere e proprie guide, ci accompagnano coi loro racconti e riflessioni alla conoscenza di Ibrahim Rugova, per cercare di capire perché pochi lo conoscono e perché molti l’hanno già dimenticato.

Questo viaggio in realtà è iniziato ancora qualche anno fa con la pubblicazione di “78 giorni di bombardamento Nato: la guerra del Kosovo vista dai principali media italiani”, dove si analizzano le contraddizioni (e l’assenza) dell’Europa in una escalation di sofferenze che colpiscono entrambi i popoli.

Con questo ultimo lavoro si ritorna, a ritroso, in quelle terre, per capire dove, come e quando un processo d’integrazione si interrompa e come degeneri in violenze e soprusi.

L’intera ricerca ruota attorno a Ibrahim Rugova, figura funambola su cui la Storia, soprattutto dopo la sua morte, continua ad emettere più di una sentenza e comunque sempre contradditorie.

Con un grandangolo, in una posizione privilegiata, si lascia che siano la memoria e le citazioni a delineare questo personaggio che di diritto è entrato a far parte della Storia dei Balcani e dell’Europa.

Il nostro bagaglio è un’enorme valigia virtuale piena di libri: non esistendo biografie specifiche, si citano quelle poche pagine che ciascuno di questi testi dedica al Professore kosovaro.

Alla fine, non c’è la volontà di capire chi tra Serbi e Kosovari stia subendo più ingiustizie, chi sia Abele e chi Caino, anche perché ragione e torto s’intrecciano continuamente senza una soluzione. La ricerca mira quindi a capire il ruolo di Rugova fuori da ogni pregiudizio e preconcetto.

Il periodo storico preso in esame è quello in cui si crede e spera ancora di avere la forza per portare la realtà fuori dai binari della violenza e dell’intolleranza in uno spicchio d’Europa che continua ancor oggi ad essere dimenticato dai più.

L'AUTORE: Classe 1970, Laurea in Scienze Politiche a Padova e Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali Comparate presso l'Universita' Ca' Foscari di Venezia. Master SDA Bocconi (2003-05) e Master Ipsoa (Pianificazione Patrimoniale) Autore del libro "78 giorni di bombardamento NATO: la Guerra del Kosovo vista dai principali media italiani" (Primo Premio al Concorso Internazionale 2015 Mario Pannunzio, Istituto Italiano di Cultura fondato da Arrigo Olivetti e Mario Soldati, Torino - Sez D), il cui 100% del ricavato viene donato ad Amnesty International. E del libro "Ibrahim Rugova. Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia"
LinguaItaliano
Data di uscita20 dic 2015
ISBN9788898969661
Ibrahim Rugova: Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia

Correlato a Ibrahim Rugova

Ebook correlati

Biografie politiche per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Ibrahim Rugova

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Ibrahim Rugova - Luca De Poli

    Luca De Poli

    IBRAHIM RUGOVA

    Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l’Italia

    IBRAHIM RUGOVA

    Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l’Italia

    © Homeless Book, 2015

    www.homelessbook.it

    ISBN: 978-88-98969-65-4 brossura

    978-88-98969-66-1 ebook

    INDICE

    INCIPIT

    I CAPITOLO

    II CAPITOLO

    III CAPITOLO

    IV CAPITOLO

    V CAPITOLO

    VI CAPITOLO

    CONCLUSIONE

    RINGRAZIAMENTI

    BIBLIOGRAFIA

    SITOGRAFIA

    Dedicato a Lorella, Bianca e Asia

    che hanno dato un nuovo meraviglioso

    senso alla mia vita

    e a tutti coloro che non smettono mai

    di cercare la pace e il dialogo

    come alternativa alla violenza

    e all’intolleranza.

    INCIPIT

    Quando si inizia un viaggio solitamente conosciamo il giorno, il luogo di partenza, quello di arrivo e quello di ritorno. I mezzi da prendere, gli alberghi dove alloggiare e le cose da visitare.

    In questo libro invece di prendere un treno, invece di partire per quella destinazione in quel dato giorno, si viaggia tramite le testimonianze di studiosi che, come delle vere e proprie guide, ci accompagnano coi loro racconti e riflessioni alla conoscenza di Ibrahim Rugova, per cercare di capire perché pochi lo conoscono e perché molti l’hanno già dimenticato.

    Questo viaggio in realtà è iniziato ancora qualche anno fa con la pubblicazione di 78 giorni di bombardamento Nato: la guerra del Kosovo vista dai principali media italiani, dove si analizzano le contraddizioni (e l’assenza) dell’Europa in una escalation di sofferenze che colpiscono entrambi i popoli.

    Con questo ultimo lavoro si ritorna, a ritroso, in quelle terre, per capire dove, come e quando un processo d’integrazione si interrompa e come degeneri in violenze e soprusi. L’intera ricerca ruota attorno a Ibrahim Rugova, figura funambola su cui la Storia, soprattutto dopo la sua morte, continua ad emettere più di una sentenza e comunque sempre contradditorie.

    Con un grandangolo, in una posizione privilegiata, si lascia che siano la memoria e le citazioni a delineare questo personaggio che di diritto è entrato a far parte della Storia dei Balcani e dell’Europa.

    Il nostro bagaglio è un’enorme valigia virtuale piena di libri: non esistendo biografie specifiche, si citano quelle poche pagine che ciascuno di questi testi dedica al Professore kosovaro.

    Alla fine, non c’è la volontà di capire chi tra Serbi e Kosovari stia subendo più ingiustizie, chi sia Abele e chi Caino, anche perché ragione e torto s’intrecciano continuamente senza una soluzione. La ricerca mira quindi a capire il ruolo di Rugova fuori da ogni pregiudizio e preconcetto.

    Il periodo storico preso in esame è quello in cui si crede e spera ancora di avere la forza per portare la realtà fuori dai binari della violenza e dell’intolleranza in uno spicchio d’Europa che continua ancor oggi ad essere dimenticato dai più.

    I CAPITOLO

    A incontrarsi o a scontrarsi non sono culture,

    ma persone. Se pensate come un dato assoluto,

    le culture divengono un recinto invalicabile,

    che alimenta nuove forme di razzismo.

    Ogni identità è fatta di memorie e oblio.

    Più che nel passato, va cercata

    nel suo costante divenire.

    Marco Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino, 2004

    Il sito del Parlamento Europeo presenta il premio Sacharov come un riconoscimento destinato a personalità di spicco distintesi nella lotta contro l’intolleranza, il fanatismo e l’oppressione. Seguendo l’esempio di Andrej Sacharov, i vincitori del premio a lui intitolato testimoniano quanto coraggio sia necessario per difendere i diritti dell’uomo e la libertà di espressione¹.

    Come mai l’Europa decide di dedicare un premio così prestigioso alla figura di Andrej Dmitrievič Sacharov²? Leggendo la sua biografia si comprende sia il coraggio che la determinatezza di questo uomo capace di esprimere le proprie idee controcorrente in piena guerra fredda, quando il Cremlino presenta ai dissidenti ben poche alternative al confino. Ed è anche per questo che il prestigioso Time Magazine, il 14 Maggio del 1990, ad un anno dalla sua scomparsa, esce con un suo primo piano in copertina. Ripreso con quei caratteristici occhialoni e con quella espressione leggermente melanconica, sottotitola Memoirs of a 20th century Giant, Special Book Excerpt. In realtà ancor prima, nel lontano 21 Febbraio del 1977, Sacharov viene immortalato con il tradizionale colbacco russo, The Dissidents Challenge to Moscow. Nel 1975, il suo anno, riceve il premio più ambito, il Nobel per la Pace, che però non ritira in quanto was not permitted to leave the Soviet Union, it was his wife who attended the award ceremony and received the award on his behalf³. Il Comitato (Nobel Peace Prize Committee) motiva l’assegnazione del premio con queste parole:

    Sakharov’s fearless personal commitment in upholding the fundamental principles for peace between men is a powerful inspiration for all true work for the peace. Uncompromisingly and with unflagging strength Sakharov has fought against the abuse of power and all forms of violation of human dignity, and he has fought no less courageously for the idea of government based on the rule of law⁴.

    Dalla sua istituzione, nel 1988, al 1998, il premio Sakharov prende tre volte la via della martoriata ex Jugoslavia; di queste per ben due la strada di una regione della Repubblica Federale di Serbia e Montenegro, il Kosovo, chiamata anche, a seconda dei momenti storici o degli attori coinvolti, Kosova dagli Albanesi, Kosovo i Metohija dai Serbi e Kosovo dalla Comunità Internazionale, ONU compresa.

    Nel 1993 non viene premiata una figura ben precisa, ma una testata giornalistica della Bosnia ed Erzegovina, l’Oslobođenje (Liberazione), capace negli anni di raggiungere ulteriori autorevoli traguardi grazie ai suoi giornalisti, alcuni dei quali premiati anche singolarmente. Tra i riconoscimenti si ricorda il Golden Pen Award, per l’impegno della redazione contro la xenofobia e, nel 1992, il riconoscimento inglese come Giornale dell’Anno nel Mondo⁵.

    Due Sakharov Prize for Freedom of Thought, 1991 e 1998, vengono invece assegnati a due uomini che stanno vivendo la disintegrazione della Jugoslavia in prima persona ma da un altro angolo dei Balcani, quello più meridionale e dimenticato, per l’appunto il Kosovo.

    In quegli anni in Europa si conosce tutto o quasi tutto dell’Irlanda del Nord, della martoriata regione dell’Ulster, dei Paesi Baschi e, con le debite proporzioni, anche dell’Alto Adige. Ma l’opinione pubblica e anche la politica che conta conoscono ben poco del Kosovo, distratte e preoccupate dalla guerra e dalla devastazione che stanno interessando altre aree dei Balcani, in particolare la Bosnia ed Erzegovina, oltre che dai vari attentati di diversa matrice che avvengono nel Vecchio Continente.

    Sono oltre 3.000 i morti in Irlanda del Nord, con giornate tristemente entrate nella storia come la strage di (London)Derry del 30 gennaio del 1972, la famosa Bloody Sunday, con 14 morti e altrettanti feriti, con leggendarie figure come quella di Bobby Sands morto in carcere dopo uno sciopero della fame per denunciare il regime a cui viene sottoposto. Una Regione dove i fantasmi continuano ad aleggiare come testimonia la recente accusa a Gerry Adams (Belfast 06.10.1948), storico leader politico del partito nord irlandese Sinn Féin, per un omicidio di matrice IRA datato addirittura 1972⁶.

    Nei Paesi Baschi la situazione è speculare, i morti meno di un migliaio, ma la brutalità e le violenze sono simili a quelle avvenute in Ulster. Anche in questo caso esistono libri, bibliografie, documenti, oltre a numerosi film sulla storia e gli avvenimenti che raccontano il fenomeno ETA⁷.

    In Italia, il Comitato per la liberazione del Sudtirolo, Befreiungsausschuss Sϋdtirol (Bas) causa morti (21) e feriti con forti ripercussioni a livello mediatico e governativo⁸.

    Per quei due riconoscimenti, però, per quei due premi Sacharov, l’Europa cambia geografia, gira il timone e punta la bussola altrove. Sceglie di mandarli in quel fazzoletto di terra a forma di romboide, premiando Adem Demaçi (1991) e Ibrahim Rugova (1998), conosciuti rispettivamente come il Mandela e il Gandhi del Kosovo.

    In un interessante articolo del giornalista Pierluigi Battista si parla di come ci sia l’abitudine di mascherare l’impotenza con azioni che hanno un effetto irrilevante sulla realtà ma una forte risonanza mediatica. E riferendosi ai grandi del pianeta sottolinea che puoi fare ben poco stando al governo oppure operando all’opposizione […], ma puoi sempre scegliere una strada sostitutiva: «mandare un segnale». È l’apoteosi del gesto carico di significati, è il predominio del simbolico sul concreto⁹.

    Sono stati quei due premi a portarsi con sé il puoi fare ben poco dell’Europa? Il compianto Norberto Bobbio¹⁰ ammonisce le generazioni presenti e future sottolineando che non c’è politica senza cultura, con la conseguente definizione del politico incompetente, che alla fine è colui che non riesce a prendere decisioni utili, perché privo della conoscenza necessaria¹¹.

    Adem Demaçi (Priština, 26.02.1936) riceve il premio giusto a un anno dalla sua scarcerazione avvenuta per grazia e volontà di colui che è già considerato il nemico numero uno del Kosovo: Slobodan Milošević¹².

    Il Nelson Mandela del Kosovo deve questo soprannome ai suoi quasi 30 anni passati nelle carceri jugoslave; anni in cui non ha mai rinnegato i suoi ideali nazionalisti, giudicati da Tito¹³ anti-jugoslavi. Scrittore, è uno dei primi intellettuali a opporsi e a raccontare il regime, definendolo di apartheid, in cui vive da decenni l’etnia albanese in Kosovo.

    Nel 1996 viene candidato al premio Nobel per la Pace, poi, però, conferito a Carlos Filipe Ximenes Belo¹⁴ e José Ramos-Horta¹⁵ per il loro ruolo strategico assunto durante il conflitto in Timor Est.

    Demaçi è anche autore di una serie di libri, Ceneri 99, Mamma Šega e le sue cinque figlie, L’amore quantificato, dove spesso viene narrata la sofferenza del popolo albanese. Negli anni ricopre diversi ruoli, come quello di Direttore del Consiglio per la difesa dei diritti dell’uomo, delle libertà e politici. Rimane in Kosovo durante tutto il conflitto con le vesti di rappresentante politico dell’UCK, l’Esercito di liberazione del Kosovo¹⁶.

    Al termine della guerra assume uno dei ruoli più difficili, quello di Presidente del Comitato per la comprensione reciproca, la tolleranza e la coesistenza, che di fatto raggruppa e rappresenta le diverse etnie presenti in Kosovo, perché vogliamo una società libera, democratica e multietnica"¹⁷.

    In un articolo dell’inglese The Independent del 02.06.1993¹⁸, si racconta dello sciopero della fame di Demaçi contro la chiusura dell’unico giornale e casa editrice in lingua albanese. Demaçi non nasconde mai le sue iniziali simpatie per il dittatore albanese Enver Hoxha¹⁹, poi dirottate in una linea più moderata ma sempre ostile al Governo di Belgrado, allontanandosi di fatto dall’idea di una unificazione del Kosovo con l’Albania.

    L’articolo citato de The Independent termina con l’annuncio dell’arrivo al Grand Hotel di Priština di un certo Željko Ražnjatović. Fuori dalla porta un cartello Croats, dogs and Albanians not welcome. Il nickname di quell’uomo è Arkan²⁰.

    Gianluigi Ricuperati, nella copertina del libro di Christopher S. Stewart Arkan, la tigre dei Balcani, definisce Željko Ražnjatović come il fondatore di uno dei più terribili gruppi paramilitari serbi, capace di stupri e massacri, oltre che essere a capo di un impero le cui fondamenta sono le relazioni con i vari esponenti della criminalità europea.

    Lo stesso giornalista americano Stewart afferma che poche persone sono a conoscenza del rapporto diretto tra Milošević e Arkan, in quanto non esiste alcuna documentazione, nemmeno una registrazione, che lo possa testimoniare. Milošević, dal suo canto, anche di fronte al Tribunale de L’Aja, nega sempre l’esistenza di tali legami²¹.

    Ma tra i diplomatici a discutere del futuro del Kosovo durante la Conferenza di Rambouillet, come precisa Alessandro Marzo Magno nel libro La guerra dei dieci anni non c’è Adem Demaçi:

    Prossima tappa: Castello di Rambouillet, alle porte di Parigi, per il negoziato finale. Nei primi quattro giorni di febbraio (1999, ndr), tutte le parti accettano di partecipare: il gruppo di Rugova (Ldk), quello di Hasim Thaci (Uçk) e i serbi di Belgrado. Il 6 cominciano i colloqui sotto la presidenza congiunta dei ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna, Hubert Vedrine e Robin Cook. Sono presenti i mediatori di Stati Uniti, Unione europea e Russia. La delegazione albanese è composta da sedici persone (compresi Rugova, Bukoshi e Agani per la Ldk, Thachi e Xhavit Haliti per l’Uçk, ma anche Rexhep Qosja, Veton Surroi e Blerim Shala). Ci sono praticamente tutti i leader, in rappresentanza di tutte le anime dell’irredentismo kosovaro. Manca solo Adem Demaqi, per scelta politica²².

    Oltre ad un giovanissimo Hashim Thaçi²³, come rappresentante dell’UCK, e al posto di Adem Demaçi, c’è colui che l’anno prima si aggiudica il premio Sacharov, assegnato per la seconda volta ad una figura kosovara: il Professor Ibrahim Rugova (Crnce, 2.12.1944, Priština, 21.01.2006).

    Demaçi e Rugova rappresentano un vero e proprio paradosso: impegnati entrambi per un Kosovo indipendente e per far valere i diritti civili, rimangono invece distanti nei metodi e nelle azioni.

    Anche dopo la morte di Rugova, Demaçi continua ad accusarlo: […] non è un eroe, è un vigliacco che non è morto per la nazione, anche se ne ha avuto l’occasione²⁴.

    Ma allora chi è Ibrahim Rugova? Un eroe, un opportunista, o altro? Viene presentato da taluni come colui che manca l’appuntamento con la Storia, che scappa e che è capace di mantenere col nemico un comportamento ambiguo. Forse per questo pochi lo conoscono, forse per questo al di fuori dei Balcani molti l’hanno già dimenticato?

    Il Prof. Jože Pirjevec, autore di uno dei più autorevoli saggi sulle guerre jugoslave, introduce così la sua figura:

    Questi, professore di letteratura Albanese e scrittore, si trasformò quasi per caso in un personaggio carismatico, destinato a diventare famoso in tutto il mondo per il pacifismo a oltranza che professava: a suo avviso, bisognava creare un Kosovo indipendente con mezzi pacifici e politici, impedendo qualsiasi tentativo di rivolta armata contro il dominio serbo, perché ciò avrebbe provocato un terribile bagno di sangue, data l’enorme disparità delle forze in campo. Invece di provocare i serbi, che aspettavano solo un pretesto per massacrare la popolazione albanese, si doveva internazionalizzare la questione del Kosovo, informando i paesi esteri con una documentazione sistematica delle violazioni dei diritti umani che vi erano perpetrate²⁵.

    Per capire ancor meglio quest’uomo, risulta utile partire dal coccodrillo²⁶ della testata giornalistica francese Le Monde che, a firma Christophe Chȃtelot, presenta uno dei più completi editoriali sulla vita e sulla figura di Rugova dal titolo Il Presidente del Kosovo ha dedicato tutta la sua vita alla lotta per l’indipendenza del suo Paese. L’articolo è del 24 gennaio del 2006, quando sono passati tre giorni dalla sua morte:

    Il cavallo porta il suo padrone fino alla morte Ibrahim Rugova, scrittore e filosofo di formazione, conosceva bene questo proverbio albanese, lui che ha speso tutta la vita per il suo obiettivo: l’indipendenza del Kosovo. Il colosso fragile del Kosovo, intellettuale ostinato

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1