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Radici giudee
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E-book131 pagine2 ore

Radici giudee

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Info su questo ebook

I nomi dei grandi re d'Istraele sono stati tramandati fino ai giorni nostri, diventando anche oggetto di leggende e miti. Ma chi sono allora gli ebrei? La storia di questo popolo non riguarda solamente i tragici fatti che lo legano all'Olocausto ma affonda le origini in tempi remoti, in una terra contesa per motivi religiosi e politici. Infine è a quesi ultimi che si vuole lasciare l'intento della narrazione, discostandosi dalle convinzioni religiose di ognuno per dare spazio ai racconti dei fatti realmente avvenuti che continuano però a conservare il fascino di una favola antica.

 
LinguaItaliano
EditoreCEE-book
Data di uscita21 mar 2023
ISBN9791222087139
Radici giudee

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    Anteprima del libro

    Radici giudee - Antonio Pirani

    PROLOGO

    Gli Ebrei. Quando oggi si parla di Ebrei si pensa immediatamente all’Olocausto, allo spietato sterminio che questa fede religiosa, questo popolo, hanno dovuto subire in Europa negli anni del nazismo, dal 1933 al 1945.

    Ma quali sono le origini di questo popolo? L’unica fonte, più teologica che storica, che ci parla delle radici ebraiche è la Genesi, il primo libro, il più antico, della Sacra Bibbia.

    Il racconto della Genesi si perde nella notte dei tempi e ci narra di Abramo, ricco allevatore di Ur, in Mesopotamia, l’attuale Iraq (Mesopotamia significa tra le acque, trovandosi tra due fiumi: il Tigri e l’Eufrate), la terra dei caldei (e caldei sono tuttora chiamati i cristiani irakeni), popolazione di fede monoteista, cioè credente in un solo Dio (monos, in greco, è uno; theos è Dio), che riceve l’ordine, da questo Dio, di emigrare con la sua famiglia e il suo bestiame nella terra di Canaan, sulle rive del Mediterraneo.

    Abramo avrà un figlio da Agar, la schiava di sua moglie, che chiamerà Ismaele, e uno dalla moglie Sara, che chiamerà Isacco.

    Isacco prenderà a sua volta una moglie caldea, Rebecca, dalla quale avrà due gemelli, Esaù e Giacobbe, il primo forte nel fisico ma poco intelligente, il secondo, invece, cervello fino.

    Un giorno Giacobbe, approfittando della dabbenaggine del fratello affamato al ritorno da una battuta di caccia, lo convince a cedergli la primogenitura, e con essa il diritto ad ereditare dal padre la guida del popolo, in cambio di un piatto di lenticchie.

    Rebecca, cosciente delle maggiori capacità di Giacobbe rispetto ad Esaù, ordisce un piano per ingannare Isacco, ormai vecchio e cieco, e fargli nominare Giacobbe suo successore. Quando Esaù scopre il raggiro la vita di Giacobbe è in pericolo, ed egli fugge presso lo zio Labano, fratello di Rebecca, in Caldea, dove sposerà le sue due figlie, Lia e Rachele (tra i caldei era ammessa la poligamia), e da loro, unitamente alle due serve Zilpa e Bila, avrà dodici figli, che daranno origine alle tribù in cui è composto tutt’oggi il popolo ebraico.

    Quando, tanti anni dopo, Giacobbe torna a casa per incontrare il fratello e chiedergli perdono, viene aggredito da un angelo inviatogli da Dio per testimoniare il tormento interiore a cui è sottoposto l’Altissimo nel dubbio se indurre Esaù a concedergli il perdono oppure no, e lottare con Dio, in ebraico, si dice Ishra El (il mio ebraico è meno che imperfetto e per questo mi scuso), da qui quello che diverrà il secondo nome di Giacobbe e il nome del futuro Stato ebraico: Israele.

    Giacobbe ha sposato Lia solo perché primogenita di Labano, e in Caldea le secondogenite non potevano sposarsi prima delle sorelle maggiori, ma ha sempre amato soltanto Rachele e, di conseguenza, Giuseppe, figlio di Rachele, è il suo preferito anche se sono molti i figli nati prima di lui dalle altre tre madri.

    I fratelli maggiori, per invidia, venderanno Giuseppe ad una carovana di mercanti Ismaeliti (Arabi, discendenti di Ismaele) diretta in Egitto, raccontando a Giacobbe che Giuseppe è morto sbranato da un grosso felino.

    Giuseppe, dotato di intelligenza fuori del comune, avrà enorme successo nel paese delle piramidi, tanto da diventare primo consigliere del faraone.

    Anni dopo concederà il perdono ai fratelli e chiamerà l’intero popolo ebraico a trasferirsi in terra d’Egitto, ma dopo la sua morte e quella dei suoi figli, gli Egizi ridurranno gli Ebrei in schiavitù, dalla quale li libererà Mosè, riportandoli nella terra di Canaan.

    Il ritorno degli Ebrei, dopo oltre quattro secoli, nella terra dei loro antenati (chiamata Palestina dai filistei che la abitano in parte) è all’origine di una serie di sanguinosissime guerre contro i popoli che vivono lì da secoli, e in guerra c’è bisogno di unità e di un capo, un uomo giovane e forte che guidi l’esercito in battaglia.

    Gli Ebrei sono divisi in tribù, hanno un giudice, un anziano saggio che li governa, ma mancano di un’unità politica e statale, ed è qui che inizia la storia che vi voglio raccontare.

    Due premesse importanti: questo non vuol essere e non sarà un libro di teologia, un testo che parla di religione, con quest’opera intendo raccontare la storia, perché da questo punto in poi non si parla più di credenze religiose. I re d’Israele appartengono alla storiografia ufficiale, la loro esistenza è dimostrata, è di questo che parleremo, non di fede, perché parlare di opera divina escluderebbe dalla sua lettura i non credenti, e l’autore non vuole che ciò accada.

    Chi crede, probabilmente, questa storia la conosce già perché compresa nei libri di 1Samuele, 2Samuele e 1Re dell’Antico Testamento, e comunque, chi crede, può leggere direttamente la Bibbia, non avrebbe senso scrivere un libro che ricalchi pari pari le Sacre Scritture.

    Io mi rivolgo agli atei, agli scettici, a coloro che alla religione non credono, ma conoscere la storia del regno di Israele, lontanissimo antesignano (1000 a.C. più o meno) dell’attuale Repubblica israeliana, è assolutamente importante per tutti.

    Questa è la prima grande novità del mio libro, la seconda è che a narrarvelo sarà Menelik, sovrano d’Etiopia, figlio di re Salomone e della regina di Saba, lontanissimo antenato di Hailé Selassié (1), ultimo monarca del paese africano.

    Menelik si dice sia nato da una relazione considerata peccaminosa e foriera della successiva fine catastrofica dell’antico Regno d’Israele (2).

    NOTE

    SAUL

    Mi chiamo Menelik, il mio nome significa figlio del saggio, sono re d’Etiopia.

    Mia madre Makeda (1), meglio conosciuta come la regina di Saba, al ritorno da un viaggio in una terra lontana, affacciata sul mare che sta fra le terre (2), scoprì di aspettare un bambino. Aveva amato il re di quella terra, Salomone, uomo noto per la sua saggezza, per questo mi chiamò Menelik, appunto, il figlio del saggio.

    Vidi una volta sola Salomone, da ragazzo, non appena raggiunta l’età adulta, quando mi recai in Israele proprio per incontrarlo.

    Là commisi un furto, su suggerimento di Tsadok, figlio di un sacerdote del Tempio di Gerusalemme, la capitale del regno di mio padre: rubammo uno strano oggetto del quale mio padre mi aveva già donato una copia. Gli Ebrei la chiamavano Arca dell’Alleanza, pare che per loro fosse un oggetto di grande valore, si tratta di un cassone di legno interamente ricoperto d’oro. A quanto pare l’aveva portato lì Mosè, l’uomo che liberò il popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto.

    Non mi fu difficile impossessarmene con la complicità di Tsadok, mi bastò sostituire l’originale con la copia (3).

    Quella che voglio raccontarvi è la storia del Regno d’Israele, dalla sua fondazione (4) alla morte di mio padre.

    Tutto inizia da Samuele (5), Giudice (6) d’Israele. In quel tempo il popolo ebreo è in continua guerra con i Filistei, gente che proviene da Sud, evoluta al punto da possedere già armi forgiate nel ferro (7).

    Gli Ebrei temono i Filistei, sanno di essere ad un livello di evoluzione inferiore al loro, i Filistei hanno tutta l’intenzione di impossessarsi di quelle terre, fermarli appare impresa disperata.

    Samuele, in quanto Giudice, è anche capo militare del suo popolo, ma non è in grado di impugnare un’arma né, tantomeno, di guidare il popolo in battaglia.

    Raduna allora la sua gente a Mizpa, nella grande piana a meno di cento metri dalle forze filistee già schierate e pronte allo scontro, rivolge un forte appello all’unità della nazione ebraica, al coraggio dei più giovani e vigorosi, alla necessità impellente di proteggere le loro famiglie, le loro donne, i loro vecchi e i loro bambini. Legge la paura dipinta a tinte fosche sui volti degli uomini impugnanti armi costruite nel legno e nel bronzo, ma anche l’assoluta determinazione di chi sa di non avere più nulla da perdere.

    Egli è un grande oratore, un saggio, gli Ebrei credono in lui, hanno fiducia, lo seguono, lui li arringa con forza, mentre il vento di maestrale proveniente dall’enorme massa d’acqua del mare che sta tra le terre sferza il suo viso rugoso, la sua lunga barba e l’altrettanto lunga chioma rese candide dal tempo, la polvere sollevata dalla landa desolata gli riempie gli occhi infossati dagli anni.

    Samuele sa perfettamente che non sarà facile fare da argine alla forza d’urto dei Filistei, già dotati di carri da guerra (8) e di altre diavolerie in grado di polverizzare la grande massa male armata degli Ebrei, ed è cosciente che solo la forza della disperazione, lo spirito di sopravvivenza dei discendenti di quegli uomini che hanno attraversato il Mar Rosso e il deserto del Negev può costituire, sul campo di battaglia, la forza necessaria per non soccombere di fronte alla superiore potenza nemica.

    Lo scontro è durissimo, il solo osservarlo da fuori provoca un’impressione destinata a segnare per sempre i ricordi e la vita di un essere umano: uomini armati di lance, di archi, di frecce e di spade che si scontrano l’uno contro l’altro, corpo a corpo. Chi muore infilzato al torace o all’addome, chi con la gola squarciata, chi sotto gli zoccoli di cavalli lanciati al galoppo nella mischia, chi, ancora, sotto le ruote scricchiolanti di quei micidiali carri, dentro un polverone più fitto della più fitta nebbia, che nulla lascia intravvedere. Ma alla fine avviene il miracolo: i terribili e in apparenza invincibili Filistei, giunti sulla maestà dei loro carri e nello sfolgorio delle loro armature, si vedono costretti a battere in ritirata di fronte ad una massa vociante, feroce ed aggressiva, pronta a vincere o a morire, ma non a rassegnarsi a capitolare senza aver giocato fino in fondo le sue carte, per poche e scompigliate che possano apparire. Gli Ebrei non si limitano a battere i Filistei, addirittura li inseguono e li raggiungono a Bet-Car, infliggendo loro altri pesanti perdite.

    Tutta la zona da Accaron a Gat, dapprima occupata dai Filistei, ora torna sotto il controllo delle tribù nate dai figli di Giacobbe-Israele.

    Al momento, il pericolo filisteo, grazie all’eroismo e al valore dei combattenti ebrei, appare scampato.

    Samuele si reca, in veste di plenipotenziario, presso il popolo degli Amorrei a concludere accordi di pace.

    Il Giudice viaggia molto e sempre a dorso d’asino, vuole rimanere sempre aggiornato sulle condizioni di vita del suo popolo, recandosi continuamente a Betel, a Galgala, nella stessa Mizpa, resa famosa per la sanguinosa quanto vincente battaglia, tenendo però sempre la sua sede fissa a Rama, città che gli ha dato i natali.

    Ma gli anni trascorrono inesorabili per tutti. Samuele invecchia, sente il vigore fisico, ogni giorno che passa, abbandonare progressivamente le sue membra. Allora capisce che deve preparare una successione, nominare un erede o degli eredi, per evitare che, dopo di lui, altri

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