Alberi Ribelli
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Anteprima del libro
Alberi Ribelli - Giulio Grigioni
TUONI E FULMINI
L’aspetto gracile di Corrado traeva in inganno: aveva gambe esili, sottili come stuzzicadenti. Tirò su l’orlo dei jeans e si rimboccò le maniche. Aveva già corso parecchio, il sudore gli imperlava la fronte.
Corrado dribblò Enzo, il più spilungone, poi Igor, il più piazzato, spalla contro spalla, spingendolo un poco e scattò via come un fulmine verso la porta avversaria. S’immaginò quindi una linea retta che partiva dal centro della sua fronte verso l’angolino destro della porta: in meno di un secondo sferrò un colpo diagonale con il piede destro, dandogli anche un po’ d’effetto. Il pallone attraversò facilmente la linea della porta immaginaria, Ginevra non riuscì nemmeno a sfiorarla.
Corrado festeggiò il suo goal di fronte a un pubblico davvero particolare: i cespugli irti e secchi, accanto all’alta parete di mattoni. Si congratulò con il suo compagno di squadra Mirko che, stanco di stare in porta, aveva deciso di aiutarlo in attacco.
Di nuovo, quando Corrado ricevette la palla fece un passaggio millimetrico a Mirko così lui poté calciare. Ma la palla intraprese un bizzarro volo verso l’alto, molto più in alto della traversa, naturalmente immaginaria, e raggiunse l’unico albero del piazzale esistente andandosi a incastrare fra i suoi rami.
«E adesso cosa facciamo?» chiese Enzo.
Corrado si portò vicino all'albero. Si aggrappò al fusto cercando di salire, saltando uno, due, tre volte, sporcandosi così tutti i vestiti e spellandosi le mani, ma senza ottenere alcun risultato. Perciò chiamò Ginevra e le chiese di appoggiarsi all'albero. Corrado si aggrappò a lei fino a mettere i piedi sulle sue robuste spalle. Cercando quindi di stare in equilibrio, provò ad avvicinarsi al ramo più basso dell’albero per afferrarlo e ci riuscì: era quasi arrivato a prendere il pallone, ma era ancora troppo in alto.
Il ragazzo non si diede per vinto, gli venne un’altra idea: andò a chiedere una scala ai muratori che stavano lavorando nella villa adiacente alla scuola.
La risposta fu che avevano solo pali di ferro per l’impalcatura, ma che non potevano montargliela per recuperare un pallone!
Corrado si guardò intorno, nel cortile. Provò a lanciare dei grossi sassi. A volte questi riuscivano a colpirla, però la palla non ne voleva sapere e i sassi finivano spesso troppo vicini ai vetri della scuola. Perciò, Corrado entrò nell’edificio in cerca del bidello per chiedergli la scopa, inventandosi che gli era caduta la merenda lungo il corridoio.
Di nuovo nel cortile, Corrado mirava la palla, questa volta lanciando la scopa sul pino, ma senza alcun risultato.
I suoi compagni guardavano tutta la scena con il naso all’insù.
Il bidello, insospettito, scese al piano terra. In corridoio non c’era nessuno. Paonazzo in volto, uscì e raggiunse Corrado.
«Che stai facendo?» gridò imbestialito.
Corrado smise di lanciare la scopa e cercò di scusarsi, ma il bidello gliela strappò dalle mani. Fu solo l'aiuto di qualche santo a impedirgli di dargliela sulla testa.
«Nooon pre… pre… preo… preooccuparti, fra… fra… fraaa popo poco l’albero ve… ve… verrà abbattuto!» Disse Patrizio, balbettando come sempre: era appena uscito dall’aula, dopo essersi bevuto un succo e inghiottito un panino con hamburger.
«Bene. Allora cosa devo fare, aspettare che vengano a tagliarlo?» Corrado si era innervosito.
«E già... la pa… pa… palla non può sce… sce… scendere da sola o… o… o sba... sba… sbaglio?»
Corrado andò a prendersi il giubbotto e abbandonò ogni tentativo.
L’altra squadra annunciò la vittoria. La colpa di chi aveva lanciato la palla era stata di Mirko e considerato che insieme a Corrado non erano riusciti a recuperarla, si beccarono automaticamente la sconfitta.
«Domani voglio la rivincita!» disse il ragazzo imbufalito.
«E co co co… come fa… fa fa fareete senza la palla?»
«Patrizio, i miracoli possono sempre accadere. Spero che domani quella palla venga giù da sola. Il mese scorso è successo, non vi ricordate? Ci deve essere in giro uno strano vento.» Corrado ne era convinto.
«Se… se… arrivaaa un to… to tooor… nado! Se non su… su… succede domani ti… ti… picchio!» minacciò Patrizio, il quale aveva sempre modi carini con i suoi compagni. D’altronde non lo si poteva biasimare. Veniva da una famiglia problematica. Il padre prima in carcere, ora disoccupato. La madre che soffriva di depressione.
Ginevra era accorsa a sentire il litigio, per vedere come stava andando. Chiese senza timore a Patrizio: «Te la prendi sempre con lui, ma cosa ti ha fatto?»
Gli occhi di Patrizio sprizzavano odio.
«Non noo non lo po… po… posso ve ve… vedere!»
«E piantala di balbettare!» si intromise Enzo che era grande almeno il doppio di Corrado. Anche Enzo ne aveva passate delle belle. Genitori separati, padre violento. Aveva sofferto anche lui.
Ogni volta a quell’ora finivano sempre per litigare. Ma quel pomeriggio erano particolarmente stanchi, soprattutto per via dell’ora di educazione fisica, durante la quale avevano corso molto. Corrado, che era l'unico ad avere una bella casa, una bella auto, un bel giardino, salutò tutti e si precipitò verso la bicicletta. Pure Mirko fece la stessa cosa. I due abitavano a pochi isolati più in là, nella stessa via, anche se Mirko viveva in un appartamento del comune; suo padre lavorava dallo sfasciacarrozze della città.
Entrambi pedalavano lentamente costeggiando la via della scuola.
«Vieni verso le cinque all'allenamento giù al campo?» propose Corrado.
«Ma lo vedi come gioco!» disse Mirko.
«Non ti devi preoccupare, ero così anch’io, ma poi ho incominciato ad allenarmi sempre, tutti i giorni...» spiegò Corrado per incoraggiarlo.
Mirko accettò con un po’ d’imbarazzato.
Quella sera era estremamente agitato. Lo riempiva di vergogna il fatto