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Mood - numero 0
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E-book166 pagine1 ora

Mood - numero 0

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Info su questo ebook

“Mood” è un progetto letterario e culturale che si propone di offrire una vetrina sui diversi fermenti dell’editoria nell’epoca dei contenuti digitali: nuove idee, nuovi progetti, nuove voci e la possibilità per scrittori emergenti o già affermati di far sentire la propria voce.

“Mood” è infatti un e-book magazine che potrà essere scaricato gratuitamente dalle principali piattaforme e librerie online. Oltre ad autori esordienti ed emergenti, “Mood” accoglierà anche contributi vari, che spaziano dall’attualità, al costume, alla politica e all’economia, tutti caratterizzati da un approccio innovativo e attento ai linguaggi dei nuovi media di distribuzione dei contenuti. La lettura non esaurisce la proposta di “Mood”. Ogni numero presenterà degli inserti visuali o sonori che accompagneranno gli articoli con intermezzi gradevoli e interessanti.

“Mood” è un progetto congiunto di Thèsis Contents, agenzia letteraria, e goWare, una start-up specializzata in e-book e applicazioni per i dispositivi mobili.
LinguaItaliano
EditoregoWare
Data di uscita20 dic 2012
ISBN9788897324911
Mood - numero 0

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    Anteprima del libro

    Mood - numero 0 - AA. VV.

    Anno 2013

    ISBN 978-88-97324-91-1

    © goWare per l’edizione digitale

    Copertina: Lorenzo Puliti e Francesco Guerri

    Sviluppo ePub: Elisa Baglioni

    Redazione: Serena Di Battista e Valeria Filippi

    Foto: Adriano Filippi

    mood è un progetto condiviso da goWare, startup fiorentina specializzata in ebook e applicazioni per mobile e l’agenzia letteraria Thèsis Contents

    Fateci avere i vostri commenti ed eventualmente i vostri manoscritti a: info@goware-apps.it oppure a thesis@thesis.it

    Made in Florence on a Mac

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    In questo numero i racconti di:

    Sara Bilotti - Sandro Campani - L.R. Carrino - Marta Casarini - Giusella De Maria - Eliselle - Samuel Giorgi - Francesco Formaggi - Maurizio Lantieri e Lilli Luini - Alberto Paleari - Stefano Piedimonte - Pierluigi Porazzi - Patrizia Rinaldi

    Nel buio

    di Sara Bilotti

    Sara Bilotti

    È nata il 14 novembre 1971 a Napoli, dove vive tuttora. Dopo il diploma al liceo classico e aver studiato danza classica, si è dedicata a studi linguistici e filologici in Italia e in Inghilterra. Appassionata di qualsiasi forma d’arte, ama particolarmente la cultura e le lingue orientali, di cui approfondisce la conoscenza arrivando a tradurre fiction e film giapponesi, coreani e cinesi per il fandom della rete.

    Lavora come ghostwriter, traduttrice e insegnante di danza. Ha scritto nove romanzi e nel 2012 ha esordito con la raccolta di racconti Nella carne (Termidoro Edizioni).

    Il suo nuovo romanzo uscirà con Einaudi Stile Libero.

    E anche oggi è una giornata pessima.

    A scuola hanno urlato così tanto che ho un trapano nel cervello, e il treno era talmente zeppo di studenti che, per un attimo, ho persino pensato di farmi quarantacinque chilometri a piedi.

    Il mal di testa è rimasto, mentre l’idea di camminare è evaporata insieme all’ultimo brandello di buonumore, l’ultimo della scorta fatta qualche giorno fa.

    I sorrisi li conservo, non li lascio scoppiare tutti sulla bocca, perché mi servono quando sono triste, cioè tre quarti di ogni settimana.

    Arrivo al Teatro San Carlo alle tre meno venti, senza aver mangiato nulla, sudando nel mio cappotto viola nonostante il Natale alle porte.

    Isabella è già in strada, fuma una sigaretta accanto all’ingresso secondario, quello degli artisti. Guarda nel vuoto, in attesa. Dalla cartellina che tiene sotto il braccio stanno per cadere fogli bianchi, note scritte su righi musicali di cui sembra poter fare a meno.

    Niente parrebbe indispensabile, per lei, soprattutto le persone che, a vario titolo, inciampano nella sua vita.

    Isabella è dotata di crudele indifferenza, un accessorio che alleggerisce ogni suo gesto, ogni sua parola, e la rende assolutamente irresistibile.

    L’indifferenza attrae più dei suoi occhi verdi, delle ciglia nere e dei lunghi capelli biondi, che ora tenta di sistemare in una treccia.

    Trattiene la sigaretta accesa tra le labbra, stringendo gli occhi per non farsi accecare dalla spirale di fumo.

    Maria dice, quando mi vede, lanciando la treccia alle sue spalle, frustandosi la schiena.

    Il mio nome, nella sua bocca, è un proiettile, un dito puntato, un’accusa.

    Le do fastidio.

    Mamma sputava il mio nome allo stesso modo, quando non voleva avermi tra i piedi. Ciò accadeva quasi sempre, diciamo sei giorni su sette.

    Quando trovavo abbastanza coraggio e rabbia per farle notare che avrebbe dovuto occuparsi di me, si limitava a ricordarmi, dall’alto della sua cultura, che l’istinto materno è un’invenzione vittoriana, che le scimmie praticano l’infanticidio sistematico e soprattutto che le donne sono inclini all’eliminazione del nascituro intempestivo, dunque avrei dovuto ritenermi fortunata.

    Che donna caritatevole, mia madre. Nonostante l’intempestivo arrivo dei suoi figli, non si è macchiata di infanticidio neanche una volta.

    Marco? chiedo, tormentandomi le unghie.

    Isabella non risponde, alza il mento verso l’ingresso, dove fa la sua apparizione il padrone del mio cuore.

    Marco parla con il direttore d’orchestra, è nervoso. Una ciocca di capelli continua a cadergli sul naso e lui tenta di fissarla dietro l’orecchio. Una, due, tre volte.

    Quando è nervoso la sua bellezza esplode, quasi per fargli dispetto.

    Sento una mano che mi stringe le viscere e le torce, mentre lui alza gli occhi su di me, poi saluta il direttore e si avvicina a noi. Attorno, tutto diventa sfocato e io divento stupida.

    Non siamo neanche a metà giornata e già i coglioni mi fumano dice, baciando Isabella.

    E ignorandomi.

    Quel linguaggio volgare è una frusta, vibra nell’aria. Le parole galleggiano attorno al viso angelico come un’aureola e io le guardo a lungo, smarrita.

    Poi lui e Isabella si avviano lungo il marciapiede e a me non resta altro da fare che seguirli, come un cagnolino fedele, calpestando le loro ombre affusolate.

    Mangiano quello che ho preparato, io invece guardo il piatto vuoto.

    Credevo che saremmo stati soli, io e Marco, quindi avevo preparato per due.

    Non posso fare tre piatti minuscoli, lascio che prendano anche la mia parte.

    Facevo la stessa cosa da bambina, quando cominciava a finire il cibo in casa e i miei fratelli giocavano a carte, per decidere chi di loro sarebbe uscito per rubare qualcosa al market.

    Nessuno lo faceva mai, comunque. Mamma ci lasciava per giorni da soli, imponendoci di non mettere il naso fuori la porta, e noi semplicemente obbedivamo.

    Di solito obbedire non era un problema, perché lei stava via per due o tre giorni. Ma a volte l’assenza durava di più, la roba nel frigo terminava e la paura di un abbandono definitivo strisciava nelle nostre pance, ben più violenta della fame.

    Era allora che io cedevo la mia razione di cibo, perché non si accorgessero che stavano arrivando i brutti pensieri.

    Sono passati anni, eppure continuo a immolarmi per gli altri.

    C’è un nuovo tipo di angoscia, alla mia tavola, non ne conosco l’origine ma faccio di tutto per negarla, anche adesso.

    Mangiano in silenzio, Marco guarda Isabella, le porta i capelli dietro un orecchio, per impedire che finiscano nel piatto.

    È arrivato l’invito per il matrimonio di Barbara dico, per disturbare quell’intimità.

    Lui non mi rivolge un solo sguardo, mentre prende l’invito dalle mie mani e dà un’occhiata veloce. Poi gira la busta e legge ad alta voce.

    "Marco e Maria De Santis. Ci dev’essere un errore."

    Ha un tono sarcastico. Lo odio quando fa così. Soprattutto quando pronuncia i nostri nomi.

    Che stronza dice Isabella. Non mi ha invitato.

    Barbara è amica mia, non tua oso, tra lo stupore dei presenti.

    Isabella fa una risatina e mette una mano sulla coscia dell’uomo che amo. Vorrei prendere il coltello del pane e segarle la carotide. È la prima volta che sogno a occhi aperti di ucciderla, mentre l’ho fatto infinite volte con le altre. Tutte quelle donne che hanno amato Marco e hanno tentato di portarmelo via. Tutte quelle ridicole galline che hanno usato il mio bagno, le mie creme per il viso, il mio letto.

    Mentre io, sognando, lavavo i piatti in cucina e fingevo che, dentro di me, non stesse accadendo nulla, che non avessi voglia di sgozzarle e vedere il loro sangue schizzare sulle pareti bianche della camera da letto.

    Così, per rabbia esistenziale.

    Scivolo lungo i muri, supero la porta chiusa della camera da letto ed entro nello studio, perché devo fare una ricerca in Internet.

    Mi serve qualcuno che mi rifornisca di legna per il camino, legna già tagliata in piccoli ceppi, non quei tronchi osceni che l’anno scorso ho dovuto dividere in tre con l’accetta, fuori dal terrazzo, come un fottuto falegname.

    Certo, sono forte. Ho due spalle da paura. Ma questo non significa che debba spendere cinquecento euro per un lavoro fatto male, quando ci saranno pure da qualche parte una decina di gnomi pronti a segarmi la legna e vendermela allo stesso prezzo.

    Accendo il pc, ma quando provo a inserire la password non succede nulla. Marco deve averla cambiata ancora. Lo fa ogni quattro settimane, convinto che qualcuno passi il tempo a cercare di violare la sua privacy, ma soprattutto che io non sappia aprire il cassetto a destra della scrivania, quello dove tiene tutti i suoi

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